Attrazione della tutela risarcitoria nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A.

Sintesi: La attrazione della tutela risarcitoria nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno, patito dal soggetto che ha proceduto alla impugnazione dell'atto, sia conseguenza immediata e diretta della illegittimità dell'atto impugnato.

Estratto: «il legislatore ha inteso realizzare la unificazione della tutela avanti al giudice amministrativo, concentrando dinanzi allo stesso sia i poteri di annullamento dell'atto illegittimo che la tutela risarcitoria consequenziale alla pronuncia di legittimità dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre (argomenta anche dal succitato art. 113 Cost.), prima riservata al giudice ordinario.Ne deriva che la attrazione della tutela risarcitoria nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno, patito dal soggetto che ha proceduto alla impugnazione dell'atto, sia conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.) della illegittimità dell'atto impugnato;pertanto, qualora si tratti di atto o provvedimento rispetto al quale l'interesse tutelabile è quello pretensivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, perché vittima di danno ricollegabile con nesso di causalità immediato e diretto al provvedimento impugnato, è colui che si è visto, a seguito di una fondata richiesta, ingiustamente negare o adottare con ritardo il provvedimento amministrativo richiesto;qualora si tratti di atto o provvedimento amministrativo rispetto al quale l'interesse tutelabile si configura come oppositivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo è soltanto colui che è portatore dello interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, che vengono direttamente pregiudicati dall'atto o provvedimento amministrativo contro il quale ha proposto ricorso. Soltanto in queste situazioni la tutela risarcitoria si pone come tutela consequenziale e comporta, quindi, la concentrazione della fase del controllo di legittimità dell'azione amministrativa e quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, dinanzi all'unico giudice amministrativo. Tra gli atti rispetto ai quali è configurabile un interesse pretensivo rientra la concessione edilizia. Appare opportuno precisare che la concessione edilizia prevista dalla legge n. 10/77 in sostituzione della licenza edilizia, nonostante il nomen iuris, non è una concessione. La Corte Costituzionale nella sentenza 5/1980 ha chiarito che la concessione edilizia ha struttura e funzione di autorizzazione. In detta sentenza si afferma che il diritto di edificare inerisce alla proprietà dell'area da edificare (ius aedificandi), e che tale diritto, però, può essere esercitato solo entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici; che sussistendo le condizioni richieste solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale, che legittimi a costruire, può edificare, non essendo consentito dal sistema che altri possa, autoritativamente, essere a lui sostituito per la realizzazione dell'opera; che, quindi, la concessione a edificare non è attributiva di diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la consistenza.»

Sintesi: In seguito al ritiro legittimo di un atto legittimo, il privato non ha che la tutela risarcitoria, esercitabile davanti al giudice ordinario, perché essa non postula un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare.

Estratto: «Nel caso in esame, la parte ha ottenuto il rilascio di una concessione edilizia e ha iniziato a realizzare il manufatto oggetto della concessione.Questa situazione di fatto non era tale da sollecitare alcuna esigenza di tutela contro un agire illegittimo della pubblica amministrazione.L'esigenza di tutela - risarcitoria e solo di tale tipo - affiora in questo come in analoghi casi solo per l'affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole e non richiede che per ottenere il risarcimento la parte domandi al giudice amministrativo un accertamento a proposito della illegittimità del comportamento tenuto dall'amministrazione, perché questo accertamento essa ha invece interesse a contrastarlo nel giudizio di annullamento del provvedimento summenzionato da altri provocato e può solo subirlo.La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula dunque un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare.La possibilità di questa sola e, quindi, autonoma tutela porta ad escludere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invocata dalle controparti in applicazione del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, non solo, ma anche quella generale di legittimità, stante la consistenza di diritto soggettivo della situazione, nel caso di specie, fatta valere. Va dichiarata, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario, compensando integralmente tra le parti, data la complessità della questione, le spese del giudizio di cassazione.»

Sintesi: Data la natura strumentale e servente della tutela risarcitoria, la giurisdizione su di essa segue la giurisdizione sulla domanda principale.

Estratto: «Ritenuto che sussiste il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore di quello ordinario, sulla controversia relativa alla rideterminazione del canone annuo relativo ad una concessione demaniale, essendosi nella specie l'Amministrazione limitata ad applicare canoni normativi senza intervenire in alcun modo sul rapporto concessorio e senza fare uso di poteri discrezionali.(Consiglio Stato , sez. VI, 24 ottobre 2008 , n. 5294);Ritenuto che, data la natura strumentale e servente della tutela risarcitoria, la giurisdizione su di essa segue la giurisdizione sulla domanda principale;»

Sintesi: In caso di inosservanza delle regole tecniche, ovvero dei comuni, canoni di diligenza e prudenza nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici da parte della pubblica amministrazione ricorre la giurisdizione del giudice ordinario.

Estratto: «La Corte deve osservare che i ricorrenti hanno addebitato il lamentato pregiudizio al loro diritto alla salute (nonché ai loro ceni) non già al provvedimento del 2005 con cui il comune di Salussola, ottenuta da essi l'autorizzazione (per la porzione di terreno di cui sono proprietari), aveva disposto la posa di alcuni puntelli a sostegno di un rudere...
[...omissis...]

Sintesi: Prima dell'introduzione della giurisdizione esclusiva del G.A. sugli atti adottati in materia urbanistica il danno cagionato da indebito rifiuto-ritardo nel rilascio della concessione edificatoria poteva ricevere tutela davanti al G.O..

Estratto: «Ed invero, ad una attenta lettura della impugnata sentenza, e contrariamente a quanto sembra aver inteso la ricorrente società, che soltanto ripropone la propria tesi della unitaria riconducibilità causale alla illecita sospensione dell'ulteriore indebito ritardo nella concessione dei titoli edificatori a suo tempo rilasciati ope udicis dal Comune (tesi ben espressa nei quesiti alle pagine 9 e 22 del ricorso), si evidenzia che la Corte di Roma nel prendere atto della indiscutibile potenzialità dannosa della sospensione (quindi non negando l'an debeatur) ha, con prima ratio decidendi, escluso che tra i danni risarcibili sottoponihili alla sua cognizione vi fossero quelli da ritardo nel rilascio della concessione edificatoria ma ha anche soggiunto, con una chiara formulazione di ulteriore ratio decidendi, che non vi era stata alcuna deduzione diretta ad affermare che il ritardo fosse stato concausato dalla indebita sospensione.La (prima) radicale esclusione di conoscibilità - consentita dalla necessaria indeterminatezza della pronunzia 9792/1990 - è stata dunque dalla Corte di merito fondata sulla considerazione della inerenza ad una posizione di interesse legittimo del ritardo nella concessione del titolo edificatorio, una considerazione affatto in linea con il quadro normativo vigente alla data della domanda (anno 1975) e che è poi evoluto nella esplicita e generale attribuzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. (D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 1 come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7) della domanda di risarcimento dei danni per il ritardato rilascio di concessione edificatoria (come affermato, tra le tante, dalle sentenze n. 6745/2005, n. 13028/2006 e n. 12455/2008 di questa Corte), risarcimento che deve essere erogato dal G.A. in via completiva pur se autonomamente richiesto (come affermato da S.U. n. 30254/2008).Tale primo passaggio non è sfuggito alla attenta difesa della società ricorrente, che non ha mancato di censurarne la sua disarmonia con quanto pochi anni innanzi affermato dalle Sezioni Unite con riguardo alla risarcibilità da parte del G.O. dei danni cagionati a diritti o interessi legittimi se correlati alla illegittima esplicazione di potere amministrativo (S.U. n. 500 del 1999).Ma tale rilievo non vale a superare l'assorbente considerazione, in qualche misura contenuta anche nella sentenza impugnata in guisa di seconda ratio decidendi, per la quale il ritardo ulteriore da indebita sospensione era in realtà una delle concause del ritardo nel rilascio dei singoli titoli concessori e che solo all'esito dello scrutinio di tali singoli ritardi e previa accertamento della loro illegittimità si sarebbe potuto portare in valutazione: significativo è al proposito che la Corte di merito affermi (pag. 6) che sul ritardato rilascio delle concessioni edilizie non vi sarebbe stata alcuna impugnativa e che nei due motivi dell'odierno ricorso tale accertamento non sia stato adeguatamente fatto segno a contestazione.Quel che emerge essere stato inteso dalla ricostruzione operata nella decisione della Corte territoriale è il dato per il quale il danno da ritardato rilascio di una concessione edificatoria ben può essere cagionato da un ostruzionistico ritardo, da una patologica durata del singolo procedimento e/o da un abnorme provvedimento generale (come quello di specie) sospensivo del quadro convenzionale per l'adozione delle concessioni, senza che, in tal ultimo caso, la riferibilità ad una unitaria abnorme decisione sospensiva valga a far perdere lo stretto nesso di correlazione tra danno e singolo fatto che lo ha generato (l'indebito ritardo - rifiuto di ciascuna concessione, stigmatizzato con la relativa pronunzia del G.A. o valutato incidenter tantum dal G.O.).Si rammenta che anche prima della introduzione della giurisdizione esclusiva del G.A. sugli atti adottati in materia urbanistica (D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 34 e 35 nel testo risultante dalla sostituzione operata dalla L. n. 205 del 2000, art. 7), il danno cagionato da indebito rifiuto-ritardo nel rilascio della concessione edificatoria poteva ricevere tutela davanti al G.O., come, per i giudizi pendenti al 30.6.1998, ebbe a precisare la ridetta sentenza n. 500/99 delle Sezioni Unite (ribaltando il contrario consolidato orientamento: ex multis vd. S.U. n. 2383 del 1992), ma sempre come tutela accordabile con riguardo al singolo comportamento illegittimo della P.A. che spettava al giudice ordinario valutare incidentalmente nella sua illiceità e senza che assumesse rilievo la situazione (diritto od interesse) incisa da quell'atto.Appare dunque privo di rilievo il fatto che la Corte di merito abbia non correttamente escluso la sua cognizione incidentale sui danni da ritardata concessione perché, a suo criterio, riservati alla cognizione del G.A., posto che assume valore assorbente il dato per il quale, come dalla stessa Corte valutato nell'ulteriore passaggio dell'argomentazione, nei confronti dei singoli atti di diniego o di ritardata concessione vi sarebbe stata acquiescenza della società richiedente e comunque non vi sarebbe stata alcuna sua specifica precisazione della concreta incidenza causale dei venti mesi di sospensione sul ritardo nel decidere in ordine alla istanza edificatoria a suo tempo proposta. Tale dato non viene in questa sede adeguatamente contestato, avendo la società prospettato la sua pretesa indennitaria in termini tali da far emergere una mera proposta di inversione della fattispecie illecita, venendosi a configurare il ritardo nel rilascio della singola concessione (ritardo corrente tra l'istanza del 1973 ed il rilascio ope judicis del 1981) quale effetto immediato dell'unico illecito generatore (la sospensione in discorso assunta quale fonte forfetaria di danno) ed essendo del tutto mancata la contestazione della logica considerazione (pag. 7 della sentenza) di carenza di allegazione di incidenza causale della sospensione nel ritardo prospettato come fonte di danno.Nei suindicati termini, pertanto, la giusta decisione della Corte di Roma deve essere ritenuta idonea a resistere alle proposte censure.»

Sintesi: È devoluta al G.O. l’azione risarcitoria proposta da un privato nei confronti dell’ente pubblico proprietario di una strada, per i danni derivanti dall’inosservanza, nelle sistemazione o manutenzione, delle regole tecniche nonché dei canoni ordinari di diligenza e prudenza, giacché la predetta azione non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, bensì un’attività materiale soggetta al rispetto del generale principio del neminem laedere.

Estratto: «2.3 Costituisce ormai ius receptum, al quale si uniforma da tempo la giurisprudenza amministrativa, che la giurisdizione sulle azioni di risarcimento dei danni correlati non a provvedimenti o atti amministrativi, ma a meri comportamenti, attivi od omissivi, delle pubbliche amministrazioni, spetta al giudice amministrativo soltanto se trattasi di comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere (cfr. C. Cost. 11 maggio 2006, n. 191). Tutti gli altri comportamenti, svincolati dall’esercizio di potestà pubblicistiche, non possono essere sindacati dal giudice amministrativo, ma soltanto dal giudice ordinario.In attuazione del superiore principio è stata devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione risarcitoria proposta da un privato nei confronti dell’ente pubblico proprietario di una strada, per i danni derivanti dall’inosservanza, nelle sistemazione o manutenzione, delle regole tecniche nonché dei canoni ordinari di diligenza e prudenza, giacché la predetta azione non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, bensì un’attività materiale soggetta al rispetto del generale principio del neminem laedere (Cass. S.U. 20 ottobre 2006, n. 22521; Id. 18 ottobre 2005, n. 20117).»

Sintesi: L'inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non investendo scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del "neminem laedere".

Estratto: «Così chiarito il thema decidendum, preliminarmente deve rigettarsi la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Zu. con riferimento alla domanda principale.E' del tutto pacifico sia nella giurisprudenza di merito che di legittimità che l'inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non investendo scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del "neminem laedere". Né è di ostacolo il disposto dell'art. 34 del D.Lgs. n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7 della legge n. 205/2000, là dove devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia giacché, a seguito dell'intervento parzialmente caducatorio recato dalla sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, nell'attuale assetto ordinamentale, la giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento di interessi pubblici.»

Sintesi: La domanda di risarcimento per i danni che si assumono derivati al proprietario di un fondo dalla infiltrazione di acque piovane o di scolo, defluenti da una strada pubblica, riguardando la violazione del principio generale del "neminem laedere", rientra nella competenza del giudice ordinario e non del Tribunale delle Acque Pubbliche.

Sintesi: L'inosservanza della pubblica amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di una strada, delle regole tecniche ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, è denunciabile davanti al giudice ordinario, da parte del privato che ne riceva pregiudizio, anche al fine di conseguire condanna ad un facere, in quanto la relativa domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione medesima, ma mera attività materiale di essa, soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.

Estratto: «E' opportuno preliminarmente ricordare che la competenza del giudice specializzato delle acque pubbliche postula, ai sensi dell'art. 140 del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, la diretta derivazione del danno dall'esecuzione o manutenzione di opere o dall'emissione di provvedimenti riguardanti il regime delle acque pubbliche...
[...omissis...]

Sintesi: Rientra nella giurisdizione del G.O., e non in quella del G.A., la domanda risarcitoria proposta nei confronti del funzionario pubblico, anche se connessa a quella proposta nei confronti della P.A., stante l'inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione.

Estratto: «Si passa infine alle domande risarcitorie proposte in solido avverso il Comune nonché il tecnico comunale Monya Giampani e il signor Guido Gallina, autore di un esposto-denuncia dell’abuso, in proprio. La ritenuta legittimità dell’operato dell’amministrazione porta all’inevitabile rigetto nel merito della domanda risarcitoria proposta avverso la medesima. Quanto alle domande proposte in proprio avverso i due restanti resistenti, trattatasi di domande inammissibili (caratteristica da vagliarsi preliminarmente al merito e anche d’ufficio) per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Sul punto la giurisprudenza del giudice del riparto di giurisdizione è univoca: “l'art. 103 Cost. non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati, sicché la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del Presidente di una Provincia in proprio, va proposta dinanzi al giudice ordinario, non ostando a ciò la chiamata in causa a fini di manleva dell'ente pubblico, stante l'inderogabilità per ragioni di connessione della giurisdizione” (C. SU 5.3.2008 n. 5914); “ai sensi dell'art. 103 Cost., rispetto ad un'azione di risarcimento danni nei confronti di un funzionario pubblico, sussiste la giurisdizione del g.o.. A tal fine, è irrilevante stabilire se il funzionario stesso abbia agito quale organo dell'ente pubblico, ovvero, se, a causa del perseguimento di finalità private, si sia verificata una «rottura» del rapporto organico. Nell'uno, come nell'altro caso, infatti, l'azione risarcitoria è proposta nei confronti del funzionario in proprio, e, quindi, nei confronti di un soggetto privato, distinto dall'amministrazione, la quale, al più, può risultare solidamente obbligata con quest'ultimo” (C. SU 13.6.2006 n. 13659).L’inammissibilità riguarda entrambe le domande risarcitorie alla luce della sovrariportata giurisprudenza. Più evidente si appalesa tuttavia nel caso di parte resistente Guido Gallina; se infatti isolata giurisprudenza e parte della dottrina hanno affermato la devoluzione al giudice amministrativo della cognizione della domanda risarcitoria rivolta avverso il funzionario in proprio per ragioni di economia processuale, individuate nell’opportunità di cumulare in un unico processo l’accertamento dell’illegittimità dell’operare dell’amministrazione tramite un suo funzionario e del funzionario medesimo, non si vede quale connessione abbia con l’attività amministrativa qui in contestazione l’addebito mosso a Guido Gallina. Questi è stato autore di un esposto effettuato nella sua qualità di consigliere comunale che, se pure è stato l’occasione del sopralluogo del settembre 2008, come avrebbe potuto esserlo quello di un qualunque privato cittadino, non ha alcuna attinenza, da un punto di vista strettamente procedimentale, con gli atti qui impugnati. Gli si addebita in ricorso di avere denunciato impropriamente che l’edificio era stato sostanzialmente demolito e ricostruito a nuovo, salvo un muro perimetrale a sostegno di un fabbricato adiacente, in violazione del permesso di costruire. Il fatto, come emerso in giudizio, è vero, anzi è stato riconosciuto nel corso del sopralluogo del 22.9.2008 dal titolare dell’impresa esecutrice dei lavori e dal direttore dei lavori. A fronte quindi dell’addebito di un legittimo esposto relativo a circostanza vera Guido Gallina si è visto citare (impropriamente) innanzi al Tar (con atto depositato circa due mesi dopo il sopralluogo in cui l’abuso è stato sostanzialmente riconosciuto da parte ricorrente) per l’ingiustificata richiesta risarcitoria (non si comprende come quantificata né sull’assunto di quale illecito né tanto meno di quale nesso causale) di € 520.000,00 oltre accessori.»

Sintesi: I danni derivanti da comportamenti materiali dell’Autorità espropriante (attuali o potenziali), non riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi (fattispecie nella quale può sicuramente rientrare l’ipotesi di danni da incuria) rientrano nella materia affidata alla cognizione del giudice ordinario, ex art. 34 Dlgs 80/98 e 53 DPR 327/01.

Estratto: «III) Posto quanto sopra, può essere adesso esaminata la domanda introdotta con l’odierno ricorso. Parte ricorrente chiede che l’Amministrazione intimata sia condannata a concludere il procedimento, nelle sole due forme possibili che tale conclusione può assumere, ossia acquisendo il terreno secondo l’accordo bonario pure a suo tempo formulato, oppure provvedendo all’esproprio.Parte ricorrente, peraltro, evidenzia che i termini legali del procedimento espropriativo sono ancora in corso.Da ciò consegue che il ricorso è, allo stato, inammissibile.Infatti, prima della conclusione dei termini legali del procedimento espropriativo (contenuti nella dichiarazione di pubblica utilità delle opere), il procedimento amministrativo corrispondente è “in itinere” e non sussiste obbligo di concluderlo in maniera anticipata.In altri termini, la conclusione del procedimento di esproprio è configurata dallo schema legale dell’art. 13 del DPR 327/01 con termini a favore dell’Amministrazione, prima dei quali, dunque, essa non può essere costretta a concludere in un senso o nell’altro la procedura espropriativa.D’altronde, la scadenza del termine è, a sua volta, produttiva di determinati effetti sulla legittimità delle conseguenti operazioni amministrative che sono riconducibili o alla perdita di efficacia del decreto di esproprio, cui consegue l’obbligo di restituire il terreno, tenendo indenne il proprietario dei danni inferti, o, nel caso di avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, alle note ed articolate problematiche connesse all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 53 del DPR 327/01 (cfr. ex multis, Cass. Civ. SSUU, 23 dicembre 2008, nr. 30254; Consiglio di Stato, IV, 18 giugno 2008, nr. 3026 ed altre).Non vale a costituire un obbligo attuale a provvedere l’avvenuta previa intesa bonaria sulla cessione dell’area, in quanto si tratta, a tutti gli effetti, di una proposta di contratto che non incide, in quanto tale, sulla libertà negoziale di ambo le parti, che resta integra fino alla sottoscrizione vera e propria dell’accordo, potendo ciascuna di esse interrompere le trattative in corso, salva la eventuale responsabilità precontrattuale secondo i consueti principi di legge (art. 1337 cod.civ.)Non vale a sostenere l’azione intentata, inoltre, il pericolo paventato di danni al fondo non espropriato: durante l’occupazione di urgenza degli immobili, l’Amministrazione che è stata immessa nel possesso risponde di ogni eventuale danno che possa derivare al fondo di proprietà dell’originario proprietario non oggetto di espropriazione, ed in caso di eventuale pericolo grave ed immediato di danni, del genere di quelli prospettati da parte ricorrente, il proprietario ha azione civile di danno temuto a tutela della proprietà.Quest’ultima considerazione, infine, porta a ritenere che, se tale specifico aspetto fosse qualificante della domanda attorea, essa sarebbe inammissibile per difetto di giurisdizione, posto che i danni derivanti da comportamenti materiali dell’Autorità espropriante (attuali o potenziali), non riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi (fattispecie nella quale può sicuramente rientrare l’ipotesi di danni da incuria) rientrano nella materia affidata alla cognizione del giudice ordinario, ex art. 34 Dlgs 80/98 e 53 DPR 327/01 (Corte Cost. nr. 191/2006).»

Sintesi: Dell'accertamento del diritto ai danni che attengono a responsabilità relativa alla corretta esecuzione dell’opera edilizia e che pertanto esulano dalla procedura espropriativa conosce il Giudice Ordinario, che ha giurisdizione in materia di diritti soggettivi per lesione del diritto di proprietà.

Estratto: «E’ parimenti fondata l’eccezione per quanto concerne la domanda di risarcimento dei danni per fuoriuscita di liquame dalla fognatura realizzata dal Comune e per il correlato allagamento dei terreni circostanti. I danni lamentati, invero, attingendo la responsabilità relativa alla corretta esecuzione dell’opera edilizia, esulano dalla procedura espropriativa e, pertanto, l’accertamento del relativo diritto, sia nel caso in cui i danni riguardino il suolo occupato dal Comune sia nel caso in cui essi si riferiscano ai terreni contigui pure di proprietà del ricorrente, va portato alla cognizione del Giudice Ordinario che ha giurisdizione in materia di diritti soggettivi per lesione del diritto di proprietà.(Cfr. Cass. S.S.U.U. 20/3/2008 n. 7442) E ciò assorbe l’ulteriore eccezione d’inammissibilità del ricorso pure sollevata in parte qua dal Comune sul rilievo della mancanza di prova dei danni subiti.»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare. 

L’articolo sopra riportato è composto da contenuti tratti da questo prodotto (in formato PDF) acquistabile e scaricabile con pochi click. Si invita a scaricarsi il sampler gratuito per constatare l'organizzazione dei contenuti.

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