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La procedura penale nell'Unione europea

Il principio del riconoscimento reciproco è fondato su un postulato di fiducia tra Stati membri. Questo, nel corso degli anni, si è dimostrato bisognoso di conferme viste le diversità strutturali tra gli ordinamenti. Al fine di contribuire a colmare il deficit di affidabilità, il vecchio articolo 31 TUE prevedeva una generica competenza dell’Unione a legiferare per garantire la compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri e migliorare la cooperazione tra autorità giudiziarie

L’articolo 83 TFUE e la competenza dell’Unione in materia di diritto penale sostanziale

L’articolo prevede che l’Unione possa, mediante Direttive, dettare norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Tra questi: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, riciclaggio, corruzione, criminalità informatica, etc

Strumenti legislativi e poteri delle istituzioni: il quadro normativo precedente al Trattato di Lisbona

L’art. 34 TUE nel testo anteriore al Trattato di Lisbona elencava 4 categorie di atti normativi: le posizioni comuni, che definiscono l’orientamento dell’Unione su una questione specifica; le decisioni quadro, volte al ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri; le decisioni, categoria definita in modo residuale e negativo, vincolanti e prive di efficacia diretta; le convenzioni, classico strumento del diritto internazionale pattizio ad eccezione del fatto che sono oggetto di negoziato

Gli strumenti normativi dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona

A partire dal 1° dicembre 2009 la materia penale è stata assimilata alle competenze più tradizionali dell’azione dell’Unione e, di conseguenza, è venuta meno la specialità degli atti normativi impiegati. Il diritto penale dell’Unione viene oggi regolato mediante gli stessi strumenti impiegati per tutti gli altri settori dell’azione dell’U.E., elencati dall’art. 288 TFUE: il regolamento (obbligatorio e direttamente applicabile dagli stati membri), la direttiva, la decisione, e la raccomandazione.

Effetti delle direttive e delle decisioni quadro secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia

Sono atti normativi che pretendono, in linea di massima, un successivo intervento di recepimento da parte dello Stato membro, qualora la normativa interna non sia già allineata al risultato cercato con la decisione quadro o direttiva, di atti legislativi o regolamentari che conseguano il risultato avuto di mira dal legislatore europeo. La Corte di giustizia ammette comunque la possibilità che certe norme contenute nelle direttive spieghino effetto diretto nell'ordinamento degli Stati membri

L'interpretazione conforme alle decisioni quadro

Nel redigere l’art. 34 “vecchio” TUE gli Stati membri avevano inserito numerose salvaguardie della loro autonomia normativa in campo penalistico, tra le quali figurava, in primis, la formula secondo la quale le decisioni quadro, pur definite in modo del tutto simile alle direttive, non potevano avere effetto diretto. Ciò sembrava dunque precludere qualsiasi operazione interpretativa volta ad “anticipare” gli effetti delle decisioni quadro rispetto ai provvedimenti di recepimento degli Stati

Interpretazione degli atti normativi europei di diritto penale

L’operatore del diritto nazionale si trova nella condizione di dover interpretare gli atti normativi europei in materia di diritto penale, senza poter attendere i necessari provvedimenti nazionali di recepimento. Ciò vale sia per le decisioni quadro, rispetto alle quali il termine di recepimento sia già scaduto, sia per gli strumenti, rispetto ai quali il recepimento sia ancora pendente. Lo stesso discorso vale anche laddove lo Stato abbia effettivamente adempiuto all'obbligo di recepimento

La convenzione sulla protezione degli interessi finanziari della Unione Europea

Il quadro normativo fornisce diversi strumenti per la lotta a irregolarità e frodi contro il bilancio comunitario; l’esperienza concreta dimostra però che, pur essendo molte le indagini penali transnazionali in questo campo, alcuni di tali strumenti sono poco conosciuti dalle autorità giudiziarie nazionali o addirittura ignorati; a questo, in alcuni casi si sommano problemi di trasposizione nel diritto interno della normativa comunitaria, nel senso che non tutti gli strumenti sono stati attuati

Analisi della Convenzione PIF (Protezione degli Interessi Finanziari)

L’origine della Convenzione PIF deve farsi risalire all’art. K.3 del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 che ha istituito l'Unione Europea. Il suo scopo è indicato nello stesso preambolo dell’atto, laddove gli Stati Membri della U.E., parti contraenti della Convenzione, manifestano la volontà che le loro rispettive legislazioni penali nazionali contribuiscano efficacemente alla tutela degli interessi finanziari dell'Unione. La Convenzione si apre peraltro con una definizione di frode

La convenzione PIF: persone giuridiche, competenza territoriale, estradizione

Il principio sancito dall’art. 3 sulle responsabilità penali dei dirigenti delle imprese ha comportato una significativa svolta in diritto penale, avendo aperto la strada negli ordinamenti interni all’affermazione delle responsabilità da reato degli enti, in apparente contraddizione con un principio storico del diritto penale. L’affermazione del ruolo fondamentale delle imprese nel sistema delle finanze comunitarie si trova nel preambolo della Convenzione, a dimostrazione della sua importanza

Convenzione per la protezione degli interessi finanziari della UE: la cooperazione

La cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri si sta sviluppando come il terreno dove si tende a realizzare quello spazio giuridico e giudiziario europeo comune. La Convenzione non può che ribadire la necessità della Cooperazione tra Stati quando un'ipotesi di frode riguarda almeno due Stati membri ed afferma che la cooperazione può avvenire, per esempio, attraverso la assistenza giudiziaria, l’estradizione, il trasferimento dei procedmenti o l’esecuzione delle sentenze pronunciate all’estero

La convenzione PIF: "Ne bis in idem"

Anche la Convenzione PIF, così come Convenzioni analoghe, riconosce il principio del “ne bis in idem”, un principio generale del diritto penale secondo cui una stessa persona non può essere giudicata due volte per lo stesso fatto, neppure in due Stati diversi. Il dibattito non può non riferirsi anche alla norma dell’articolo 54 della Convenzione di Schengen, su cui si è anche formata giurisprudenza della Corte di Giustizia. Punto problematico è quello del concetto di provvedimento definitivo.

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