Giurisdizione sui casi di annullamento del decreto di esproprio o di occupazione

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA --> ANNULLAMENTO DECRETO DI ESPROPRIO

Sintesi: In caso di annullamento del decreto di esproprio, si verte in ipotesi di occupazione appropriativa; in ordine alla conseguente tutela risarcitoria sussiste la giurisdizione del G.A.


Estratto: «E’ altresì infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalle esistenti, vertendosi in materia di occupazione appropriativa, posto che l’originario decreto di esproprio, ritualmente adottato, è stato successivamente caducato in virtù di provvedimento giurisdizionale.»

Sintesi: Rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere e, quindi tutte quelle in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u. pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonché la sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo (ad esempio, il decreto di espropriazione) sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo ha emesso oppure dal giudice amministrativo.

Estratto: «Il ricorso è fondato limitatamente a queste ultime domande rivolte nei confronti delle società acquirenti del terreno, s.r.l. Sardegna Distribuzioni, s.a.s. Demela Tommaso e soc. Seridea 78.La Corte Costituzionale con la nota sentenza 191 del 2006, avente ad oggetto il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53 appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, che tuttavia ha contenuto sostanzialmente corrispondente a quello del D.Lgs. n. 205 del 2000, art. 34, come recepito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, ha ulteriormente ristretto l'area della giurisdizione devoluta in materia espropriativa al giudice ordinario: dichiarando costituzionalmente illegittima la locuzione "comportamenti", laddove la norma,prescindendo da ogni loro qualificazione, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte - e per ciò solo che essa è parte - la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.).Ha ritenuto,quindi,che la disposizione legislativa si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale nelle fattispecie in cui i "comportamenti" causativi di danno ingiusto - e cioè, nella specie,l'occupazione e/o la realizzazione dell'opera - costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione:costituendo anche tali "comportamenti" esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione. Mentre ha dichiarato costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere, ovvero in via di mero fatto".Questo criterio di riparto è stato recepito dal nuovo codice del processo amministrativo che nell'art. 7 ha attribuito alla giurisdizione amministrativa anche le controversie, nelle quali nelle particolari materie indicate dalla legge - fra cui il successivo art. 133 lett. g) ha incluso l'espropriazione per p.u.,- "si faccia questione di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni".Per cui le Sezioni Unite hanno individuato l'ambito della prima delle due categorie indicate dalla Consulta, costituita dai "comportamenti posti in essere in carenza di potere" nella materia ablativa,rimasti in via residuale alla giurisdizione ordinaria anche per la quasi nulla consistenza della seconda categoria dopo la L. n. 1 del 1978, che ha attribuito valore di dichiarazione di p.u. ai progetti di opere pubbliche approvati dalla competente autorità amministrativa:1) nelle fattispecie in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (L. n. 241 del 1990, art. 23): fra cui nella casistica giudiziaria antecedente al T.U. ha assunto particolare rilevanza la fattispecie in cui lo stesso non contenga l'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento delle espropriazioni e dell'opera, richiesta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13; e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3), di limitare il potere discrezionale della pubblica amministrazione, al fine di evitare di mantenere i beni espropriabili in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all'ulteriore finalità di tutelare l'interesse pubblico a che l'opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l'interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell'azione amministrativa (Cass. sez. un. 9323/2007; 2688/2007; 9532/2004; nonché sez. 1^, 4202/2009; 28214/2008; Cons. St. 5^, 1562/2002; 4^, 1315/2001; 3733/2000); 2) nelle ipotesi di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. individuate dalla L. n. 2359, art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori (senza che sia intervenuto il decreto ablativo o si sia verificata la cd. occupazione espropriativa); e dalla L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 3, in caso di mancato inizio delle opere "nel triennio successivo all'approvazione del progetto": a nulla rilevando che in entrambe le fattispecie il potere ablativo fosse in origine attribuito all'amministrazione, in quanto è decisivo che tale attribuzione fosse circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore e fosse già venuta meno all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata (Cass. sez. un. 30254/2008; 19501/2008; 15615/2006).Rientrano, invece nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo istituita dal menzionato L. n. 205 del 2000, art. 7, anzitutto le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano: e, quindi, nella situazione esaminata dalla Corte Costituzionale (sent. 191/2006),tutte quelle in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u. pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonché la sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva,ovvero malgrado detto titolo (ad esempio, il decreto di espropriazione) sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo ha emesso oppure dal giudice amministrativo (Cass. 16093/2009; 26798/2008; 14794/2007; 7256/2007).La giurisdizione amministrativa sussiste poi (ed è stata ritenuta dalla Consulta conforme a Costituzione), pure nell'ipotesi in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale perché anche in tal caso si è in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se poi lo stesso si è rivelato illegittimo e per effetto dell'annullamento ha cessato retroattivamente di esplicare i suoi effetti;e la lesione del diritto soggettivo di proprietà è rapportabile ad un comportamento materiale dell'amministrazione, tuttavia riconducibile all'avvenuta adozione ed esecuzione della dichiarazione di p.u. e divenuto tale in seguito al provvedimento che l'ha caducata. Con la conseguenza che in entrambi i casi spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere ablativo: e tra queste forme di tutela rientra anche quella risarcitola, in forma specifica o per equivalente, che per il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, non può più essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione (Cass. 509/2011; 1787/2010; 14954/2007;3724/2007; 2689/2007).A detto giudice può,dunque essere chiesta la tutela risarcitoria, senza dover osservare il termine di decadenza pertinente all'azione di annullamento (Cass. sez. un. 30254/2008 cit.); ed a maggior ragione la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria completiva: a nulla rilevando in quest'ultimo caso la scelta di un momento successivo per proporre la domanda di risarcimento del danno in quanto il D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 34 e 35, non richiedono una situazione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale per la devoluzione della controversia al giudice amministrativo.»

Sintesi: Anche nel caso di procedimento espropriativo non soggetto alle norme del D.P.R. n. 327/2001, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo un’azione con la quale i proprietari di un’area hanno chiesto la restituzione del fondo, o in subordine il risarcimento dei danni, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità.

Estratto: «8. - Venendo ora alle ragioni sostenute dal CACIP nel ricorso n. 4005 del 2010, viene in rilievo il primo motivo di diritto, con il quale l’appellante consorzio si duole del rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle domande risarcitorie conseguenti all’annullamento degli atti del procedimento amministrativo...
[...omissis...]

Sintesi: Alla luce delle sentenze della Corte Cost. n. 204/2004 e n. 191/2006 e dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, nel settore delle occupazioni illegittime la giurisdizione del GA deve essere riconosciuta, anzitutto, in presenza di un concreto esercizio del potere e, quindi, nella situazione in cui quest’ultimo si sia manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u. pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo (ad esempio, il decreto di espropriazione) sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo ha emesso oppure dal giudice amministrativo

Estratto: «Il Collegio osserva che dopo la parziale declaratoria di incostituzionalità da parte della nota decisione 204/2004 della Corte Costituzionale, del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come riformulato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, laddove ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto oltre agli atti, anche i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia, le Sezioni Unite hanno attribuito al giudice suddetto la giurisdizione nelle controversie avente ad oggetto il risarcimento del danno per l'illegittima occupazione di immobili privati; destinata alla realizzazione di opere pubbliche, anche se vi sia stato l'annullamento di atti amministrativi: in quanto, pur essendo venuto meno, con essi, il fondamento all'esercizio del potere, ragioni di economia processuale, non disgiunte dalle esigenze di ragionevole durata del processo, inducono alla concentrazione, davanti a un unico giudice, delle pronunce sui diritti consequenziali all'annullamento, anche se la vicenda giurisdizionale amministrativa si sia già conclusa.Hanno rilevato, al riguardo: A) che la Corte costituzionale con la successiva sentenza 191 del 2006, pur se avente ad oggetto l'art. 53 del T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità, appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, ha ulteriormente ristretto l'area della giurisdizione devoluta in materia espropriativa al giudice ordinario: dichiarando costituzionalmente illegittima la locuzione "comportamenti", laddove la norma, prescindendo da ogni loro qualificazione, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte - e per ciò solo che essa è parte - la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.); B) che la Consulta ha ritenuto che la disposizione legislativa si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale nelle ipotesi in cui i "comportamenti" causativi di danno ingiusto - e cioè, nella specie, l'occupazione e/o la realizzazione dell'opera costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione: costituendo anche tali "comportamenti" esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione. Ed in questi casi al precedente sistema che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente al possibile annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo, attribuiva al giudice ordinario le controversie sul risarcimento del danno provocato dai comportamenti che vi avevano dato esecuzione "il legislatore ha sostituito (appunto con il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 1) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente, sia in forma specifica, il danno sofferto per l'illegittimo esercizio della funzione". Ed ha concluso che "deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a "comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto"; C) che pertanto nel settore delle occupazioni illegittime la giurisdizione deve essere riconosciuta, anzitutto, in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano: e, quindi, nella situazione in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di p.u. pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo (ad esempio, il decreto di espropriazione) sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo ha emesso oppure dal giudice amministrativo; D) che la giurisdizione esclusiva deve estendersi, altresì, all'ipotesi in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e poi successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale: perché anche in tal caso si è in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se poi lo stesso si è rivelato illegittimo e per effetto dell'annullamento ha cessato retroattivamente di esplicare i suoi effetti. E la lesione del diritto soggettivo di proprietà è rapportabile ad un comportamento materiale dell'amministrazione, tuttavia riconducibile all'avvenuta adozione ed esecuzione della dichiarazione di p.u., e divenuto tale in seguito al provvedimento che l'ha caducata.Con la conseguenza che in entrambi i casi spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere ablativo, e tra queste forme di tutela rientra anche quella risarcitoria, in forma specifica o per equivalente; che per il disposto del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, non può più essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione.In quest'ultima ipotesi rientra la controversia in esame, in cui la pretesa integralmente risarcitoria dei ricorrenti in giudizio, è stata azionata con atto di citazione notificato nel corso dell'anno 2005, dunque dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 35, come modificato dalla L. 11 luglio 2000, n. 205, art. 7 che ha sostituito il primo periodo della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7, comma 3. Ed il risarcimento per l'occupazione dell'immobile senza alcun titolo è ricollegato all'avvenuto annullamento, in sede di giurisdizione amministrativa (sent. 599/1993 del TAR Lombardia confermata dalla sentenza 133/1999 del Consiglio di Stato), della dichiarazione di p.u. legittimante al procedimento espropriativo.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA --> ANNULLAMENTO DECRETO DI OCCUPAZIONE

Sintesi: A seguito dell'annullamento della disposta occupazione, quest'ultima risulta comunque collegata – pur in maniera “mediata” – con l’esercizio del pubblico potere espresso dalla P.A. attraverso atti amministrativi illegittimi (non inesistenti), sicché si radica in materia la giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 327/2001, come interpretato da Corte cost. 191/2006.

Estratto: «1. In via preliminare va precisato che, già a partire dall’anno 2006, parte ricorrente ha specificato il petitum del ricorso (che comprendeva già in origine anche la domanda risarcitoria, pur formulata in via subordinata e condizionata) chiedendo esplicitamente la condanna del Comune al risarcimento danni per equivalente monetario, articolato nelle seguenti voci: a) danno subito per effetto della perdita del fondo, da quantificare nella misura pari al valore di mercato del bene alla data della domanda giudiziale, ovvero a quella di irreversibile trasformazione, dalla quale decorreranno anche gli interessi; b) mancati guadagni per la pregressa occupazione, costituiti dagli interessi sulla somma rivalutata liquidata per la perdita, da devalutare anno per anno a decorrere dalla immissione in possesso fino alla domanda risarcitoria; c) applicazione sulle predette voci di rivalutazione monetaria ed interessi legali.Tale “opzione difensiva” della parte ricorrente – che vede la sostituzione di una domanda “restitutoria” con una “risarcitoria” a seguito dell’irreversibile trasformazione impressa al bene oggetto di occupazione - deve ritenersi ormai pacificamente ammessa in giurisprudenza (si richiamano in proposito le conclusioni in tema di alternatività fra i due rimedi, e di implicita abdicazione al diritto di proprietà, raggiunte nelle sentenze Tar Catania, II, n. 973/2008, n. 1696/08, n. 1697/08, e nella sentenza C.G.A. n. 486 del 25.05.2009; v. inoltre Tar Bologna, 1065/2009). Anche la Suprema Corte di cassazione ha avallato la predetta ricostruzione precisando che “la perdita della proprietà da parte del privato non è conseguenza dell'accessione invertita, ma, in modo speculare, è l'opzione del proprietario per una tutela risarcitoria, in luogo della pur possibile tutela restitutoria, a comportare un'implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato, senza che da ciò consegua, quale effetto automatico, l'acquisto della proprietà del fondo da parte dell'ente pubblico (Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814, confermata dalla successiva sentenza delle Sezioni unite 13 novembre 2000 n. 1172).” (Cass., I, 9173/2005).Va, intanto, ricordato in punto di fatto che: a) l’immobile in esame è stato oggetto di occupazione d’urgenza decretata nell’anno 1991, poi dichiarata illegittima con sentenza di questo Tar n. 1086/2000; b) la deliberazione del Consiglio comunale di Patti n. 78/1989 che disponeva l’assegnazione del terreno alla Cooperativa Edilizia Trinacria è stata annullata con D.P.R.S. n. 425/2002; c) l’immobile, continua ad essere di fatto occupato dagli edifici eretti ed assegnati alla Coop. Trinacria e quindi sottratto alla disponibilità dell’avente diritto, tanto che costui ha ormai rinunciato all’azione restitutoria chiedendo soltanto il risarcimento dei danni patiti.L’occupazione così determinatasi risulta comunque collegata – pur in maniera “mediata” – con l’esercizio del pubblico potere espresso dal Comune attraverso atti amministrativi illegittimi (non inesistenti), sicché si radica in materia la giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 327/2001 come interpretato da Corte cost. 191/2006 (per una fattispecie analoga si veda Cass. SS.UU., 1787/2010).In conclusione, il Collegio può legittimamente procedere all’esame della domanda risarcitoria come formulata nella memoria difensiva del 27 febbraio 2008 e dichiararla accoglibile per quanto si dirà appresso.»

Sintesi: Sussiste la giurisdizione del GA in ordine alla pretesa risarcitoria conseguente ad intervenuto annullamento del decreto di occupazione per effetto della sopravvenuta inefficacia della pubblica utilità.

Estratto: «Così stando le cose, l'analisi circa la verifica della sussistenza della giurisdizione di questo giudice riguardo all'oggetto della presente controversia, potrebbe stimarsi conclusa, ove si consideri che questa origina dall'assunto subito prospettato in citazione, che il provvedimento di occupazione dei suoli è stato annullato dal giudice amministrativo, sul rilievo della sopravvenuta inefficacia del P.I.P.Sicché, proprio sulla scorta della argomentazioni della Suprema corte, ne dovrebbe discendere - senza, peraltro, che si pongano problemi in merito alla c.d. pregiudizialità amministrativa, essendo l'atto stato impugnato ed annullato dal TAR - che a quello stesso giudice deve essere domandato il risarcimento.B2b) In realtà, l'analisi non può ritenersi conclusa, dovendo il tribunale dare risposta alla lettura alternativa che, con pregevole suggestione, la difesa degli attori svolge nella propria comparsa conclusionale.Si sostiene, infatti, che l'impugnativa dell'atto in sede di giustizia amministrativa, avrebbe avuto funzione, nella sostanza, meramente tuzioristica, tenuto conto delle interpretazioni invalse in quell'ambito, dovendo, per contro, considerarsi che, in realtà, il provvedimento di occupazione era stato adottato quando l'implicita d.p.u. che lo avrebbe dovuto supportare, era già scaduta.Di tal che l'ipotesi sottoposta all'attenzione del tribunale atterrebbe ad uno di quei casi ancora rientranti nell'ambito della figura della carenza di potere in concreto rimessi alla cognizione del giudice ordinario, in cui, a monte, difetterebbe l'agire in veste di autorità della pubblica amministrazione.Per contro, ad avviso di questo giudice, l'attenta analisi del discorso compiuto soprattutto dal giudice delle leggi, ma, più nel profondo, gli stessi mutamenti del quadro complessivo della tutela dei diritti (e degli interessi) avutisi negli ultimi anni, portano a non condividere la tesi propugnata dalla difesa delle parti attrici.Al riguardo una prima valutazione apparentemente di carattere pragmatico - in realtà, come vedremo, di puro diritto -, balza agli occhi.Si opina, infatti, in via generale, che si verserebbe in ipotesi di radicale carenza di potere nel caso di una d.p.u. (o altro strumento che analogamente la contenga), venuta a scadere per decorso dei termini ivi fissati, sebbene questa sia stata adottata nel pieno rispetto delle norme, sicché, conseguentemente, ad accordare il risarcimento del danno dovrebbe essere il g.o., mentre, invece, spetterebbe al giudice amministrativo riconoscere la fondatezza o meno della pretesa risarcitoria laddove la d.p.u. sia stata annullata, magari in presenza di gravi vizi dell'atto o per eccesso di potere a cagione della cattiva ponderazione di tutti gli interessi in gioco, ipotesi in cui ancor più netto sembra essere il distacco con il corretto esercizio del potere.Risulta evidente, a parere del tribunale, la distoma che vi vuole introdurre, per tale via, nel sistema di individuazione del giudice munito di giurisdizione.In proposito sorge - senza evidentemente alcuna pretesa di esaustività - l'esigenza, per un attimo, di storicizzare le vicende del riparto tra le giurisdizioni, in particolare nella materia dell'espropriazione di cui ci stiamo occupando.Non va dimenticato, infatti, che fino a poco dopo l'entrata in vigore della Costituzione, la giurisprudenza di legittimità non aveva ancora elaborato la nozione di carenza di potere in concreto e di affievolimento del diritto.Invero, fatta eccezione per una breve parentesi da collocare tra il 1916 ed il 1930, sia dopo l'istituzione della IV sez. del consiglio di Stato - 1889 - sia dal 1930 fino alla "svolta" del 1949, l'individuazione del giudice avente giurisdizione avveniva, si sulla base del criterio della causa petendi, ma, non essendo stata ancora affermata con piena consapevolezza la portata c.d. degradatoria dell'atto amministrativo, il giudice ordinario era chiamato ad occuparsi di vicende nelle quali, sebbene ci si trovasse in presenza di un atto adottato dalla p.a. nell'esercizio delle proprie prerogative pubblicistiche, la domanda implicasse la tutela dei diritti - o almeno così erano ritenuti formalmente - con l'effetto, che l'ampiezza delle tutele apprestate al cittadino veniva, nella sostanza, ridotta, giacché l'autorità giudiziaria ordinaria, in virtù dei limiti imposti dagli artt. 4 e 5 della legge n. 2359 del 1865, all. E, finiva per riconoscere la insindacabilità di quegli atti.Il nuovo indirizzo inaugurato dalla Suprema corte (sez. un. 4 luglio 1949 n. 1657), in prativa tenuto fermo per oltre un cinquantennio, ha posto in risalto invece, come in presenza di una atto adottato dalla p.a. nell'esercizio dei poteri alla stessa attribuiti in base a norme, non potesse farsi questione di diritti soggettivi, avendo l'atto portata degradatoria, così recependo la nota teorica, elaborata dalla dottrina, dell'affievolimento del diritto.La portata della soluzione, inoltre, si misura proprio in relazione, una volta degradato il diritto ad interesse, a quelli che con successiva terminologia sono stati denominati gli interessi di natura c.d."oppositiva" e che assumono, appunto, particolare rilevanza nella materia espropriativa la quale, non si dimentichi, attiene, nella visiono dell'economia liberale, al diritto principe del cittadino e cioè alla tutela della proprietà.Infatti, la tesi della carenza di potere in concreto si rivela funzionale proprio a quelle esigenze di tutela, posto che, sostenendo l'opzione interpretativa secondo la quale, persino in presenza dell'esercizio di un potere pubblicistico, l'agire dell'amministrazione sarebbe comunque affetto da radicale carenza di potere conseguente al venir meno, per decorrenza dei termini o perché questi non sono stati mai fissati, di uno dei suoi presupposti legittimanti quale la d.p.u. o il decreto di occupazione, equivale(va) a garantire proprio quella concentrazione delle tutele che oggi fortemente sia il giudice delle leggi che quello di legittimità sembrano porre alla base di ogni ragionamento volto alla piena attuazione dei principi costituzionali, in generale connessi al giusto processo.Con il predicare l'inattitudine dell'atto ad affievolire il diritto di proprietà, si permetteva di adire direttamente il giudice ordinario per veder riconosciuta la pretesa a rientrare nella disponibilità del bene, qualora ciò fosse stato ancora possibile e ad ottenere cumulativamente il risarcimento del danno; ovvero ad ottenere esclusivamente il ristoro dei danni provocati dall'agire non conforme a legge della pubblica amministrazione, nell'evenienza in cui vi fosse stata l'irreversibile trasformazione del fondo a fini pubblicistici (peraltro la tesi della natura usurpativa da rinvenirsi anche in dette ipotesi, secondo logica avrebbe addirittura dovuto comportare la inammissibilità della irreversibile trasformazione del bene, con la correlativa possibilità di riavere indietro il bene stesso).Tuttavia, non può non rilevarsi che, sebbene attraverso il doppio passaggio, prima davanti al giudice amministrativo per veder riconosciuta la illegittimità della d.p.u. (nei casi, evidentemente, in cui si riteneva questa non fosse tamquam non esset) e poi innanzi al g.o., il privato, in conseguenza della c.d. riespansione del diritto, poteva conseguire il risarcimento del danno anche laddove, appunto, la d.p.u. fosse stata annullata, con effetto retroattivo, dal giudice degli interessi, fenomeno, nella sostanza, assimilabile, attraverso la declaratoria ex post in ambito giudiziale, all'agire in carenza di potere da parte della pubblica amministrazione (tanto che anche in questo caso, per taluni, saremmo in presenza di occupazione usurpativa).Ciò, evidentemente, perché gli interessi legittimi - questa doveva ritenersi la consistenza della posizione giuridica soggettiva azionata davanti al g.a. fino alla pronuncia di annullamento - non erano risarcibili e perché a quel giudice non era accordata la potestà, sul piano, come si è detto, dei "rimedi", di provvedere sul risarcimento del danno conseguente alla pronuncia di annullamento.Sicché, da un lato, si deve argomentare che non vi sono ragioni plausibili per differenziare il caso in cui la d.p.u. sia da stimare inefficace per assenza o decorrenza dei termini, da quello in cui lo diviene per effetto della pronuncia di annullamento (infatti, quand'anche attraverso un iter maggiormente defatigatorio, il risarcimento era accordato anche in questo secondo caso); dall'altro per mutare il giudice, una volta che la principale ragione ostativa alla concentrazione delle tutele - evidentemente rappresentata dal dogma della irrisarcibilità dell'interesse legittimo e dalla correlata esigenza di 'rinvenire' una posizione di pieno diritto da risarcire ad opera di quell'unico giudice che poteva concedere tale tipo di tutela - è venuta a cadere in conseguenza del nuovo assetto ordinamentale.B2ba) Sul punto risultano interessanti alcuni spunti, ad avviso del tribunale, rinvenibili tra le pieghe della motivazione della sentenza n. 191 del 2006 della corte costituzionale, con cui è stata dichiarata la incostituzionalità dell'art. 53 comma 1 del t.u.e. nella parte in cui non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere.Questa, partendo dall'assunto che le questioni da cui originavano le ordinanze di rimessione, riguardavano casi rientranti nell'istituto dell'occupazione appropriativa, evidenzia che "tale fenomeno viene contrapposto a quello cosiddetto di occupazione usurpativa, caratterizzato dall'apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell'ipotesi di assenza ab initio della d.p.u., e da taluni, anche nell'ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di un'inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica" (corsivo aggiunto; appena dopo la Corte insiste nel segnalare che riguardo alle ipotesi di occupazione usurpativa non vi è unanimità di consensi).Traspare, soprattutto alla luce delle considerazioni finali contenute nel paragrafo 5, l'idea del giudice delle leggi che, da una parte, ancora una volta, non vi è ragione di sorta per tenere distinti il caso dell'annullamento della d.p.u. ad opera del giudice amministrativo, da quelli di sopravvenuta efficacia per inutile decorso dei termini della dichiarazione stessa, che, comunque, appaiono concettualmente diversi da quelli in cui manchi del tutto una d.p.u., atteso che, lo stesso porre la distinzione pare manifestare, 'in retrospettiva', l'adesione alla tesi che i primi non possano essere ricondotti ad ipotesi di occupazione usurpativa; dall'altra che i comportamenti, conseguenti o esecutivi di una d.p.u. comunque adottata - e nel nostro caso è stato, peraltro, adottato un provvedimento di occupazione sulla scorta di una d.p.u. implicita, ancorché scaduta - siano sempre riconducibili all'esercizio del pubblico potere, pervenendo alla formulazione conclusiva del principio secondo il quale "l'attribuzione alla giurisdizione del g.a. della tutela risarcitoria... (con la medesima ampiezza di poteri attribuita al g.o.) ... si fonda sull'esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 224 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica", rimanendo priva di giustificazione (solo) "... quando la p.a. non abbia in concreto esercitato, "nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell'interesse pubblico" (corsivi aggiunti).Dal ragionamento pare emergere che la Consulta sposta l'attenzione, in generale, più che sul singolo atto, sulla estrinsecazione complessiva, sulle "modalità di esercizio" anche pregresso, della funzione pubblica, potendo il potere manifestarsi anche in via "mediata", termine già adoperato nella precedente pronuncia n. 204 del 2004, ma che viene così maggiormente chiarito nella sua effettiva portata nella sentenza n. 191.Di tal che appare oramai davvero arduo, sulla base di tali presupposti, sostenere che l'agire dell'amministrazione in virtù ed in esecuzione di una d.p.u., priva dei termini o successivamente scaduta, ma contenente le ragioni di pubblico interesse che ne hanno o ne avevano precedentemente legittimato l'adozione - o di un P.I.P. ancorché, parimenti scaduto, in base al quale si è proceduto alla occupazione dei fondi, come nel caso in esame - non sia connesso in alcun modo al pregresso esercizio della funzione e alla "cura dell'interesse pubblico" che giustifica - anzi sarebbe più corretto dire, impone - secondo la corte ed in ossequio al principio costituzionale della concentrazione delle tutele, l'attribuzione al giudice amministrativo, della cognizione della domanda risarcitoria.B2bb) Tale prospettiva, sebbene nel perdurare dell'equivoco circa le classificazioni definitorie di occupazione usurpativa o appropriativa, pare recepita da alcune più recenti pronunce del giudice di legittimità, in cui si ribadisce, nel solco tracciato dalle pronunce 13659, 13660 e 13911, che pure in presenza dell'annullamento dell'atto da parte del giudice amministrativo, è sempre a quel giudice che va chiesto il risarcimento (vds. Cass. sez. un. n. 14954 del 2007); in cui si afferma - compiendo l'ulteriore, decisivo passo -, che la domanda risarcitoria va avanzata innanzi al g.a. anche laddove il decreto di occupazione sia divenuto inefficace per il decorso del termine trimestrale, ipotesi che pacificamente si riteneva configurasse un caso di carenza di potere in concreto (cfr. Cass. n. 27190 e 27191 del 2006), principio ribadito, pur senza enunciare esplicitamente le ragioni che hanno indotto la corte a mutare il proprio orientamento, ma con encomiabile efficacia, dalla recentissima ordinanza delle sezioni unite del 6.2.2008 n. 2765 in cui si evidenzia a chiare lettere e a definitivo superamento di quella sorta di tabù costituito dalla carenza di potere in concreto, che non giova alle tesi del ricorrente il fatto che tra i vizi della d.p.u. vi fosse quello della mancanza o incompleta indicazione dei termini previsti dall'art. 13 della legge n. 2359 del 1865, o che si potesse riscontrare il decorso del termine previsto per l'inizio delle opere, atteso che "la posizione giuridica dedotta in giudizio deriva dall'esercizio illegittimo del potere...e più in particolare da provvedimenti illegittimi che hanno esplicato, ciò nonostante tutti i loro effetti, in quanto espressione sia pure illegittima di un precedente esercizio del potere, riconoscibile come tale perché deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti dalla legge e non come mera via di fatto... Con la conseguenza che in tal caso spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l'ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall'esercizio illegittimo del potere ablativo" (corsivi aggiunti; si veda altresì, C. di S. ad. plen. 22.10.2007 n. 12 che segna, attraverso una articolata ed attenta ricostruzione, quantomeno in relazione al problema dei casi in cui la cognizione della controversia è rimessa al giudice amministrativo, finalmente un punto di coincidenza con la giurisprudenza appena richiamata del giudice di legittimità, pur nel perdurare del conflitto in tema c.d. pregiudizialità amministrativa).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.