Competenza sui profili relativi al pagamento dell'indennizzo per vincolo espropriativo scaduto e reiterato

Estratto: «3.- L’appello è fondato e la sentenza merita di essere riformata, nella parte in cui ha accolto il ricorso di primo grado.Nell’assenza di appello incidentale da parte dell’appellata, il punto di principio controverso –che è dirimente- va individuato unicamente nella questione della indennizzabilità di un vincolo urbanistico reiterato, o prorogato prima della sua scadenza (nella specie, in relazione alla originaria durata decennale, ai sensi dell’art. 67 della legge provinciale n. 22 del 1991).Come affermato dall’ Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 7 del 24.5.2007), il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione (o, il che è lo stesso, di tempestiva proroga) del vincolo preordinato all’esproprio - introdotto nell’ordinamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999- non rileva per la verifica della legittimità dei provvedimenti di primo grado, che hanno disposto l’approvazione dello strumento urbanistico con la conseguente reiterazione proroga del vincolo..I profili attinenti alla spettanza o meno dell’indennizzo e al suo pagamento non attengono, infatti, alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale (che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione), devolute alla cognizione della giurisdizione civile.Tale principio – già desumibile dal preesistente quadro normativo - è stato ora esplicitato dall’art. 39, comma 1, del testo unico sugli espropri, approvato con il D.P.R. n. 327 del 2001, il quale ha previsto che - a seguito della reiterazione – il proprietario possa attivare un procedimento amministrativo nel corso del quale egli ha l’onere di provare “l’entità del danno effettivamente prodotto”, quale presupposto processuale necessario per poter agire innanzi alla corte d’appello.Nel quadro normativo vigente, dunque, continua a sussistere il principio per il quale gli atti dei procedimenti di adozione e di approvazione di uno strumento urbanistico, contenente un vincolo preordinato all’esproprio, non devono prevedere la spettanza di un indennizzo.Nella fattispecie, quindi, anche si fosse trattato secondo la prospettazione originaria di reiterazione o di proroga di vincolo preordinato all’esproprio, comunque tale circostanza sarebbe inconferente ai fini di causa, dal che consegue -in derivazione- la non condivisibilità delle conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici, circa l’onere affermato di una espressa previsione da parte del PRG censurato di uno specifico indennizzo ed in ordine alla ravvisata caratterizzazione urbanistica “nella sostanza” espropriativa del suolo in contestazione.»

Sintesi: Al giudice ordinario spetta soltanto determinare l'indennizzo ex lege dovuto per la legittima reiterazione del vincolo; di converso, il risarcimento del danno da illegittima reiterazione non può essere conosciuto altri che dal giudice amministrativo.

Estratto: «Il diritto all'indennizzo in discorso, è noto, venne ad emergere per effetto della sentenza n. 179 del 1999 della Corte Costituzionale che ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale della L. n. 1150 del 1942, artt. 7 e 40 nel testo modificato dalla L. n. 1187 del 1968, art. 2 nella parte in cui consentiva la reiterazione di vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'esproprio o comportanti la inedificabilità, senza previsione di adeguate "compensazioni" per equivalente o indennitarie. Dopo un breve periodo di assenza di disciplina, durante il quale, secondo la stessa previsione della sentenza della Corte delle leggi, spettò all'interprete ricavare dal sistema le adeguate forme di ristoro, venne dal legislatore adottata la previsione della giusta indennità, correlata all'effettivo danno da reiterazione, da liquidarsi ad opera dello stesso Ente "reiterante" e sulla cui determinazione venne assegnata competenza alla corte di appello (del D.P.R. 327 del 2001, art. 39) per le contestazioni insorte su atti di rinnovo adottati dopo il 30.6.2003, di contro competendo al tribunale la cognizione delle domande di indennizzo per atti di rinnovo a tal data anteriori (Cass. n. 1741 del 2007).Origine "storica" e disciplina positiva convergono dunque nella indicazione di un diritto all'indennizzo correlato alla formale reiterazione del vincolo, e solo a condizione che tale reiterazione sia stata adottata con piena efficacia, con la conseguenza, più' volte evidenziata dalla giurisprudenza di questa Corte (significativo quanto affermato da Cass. n. 8384 del 2008), per la quale per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica, il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neanche nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza, il relativo obbligo insorgendo in seguito all'atto che formalmente ed esplicitamente lo reitera una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea del vincolo, reiterazione non desumibile nel caso di protrazione di fatto dello stesso e neppure per implicito da atti di diniego di domande di autorizzazione lottizzatoria o di concessione (Cass. n. 1754 del 2007 e n. 24099 del 2004).Non ha dunque alcun rilievo che il Comune di Mira abbia dapprima deliberato la variante de qua nel P.R.G. del 27.2.1988, rilevando solo la sua completa approvazione avvenuta il 20.3.1992, data dalla quale (del D.P.R. 327 del 2001, art. 9, comma 1) l'area F.I.R.B. venne sottoposta - legittimamente ma senza insorgenza di alcun diritto all'indennizzo - al vincolo a verde pubblico.Nè ha alcun rilievo il fatto che tra la scadenza del quinquennio (20.3.1997) e la approvazione (10.4.2002) della reiterazione del vincolo sia passato, in fatto, tempo ulteriore, il diritto all'indennizzo potendo insorgere soltanto, alla stregua di quanto dianzi rammentato, con la formale ed esplicita reiterazione del vincolo stesso.Una diversa opinione, quale quella sottesa alle prospettazioni di F.I.R.B. nasce dall'evidente confusione tra una vicenda della sottoposizione dell'area a vincolo, scandita attraverso le fasi della deliberazione e della approvazione e connotata dalla assicurazione di effetti provvisori attraverso la clausola legale di salvaguardia, e quella, ben diversa, della sua occupazione di fatto a finalità espropriative (nella quale il diritto al risarcimento insorge per effetto dell'irreversibile trasformazione dell'area cagionata dall'edificazione sine titulo della prevista opera pubblica e segue il diritto all'indennità di occupazione legittima od illegittima medio tempore occorsa).Che, poi, a cagione dell'assenza di alcuna previsione di indennizzo nella approvazione consiliare n. 48 del 10.4.2002 in reiterazione, la soc. F.I.R.B. avesse diritto ad adire il Tribunale (ut supra competente) per chiedere la giusta determinazione alla stregua del diritto vigente innovato da Corte Cost. 179/99, è dato indiscutibile alla stregua della generale, e residuale, attribuzione di giurisdizione posta dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, comma 3, lett. B) in ordine alla cognizione delle domande aventi a oggetto indennità spettanti per atti di natura ablativa (S.U. n. 22997 del 2004, n. 11097 del 2006 e n. 12185 del 2007).Ma non di tanto si tratta nella controversia introdotta dalla domanda 6.10.2008 proposta da F.I.R.B. innanzi al Tribunale di Venezia e sulla giurisdizione in ordine alla quale queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunziare. Come dianzi rammentato, la potestas judicandi in tema di indennizzo da reiterazione di vincolo, infatti, spetta al giudice ordinario le sole volte in cui non si sia fatta questione della legittimità dell'atto impositivo in reiterazione del vincolo in discorso (S.U. n. 12185 del 2007) e certamente non le volte in cui, e tale è il caso sottoposto, quell'atto sia stato radicalmente annullato.Ed invero, la pertinenza al G.A., adito per l'annullamento del vincolo in reiterazione, della potestà di assegnare il ristoro dei danni da indebita apposizione e per la mancata previsione dell'indennizzo è indiscutibile trattandosi di addivenire alla tutela completiva spettante alla giurisdizione amministrativa, a fronte dell'esercizio illegittimo di attività provvedimentale, e da assicurarsi anche ove essa venga autonomamente chiesta (S.U. n. 30254 del 2008). L'annullamento dell'atto che ebbe ad imporre il vincolo travolge l'intera situazione indotta dalla sua adozione (S.U. n. 5625 del 2009) restituendo l'area alla condizione pregressa secondo quanto l'Amministrazione, astretta dal giudicato o dalla sua stessa scelta, avrà ex novo a disporre.Nel caso sottoposto la soc. F.I.R.B., invece di ricorrere al giudice amministrativo, ebbe a chiedere con ricorso del D.P.R. n. 1199 del 1971, ex art. 8 in via principale l'annullamento della Delib. reiterazione 10 aprile 2002 per eccesso di potere e, in via subordinata, la determinazione dell'indennizzo dovuto per effetto della sua adozione: il Capo dello Stato, su conforme parere del Consiglio di Stato, con Decreto 23.11.2007 accolse entrambe le domande, con la conseguenza di veder rimessa all'Amministrazione, annullata la delibera di reiterazione, la scelta tra adozione di nuova variante e reiterazione della pregressa con determinazione dell'indennizzo. Ed in fatto emerge dalla documentazione prodotta (e che questa Corte ben può esaminare, nella sua cognizione regolatrice) che il Comune non ebbe a reiterare la variante parziale di P.R.G. annullata ma ebbe ad adottarne altra, recante vincolo parziale diverso.In tal quadro, dalla iniziativa di F.I.R.B. determinato e quindi dalla stessa ben conosciuto, la ipotesi di radicare una domanda indennitaria innanzi al G.O. appare priva di alcun fondamento, posto che al giudice ordinario sarebbe spettato soltanto determinare l'indennizzo ex lege dovuto per la legittima reiterazione del vincolo e che, di converso, il risarcimento del danno da illegittima reiterazione (quale quella che avrebbe potuto accertare il G.A. e che, per scelta di F.I.R.B., ha accertato il Capo dello Stato accogliendo la domanda principale della società) non può essere conosciuto altri che dal giudice amministrativo.»

Sintesi: I profili attinenti al pagamento dell'indennizzo per vincolo espropriativo scaduto e reiterato non attengono alla legittimità del procedimento espropriativo, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale devolute alla cognizione della giurisdizione civile; tale principio è stato ora esplicitato dall'art. 39 comma 1 del DPR 327/2001.

Estratto: «Da ultimo deve dichiararsi il difetto di giurisdizione in merito alla domanda di pagamento dell’indennità per reiterazione del vincolo espropriativo in quanto i profili attinenti al pagamento dell'indennizzo per vincolo espropriativo scaduto e reiterato non attengono alla legittimità del procedimento espropriativo...
[...omissis...]

Sintesi: Ogni controversia concernente la quantificazione e la corresponsione dell'indennizzo da reiterazione del vincolo espropriativo è devoluta esclusivamente al giudice ordinario.

Estratto: «Nel ricorso introduttivo si chiede, infatti, (oltre all’annullamento degli atti impugnati, anche) la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento di “tutti i danni patiti e patendi nella misura che verranno accertati nel corso del presente giudizio, anche a mezzo di espletando C.T.U. o, in mancanza, in via equitativa”. Nella successiva memoria depositata il 21 maggio 2009 - dopo aver ribadito la mancata corresponsione di alcun indennizzo ex art. 39 del D.P.R. 327/2001 conseguente alla reitera dei vincoli espropriativi, già denunciata col 4° motivo del ricorso introduttivo – il ricorrente insiste nella domanda risarcitoria, denunciando la duratura e perpetuata violazione del diritto di proprietà ex art. 42 Cost. Dunque, le questioni che si pongono all’attenzione del Collegio sono le seguenti: a) sussistenza del diritto all’indennizzo ex art. 39 D.P.R. 327/2001; b) sussistenza (aggiuntiva o alternativa rispetto all’indennizzo) del diritto al risarcimento dei danni; c) sussistenza della giurisdizione amministrativa in ordine alla richieste pronunce di condanna.Per quanto concerne l’indennizzo spettante ai proprietari di aree assoggettate a vincoli sostanzialmente espropriativi, la questione è oggi disciplinata dall’art. 39 del D.P.R. 327/2001, in base al quale: “In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto.”. E’ stata codificata, in definitiva, la liquidazione di un indennizzo volto a rimediare alla legittima reiterazione di vincoli formalmente espropriativi o sostanzialmente tali, che – nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento – compete all’avente diritto solo nel caso di legittimo esercizio dei poteri di pianificazione del territorio. Diversamente, in ipotesi di esercizio illegittimo dei suddetti poteri, verrebbe in rilievo una azione della PA potenzialmente illecita e, quindi, foriera di danno aquiliano riparabile tecnicamente con un “risarcimento”. La norma dell’art. 39 qui in esame è frutto del recepimento legislativo delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 179/1999 laddove è stata dichiarata l’incostituzionalità degli artt. 7 e 40 della L. 1150/1942 nella parte in cui consentivano all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo.E pacifico, comunque, in giurisprudenza (dopo la sentenza dell’A.P. n. 7/2007) che la mancata previsione dell’indennizzo ex art. 39 non costituisca vizio della procedura di imposizione del vincolo (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 1214/2009; Id., 529/2008; Tar Venezia, 65/2008; Tar Catania, 1631/2007). Mentre ogni controversia concernente la quantificazione e la corresponsione del predetto indennizzo è devoluta esclusivamente al giudice ordinario (Corte d’appello) per espressa previsione normativa: art. 39, co. 3, D.P.R. 327/2001 (cfr. Tar Toscana, 1010/2008; Tar Catania, 539/2008; Cass. SS.UU., 11097/2006). Quest’ultima scelta del legislatore si pone, peraltro, in linea con quanto precedentemente previsto dall’art. 34, co. 3, lett. b, del D. Lgs. 80/1998 (come sostituito dall’art. 7 della L. 205/2000) in relazione alla giurisdizione del g.o. in tema di “determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”, e con l’analoga disposizione contenuta nell’art. 53, co. 3, del medesimo D.P.R. 327/2001.Alla luce di quanto premesso, si deve concludere per l’insussistenza della giurisdizione in capo all’A.G. adìta, con riferimento alla domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 39, e per l’infondatezza del gravame nella parte in cui postula tale mancata previsione quale vizio del provvedimento (cfr. 4^ motivo di ricorso).»

Sintesi: I profili attinenti all’indennizzo non attengono alla legittimità del procedimento amministrativo volto alla reiterazione del vincolo, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, devolute alla cognizione del giudice civile, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 80/1998 e dell’art. 53 del DPR 327/2001.

Estratto: «Nel ricorso si sostiene anche, oltre al difetto di motivazione della reiterazione contenuta nella variante, l’illegittimità di quest’ultima per non avere previsto alcun indennizzo a favore del proprietario, in violazione della sentenza della Corte Costituzionale 20.5.1999, n. 179, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7 della legge 1150/1942 e 2 della legge 1187/1968, nella parte in cui consentono all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo.La giurisprudenza amministrativa ha però chiarito che i profili attinenti all’indennizzo, di cui alla citata sentenza n. 179/1999, non attengono alla legittimità del procedimento amministrativo volto alla reiterazione del vincolo, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, devolute fra l’altro alla cognizione del giudice civile, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 80/1998 e dell’art. 53 del DPR 327/2001 (si vedano sul punto, oltre alla già citata Adunanza Plenaria n. 7/2007; Consiglio di Stato, sez. IV, 6.11.2009, n. 6936 e TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 10.7.2009, n. 1250).»

Sintesi: La domanda risarcitoria, conseguente all'annullamento della reiterazione di vincoli aventi natura espropriativa, appartiene al GA; la sola richiesta dell’indennizzo è infatti idonea a ricondurre la controversia nell’alveo della giurisdizione civile.

Estratto: «7. – L’appello, sebbene ammissibile, non è tuttavia fondato nel merito. 7.1. – Per illustrare le ragioni di tale infondatezza occorre innanzitutto qualificare la domanda proposta dagli appellanti. Essa è formulata nei termini di una richiesta di risarcimento del danno patrimoniale asseritamente consistito nell’impossibilità di utilizzare il loro fondo a causa dell’illegittima reiterazione di vincoli urbanistici aventi natura espropriativa.7.2. – I ricorrenti non limitano dunque le loro pretese alla domanda di un indennizzo per l’ablazione temporanea del valore d’uso del loro diritto di proprietà, ma agiscono per ottenere il pieno ristoro di una diversa utilità, lesa dall’illegittima attività amministrativa posta in essere dal Comune di Martina Franca. 7.3. – Il precedente rilievo suscita tre considerazioni di natura preliminare. 7.3.1. - La prima è che correttamente il T.a.r. ha ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa. Difatti, sebbene la questione sia ormai coperta da giudicato (implicito), è indubbio che la domanda aquiliana abbia radicato la juris dictio del giudice amministrativo, dal momento che la sola richiesta dell’indennizzo avrebbe ricondotto la controversia nell’alveo della giurisdizione civile. Incidentalmente peraltro si osserva – quantunque la circostanza non rilevi ai fini decisori - che dagli atti non è dato evincere se un indennizzo sia stato effettivamente versato dal Comune.7.3.2. – La seconda considerazione, correlata in parte alla precedente, è che la domanda di risarcimento concerne la lesione di un interesse legittimo pretensivo. Non è dubbio infatti che lo jus aedificandi sia una facoltà del diritto di proprietà (e di altri diritti reali) sugli immobili e che, anzi, essa esprima il principale valore d’uso di un bene immobile e, quindi, il valore eminente dal punto di vista economico. E’ tuttavia altrettanto incontrovertibile che l’esercizio di tale facoltà postula la preventiva realizzazione di un interesse legittimo pretensivo. Questa realizzazione è poi intermediata dalla autoritativa discrezionalità amministrativa in materia urbanistico-edilizia che, in via di progressiva specificazione, si estrinseca a partire dal generale potere conformativo del territorio (attraverso piani e programmi) fino alla selezione delle singole proposte di intervento dei privati, mercé le varie modalità di formazione degli assensi edilizi. E’ indiscutibile, allora, che gli appellanti abbiano dedotto la violazione di detto interesse legittimo pretensivo, connesso al diritto reale immobiliare e funzionale all’attuazione dello jus aedificandi. 7.3.3. – Il terzo rilievo è che, una volta identificate come sopra la domanda e la giurisdizione, non si ravvisano ostacoli giuridici allo scrutinio dei mezzi di gravame, posto che le parti assumono come dato incontestato che della reiterazione dei vincoli urbanistici sia stata accertata in giudizio l’illegittimità e, pertanto, non si pone alcun problema sul versante della pregiudizialità amministrativa.8. – Tanto doverosamente premesso e passando al merito della controversia, il Collegio è dell’opinione che la sentenza di primo grado si riveli immune dai vizi denunciati e che essa vada integralmente confermata.8.1. – Secondo il jus receptum il favorevole vaglio di una domanda di risarcimento per lesione di un interesse legittimo pretensivo presuppone che il soggetto che si assume danneggiato abbia adempiuto all’onere di fornire una prova, ancorché prognostica, della spettanza del bene della vita dichiaratamente leso. 8.2. – L’enunciata regola di giudizio, qualora calata nel caso in disamina, implica che i dottori Lupoli avrebbero dovuto sottoporre al giudizio della Sezione, e prima ancora al T.a.r., elementi idonei a dimostrare, non tanto l’astratta titolarità dell’interesse legittimo in discorso (titolarità peraltro incontroversa, anche nei suoi caratteri di differenziazione e qualificazione), ma la virtuale spettanza e pure il contenuto sostanziale di siffatta situazione giuridica soggettiva. Detto altrimenti, il risarcimento del danno per lesione dell’interesse pretensivo ascrivibile all’illegittima reiterazione di vincoli espropriativi, non può ridursi alla mera deduzione della pregressa impossibilità di utilizzare un terreno a fini edificatori per un determinato lasso temporale, ma deve poggiare sulla prova, seppur di tipo logico, della natura vincolata o sostanzialmente vincolata (v., sul punto, Cons. St., ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13) dell’attività amministrativa successiva alla rimozione dei vincoli espropriativi illegittimi; inoltre il preteso danneggiato è chiamato a sottoporre al giudicante una sufficiente dimostrazione, quand’anche fondata su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.), della natura e della consistenza dell’aspettativa di diritto ingiustamente conculcata dall’illegittimo esercizio della discrezionalità amministrativa e della sua reiterata riedizione.8.3. – Dal principio appena esposto discende, con riferimento alla fattispecie devoluta alla cognizione del Collegio, che gli appellanti, invece di limitarsi alla allegazione di un possibile e generico uso edificatorio delle loro aree, avrebbero dovuto prospettare, non già la mera aspettativa di una diversa e più favorevole destinazione urbanistica dei loro lotti, ma la ragionevole probabilità, sulla base della disciplina applicabile alla fattispecie e secondo un criterio di normalità, dell’esito favorevole di una loro istanza di assenso edilizio. In particolare, gli appellanti avrebbero dovuto offrire un’esatta indicazione dell’oggetto del jus aedificandi asseritamente leso, ovverosia avrebbero avuto l’onere di dimostrare in che cosa si sarebbe concretato l’esercizio della loro facoltà edificatoria qualora non si fosse frapposta, rispetto alla realizzazione del bene-interesse perseguito, l’illegittima intermediazione amministrativa. Soltanto tale correlazione, immediata e diretta, tra la violazione commessa dalla pubblica amministrazione e il programma realizzativo del titolare dello specifico interesse pretensivo rende possibile, difatti, l’attivazione dei poteri giurisdizionali di accertamento e di liquidazione del danno effettivamente patito.»

Sintesi: Le questioni relative all’inerzia dell’amministrazione nella quantificazione dell’indennizzo da reitera del vincolo appartengono al giudice ordinario ex art. 39 comma 4 del DPR 327/2001.

Estratto: «19. Una volta accertato che vi è stata reiterazione di un vincolo espropriativo senza previsione di un’indennità occorre tuttavia precisare che questa mancanza non determina l’illegittimità dello strumento urbanistico (v. CS AP 24 maggio 2007 n. 7; TAR Brescia 8 maggio 2006 n. 453; TAR Brescia 11 novembre 2005 n. 1144). Il diritto a ottenere un ristoro dall’amministrazione si colloca su un piano distinto da quello urbanistico e sorge ex lege con l’approvazione dell’atto di reiterazione del vincolo. Il proprietario ha a disposizione la procedura amministrativa ex art. 39 comma 2 del DPR 327/2001 per provocare la liquidazione dell’indennità qualora lo strumento urbanistico non abbia provveduto. Le questioni relative all’inerzia dell’amministrazione nella quantificazione dell’indennità appartengono al giudice ordinario ex art. 39 comma 4 del DPR 327/2001.»

Sintesi: Il G.A. difetta di giurisdizione in ordine all'indennizzo da reitera del vincolo; ciò in quanto trattasi di questione che non si riverbera sulla legittimità del PRG., ma rappresenta un diritto direttamente azionabile dal soggetto sia in via amministrativa (domanda di pagamento da parte del privato all’Autorità procedente, con liquidazione entro due mesi e corresponsione nei successivi trenta giorni: art. 39, comma 2 TU), sia in via giudiziale, davanti alla Corte d’Appello del distretto (art. 39, comma 3 TU).

Estratto: «IL primo punto da stabilire è la natura della destinazione urbanistica che, come da certificazione del 13.11.2008 (Uff. tecnico), è riservata a “spazi verdi pubblici, contenenti impianti, anche a gestione privata, per l’esercizio individuale o collettivo di sport non spettacolare all’aria aperta” e “la localizzazione e la composizione degli impianti è stabilita tramite un progetto di sistemazione generale della vegetazione, degli elementi di arredo e delle accessibilità (parcheggio ecc.)”; c’è, quindi, una previsione di utilizzo pubblico e d’esproprio, senza alcun riferimento all’iniziativa privata in regime di economia di mercato (C.S., IV, n. 693/2005), che avrebbe consentito all’interessato uno sfruttamento almeno minimale della proprietà. La situazione soggettiva è regolamentata dall’art. 39 DPR. 327/2001, vigente dal 30.6.2003, con commisurazione dell’indennità all’entità del danno effettivamente prodotto.Nella fattispecie, il vincolo, sostanzialmente espropriativo, risale al PRE del 1994 e sarebbe scaduto nel 1999, continuando di fatto fino al nuovo PRG del 2004, che lo ha rideliberato, chiarendo, nell’osservazione esaminata, che la “somma necessaria per l’acquisizione dell’area sarà prevista nel bilancio comunale”, ovvero senza una liquidazione quantificata e disponibile, che rappresenta la doglianza sostanziale di parte. IL citato art. 39, invero, ha recepito il principio della Corte. cost. (sent. n. 179/1999) circa il ristoro patrimoniale del sacrificio del privato, a seguito della reiterazione del vincolo di in edificabilità, finalizzato all’esproprio, ma trattasi di questione che non si riverbera sulla legittimità del PRG., rappresentando esso un diritto direttamente azionabile dal soggetto (C.E.D.U. n. 36815/15.7.2004), sia in via amministrativa (domanda di pagamento da parte del privato all’Autorità procedente, con liquidazione entro due mesi e corresponsione nei successivi trenta giorni: art. 39, comma 2^), sia in via giudiziale, davanti alla Corte d’Appello del distretto (art. 39, comma 3^). In argomento, pertanto, il G.A. difetta di giurisdizione ed il motivo risulta inammissibile (Tar Toscana, III, n. 1010/2008; Tar Catania, II, n. 539/2008; Tar Venezia, II, n. 65/2008; Cass. Civ., I, n. 1741 e 1754/2007; SS.UU. Civile n.11097/2006).»

Sintesi: I profili attinenti al pagamento dell'indennizzo da reitera dei vincoli, oggi anche alla luce del disposto di cui all'art. 39 DPR 327/2001, non attengono alla legittimità del provvedimento ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, devolute alla cognizione del giudice ordinario.

Estratto: «La sentenza gravata in accoglimento dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso avanzata dall’Amministrazione comunale, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla questione controversa, dovendo essa ritenersi devoluta al giudice ordinario.
[...omissis...]

Sintesi: In ipotesi in cui ad essere impugnato è un provvedimento di variante generale al P.R.G., controvertendosi inter partes sulla qualificazione come espropriativo, o meramente conformativo, del vincolo con esso imposto alla proprietà privata, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’obbligo di previsione di un indennizzo, sussiste giurisdizione del G.A. Detta giurisdizione si arresta all’accertamento della debenza dell’indennizzo; ogni ulteriore azione con la quale il proprietario voglia far valere il proprio diritto all’indennizzo, deve essere proposta dinanzi al G.O., ai sensi del citato art. 39 del D.P.R. n. 327/ 2001.

Estratto: «2. Ed invero, con la sentenza impugnata il T.A.R. della Lombardia, riuniti una serie di ricorsi proposti avverso gli atti della procedura di variante generale al P.R.G. del Comune di Ambivere, per la parte relativa ai terreni già in proprietà del sig. Benito Alborghetti (e oggi passati jure hereditario alle odierne appellanti), da un lato ha riconosciuto la natura espropriativa del vincolo imposto ai suddetti terreni, accertando pertanto l’obbligo dell’Amministrazione comunale di prevedere un indennizzo, ma d’altro canto ha respinto la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati.3. In via prioritaria, occorre soffermarsi proprio sul capo della sentenza impugnata con il quale è stato accertato l’obbligo del Comune di Ambivere di prevedere un indennizzo in favore dei proprietari dei suoli de quibus: statuizione non oggetto ovviamente di impugnazione da parte delle appellanti, ma rispetto alla quale l’Amministrazione ha eccepito l’inammissibilità della relativa domanda per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.L’eccezione è infondata.Difatti, l’Amministrazione invoca a sostegno del proprio assunto la copiosa giurisprudenza applicativa dell’art. 39 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, alla stregua della quale le controversie relative al diritto del proprietario espropriato all’indennità esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo, ed appartengono a quella del giudice ordinario, che è istituzionalmente preposto anche alla quantificazione dell’indennità medesima.Tuttavia, è evidente che la norma innanzi citata, il cui primo comma sancisce in via generale l’obbligo di prevedere un’indennità in caso di reiterazione di vincoli espropriativi, in prosieguo si occupa specificamente delle controversie inerenti alla violazione di tale obbligo, ovvero al quantum dell’indennità dovuta, presupponendo quindi già risolto il problema della qualificazione del vincolo come espropriativo o meno.Nel caso che occupa, invece, era impugnato un provvedimento di variante generale al P.R.G. (e dunque, secondo costante giurisprudenza, un atto dell’Amministrazione in materia urbanistica rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 21 luglio 2000, nr. 205), controvertendosi inter partes sulla qualificazione come espropriativi, o meramente conformativo, del vincolo con esso imposto alla proprietà dei ricorrenti.Non sembra possa seriamente dubitarsi, alla stregua del quadro normativo sinteticamente richiamato, che tale qualificazione rientri a pieno titolo nella giurisdizione del giudice amministrativo, il quale dunque può e deve accertare, ove investito della relativa questione, se la previsione del vincolo avrebbe dovuto o meno essere accompagnata da quella di un indennizzo; a questo punto, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la giurisdizione del giudice amministrativo si arresta, in quanto ogni ulteriore azione con la quale il proprietario espropriando voglia far valere il proprio diritto all’indennizzò dovrà essere proposta dinanzi al giudice ordinario, ai sensi del citato art. 39 del d.P.R. nr. 327 del 2001.»

Sintesi: E' il giudice ordinario a conoscere delle questioni in materia di indennizzo espropriativo.

Estratto: «Quanto infine al terzo motivo di doglianza, il Collegio osserva ancora come, essendo appunto la reiterazione del vincolo a verde pubblico espressione del potere conformativo la cui efficacia permane a tempo indeterminato, e ferma restando in via generale la competenza del giudice ordinario a conoscere delle questioni in materia di indennizzo espropriativo, non può ritenersi illegittimo il provvedimento di reiterazione del vincolo in assenza di indennizzo, a seguito della scadenza del termine quinquennale di efficacia, configurandosi un diritto all’indennizzo soltanto in relazione alle ipotesi di reiterazione di vincoli di natura sostanzialmente espropriativi (cfr. fra le tante Tar Lombardia Milano, II 16.12.2005 n. 4999).»

Sintesi: Deve ritenersi sussistente la giurisdizione amministrativa solo qualora la parte ricorrente si dolga del fatto in sé della reiterazione del vincolo, deducendo che la mancanza di previsione della indennità comporta una difformità dell'atto dallo schema legale tipico.

Sintesi: Le richieste di riconoscimento del diritto all'indennizzo per reiterazione di un vincolo di inedificabilità sostanzialmente espropriativo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo le stesse espressamente demandate alla competente Corte d’Appello dall'art. 34, comma 3, lettera "b", del d.lgs.vo n. 80/1998, come modificato dall'art. 7 della L. n. 205/2000 e dall’art. 39, comma 3, del D.P.R. n. 327/2001.

Estratto: «4.2.1 Preliminarmente va rilevato che può ritenersi sussistente la giurisdizione amministrativa solo qualora la parte ricorrente si dolga del fatto in sé della reiterazione del vincolo, deducendo che la mancanza di previsione della indennità comporta una difformità dell'atto dallo schema legale tipico (vedi TAR Sicilia Catania, I, 15 ottobre 2007, n. 1662).Nella specie, la reiterazione del vincolo è avvenuta con il decreto assessoriale 18 marzo 1996, pubblicato sulla GURS, parte I, n. 29 del 1° giugno 1996, avente ad oggetto l’approvazione del PRG di Serradifalco.Eventuali profili di illegittimità di tale atto avrebbe dovuto essere dedotti nel rispetto del termine di 60 giorni dalla conoscenza dello stesso e non a distanza di anni.Ne deriva che la censura, se interpretata nel senso di richiesta di annullamento dell’atto, va ritenuta inammissibile per irricevibilità.4.2.2 Alla stessa conclusione (inammissibilità), seppure per ragioni diverse, deve giungersi, qualora la domanda sia interpretata come richiesta di riconoscimento del diritto all'indennizzo per reiterazione di un vincolo di inedificabilità sostanzialmente espropriativo.E’, infatti, noto il condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale tali controversie rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo le stesse espressamente demandate alla competente Corte d’Appello dall'art. 34, comma 3, lettera "b", del d.lgs.vo n. 80/1998, come modificato dall'art. 7 della legge n. 205/2000 e dall’art. 39, comma 3, del D.P.R. n. 327/2001 (in tal senso Cassazione, Sezioni Unite, 15 maggio 2006, n. 11097; 9 dicembre 2004, n. 22997; T.A.R. Toscana, III, 11 aprile 2008, n. 1010; TAR Campania Napoli, V, 13 novembre 2007, n. 12095; TAR Lazio Roma, II, 3 maggio 2007, n. 3918).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.