Corrispettivi di aree di servizio, dissuasori di sosta e servitù d'uso pubblico: giurisdizioni su strade e passaggi

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> STRADE --> CORRISPETTIVI DI AREE DI SERVIZIO

Sintesi: E' devoluta al giudice ordinario la questione di legittimità dei criteri di determinazione del corrispettivo da versare all'Anas a seguito di autorizzazione dalla stessa rilasciata per la realizzazione e l’esercizio di un'area di servizio, in quanto essi richiedono apprezzamenti della situazione concreta che sfuggono ad una rigida quantificazione matematica secondo criteri rigidi e precostituiti.


Estratto: «II. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da parte resistente, in sede di memoria di costituzione in giudizio, atteso che la questione agitata in ricorso attiene alla legittimità dei criteri di determinazione del corrispettivo, che, implicando la necessità di considerare la specifica fattispecie, implicano l’esercizio di un potere discrezionale-valutativo a fronte del quale non può che configurarsi una posizione di interesse legittimo ascrivibile al ricorrente. Non sfugge al Collegio che, alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 204 del 2004, le controversie attinenti a rapporti concessori non rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo allorché attengano ad indennità, canoni ed altri corrispettivi (cfr. in questo senso, per tutte, Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2007 n. 15). Esse sono oggi devolute alla cognizione del giudice ordinario (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. un., 16 aprile 2009 n. 8994; Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2009 n. 1379). Nel caso di specie, tuttavia, la società ricorrente contesta la legittimità dei criteri di determinazione del corrispettivo secondo i parametri legali, i quali, come meglio si dirà in seguito, non si prestano ad una applicazione algebrica, in quanto richiedono apprezzamenti della situazione concreta che sfuggono ad una rigida quantificazione matematica secondo criteri rigidi e precostituiti. In tal senso si è espressa la Corte regolatrice della giurisdizione, (Cass. Civ. Sez. Un. 05.04.2007, n. 8518), secondo cui: “A tale ente (Anas, ndr) l'art. 27 C.d.S. (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) attribuisce il potere di rilasciare autorizzazioni e concessioni che interessano strade ed autostrade statali e, in particolare, ai commi 5, 7 ed 8, il potere di determinare la somma dovuta per l'uso e l'occupazione di tali beni. Tale potere comporta l'esercizio di una vera e propria scelta discrezionale: la legge non commisura, infatti, la determinazione della somma dovuta a criteri oggettivi, ovvero a indici di mercato o valutazioni di utilità ricavata dal concessionario. Si tratta, in altri termini, di un apprezzamento che comporta la ponderazione degli interessi pubblici con quello del privato. Non può, quindi, applicarsi il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 15217 del 4 luglio 2006, nella quale è stato escluso l'esercizio di una valutazione discrezionale nella determinazione di prestazioni pecuniarie correlate all'utilizzazione di pubblici servizi (tasse aeroportuali), in quanto, in tale caso, la determinazione avveniva in base a parametri di carattere economico - aziendale. La natura provvedimentale dell'atto di adeguamento del canone non muta per il fatto che l'ANAS (originariamente azienda pubblica inserita nell'organizzazione statale) è stata trasformata in ente pubblico economico”. In effetti il corrispettivo nel caso di autorizzazioni e concessioni che interessano strade ed autostrade statali va ricondotto al canone di cui all’art. 27 del D.lgs. n. 285/92, in quanto questo, come evidenziato in giurisprudenza (C. Stato, Sez. V, n. 6800 del 31 dicembre 2007), non si riferisce solo alla pubblicità, ma anche a tutte le altre forme di uso e occupazione di strade che richiedano autorizzazioni e concessioni previste dal Titolo II del codice della strada; esso dà luogo ad un tipo di prestazione legato alla utilizzazione di quel particolare bene pubblico costituito dalla strada, come tale modulabile nel rispetto delle sole norme che espressamente lo disciplinano.Va da sé che l’indagine di questo giudice non può spingersi fino a sindacare il merito della controversia, anche al fine di stabilire se l’importo esattamente determinato sia coerente con la gestione economica dell’azienda.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> STRADE --> DISSUASORI DI SOSTA

Sintesi: Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sull’impugnativa del diniego opposto all’istanza, formulata dal proprietario, di nulla osta all’installazione di dissuasori, rispetto al quale esercizio di potestà autoritativa sussiste una posizione di interesse legittimo.

Estratto: «Preliminarmente appare infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto oggetto della controversia è l’impugnativa del diniego opposto all’istanza, formulata dalla ricorrente quale proprietaria dell’area, di nulla osta all’installazione di dissuasori, rispetto al quale esercizio di potestà autoritativa quindi sussiste una posizione di interesse legittimo. A nulla pertanto rileva la pacifica giurisprudenza a mente della quale la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada o circa la esistenza di diritti di uso civico pubblico su di una strada privata è devoluta alla giurisdizione del g.o., vertendosi in tema di diritti soggettivi (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 07 aprile 2010 , n. 1968), in quanto nella specie la stessa amministrazione nel provvedimento parla solo di uso pubblico di fatto e non di diritto.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> STRADE --> SERVITÙ DI USO PUBBLICO

Sintesi: La controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del G.O., giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della P.A..

Estratto: «2. Preliminarmente, va affrontata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle difese del Comune e del controinteressato.2.1. Come noto, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum sostanziale”...
[...omissis...]

Sintesi: Il G.A. può verificare la sussistenza di una servitù di uso pubblico su una strada al fine di stabilire se la delibera comunale che ha regolamentato il percorso attraverso di essa sia o meno legittimo.

Estratto: «2.– Con un primo motivo si assume che erroneamente il Tribunale amministrativo ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo. Infatti, si sottolinea, l’accertamento della natura pubblica o privata delle strade rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario.
[...omissis...]

Sintesi: L’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di uso pubblico sulle aree in contestazione compete al G.O., fermo il potere per il G.A. di accertarne incidentalmente l'esistenza al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazioni impugnate.

Estratto: «Nel caso concreto non è in contestazione la titolarità della proprietà delle aree oggetto della regolamentazione, ma l’esistenza su di esse di una servitù di uso pubblico, tale da legittimare l’intervento comunale.Sul punto vale precisare, preliminarmente, che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di uso pubblico sulle aree in contestazione compete all’autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi questione relativa all’esistenza di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo. Il Giudice amministrativo può quindi esercitare esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione, ex art. 8, comma 1, c.p.a., senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazioni impugnate. Tanto premesso, va osservato che un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico sia quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato, sia quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico in favore di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr. Cassazione civile, sez. II, 21 maggio 2001, n. 6924; su tali profili si veda recentemente Consiglio di Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728).Resta fermo che anche per la configurazione della dicatio ad patriam occorre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives (in argomento Cassazione Civile, sez. II, 13 febbraio 2006, n. 3075).Nel caso in esame l’amministrazione sostiene (in particolare con la memoria depositata in data 7 febbraio 2013) che la strada sarebbe gravata da una servitù di uso pubblico costituita mediante dicatio ad patriam, ma questo dato è contestato dai ricorrenti.Il Tribunale ha già evidenziato (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, 11 febbraio 2011, n. 466) che la dicatio ad patriam consiste nel comportamento del proprietario che mette volontariamente e con carattere di continuità un proprio bene a disposizione della collettività, determinando in tal modo l’insorgere, a favore della collettività medesima, di una servitù di uso pubblico.Tali servitù consentono alla generalità dei consociati di fruire, in maniera più o meno ampia, a seconda dell’effettivo contenuto del diritto, di beni di proprietà privata. Esse si distinguono dalle servitù pubbliche in quanto, a differenza di queste ultime - che, al pari delle servitù private, presuppongono l’esistenza di due fondi (dei quali uno, detto servente, viene gravato da pesi al fine di assicurare utilità ad un altro fondo, detto dominante) - postulano l’esistenza di un solo immobile gravato da pesi direttamente funzionali alla collettività beneficiaria. Vale ribadire che per la configurazione della dicatio ad patriam è essenziale il comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà o di mera tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività.Non sono rilevanti le motivazioni per le quali detto comportamento viene tenuto, così come è irrilevante la sua spontaneità o lo spirito che lo anima, essendo al contrario sufficiente che il bene sia effettivamente assoggettato dal proprietario ad un uso collettivo, così da soddisfare un'esigenza comune ai membri della collettività, considerati uti cives (così testualmente Tar Lombardia Milano, sez. III, 11 febbraio 2011, n. 466).Il diritto si perfeziona non appena l’uso collettivo viene esercitato, senza che occorra un congruo periodo di tempo (come avviene invece per l’usucapione) o un atto negoziale od ablatorio (cfr. Cassazione civile , sez. II, 12 agosto 2002 , n. 12167).Nel caso di specie ricorrono i presupposti per la configurazione di un diritto di uso pubblico costituito mediante dicatio ad patriam.Invero, i ricorrenti riconoscono (in particolare pag. 2 del ricorso principale) che l’area in contestazione è “sempre” stata utilizzata non solo dai condomini, ma anche “dai clienti che accedono alla farmacia dei dottori F. ed altre attività commerciali, per accordi assunti tra i vari comproprietari”.Consentire l’utilizzo dell’area da parte dei clienti della farmacia e delle altre attività commerciali attivate sull’immobile equivale a porre l’immobile, volontariamente e con carattere di continuità, a disposizione della collettività, visto che l’uso dell’area è permesso ad una pluralità di persone non determinabile a priori.Del resto, l’amministrazione ha documentato (cfr. doc. 6 di parte resistente) che già nel 2006 aveva regolamentato la sosta dei veicoli nell’area in esame, senza alcuna contestazione da parte dei proprietari e analoghi provvedimenti sono stati adottati nel corso degli anni.La circostanza è confermata dalla relazione della Polizia locale del Comune di A. prot. n. 4239 del 15.06.2012 (cfr. doc. 10 di parte resistente), ove si evidenzia - senza alcuna contestazione da parte dei ricorrenti – che nel giorno di chiusura settimanale della farmacia gli spazi destinati a parcheggio restano “liberi per buona parte del giorno”.Ne consegue che non solo nei giorni di apertura della farmacia l’utilizzo dell’area è consentito alla collettività, ma anche negli altri giorni gli spazi sono comunque disponibile e utilizzabili, anche se la chiusura dell’esercizio ne determina un utilizzo contenuto.Vale ribadire che l’uso dell’area da parte dei clienti della farmacia e degli altri esercizi commerciali esprime oggettivamente la volontaria messa a disposizione del bene in favore della collettività, perché non è in alcun modo dimostrato che solo soggetti preventivamente individuati possono utilizzarla e, del resto, la relazione dell’amministrazione evidenzia un uso esteso anche ad altri soggetti, poiché le aree risultano utilizzate anche nei giorni di chiusura degli esercizi, senza alcuna limitazione predefinita ed oggettivamente emergente.Ne deriva, che l’area in esame è destinata all’uso pubblico, sicché le delibere in esame sono legittimamente intervenute, disciplinando la circolazione e la sosta veicolare su di essa.Né merita condivisione la tesi secondo la quale l’amministrazione avrebbe dovuto far precedere la disciplina in esame dall’adozione di un atto di natura ablatoria.Sul punto, va osservato che, sebbene le servitù di uso pubblico sottopongano i beni che ne sono gravati ai poteri di regolazione spettanti all’autorità amministrativa, nondimeno tali poteri sono limitati a quelli intesi a garantire l’uso del bene da parte della collettività nei limiti dettati dal pubblico interesse; viceversa, l’amministrazione non può disporre del bene ed esercitare su di esso i poteri che le competerebbero come se questo appartenesse al proprio demanio.Nel caso di specie l’amministrazione non ha ecceduto i limiti appena indicati, in quanto la disciplina della circolazione stradale, della circolazione pedonale e della sosta veicolare è strettamente aderente all’uso pubblico cui risulta sottoposta l’area dei ricorrenti.Invero, l’uso pubblico consiste nell’utilizzabilità da parte della collettività delle aree di parcheggio di cui i ricorrenti affermano la proprietà e ciò interferisce con la circolazione pedonale e stradale, sicché le determinazioni impugnate, nel regolare gli aspetti appena richiamati, sono del tutto coerenti con il contenuto dell’uso pubblico esistente sulle aree in esame.Ne consegue che la disciplina posta con le determinazioni impugnate non doveva essere preceduta dall’attivazione di una procedura ablatoria, trattandosi di una regolamentazione che non eccede il contenuto dell’uso pubblico esistente sulle aree di cui si tratta, con conseguente infondatezza delle censure in esame.»

Sintesi: In merito all'accertamento di servitù pubblica di passaggio, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo qualora, in applicazione dell’art. 8 CPA, affronti la questione solo in via incidentale, al fine di sindacare la legittimità del provvedimento amministrativo impugnato.

Estratto: «Prima di affrontare l’esame di questo punto è necessario, però, fare un’osservazione preliminare, riguardante la giurisdizione, che va affrontata d’ufficio. Un’opinione giurisprudenziale minoritaria ritiene che ogni questione in ordine al potere di accertamento della servitù pubblica di passaggio debba essere posta davanti al giudice ordinario e che, di conseguenza, sia precluso al giudice amministrativo affrontarla anche solo in via incidentale. L’opinione maggioritaria (da ultimo CdS, V, 728/12, CdS, IV, 2760/12) ritiene, invece, sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo qualora, in applicazione dell’art. 8 CPA, affronti la questione solo in via incidentale, al fine di sindacare la legittimità del provvedimento amministrativo impugnato. Nel caso in esame, la questione dell’uso immemorabile sarà esaminata solo incidentalmente (e con efficacia meramente endoprocessuale), allo scopo di accertare la legittimità della delibera n. 22/11 impugnata.»

Sintesi: Ai sensi dell'art. 8 legge 1034/1971 (oggi art. 8 c.p.a.) rientra nella giurisdizione del G.A. l'accertamento incidentale della proprietà di una strada, necessario al fine di accertare la legittimità del provvedimento impositivo di opere di manutenzione o del titolo edilizio.

Estratto: «2.2. Il primo giudice ha rettamente applicato i detti principi, al contempo conformandosi all’orientamento espresso in passato da questo Consiglio di Stato , e la cui permanente validità può ribadirsi alla stregua delle disposizioni del vigente codice del processo amministrativo, secondo cui “ai sensi dell'art. 8, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'accertamento incidentale della proprietà di una strada, necessario al fine di accertare la legittimità del provvedimento impositivo di opere di manutenzione.”(Consiglio Stato , sez. V, 28 dicembre 2006 , n. 8058).Il Tribunale amministrativo, infatti, infatti non ha disconosciuto né posto in dubbio il contenuto della nota resa dallo stesso Comune di San Lucido, il 12.10.2010 prot. n. 12331 con la quale si era affermato che la detta strada poteva definirsi di uso pubblico solo “per il tratto asfaltato a cura di questo comune”.Ha anzi tratto le mosse da quest’ultima, per rilevare che l’intervento avversato contestato avrebbe dovuto svolgersi al di là del tratto asfaltato, e che, conseguentemente, non ricadeva in area di pubblico uso.L’appellante avrebbe dovuto contestare detta motivazione congiuntamente ovvero disgiuntamente,in due modi: dimostrando che anche il tratto non asfaltato era di uso pubblico, ovvero che la collocazione del cancello avrebbe dovuto avvenire nell’area asfaltata destinata a pubblico transito (ovvero ancora, per ipotesi, dimostrare la esistenza di una servitù di passaggio sull’area).2.3.Nulla di tutto ciò è stato provato ( ma neanche, per il vero, labialmente affermato), nel ricorso in appello: ivi infatti l’appellante nel ribadire principi pacifici in punto di destinazione a pubblico uso di strade private non contesta tale decisivo passaggio motivazionale né contesta la predetta certificazione comunale (al cui contenuto, anzi, fa a propria volta riferimento).La portata di questa, peraltro, assume rilevo assorbente rispetto agli altri rilievi formulati dall’appellante e documentati in atti (la circostanza che in passato fosse stata intimata la rimozione di una carcassa di vettura abbandonata sulla predetta via, ovvero l’autorizzazione al passo carrabile) posto che è la stessa amministrazione comunale (in teoria maggiormente interessata alla vicenda) a dichiarare che la pubblicità della via termina ed ha fine allorché cessa il segmento asfaltato.»

Sintesi: L'accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio su una strada privata compete all’autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo: il G.A. può, sul punto, esercitare esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione della P.A. oggetto dell'impugnazione.

Estratto: «1b Rileva preliminarmente la Sezione che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono (pacifica essendo invece la privata appartenenza della stessa strada) compete all’autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Il Giudice amministrativo può quindi esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione (cfr. art. 8, comma 1, CPA), senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione dirigenziale che forma specifico oggetto di ricorso.A tale impostazione risulta peraltro essersi rettamente attenuta la sentenza appellata.»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.