Espropri e giurisdizione ordinaria: le domande di risarcimento per porzioni di aree occupate sine titulo

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA

Sintesi: Della domanda di risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, essendo la stessa strettamente correlata alla verifica del legittimo esercizio del potere espropriativo.


Estratto: «L’appellante rivendica, poi, il diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, a partire dal 3 (rectius 2) dicembre 1997 e fino alla data del 23 maggio 2006.Contrariamente a quanto eccepito dal Consorzio, la domanda rientra nell’ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa, essendo strettamente correlata alla verifica del legittimo esercizio del potere espropriativo.Nel merito, la domanda è fondata.L’amministrazione provvederà a corrispondere all’interessato, per ciascun anno di occupazione illegittima, una somma pari ad un dodicesimo dell’indennità di espropriazione, secondo quanto previsto dall’articolo 50 del testo unico dell’espropriazione.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA --> AGO O GA ?

Sintesi: Sussiste la giurisdizione ordinaria in ordine alla domanda risarcitoria riguardante porzione di area la cui occupazione è avvenuta sine titulo, mentre deve affermarsi la giurisdizione del G.A. in ordine alla domanda risarcitoria riguardante porzione di area per la quale la dichiarazione di pubblica utilità, intervenuta, sia divenuta inefficace per scadenza dei termini, senza il perfezionamento della procedura di esproprio.

Estratto: «In precedenza, rispetto alla immissione in possesso dell’8 aprile 1999, era, però, stata dichiarata la pubblica utilità con delibera n.9 del 23 febbraio 1999, con cui l’amministrazione aveva localizzato il programma costruttivo di Edilgamma sulle aree della odierna appellante, in particolare sulla particella 26/b di mq.1533.
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Sintesi: Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni proposta dal proprietario ogni volta che gli atti del procedimento ablativo intrapreso dall’ente siano venuti comunque meno o perché siano stati annullati o per la decorrenza dei termini dell’occupazione o di quelli fissati per la conclusione del procedimento; mentre rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione c.d. usurpativa, intese come occupazione di un fondo di proprietà privata in assenza di provvedimenti.

Estratto: «Va, invero, al riguardo osservato che, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni proposta dal proprietario ogni volta che, come nel caso di specie, gli atti del procedimento ablativo intrapreso dall’ente siano venuti comunque meno o perché siano stati annullati o per la decorrenza dei termini dell’occupazione o di quelli fissati per la conclusione del procedimento; mentre rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione c.d. usurpativa, intese come occupazione di un fondo di proprietà privata in assenza di provvedimenti (Cass. Civ., sez. un., 12 gennaio 2011, n. 509, e 28 gennaio 2010, n. 1787, e Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2011, n. 6261); anche se non può al riguardo non rilevarsi che tale distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa ha oggi perso di significato sia con riferimento alla giurisdizione (nel senso che residuano al g.o. le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera), che alla decorrenza del termine di prescrizione, trattandosi nei due casi di un illecito permanente. L’unico elemento di differenziazione ancora esistente riguarda, invero, l’individuazione del dies a quo di commissione dell’illecito (che rileva al solo fine di individuare il momento in cui misurare il valore venale ai fini della quantificazione del risarcimento del danno), posto che, in caso di occupazione usurpativa, esso va fatto decorrere dal momento dell’immissione in possesso da parte dell’Amministrazione, mentre, in caso di occupazione appropriativa, dalla scadenza del termine di occupazione legittima del terreno (Cons. St., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844).»

Sintesi: Alla luce delle sentenze della Corte Cost. n. 204/2004 e 191/2006 deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo delle controversie relative a "comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

Estratto: «III.b)- Sul Giudice competente alla definizione della causa.Anche questa è tematica complessa.In linea di principio, va ricordato che la C. C.le, con la sentenza nr. 204 del 2004 ha dichiarato in contrasto con la Costituzione la nuova formulazione (recata dall’art.7 della legge n.205 del 2000)...
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Sintesi: Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 191/2006 deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti (d'impossessamento del bene altrui), collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di comportamenti posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

Estratto: «Il Collegio ben sa che in passato il criterio di riparto della giurisdizione in materia di espropriazioni per pubblica utilità era tutt’altro che di agevole identificazione, soprattutto con riferimento alle fattispecie in cui la giurisprudenza configurava la c.d. accessione invertita (o occupazione acquisitiva). L’incertezza derivava dai contrastanti orientamenti seguiti dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, e ancor prima dalle difficoltà di interpretazione delle norme sulla giurisdizione, e in particolare dell’art. 7 della L. 205/2000 e dell’art. 53 del D.P.R. 327/2001 (T.U. degli Espropri).Il contrasto è stato superato con l’ultimo intervento della Corte Costituzionale, che ha delineato con precisione il quadro delle competenze giurisdizionali in materia di espropri. La Corte, tra l’altro, ha chiarito che “deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di comportamenti posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto” (Corte Cost. 11 maggio 2006 n. 191).In buona sostanza, laddove la lesione del diritto di proprietà è riconducibile all’esercizio, sia pure illegittimo, del potere pubblico la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo. Pertanto, le controversie in cui si fa questione di attività di ingerenza e trasformazione di un bene privato conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, e quindi espressione di un potere autoritativo, rientrano nella giurisdizione amministrativa. E ciò a prescindere dalla circostanza che il relativo procedimento ablatorio sia o meno sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia o meno caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi (cfr. Con. Stato, Ad. Plen. N. 12 del 22.10.2007).Per contro sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l’utilizzazione della proprietà privata avvenga in via di mero fatto – perché manca il vincolo preordinato all’esproprio o la dichiarazione di p.u. – ovvero inizi in un momento in cui la P.A. ha già perduto ogni potere ablatorio per la sopravvenuta inefficacia della pubblica utilità (Cass. SS.UU.19501/08).Ebbene tali ipotesi devono dirsi certamente residuali e, comunque, non ricorrenti nei casi in cui all’approvazione del progetto, all’immissione nel possesso ed all’inizio dei lavori entro il termine di efficacia della dichiarazione di p. u. non segue la pronuncia del decreto di esproprio. Tale ultima circostanza, se da una parte comporta l’inefficacia ex tunc della pubblica utilità dell’opera, dall’altra non può connotare in termini meramente fattuali i comportamenti posti in essere dall’amministrazione nell’esercizio dei suoi poteri con la conseguente affermazione della giurisdizione del giudice ordinario. Non conduce ad una diversa conclusione la sentenza (832/2012) a cui fa riferimento il Comune. Le SS.UU., infatti, hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario nei casi (pacifici) di inesistenza e nullità della dichiarazione di p.u., nonché in quelli di sopravvenuta inefficacia della stessa limitatamente però alle ipotesi in cui “l’attribuzione del potere ablativo sia già venuta meno all’epoca dell’utilizzazione della proprietà privata”. E ciò si evince chiaramente dalle sentenze richiamate dalle stesse SS.UU., relative a fattispecie di mancato inizio delle opere entro il termine perentorio di tre anni dall’approvazione del progetto previsto dall’art. 1, comma 3, della L. n. 1 del 1978, oggi abrogato.In definitiva l’eccezione sul difetto di giurisdizione deve essere rigettata. Infatti, nel caso in esame non risulta che i lavori per la costruzione di entrambe le strade siano iniziati dopo la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti dichiarativi della pubblica utilità, peraltro ricollegata, dallo stesso Comune, all’inutile decorso dei termini di esproprio, e non già alla violazione del termine di cui all’ art. 1, co. 3, della L. n. 1 del 1978.»

Sintesi: Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione c.d. usurpativa (intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia), rientrano nella giurisdizione ordinaria, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.

Estratto: «3. Passando all’esame del ricorso n. 7975/2009, il Collegio preliminarmente osserva che entrambe le domande proposte dalla SEP rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo. Trattasi infatti: A) di un’azione risarcitoria pura (articolata su quattro diverse voci di danno) riproposta innanzi a questo Tribunale (ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo n. 84/1998, come modificato dall’art. 7, comma 3, della legge n. 205/2000, e dell’art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327/2001) a seguito della sentenza n. 699 del 16 febbraio 2009, con la quale la Corte d’Appello di Roma, preso atto dell’annullamento dell’intera procedura di esproprio finalizzata alla realizzazione del Parco del Pineto, ha dichiarato cessata la materia del contendere nel giudizio di opposizione all’indennità definitiva di esproprio ed ha contestualmente condannato la SEP a restituire quanto già percepito a titolo di indennità di espropriazione; B) di un’azione, strettamente connessa a quella risarcitoria, con la quale viene chiesto a questo Tribunale di adottare «i consequenziali provvedimenti in ordine al trasferimento della proprietà dei beni in capo all’Amministrazione», ossia di accertare che, per effetto della proposizione dell’azione risarcitoria, si sarebbe determinato l’acquisto della proprietà delle aree di cui trattasi in capo all’Amministrazione capitolina, in quanto la proposizione dell’azione risarcitoria si configurerebbe come una sorta di “rinuncia abdicativa” della proprietà in favore dell’Amministrazione medesima.Resta quindi solo da evidenziare, da un lato, che la disciplina posta dell’art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327/2001 (come risultante dall’intervento operato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 191/2006) risulta oggi sostanzialmente trasfusa nel già citato art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; dall’altro che, secondo la giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1750), rientra tra le controversie di cui nell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. quella inerente il risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti della procedura di espropriazione per pubblica utilità; infatti, mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione c.d. usurpativa (intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia) rientrano nella giurisdizione ordinaria, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.»

Sintesi: Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 191 dell’11 maggio 2006 deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a "comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di "comportamenti" posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto”.

Estratto: «1.3) Orbene, è noto che, secondo la giurisprudenza anche più recente della Corte regolatrice, la dichiarazione di pubblica utilità priva di termini iniziali e finali per l’avvio e compimento dei lavori e delle occupazioni è da ritenere radicalmente nulla, onde l’occupazione costituisce mero comportamento materiale...
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Sintesi: Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in due ipotesi aventi ormai carattere residuale: 1) quella in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (per mancanza di fissazione dei termini) e 2) nelle ipotesi di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. individuate dalla L. n. 2359, art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori e dalla L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 3, in caso di mancato inizio delle opere "nel triennio successivo all'approvazione del progetto".

Sintesi: Rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, nonché l'ipotesi in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale.

Estratto: «La sentenza impugnata ha ritenuto che identica situazione di illegittimità dell'occupazione fosse denunciata con il ricorso del 3 giugno 2002 davanti al TAR dai proprietari, i quali d'altra parte non ne hanno trascritto il contenuto, né hanno prospettato di avere dedotto in questo giudizio una situazione del tutto opposta a quella sostenuta in precedenza, questa volta fondata sulla validità della dichiarazione di p.u. Per cui ha dichiarato "in limine" la giurisdizione del giudice ordinario proprio perché ricorreva la fattispecie di comportamento della p.a. adottato in carenza di potere a causa della dichiarazione di p.u. priva dei menzionati termini.Ciò in conformità all'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità cui le Sezioni Unite intendono dare continuità secondo cui l'ambito di detta categoria individuata dalla sent. 191/2006 della Corte Costituzionale ricorre in due sole ipotesi, aventi ormai carattere residuale: 1) proprio quella in cui il provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. sia giuridicamente inesistente o radicalmente nullo (L. n. 241 del 1990, art. 23): fra cui nella casistica giudiziaria antecedente al T.U. ha assunto particolare rilevanza la fattispecie in cui lo stesso non contenga l'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento delle espropriazioni e dell'opera, richiesta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13; e rispondente alla necessità di rilievo costituzionale (art. 42 Cost., comma 3), di limitare il potere discrezionale della pubblica amministrazione, al fine di evitare di mantenere i beni espropriabili in stato di soggezione a tempo indeterminato, nonché all'ulteriore finalità di tutelare l'interesse pubblico a che l'opera venga eseguita in un arco di tempo valutato congruo per l'interesse generale per evidenti ragioni di serietà dell'azione amministrativa (Cass. sez. un. 3569/2011; 2814/2008; 9323/2007; 2688/2007;9532/2004); 2) nelle ipotesi di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. individuate dalla L. n. 2359, art. 13, comma 3, nel caso di inutile decorso dei termini finali in essa fissati per il compimento dell'espropriazione e dei lavori (senza che sia intervenuto il decreto ablativo o si sia verificata la cd. occupazione espropriativa); e dalla L. n. 1 del 1978, art. 1, comma 3, in caso di mancato inizio delle opere "nel triennio successivo all'approvazione del progetto": a nulla rilevando che in entrambe le fattispecie il potere ablativo fosse in origine attribuito all'amministrazione, in quanto è decisivo che tale attribuzione fosse circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore e fosse già venuta meno all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata (Cass. sez. un. 9844/2011; 3569/2011; 30254/2008; 19501/2008;15615/2006).Laddove rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo istituita dal menzionato L. n. 205 del 2000, art. 7, le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano (pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione nonché la sua irreversibile trasformazione sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo); nonché l'ipotesi invocata dai C., ma qui non ricorrente, in cui la dichiarazione di p.u. sia stata emessa e successivamente annullata in sede amministrativa o giurisdizionale perché anche in tal caso si è in presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere, pur se poi lo stesso si è rivelato illegittimo e per effetto dell'annullamento ha cessato retroattivamente di esplicare i suoi effetti.»

Sintesi: Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo tutte le volte in cui il comportamento ablatorio dell’Amministrazione appaia riconducibile all’esercizio di un potere pubblicistico (approvazione definitiva di progetto, dichiarazione di pubblica utilità, decreto di occupazione del fondo): quando invece non sussista alcun collegamento di tale comportamento con una funzione amministrativa, in quanto manchino del tutto atti o provvedimenti che possano qualificarsi espressione di potestà amministrativa (ancorché successivamente dichiarati invalidi e/o inefficaci), allora la domanda di rivendica del bene e di risarcimento del danno spetta alla cognizione del giudice ordinario.

Estratto: «Per ciò che concerne, infine, il dedotto difetto di giurisdizione del G. A. (perché il petitum sostanziale del ricorso consisterebbe, secondo la difesa dell’Amministrazione, nell’eccepita nullità del provvedimento dichiarativo della p. u.), deve al contrario rilevarsi come il presente gravame sia volto alla dichiarazione d’illegittimità del decreto d’occupazione d’urgenza...
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Sintesi: Dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da occupazione cd. usurpativa ove tale occupazione non sia in alcun modo riconducibile all'esercizio di un potere amministrativo, mentre sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ove l'occupazione sia riconducibile all'esercizio di un potere amministrativo.

Estratto: «Oggetto del presente ricorso sono tutti gli atti relativi alla procedura di esproprio avviata dal Comune di Picciano per realizzare un programma di riqualificazione urbana ex lr 64/99 previa declaratoria di inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità disposta con deliberazione della Giunta comunale n. 41 del 15 settembre 2003 di approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica; si chiede altresì il risarcimento de danni anche in forma specifica.Sulla questione del difetto di giurisdizione, eccepita dal Comune, ritiene questo Collegio che dopo le sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 11 maggio 2006 n. 191, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da occupazione cd. usurpativa ove tale occupazione non sia in alcun modo riconducibile all'esercizio di un potere amministrativo, mentre sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ove l'occupazione sia riconducibile all'esercizio di un potere amministrativo come nel caso che ne occupa (Consiglio Stato a. plen., 30 luglio 2007, n. 9; T.A.R. Abruzzo Pescara, 21 giugno 2007, n. 673).Quanto all’eccepita genericità della richiesta di annullamento di “tutti gli atti della procedura espropriativa” si tratta di un’eccezione fondata, non risultando individuati gli atti gravati. Va peraltro rilevato che viene invece individuata la delibera n. 41 del 15 settembre 2003 di cui si chiede l’accertamento di inefficacia, domanda da ritenersi ammissibile sulla base del Codice del processo amministrativo.»

Sintesi: Come rilevato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 191/2006), per le ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione di pubblica utilità originariamente esistente e di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica, si registra, in ordine all'individuazione del giudice avente giurisdizione, un perdurante e non sopito contrasto tra le Sezioni unite della Corte di Cassazione e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Estratto: «III. Ordunque fatta questa necessaria premessa e preso atto della sintassi procedimentale esplicatasi attraverso l’adozione degli atti aventi il valore di apposizione del vincolo, di dichiarazione di pubblica utilità nonché di occupazione d’urgenza si deve concludere nel senso che una procedura ablatoria è stata sì instaurata dal Comune di Manocalzati per la realizzazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ma senza che la stessa trovasse regolare conclusione, avendo portato alla realizzazione dell’opera progettata in assenza del conclusivo provvedimento di esproprio, o comunque di atto di trasferimento della proprietà dell’immobile del quale si discute (e perciò, in definitiva, in via di mero “fatto”). Per giunta, non risulta che nelle more sia stata adottato l’atto di cui all’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.IV. Ciò acclarato sulla vicenda, occorre, in diritto e in via preliminare, stabilire se nella specie sussista la giurisdizione di questo Tribunale, come affermativamente opinato dai ricorrenti.Non sfugge al Collegio che la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 13660 del 13 giugno 2006, chiamata a pronunciarsi sulla questione di giurisdizione in tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione connessa ad attività provvedimentale, ha sostenuto che “nel settore delle occupazioni illegittime, sono poi chiaramente ascrivibili alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione usurpativa, caratterizzate dal tratto che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto. E alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il decreto di espropriazione è pur stato emesso, e però in relazione a un bene, la cui destinazione ad opera di pubblica utilità si debba dire mai avvenuta giuridicamente od ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine di efficacia”.In sostanza, la Corte ha ribadito il suo storico indirizzo in ordine alla nozione ampia di carenza di potere, con il quale si è sostenuto che il potere ablatorio non sussisterebbe, non solo nei casi di mancata attribuzione di esso alla Amministrazione, ma anche quando manca un c.d. presupposto per il suo esercizio, stabilito “in funzione della tutela del diritto soggettivo” (ex multis, Cass. SS. UU. 3 febbraio 1986 n. 650 e 17 giugno 1988 n. 4116), indirizzo che, ormai, costituisce ius receptum per le Sezioni Unite, che ritengono configurabile una lesione del diritto soggettivo quando sono adottati atti espropriativi (qualificati nulli e, in quanto tali disapplicabili) in assenza della dichiarazione di pubblica utilità o della previsione di tutti i termini essenziali di cui all’art. 13 della legge fondamentale ovvero dopo la successiva scadenza della sua efficacia (poiché “la dichiarazione di pubblica utilità costituisce momento di collegamento fra l’astratta configurazione legislativa del potere e la sua concreta esistenza”): dunque, in tutti questi casi mancherebbe “in concreto” il potere dell’Amministrazione.E’ pacifico che, in ordine alla nozione di carenza di potere, il solco che divide il Consiglio di Stato dalla S.C. di Cassazione è profondo.Basterà ricordare che il Supremo Consesso Amministrativo, già con l’Adunanza Plenaria del 25 febbraio 1975 n. 2, aveva ribadito che la dichiarazione di pubblica utilità non rappresenta l’atto attributivo del potere di espropriazione, che è invece attribuito all’Amministrazione dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, ma “è soltanto l’atto attraverso il quale deve passare l’esercizio del potere spettante alla P.A.”.Pertanto, una volta verificato che il potere è stato attribuito e che il provvedimento ne è l’espressione, ogni eventuale violazione di legge costituisce vizio di legittimità dell’atto autoritativo, che per sua natura incide su interessi legittimi (per una puntuale ed esaustiva ricognizione delle relative questioni, si veda Consiglio di Stato Sez. IV 30 novembre 1992 n. 990).La questione del riparto di giurisdizione in materia espropriativa sembrava, tuttavia, aver trovato, una nuova strada con gli artt. 33, 34 e 35 del D. Lg.vo n. 80/98, precisandosi con l’art. 33 del D. Lg.vo 80/98 che sono “devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi…”; con l’art. 34 che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia…”; con l’art. 35 che “il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34 dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”.La riforma della giurisdizione del G.A. di cui al D. Lg.vo n. 80/98 è stata, tuttavia, travolta dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 292 del 17 luglio 2000.Con la citata pronuncia, il Giudice delle Leggi, ha dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 76 Cost., dell’art. 33, comma 1, e per estensione anche del comma 2, nella parte recante istituzione di una generale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo su tutta la materia dei pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere la giurisdizione amministrativa alle controversie concernenti diritti patrimoniali consequenziali, ivi incluse quelle relative al risarcimento del danno.Analogamente ha ritenuto illegittimo, per eccesso dei limiti della delega, l’art. 33, comma 3, per aver sottratto le concessioni di servizi all’applicazione del comma 2 dell’art. 5 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, recante salvaguardia della giurisdizione ordinaria sulle vertenze in materia di indennità, canoni ed altri corrispettivi nascenti dal rapporto di concessione e non riconducibili alla nozione di diritti patrimoniali consequenziali.Ha quindi ridimensionato la portata dell’art. 35, adeguandola alla sola parte residua dell’art. 33.La portata caducatoria della sentenza n. 292/2000 della Corte costituzionale è stata subito arginata dal legislatore con la novella legislativa della L. 205/2000, avente ad oggetto “disposizioni in materia di giustizia amministrativa”.Con l’art. 7 della novella, rubricato “modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80”, vi è stata una riedizione degli artt. 33 – 34 e 35 del D. Lg.vo n. 80/98, con significative modifiche non più ostacolate dai limiti connessi alla delega legislativa.Gli artt. 33 e 34 risultano essere stati sostanzialmente confermati, ad eccezione dell’art. 34, nella parte in cui si precisa che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti dei soggetti equiparati (alle pubbliche amministrazioni) in materia urbanistica ed edilizia.Di maggiore spessore è stata anche la nuova formulazione dell’art. 35 del citato decreto laddove si prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, in tutte le controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, che oggi comprende, per effetto della previsione dell’art. 6 della L. 205/2000, “tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolti da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”.La novella dell’art. 7 risulta ancora rilevante se si considera che, per espressa previsione normativa, il giudice amministrativo conosce del risarcimento del danno “nell’ambito della sua giurisdizione” e quindi senza più alcun limite, com’era invece nell’ambito della precedente formulazione.Anche le previsioni degli artt. 33, 34 e 35 sono state sottoposte allo scrutinio della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 204 del 5/6 luglio 2004, ha travolto per illegittimità costituzionale, l’art. 33, commi 1 e 2, del D. Lg.vo n. 80/98, nel testo novellato dall’art. 7, lett. a L. 21 luglio 2000 n. 205; nonché l’art. 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 80/98, come sostituito dall’art. 7, lett. b, L. 21 luglio 2000 n. 205.Il riparto di giurisdizione in materia espropriativa ha, dunque, conosciuto un tormentato percorso, in specie dopo la pronuncia caducatoria dell’art. 34 innanzi citato, la cui ampia previsione affidava alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie in materia edilizia ed urbanistica (indipendentemente dalla circostanza che oggetto del giudizio fossero atti, provvedimenti o comportamenti della pubblica amministrazione), con la precisazione, operata in sede giurisprudenziale, che la materia urbanistica concerneva “tutti gli aspetti dell’uso del territorio” (secondo la nozione estensiva – c.d. panurbanistica – avallata dalle Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze 14 luglio 2000 n. 494; 15 ottobre 2003 n. 15471 e 22 ottobre 2003 n. 15483, condivisa da Cons. St. Ad. Plen. 26 marzo 2003 n. 4).Collocandosi nel solco dell’art. 34 innanzi citato, le previsioni di cui all’art. 53 del Testo Unico delle Espropriazione di cui al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 - a mente delle cui indicazioni la cognizione delle “controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti all’applicazione delle disposizioni del testo unico” è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo – anche quest’ultima disposizione è stata rimessa, dal Tar Calabria, con ordinanze n. 36 del 22 ottobre 2004 e n. 425 del 5 maggio 2005, al vaglio della Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 191/2006 ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 53 citato nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente all’esercizio di un pubblico potere.In particolare, la Corte ha precisato che:a) occorre escludere che “per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario“;b) “laddove la legge – come fa l’art. 35 del D. Leg.vo n. 80 del 1998 – costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo come strumento di tutela affermandone il carattere rimediale, essa non viola alcun precetto costituzionale, e anzi costituisce attuazione del precetto dell’art. 24 Cost., laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa in tempi ragionevoli”;c) in definitiva deve ritenersi perfettamente conforme alla Costituzione “un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela , e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente, sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione”, al qual fine è irrilevante se la pretesa risarcitoria “abbia intrinseca natura di diritto soggettivo”, e ciò in quanto la legge ha “inequivocabilmente privilegiato la considerazione della situazione soggettiva incisa dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa”.Proprio sulla base di tali argomentazioni la Corte costituzionale è giunta alla sua duplice considerazione della locuzione “comportamenti”, dichiarando:a) costituzionalmente illegittima la locuzione, laddove “prescindendo da ogni qualificazione di tali comportamenti, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte – e perciò solo che essa è parte – la P.A., e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell’amministrazione piuttosto che l’organo di garanzia della giustizia nell’amministrazione (articolo 100 della Costituzione)”;b) costituzionalmente legittima la locuzione “comportamenti” di cui all’articolo 53, laddove questi ultimi “causativi di danno ingiusto (…) costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione (…) costituendo tali comportamenti esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione”.Quindi – avuto riguardo alla prospettata distinzione tra “comportamenti materiali” (id est, non correlati all’esercizio, quand’anche illegittimo, di pubblici poteri e sindacabili dal giudice ordinario) e “comportamenti giuridici” (id est esecutivi di atti e/o provvedimenti amministrativi ancorché contra legem) – è la stessa Corte costituzionale, con specifico riguardo alla materia espropriativa, ad evocare la (correlativa) distinzione tra le fattispecie, di nota origine pretoria, della occupazione c.d. acquisitiva (“che si verifica quando il fondo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell’ambito di una procedura di espropriazione, ed ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione dell’opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà”) e della occupazione c.d. usurpativa (caratterizzata “dall’apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell’ipotesi di assenza ab inizio della dichiarazione di pubblica utilità, e da taluni anche nell’ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica”).Appare del tutto evidente, allora, che la figura dell’occupazione acquisitiva (in ordine alla quale “perfezionandosi con l’irreversibile trasformazione del fondo la traslazione in capo all’amministrazione del diritto di proprietà, il proprietario del fondo non può che chiedere la tutela per equivalente”) corrisponde alla fattispecie dei comportamenti collegati all’esercizio (sia pure illegittimo) di un pubblico potere (nel che – secondo le note concettuologie, pur di recente seriamente poste in discussione sulla scorta dei pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e di una lettura “ampia” dell’art. 43 del testo unico in materia espropriativa, sulla quale non sembra necessario ed opportuno soffermarsi – è dato rinvenire il fondamento giuridico della sua attitudine a giustificare l’effetto acquisitivo della proprietà in favore della pubblica amministrazione), laddove la figura dell’occupazione usurpativa [in cui “il proprietario può scegliere tra la restituzione del bene e, ove a questo rinunci così determinando il prodursi (dei presupposti) dell’effetto traslativo, la tutela per equivalente”] corrisponde alla fattispecie dei comportamenti “posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto”, e, come tali, devoluti, quoad tutelam, alla giurisdizione del giudice ordinario.La decisione del giudice delle Leggi, tuttavia, si mostra consapevole della assenza di unanimità di prospettive ricostruttive in ordine ai criteri atti a distinguere tra occupazione acquisitiva ed occupazione usurpativa, con particolare riferimento a due ipotesi:a) dell’annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione di pubblica utilità originariamente esistente;b) della sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica.Per tali ipotesi si registra, invero, un perdurante e non sopito contrasto tra le Sezioni unite della Corte di Cassazione e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in quanto:secondo il Supremo Consesso amministrativo (Ad. Plen. N. 4/05), devono ritenersi attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie – riconducibili alla nozione “allargata” di occupazione acquisitiva – che “abbiano ad oggetto diritti soggettivi, quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento”, ivi compresa, quindi, “qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dall’esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o per sopravvenuta inefficacia di legge”;secondo le Sezioni unite della Cassazione (cfr le sentenze 12 dicembre 2001 n. 15710, 16 maggio 2003 n. 7643, 21 settembre 2004 n. 18916, 17 giugno 2005 n. 13001) si ha occupazione usurpativa sia nelle ipotesi in cui la dichiarazione di pubblica utilità faccia difetto, sia nelle ipotesi in cui la stessa debba ritenersi giuridicamente inesistente [“come nei casi in cui essa sia stata annullata dal giudice amministrativo, o sia carente dei suoi caratteri essenziali tipici (…) o, ancora, sia divenuta inefficace”]:E’ da rimarcare, altresì, che il Supremo Consesso Amministrativo, con l’Adunanza Plenaria n. 9/2005 ha ribadito che “…la disposizione dell’articolo 34 – nel punto in cui parla di “comportamenti” non si riferisce a quelle condotte che si connotano – come nella specie – quale attuazione di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato secundum legem i loro effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento. I “comportamenti” ai quali faceva riferimento l’antico articolo 34 – prima dell’intervento amputatorio della Corte costituzionale – hanno ad oggetto, invero, non già attività materiali sorrette dall’esplicazione del potere (sia pure di un potere manifestatosi con atti illegittimi poi cadutati), ma condotte poste in essere dalla PA muovendo (magari anche in vista del perseguimento di interessi pubblici) fuori dell’esplicazione del potere”.Tanto premesso, il Collegio è dell’avviso che :- le figure dell’occupazione appropriativa e dell’occupazione usurpativa sono rispettivamente caratterizzate, l’una, dall’irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio e, l’altra, dalla trasformazione in assenza, originaria o sopravvenuta, di dichiarazione di pubblica utilità (Cass., sez. I, 17 giugno 2005, n. 13001; Corte Cost. 12 maggio 2006, n. 191);- la fattispecie dell’occupazione appropriativa o accessione invertita, si colloca, in sede di riparto di giurisdizione, sul crinale del giudice amministrativo (Corte cost. n. 204/04; n. 281/04; n. 191/06); con la precisazione che “per l’assoluta somiglianza di fattispecie, restano accomunati sia le controversie caratterizzate dall’inefficacia retroattiva ex lege che investe l’atto degradatorio applicativo del vincolo preordinato all’esproprio, sia le ipotesi di annullamento dell’atto stesso (con proposizione in entrambi i casi – sul presupposto della caducazione degli effetti dell’atto autoritativo – della pretesa di carattere patrimoniale)” (per cui) “va considerata come controversia riconducibile all’esplicazione del pubblico potere – nel senso di cui parla l’art. 34, in contrapposizione ai “comportamenti materiali” – qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o per sopraggiunta inefficacia ex lege” (Ad. Plen. N. 4/05).»

Sintesi: A seguito di rivisitazione del proprio orientamento, la Corte di Cassazione, muovendo dalla distinzione fra comportamento illegittimo e voie de fait, ha riconosciuto la giurisdizione del G.O. unicamente nelle ipotesi di occupazione usurpativa pura, riconducibili alla mancanza originaria della dichiarazione di pubblica utilità, alla sopravvenuta inefficacia della stessa per inutile decorso dei termini fissati per il compimento dell’espropriazione o per mancato inizio delle opere ex art. 1, comma 2, L. n. 1/1978. Viceversa delle occupazioni usurpative spurie conosce il G.A. il quale, una volta valutato l’atto per il sindacato di legittimità, estende la sua giurisdizione anche alla pretesa risarcitoria.

Estratto: «7. Invero tale ultimo giudice non ha (ovviamente) mai dubitato della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di fattispecie usurpative c.d. pure.Anzi la Corte di Cassazione era pervenuta a ritenere la giurisdizione del giudice ordinario anche in relazione ai casi di occupazione c.d. spuria, laddove l’annullamento della dichiarazione di p.u., operando retroattivamente, priverebbe della necessaria copertura autoritativa l’azione materiale (il comportamento) dell’amministrazione che, conseguentemente, assumerebbe una connotazione meramente privatistica In ragione di ciò i profili risarcitori connessi a qualsivoglia fattispecie di occupazione usurpativa non potrebbero che essere conosciuti dal giudice ordinario.Infatti in base alla vecchia dicotomia tra cattivo esercizio del potere e carenza di potere (in concreto) ha sempre contestato che il comportamento materiale dell’amministrazione possa costituire un presupposto idoneo a radicare la giurisdizione amministrativa. In questa prospettiva la mancanza di fondamento dell’azione amministrativa nell’esercizio legittimo del potere amministrativo impedirebbe l’espressione di alcuna funzione amministrativa, e tanto meno l’esercizio di poteri ablativi. 8. Tuttavia, a seguito delle sentenze costituzionali sopra richiamate (le quali - come rilevato - hanno escluso che ogni “comportamento” potesse essere portato alla cognizione del giudice amministrativo esclusivo, così come prescriveva l’originaria versione dell’art. 34 del D.L. vo n. 98/1980), la Cassazione ha dovuto rivisitare il proprio orientamento pervenendo, in tal modo ad un modello di riparto di giurisdizione sostanzialmente condiviso con il Consiglio di Stato, il quale da tempo sostiene che l’annullamento giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità non varrebbe a recidere il collegamento fra il potere ed il provvedimento (effetto, invece, sostenuto dalla Cassazione), perché il collegamento medesimo andrebbe valutato ex ante e non ex post, con la conseguenza che, ai fini della giurisdizione, non rileva il fatto che l'occupazione - originariamente disposta iure - sia divenuta sine titulo per l'annullamento o la perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che l’esercizio - pur se cattivo - di una potestà autoritativa non recide quel rapporto fra comportamento dell’amministrazione e pubblico potere che vale a radicare la giurisdizione piena al giudice amministrativo.Sulla scorta di queste considerazioni anche le occupazioni usurpative spurie devono essere conosciute dal giudice amministrativo il quale, una volta valutato l’atto per il sindacato di legittimità, estende la sua giurisdizione anche alla pretesa risarcitoria.9. Nel ridisegnare i confini della giurisdizione amministrativa sul risarcimento del danno per illecita occupazione, la Corte di Cassazione, ha dovuto ammettere il riconoscimento al giudice amministrativo in sede esclusiva di una (rilevante) fetta di giurisdizione anche sui “comportamenti” ed ha elaborato una prima parziale revisione della propria giurisdizione in materia di occupazione sine titulo.In particolare, muovendo dalla distinzione fra comportamento illegittimo e voie de fait, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario soltanto nelle ipotesi in cui l’occupazione sia caratterizzata dal tratto che la trasformazione irreversibile del fondo «si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto», vale a dire nei casi in cui l’azione amministrativa non è in alcun modo coperta - nemmeno indirettamente - dall’ombrello del potere pubblico. In tal modo rimangono devolute alla cognizione del giudice ordinario unicamente le ipotesi di occupazione usurpativa pura sono, sostanzialmente, riconducibili alla mancanza originaria di una qualsivoglia dichiarazione di pubblica utilità ed alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per inutile decorso dei termini fissati per il compimento dell’espropriazione o per mancato inizio delle opere ex art. 1, comma 2, L. n. 1/1978 (ordinanza delle SS. UU. n. 2688 del 7.2.2007).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.