Chi può disporre la disapplicazione dell'atto amministrativo viziato?

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> GIUDICE ORDINARIO, IN GENERALE --> COGNIZIONE SULL'ATTO AMMINISTRATIVO

Sintesi: Competono al giudice ordinario la cognizione incidentale sull'atto amministrativo ed il potere di disapplicazione dell'atto illegittimo nei casi in cui esso venga in rilievo non già come causa della lesione del diritto soggettivo dedotto in giudizio, ma solo come mero antecedente, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico. Resta esclusa, invece, dalla giurisdizione del giudizio ordinario l'azione risarcitoria avente a oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendogli precluso il sindacato in via principale sull'atto o sul provvedimento amministrativo.


Estratto: «Tuttavia, ove pure volesse ritenersi la ammissibilità della nuova prospettazione, tenuto conto del comune denominatore delle fattispecie costituito dalla irreversibile trasformazione del fondo e dalla manifestata volontà dei titolari di accedere al risarcimento dei danni, deve comunque pervenirsi al rigetto della domanda...
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Sintesi: Il G.O. avente giurisdizione per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità di espropriazione può (ex art. 5, All. E, L. n. 2248/1865 non abrogato dal nuovo Codice del Processo Amministrativo) anche disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, che determinano l’indennità (provvisoria o definitiva) di espropriazione.

Estratto: «Il ricorso principale va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.Ai sensi dell’art. 53, comma 4, DPR n. 327/2001, ma anche prima ex art. 34, comma 3, D.Lg.vo n. 80/1998, le “controversie, riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”
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Sintesi: La valutazione che il giudice penale compie in ordine alla validità di un atto amministrativo, al fine di accertare o di escludere l'esistenza del reato della cui cognizione è investito, è eseguita - ai sensi dell'art. 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E - " incidenter tantum " ed ha efficacia circoscritta all'oggetto dedotto in giudizio: di conseguenza, il giudicato sul caso deciso, così come non preclude la libera ed eventualmente diversa valutazione dello stesso provvedimento ad opera di altro giudice in caso analogo, a maggior ragione non può travolgere gli effetti di un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile.

Estratto: «Contrariamente a quanto ritenuto dal Comune – per la verità, sollecitato all’adozione di provvedimenti repressivi a seguito della nota n.4176/98 del 21.06.2000 della Procura della Repubblica di Napoli, indirizzata all’Assessore all’Urbanistica della Regione Campania (cfr.all.51 ric.intr.)- dalla citata pronuncia della Corte di Cassazione, cui non compete alcun potere di annullamento degli atti amministrativi, non può infatti farsi discendere la caducazione del D.M n.216224/3-7-4/98 del 2.2.1998 e della conferenza di servizi del 25.08.1998. In particolare, la valutazione che il giudice penale compie in ordine alla validità di un atto amministrativo, al fine di accertare o di escludere l'esistenza del reato della cui cognizione è investito, è eseguita - ai sensi dell'art. 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E - " incidenter tantum " ed ha efficacia circoscritta all'oggetto dedotto in giudizio: di conseguenza, il giudicato sul caso deciso, così come non preclude la libera ed eventualmente diversa valutazione dello stesso provvedimento ad opera di altro giudice in caso analogo (Cassazione penale , sez. I, 03 luglio 2001, n. 29453), a maggior ragione non può travolgere gli effetti di un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile. Nel caso specifico, oltretutto, la citata la pronuncia n.2188 del 10.06.1999 – in virtù della quale, con specifico riferimento all’intervento oggetto del presente ricorso, “ mancano tutti i presupposti perché al regime ordinario subentri il regime speciale”- è stata resa al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al sequestro, in fase cautelare, cui non è seguita una delibazione nel merito, essendosi i reati contestati estinti per prescrizione (cfr.all.54 ric.intr.).»

Sintesi: La disapplicazione dell'atto amministrativo non può essere disposta ad istanza dell'Amministrazione che ha dato causa al vizio che inficia la legittimità dell’atto.

Estratto: «Inoltre, come noto, al Giudice Amministrativo non è consentito, ai sensi degli artt.4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E., abolitiva del contenzioso amministrativo, la disapplicazione di atti amministrativi, anche ove eventualmente ritenuti illegittimi (Consiglio Stato , sez. V, 17 febbraio 2010 , n. 934).
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Sintesi: Il potere di sindacato e disapplicazione di un atto amministrativo presupposto, attribuito al G.O. dall'art. 5 all. E. legge 2248/1865, non resta escluso per effetto della sua mancata tempestiva impugnazione, giacché l'istituto processuale dell'inoppugnabilità attiene alla tutela degli interessi legittimi e non dei diritti soggettivi.

Estratto: «I principi affermati con tale decisione appaiono del tutto condivisibili. Va esaminato per primo il secondo il secondo motivo di ricorso, il cui esame è logicamente preliminare. E' infondato e va rigettato. Infatti, il potere di sindacato e disapplicazione di un atto amministrativo presupposto, attribuito al Giudice ordinario dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, non resta escluso per effetto della sua mancata tempestiva impugnazione, giacché l'istituto processuale dell'inoppugnabilità attiene alla tutela degli interessi legittimi e non dei diritti soggettivi (Cass. civ., sez. un., sent. 16 marzo 1999, n. 140). Anche ammesso, quindi, che sussistesse un interesse immediato e concreto degli opponenti all'impugnazione all'ordinanza, con la quale con carattere di generalità la Capitaneria di Porto aveva disciplinato la balneazione e le attività ad essa connesse, nessun ostacolo da tale omissione poteva derivare alla cognizione incidentale della legittimità del provvedimento da parte del Giudice di pace ai fini della decisione sulle controversie aventi ad oggetto l'assoggettabilità dei concessionari a sanzioni amministrative per la sua violazione.»

Sintesi: Qualora la dichiarazione di pubblica utilità sia divenuta inefficace per scadenza dei termini, ben potrebbe il giudice ordinario disapplicare il decreto di esproprio emesso dopo detta scadenza, senza necessità di un giudicato amministrativo.

Estratto: «Non ha considerato infatti la Corte d’Appello, ne’ mostrano i ricorrenti di tener presente, il principio piu’ volte affermato da questa Corre, secondo cui i termini previsti dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13 entro i quali devono cominciare e compiersi i lavori e le espropriazioni, non hanno uguale rilievo ai fini dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilita’ in quanto l’inosservanza del termine per il compimento della procedura espropriativa non ne determina la decadenza, con conseguente illegittimita’ del decreto di esproprio emesso dopo la sua scadenza, qualora sia ancora pendente il termine finale per il completamento delle opere e che in ogni caso, qualora sia scaduto anche tale termine e la dichiarazione di pubblica utilita’ divenga inefficace, ben potrebbe il giudice ordinario disapplicare il decreto di esproprio senza necessita’ di un giudicato amministrativo.Nel caso in esame, come risulta dallo stesso ricorso, il provvedimento di proroga, di cui viene dedotta l’illegittimita’ per mancanza di una sua motivazione e conseguentemente la tardivita’ del decreto di esproprio, riguarda unicamente il termine di ultimazione della procedura espropriativa. E’ evidente pertanto che l’eventuale illegittimita’ di detto provvedimento di proroga e la conseguente scadenza del termine originariamente previsto per l’ultimazione della procedura espropriativi non comporterebbero in ogni caso la inefficacia della dichiarazione di pubblica utilita’ in quanto non era ancora decorso, prima dell’emissione del decreto di esproprio, il termine finale di completamento dei lavori il quale assolve alla finalita’ di assicurare alla collettivita’ la realizzazione dell’opera dichiarata di pubblica utilita’ anche se la procedura ablatoria non risulti completata (per tutte Cass. 16907/03).»

Sintesi: Il potere di sindacato e disapplicazione di un atto amministrativo presupposto, attribuito al Giudice ordinario dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, non resta escluso per effetto della sua mancata tempestiva impugnazione, giacché l’istituto processuale dell’inoppugnabilita’ attiene alla tutela degli interessi legittimi e non dei diritti soggettivi.

Sintesi: L'omessa impugnazione dell'ordinanza balneare non è di ostacolo alla cognizione incidentale della legittimità del provvedimento da parte del Giudice di pace ai fini della decisione sulle controversie aventi ad oggetto l’assoggettabilità dei concessionari a sanzioni amministrative per la sua violazione.

Estratto: «il potere di sindacato e disapplicazione di un atto amministrativo presupposto, attribuito al Giudice ordinario dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, non resta escluso per effetto della sua mancata tempestiva impugnazione, giacche’ l’istituto processuale dell’inoppugnabilita’ attiene alla tutela degli interessi legittimi e non dei diritti soggettivi (Cass. civ., sez. un., sent. 16 marzo 1999, n. 140). Anche ammesso, quindi, che sussistesse un interesse immediato e concreto degli opponenti all’impugnazione all’ordinanza, con la quale con carattere di generalita’ la Capitaneria di Porto aveva disciplinato la balneazione e le attivita’ ad essa connesse, nessun ostacolo da tale omissione poteva derivare alla cognizione incidentale della legittimita’ del provvedimento da parte del Giudice di pace ai fini della decisione sulle controversie aventi ad oggetto l’assoggettabilita’ dei concessionari a sanzioni amministrative per la sua violazione.»

Sintesi: In base al combinato disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 2 e 5, l'area di operatività della disapplicazione del provvedimento amministrativo coincide con l'area della giurisdizione del giudice ordinario; è pertanto delimitata dallo stesso criterio di riparto delle giurisdizioni ed ammissibile esclusivamente in presenza di atti amministrativi emessi in carenza di potere, e quindi in materie nelle quali si faccia questione di un diritto soggettivo preesistente ed il giudice suddetto, dunque, abbia la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia in cui il problema dell'illegittimità dell'atto amministrativo si pone.

Estratto: «Pertanto siccome nel caso è pacifico tra le parti che quest'ultimo decreto è stato emesso il 22 aprile 1985 e quello ablativo il 31 maggio 1989, e poiché in entrambi i momenti vigeva la variante al P.F. con annesso regolamento edilizio regolarmente approvato con Decreto Pres. Giunta Reg. 5 agosto 1983, n. 1473, la ricognizione legale del terreno G. non poteva che essere compiuta al lume di detto strumento urabanistico: a nulla rilevando l'apodittica affermazione della Corte territoriale che detta variante fosse affetta da violazione di legge perché mancava un Piano regolatore o un Programma di fabbricazione cui la stessa intendeva apportare delle modifiche.Anche infatti a trascurare la possibile autonomia di detta variante (Cons. St. 1516/1999), la giurisprudenza di legittimità è fermissima nel ritenere che in base al combinato disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 2 e 5, l'area di operatività della disapplicazione del provvedimento amministrativo coincide con l'area della giurisdizione del giudice ordinario:dunque, delimitata dallo stesso criterio di riparto delle giurisdizioni, ed ammissibile esclusivamente in presenza di atti amministrativi emessi in carenza di potere, e quindi in materie nelle quali si faccia questione di un diritto soggettivo preesistente, ed il giudice suddetto, dunque, abbia la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia in cui il problema dell'illegittimità dell'atto amministrativo si pone.Al di fuori di questi casi, e quindi non solo nell'ipotesi di atto valido, ma anche in quella in cui i vizi denunciati siano di incompetenza (relativa), violazione di legge (ravvisato nella specie dalla sentenza impugnata) ed eccesso di potere, per la ritenuta equivalenza ai fini della "degradazione" dell'atto valido all'atto invalido, il sindacato di legittimità è precluso al giudice ordinario a qualunque titolo;e la giurisdizione a compierlo appartiene al giudice amministrativo, altrimenti configurandosi l'ipotesi di sindacato dell'A.G.O. su provvedimenti lesivi di interessi legittimi:quale è sicuramente quello dei proprietari all'adozione, modifica e rispondenza degli strumenti urbanistici ai presupposti per ciascuno di essi predisposti dalla legge (Cass. sez. un. 3835/2001; 5240/1993; 10957/1991; 2365/1985; 7344/1983).Consegue che nel caso l'asserita violazione di legge della variante non rilevata dal comune di Mongrassano in sede di autotutela e non fatta valere dai soggetti interessati davanti al giudice amministrativo, rendeva il provvedimento suddetto efficace e vincolante anche per la Corte di appello; la quale per la ricognizione dell'immobile G. doveva applicare i criteri dati dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, secondo cui, per la valutazione dell'edificabilità delle aree si devono considerare le possibilità1 legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'emissione del decreto ablativo (o di quello di occupazione) che nega rilevanza autonoma ed esaustiva alla mera edificabilità di fatto, esigendo che essa si armonizzi con quella legale: e così escludendo che debba procedersi ad un apprezzamento edificatorio de facto, parallelamente allo sfruttamento edilizio di aree prossime, posto che l'introduzione di una generale e incondizionata bipartizione dei suoli, agricoli ed edificabili, da parte della norma non ammette figure intermedie, ed è associata ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell'area in considerazione.Da qui la ripetuta affermazione di questa Corte che non può essere classificata come "edificabile" un'area che gli strumenti urbanistici non preordinati all'espropriazione assoggettino a vincolo di inedificabilità o alla quale attribuiscano destinazione agricola, perché in entrambi i casi alla stessa vengono precluse le possibilità legali di edificazione, e l'indennità di espropriazione deve essere determinata secondo il criterio agricolo tabellare di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, e segg.. E, per converso, ove il piano regolatore o il programma di fabbricazione, o altri strumenti equivalenti (fra i quali rientrano proprio le varianti), prevedano l'edificabilità della zona in cui è ubicato l'immobile, dichiarandola espressamente edificabile, regolandone la densità edilizia, consentendo la presentazione di piani di lottizzazione, ecc, siffatta destinazione legale è sufficiente ad imprimere allo stesso detta qualità; la quale non richiede, perché rilevi giuridicamente, di essere volta a volta confermata da ulteriori indagini sulle sue caratteristiche materiali, essendo state queste già preventivamente apprezzate in un certo modo nella fase di elaborazione dello strumento urbanistico e tradotte nelle conseguenti prescrizioni che le rispecchiano: e si realizza per ciò solo il presupposto (e la condizione) dello sfruttamento edificatorio da parte del proprietario, il quale (concorrendo ogni altra condizione di legge) ha diritto di ottenere la concessione edilizia.Pertanto siccome il terreno G. rientra in una zona destinata dalla variante in questione ad usi artigianali ed industriali (come riferito dalle parti), non gli può essere disconosciuta natura edificatoria, salvo poi a considerare la sua edificabilità di fatto per accertare il suo effettivo valore di mercato;mentre l'immobile (o parte di esso) deve essere dichiarato non edificabile solo se lo strumento urbanistico suddetto vincoli la zona a destinazioni ed utilizzazioni esclusivamente pubblicistiche: quale esemplificativamente quella menzionata dagli stessi ricorrenti di costituire area di rispetto della ferrovia.La destinazione in questione, infatti, discende direttamente dal D.P.R. n. 753 del 1980, art. 49, che ponendo il divieto di costruire o ampliare edifici lungo i tracciati delle linee ferroviarie ad una distanza minore di 30 m. dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia esclude, da un lato, ogni possibilità legale di edificazione del bene nell'ambito di questa fascia di rispetto; ed impone nel contempo che dalla sua esistenza non si possa prescindere nella qualificazione di essa, classificata direttamente dal legislatore "non edificabile": perciò configurando in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con il suddetto bene demaniale (analoghe regole derivano dalla legge urbanistica e dal codice della strada in ordine alle fasce di inedificabilità senza indennizzo di varia misura dalle strade ed autostrade); Per cui non può dubitarsi che la destinazione ad area di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili (L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3) e soggette ai divieti previsti dalle menzionate norme (Cass. 8121/2009; 26899/2008, - 18563/2004; 13248/2001). Assorbito, pertanto il primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata che non si è attenuta a questi principi va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Catanzaro, che in diversa composizione provvederà alla ricognizione del terreno G. applicando le regole avanti enunciate e determinando di conseguenza le indennità richieste.»

Sintesi: I vizi di un provvedimento amministrativo autoritativo, possono essere esaminati incidentalmente dal giudice ordinario, ai fini della sua eventuale disapplicazione (L. n. 2248 del 1865, ex art. 5, All. E) soltanto in caso di di emissione in carenza di potere, ricorrente nell'ipotesi d'adozione da parte di un ente o di un organo assolutamente incompetente o in difetto in concreto dei presupposti di legge cui è subordinata la sua pronuncia, ovvero in quella di nullità radicale della delibera per mancanza di alcuno dei suoi elementi essenziali ex lege a costituirla.

Estratto: «I vizi della Delib. del consiglio comunale 13 agosto 1976, n. 50, costituente un provvedimento amministrativo autoritativo, possono essere esaminati incidentalmente dal giudice ordinario, ai fini della sua eventuale disapplicazione L. n. 2248 del 1865, ex art. 5, All. E, soltanto nell'ipotesi di emissione in carenza di potere, ricorrente com'è noto nell'ipotesi d'adozione da parte di un ente o di un organo assolutamente incompetente (perché appartenente ad un ramo del tutto diverso della p.a.: Cass. Sez. un. n. 5597/1985); o difetto in concreto dei presupposti di legge cui è subordinata la sua pronuncia: ipotesi neppure prospettate dai ricorrenti. Ovvero in quella di nullità radicale della delibera per mancanza di alcuno dei suoi elementi essenziali ex lege a costituirla (soggetto, oggetto, forma ed aspetto funzionale): come esemplificativamente si verifica nel caso più volte esaminato dalla giurisprudenza, di provvedimento contenente la dichiarazione di p.u. privo dei termini finali per il compimento delle espropriazione e dei lavori, (di cui si dirà avanti), che si traduce in giuridica inesistenza dell'atto per carenza di un suo carattere essenziale (Cass. Sez. un. n. 9532/2004).Le violazioni di legge denunciate con questo primo mezzo, invece, se riconosciute sussistenti, si tradurrebbero in ragioni d'illegittimità della deliberazione comunale, avente nel caso in esame valore di dichiarazione di pubblica utilità implicita (a norma della L. 21 luglio 1976, n. 33, art. 4, comma 2 della Regione Friuli Venezia Giulia). Tuttavia, l'illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera non equivale a carenza del potere ablativo in capo alla pubblica amministrazione procedente, fin quando l'atto illegittimo non sia annullato (dalla stessa amministrazione in sede d'autotutela, o dagli organi del contenzioso amministrativo, ai quali il privato si sia tempestivamente rivolto: cfr. Cass. n. 2746/2008; n. 1814/2000; Sez. un. n. 1968/1686).Ciò vale innanzi tutto per la violazione denunciata dai ricorrenti, e sopra riportata sotto la lettera f), vertente sulla verifica della ricorrenza dei presupposti di fatto indicati dalla citata L.R. n. 33 del 1976 per l'espropriazione d'aree destinata a fronteggiare le esigenze abitative del dopo terremoto del (OMISSIS), incidendo quei presupposti soltanto sulla legittimità della deliberazione, nel senso appena indicato, e non sull'esistenza del potere del Comune di (OMISSIS) di espropriare per la ricordata finalità. Le stesse osservazioni valgono, a maggior ragione, per i vizi delle deliberazione, denunciati sub a), d) ed e), che attengono al procedimento formativo della deliberazione e non al suo contenuto o alla sua legittimità intrinseca, e non mettono in discussione il potere stesso del comune di procedere nella fattispecie ad espropriazione delle aree individuate (in generale, nel senso che per configurare l'assoluta mancanza del potere espropriativo non è sufficiente la circostanza che la realizzazione dell'opera di cui trattasi debba avvenire su suoli rispetto ai quali manchi uno strumento urbanistico che ne preveda una destinazione corrente con l'opera stessa, v. Cass. 6 maggio 1993 n. 5240).»

Sintesi: L'atto di delimitazione del demanio marittimo (art. 32 cod. nav.) è disapplicabile da parte del G.O. nella controversia in cui il privato contesti la demanialità del bene.

Estratto: «3. - Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., dell'art. 32 c.n. e della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3) lamenta che la Corte d'appello abbia assegnato valore costitutivo al verbale di delimitazione; e si conclude con la richiesta di affermazione del seguente principio di diritto: "La delimitazione ex art. 32 c.n. ha carattere ricognitivo e non costitutivo della demanialità. Le risultanze catastali non hanno valore probatorio bensì solo indiziario, essendo diversi i caratteri della demanialità ai fini dell'accertamento della demanialità stessa. Il giudice ordinario ha il potere di disapplicazione del relativo verbale quando il privato fa valere il suo diritto soggettivo alla proprietà".La censura muove dalle seguenti premesse: che la P.A. non avrebbe assolto all'onere su di essa incombente, limitandosi ad esibire il testimoniale di Stato ed il verbale di delimitazione, contestato dall' A. con la perizia asseverata del geom. C. del (OMISSIS); che le risultanze dei due atti amministrativi sarebbero contraddittorie (in quanto mentre nel testimoniale il cespite è considerato al di fuori dell'area demaniale, nel verbale di delimitazione lo stesso sarebbe incluso tra i beni demaniali); che la delimitazione prevista dall'art. 32 c.n. ha una funzione di mero accertamento della demanialità, ma non la costituisce; che le risultanze catastali non hanno valore probatorio, bensi solo indiziario; che lo stato dei luoghi nel caso di specie è stato irreversibilmente mutato da decenni, sicché il provvedimento amministrativo avrebbe dovuto registrare tale mutamento e non perpetuare un illegittimo concetto di demanialità fondato sul dato catastale.3.1. - Il motivo è infondato.Esso muove dall'inesatta premessa che la Corte del merito abbia attribuito un valore costitutivo al verbale di delimitazione di zone del demanio marittimo redatto ai sensi dell'art. 32 c.n., quando invece la Corte d'appello ha fatto leva, ai fini dell'accertamento del carattere demaniale del bene controverso, sulle convergenti emergenze del testimoniale di Stato e del detto verbale, sull'implicito, ma evidente presupposto che detta documentazione riflette i caratteri obiettivi dell'estensione rivendicata, nella sua attuale consistenza.Quanto, poi, alla censura con cui si contesta che la Corte del gravame non abbia proceduto alla disapplicazione del verbale di delimitazione, occorre procedere, a norma dell'art. 384 c.p.c., comma 4, ad una correzione della motivazione della sentenza della Corte d'appello, le cui conclusioni restano tuttavia conformi al diritto.Ha errato la Corte d'appello a ritenere tout court inammissibile la richiesta di disapplicazione del verbale di delimitazione.Invero, il procedimento di delimitazione del demanio marittimo, previsto nell'art. 32 c.n., tendendo a rendere evidente la demarcazione tra il demanio predetto e le proprietà private finitime (senza, tuttavia, che ne resti alterata la situazione giuridica preesistente), si presenta quale proiezione specifica, nel campo del demanio marittimo, della normale actio finium regundorum, di cui all'art. 950 cod. civ.. Tale procedimento si conclude con un atto di delimitazione, il quale si pone in funzione di mero accertamento, in sede amministrativa, dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprietà private, con esclusione di ogni potere discrezionale della P.A., di talchè il privato, che contesti l'accertata demanialità del bene, può invocare la tutela della propria situazione giuridica soggettiva dinanzi al giudice ordinario, abilitato alla disapplicazione dell'atto amministrativo, se ed in quanto illegittimo (Cass., Sez. Un., 2 maggio 1962, n. 348; Cass., Sez. Un., 11 marzo 1992, n. 2956).»

Sintesi: Il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria.

Sintesi: Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, nella quale gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.

Estratto: «3. Non si verte, nella specie, in tema di disapplicazione di atti amministrativi.Deve farsi opportuno riferimento, in proposito, alla decisione 21.12.1993 delle Sezioni Unite, ric. Borgja, da cui si evince il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria.Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie, l'interesse sostanziale alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.E' la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (per un'ampia disamina della questione si rinvia testualmente a Cass., Sez. 3, 21.1.1997, Volpe ed altri).»

Sintesi: Non è in potere dell'autorità giudiziaria ordinaria disapplicare direttamente un provvedimento espropriativo pretesamente illegittimo, a tutela del diritto del proprietario, già da esso affievolito al rango d'interesse legittimo e, come tale, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, salvo il caso d'incompetenza assoluta dell'organo, che determina l'inidoneità dell'atto a degradare il diritto soggettivo del titolare del bene assoggettato ad espropriazione.

Estratto: «Non è in potere dell'autorità giudiziaria ordinaria di disapplicare direttamente un provvedimento espropriativo pretesamente illegittimo, a tutela del diritto del proprietario, già da esso affievolito al rango d'interesse legittimo e, come tale, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo (Cass., sez. 1, 25 Novembre 1998, n. 11941): salvo il caso d'incompetenza assoluta dell'organo, che determina l'inidoneità dell'atto a degradare il diritto soggettivo del titolare del bene assoggettato ad espropriazione (Cass., sez. unite, 10 Aprile 1985, n. 2365). Non è questo il caso, dal momento che i poteri del sindaco di Napoli, nella qualità di commissario straordinario di governo, erano stati disposti dalla L. 14 Maggio 1981, n. 219, art. 84, u.c., poi prorogati dalla L. n. 940 del 1982, e successivi D.L.: proroghe, che hanno comportato il perdurare, per tutto il tempo inferiore alle nuove date, dei medesimi compiti e poteri straordinari originariamente conferiti (Cass., sez. unite, 10 Novembre 1997, n. 11073).»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> GIUDICE ORDINARIO, IN GENERALE --> COGNIZIONE SULL'ATTO AMMINISTRATIVO --> DISAPPLICAZIONE ATTI ILLEGITTIMI

Sintesi: Il possesso, pur essendo una situazione fattuale, come tale è disciplinata e tutelata dall'ordinamento e, di conseguenza, fa sorgere il diritto alla sua conservazione anche attraverso la disapplicazione di atti amministrativi illegittimi che possano interferirvi.

Sintesi: La disapplicazione di un atto amministrativo illegittimo da parte del G.O. non presuppone l'impulso di parte, le volte in cui l'atto da disapplicare faccia parte dell'iter procedimentale del provvedimento che costituisce il titolo legittimante per l'accoglimento della domanda.

Sintesi: Va recisamente negato che la facoltà della disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo da parte del G.O. possa trovare ostacolo nel fatto che l'atto amministrativo da disapplicare si inserisca come presupposto di un'ulteriore attività di diritto privato della P.A..

Estratto: «1 - T.M., premesso: di esser proprietaria di un fondo sito nella contrada (OMISSIS) della frazione (OMISSIS) in virtù di un atto di affrancazione dal canone enfiteutico da cui esso era gravato, stipulato il 29 dicembre 1997 innanzi al segretario comunale di detto Comune, debitamente registrato e trascritto; che tale affrancazione era stata preceduta da un decreto del 30 dicembre 1995, della Regione Campania, con il quale essa attrice era stata ammessa alla legittimazione dell'occupazione del detto predio, in quanto gravato da uso civico; che tali Co.Ca. e C.P. si sarebbero fatti leciti di occupare detto terreno, citò il predetti con atto notificato il 1 luglio 1998 innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania affinché fosse accertata l'illegittimità di detta loro occupazione e fossero di conseguenza condannati al rilascio dell'immobile, oltre al risarcimento dei danni.2 - I convenuti si costituirono contrastando la domanda con l'addurre che il lotto in questione sarebbe stato posseduto sin da epoca precedente il 1983 da C.G. - rispettivamente marito della Co. e padre del C.- che avrebbe utilizzato il lotto conteso quale area di pertinenza del fabbricato dal medesimo costruito sulla confinante particella; detto stato di possesso sarebbe continuato anche dopo la morte del predetto , da parte degli esponenti, unitamente a R. e C.V.; contestarono altresì il presupposto della pretesa legittimazione all'occupazione, assumendo che l'attrice non avrebbe mai posseduto il terreno né, tanto meno, avrebbe realizzato opere di miglioramento fondiario.3 - L'adito Tribunale, con sentenza del 28 dicembre 2001, respinse le domande della T. ritenendo che non si fosse perfezionato il procedimento amministrativo per la concessione dell'affrancazione, dal momento che il provvedimento di legittimazione non sarebbe stato controfirmato dal Presidente della Repubblica, come invece previsto dalla Legge per il riordino degli usi civici n. 1766 del 1923.4 - La parte soccombente impugnò tale decisione lamentando: a - l'ultrapetizione in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'esaminare d'ufficio il profilo attinente l'inefficacia del provvedimento regionale di legittimazione ; b - l'erronea applicazione delle norme disciplinanti il procedimento di legittimazione , modificate a seguito del trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni in applicazione del disposto dell'art. 117 Cost., così che la sottoscrizione del Presidente della Repubblica, in funzione di controllo, sul provvedimento di legittimazione, non sarebbe stata più necessaria; e - il non corretto uso della facoltà giudiziale di disapplicare gli atti amministrativi ritenuti illegittimi, utilizzata nella fattispecie nei confronti di un atto - quello di affrancazione - che era espressione dell'agire moreprivatorum della Pubblica Amministrazione.5 - L'adita Corte distrettuale , pronunziando sentenza n. 659/2006, respinse l'appello , ritenendo: che il sindacato sul provvedimento di legittimazione, attinendo ad un "presupposto legittimante la titolarità del diritto" fosse stato legittimamente esercitato; che la L.R. Campania n. 13 del 1981, nel prevedere, in materia di legittimazione delle occupazioni abusive, la competenza della Giunta regionale, e la sottoposizione del conseguente provvedimento all'approvazione del Presidente della Repubblica, avrebbe reso palese che quest'ultima avrebbe costituito l'atto conclusivo del procedimento di legittimazione , come tale da impugnare in via autonoma, con la duplice conseguenza che, in sua mancanza, non si sarebbe concluso il procedimento di legittimazione e che, per tale ragione, il bene in questione ancora sarebbe del demanio civico; che l'elencazione, contenuta nella L. n. 13 del 1991, dei provvedimenti da sottoporre alla firma del Presidente della Repubblica, non avrebbe rivestito carattere esclusivo, dovendosi ritenere che fosse rimasta intatta la funzione collaborativa tra Stato e Regione prevista nella precedente normativa e fondante la necessità dell'approvazione Presidenziale.(omissis)3.b - Ricostruttivamente deve negarsi, ad avviso della Corte, un valore vincolante all'elencazione delle materie da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica, contenuta nella L. n. 13 del 1991, tale da determinare, per ciò solo, l'abrogazione tacita di tutti quei testi normativi che prevedessero una forma di concerto statale sotto forma dell'approvazione con decreto presidenziale, apparendo invece più conforme alla ratio legis di quel testo normativo - diretta alla semplificazione amministrativa- assumere che con tale disposizione si fossero volute adattare - semplificandole- le precedenti forme di cooperazione normativa.3.b.1 - A riprova di tale assunto sta l'art. 2 del citato testo normativo ("1. Gli atti amministrativi, diversi da quelli previsti dall'art. 1, per i quali è adottata alla data di entrata in vigore della presente legge la forma del decreto del Presidente della Repubblica, sono emanati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o con decreto ministeriale, a seconda della competenza a formulare la proposta sulla base della normativa vigente alla data di cui sopra. 2. Gli atti amministrativi di cui al comma 1, ove proposti da più Ministri, sono emanati nella forma del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) - che opera la trasformazione di quella forma di controllo in una di grado costituzionalmente minore, affidato al Presidente del Consiglio dei Ministri o ai singoli ministri (che, nel caso della legittimazione, andava identificato nel Ministero per le politiche agricole e, successivamente alla promulgazione della L. n. 491 del 1993, nel Ministero della Giustizia) 3.c - Quanto testé esposto consente di risolvere il problema prospettato dell'incidenza della riforma in senso "federalista" ( secondo l'accezione usata dalla ricorrente) degli artt. 117 e 118 Cost.: invero la ritenuta residualità delle competenze statuali normative ben si può conciliare con la conservazione , in specifiche materie, di un potere di concerto tra Stato e Regione che non si identifica nel potere di controllo sull'attività amministrativa - disciplinato da ultimo dal D.Lgs. n. 40 del 1993 essendo invece espressione di un contributo paritario alla formazione dell'atto, divenendone parte costitutiva - di tal che il decreto presidenziale diventa l'unico atto da impugnare ( vedi sul punto: Cons Stato Sez. 6^, 961/1999).(omissis)4- Con il quarto motivo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell'istituto della disapplicazione degli atti amministrativi - disciplinata dalla L. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E. 4.a - Sostiene innanzi tutto la ricorrente che le controparti, essendo possessori del terreno ove si era esplicata la loro attività edificatoria, non sarebbero state latrici di un interesse giuridicamente protetto alla disapplicazione di un provvedimento amministrativo di legittimazione- ma solo di una situazione di fatto: la tesi non può essere seguita perché il possesso, pur essendo una situazione fattuale, come tale è disciplinata e tutelata dall'ordinamento e, di conseguenza, fa sorgere il diritto alla sua conservazione; in ogni caso poi la disapplicazione, come visto nell'esame del primo motivo, non presuppone l'impulso di parte, le volte in cui l'atto da disapplicare faccia parte dell'iter procedimentale del provvedimento che costituisce il titolo legittimante per l'accoglimento della domanda.4.b - In secondo luogo la ricorrente evidenzia che l'istituto della disapplicazione non sarebbe invocabile nel caso di sentenze costitutive in cui il provvedimento richiesto incidesse come tale nel campo di azione della pubblica amministrazione: ciò si sarebbe verificato nel caso in esame, dal momento che, attraverso la contestazione del titolo legittimante operata dalle parti attualmente intimate, l'azione della ricorrente si sarebbe posta come avente natura petitoria, e la declaratoria di nullità del provvedimento di affrancazione - sostenuta nella sentenza di appello - sarebbe stata resa oltre i limiti stabiliti dal citato art. 4 della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo; viene infine dedotta nel motivo l'impossibilità di disapplicare amministrativi prodromici ad un negozio in cui la P.A. agisca iure privatorum al fine di togliere di efficacia a quest'ultimo.4.c - Il motivo è destituito di fondamento sotto tutti i cennati profili. 4.c.1. - Va invero precisato che, sebbene la Corte di Appello abbia fatto accenno alla nullità dell'atto di affrancazione come conseguenza della carenza di un suo presupposto - vale a dire di un provvedimento di legittimazione adottato dall'autorità prevista dalla legge, di tal che l'attribuzione del terreno avrebbe interessato un bene tutt'ora appartenente al demanio civico, inalienabile per il disposto della Legge Fondamentale del 1927, artt. 12 e 21 - di tale statuizione non si trova traccia nel dispositivo che si è limitato a respingere l'appello, confermando la sentenza di primo grado (che pure sul punto non appare aver emesso una esplicita declaratoria di invalidità) - così che deve affermarsi che l'accoglimento dell'eccezione dei coniugi C. - Co. non comportava un accertamento, in via principale, della nullità dell'affrancazione ma solo la non utilizzabilità di tale negozio da parte della T. come titolo di legittimazione di costei per richiedere il rilascio del terreno.4.c.2 - Ne deriva che vengono a cadere le astratte considerazioni in merito alla impossibilità di annullare o caducare provvedimenti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario (in disparte l'osservazione che quello che, in ipotesi, sarebbe stato disapplicato, sarebbe stato il provvedimento di legittimazione e non certo l'atto di affrancazione); va poi recisamente negato che la facoltà della disapplicazione possa trovare ostacolo nel fatto che l'atto amministrativo si inserisca come presupposto di un'ulteriore attività di diritto privato della P.A., atteso che l'espressione della volontà amministrativa espressa nella legittimazione delle occupazioni abusive ha una sua autonomia funzionale e strutturale, tale da essere autonomamente impugnabile in sede amministrativa ( vedi ex multis le fattispecie esaminate da T.A.R. Puglia- Bari, Sez. 1^, 211/2011 e da Consiglio Stato, Sez. 6^ 961/1999 in cui si discuteva proprio della procedura di legittimazione disciplinata dalla ricordata legge della Regione Campania n. 11/1981) e, di conseguenza tale da essere suscettibile di disapplicazione.4.c.3 - Il quesito di diritto posto a corredo del motivo testé esaminato appare altresì privo di idoneo momento di sintesi in quanto riporta, nell'interrogazione rivolta alla Corte , solo una parte della res dubia - sulla quale la Cassazione avrebbe dovuto esplicare la sua funzione regolatrice - limitandosi a sostenere l'erroneità dell'esercizio della facoltà di disapplicazione al provvedimento di affrancazione, al fine di tutelare una mera situazione di fatto.5- Il principio di diritto enucleabile dalla sentenza di appello va dunque corretto - à sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, sostituendosi l'approvazione presidenziale con quella del Ministro della Giustizia (mancante, al pari della prima), fermi restando gli illustrati effetti preclusivi del perfezionamento dell' iter conducente alla legittimazione (e l'invalidità derivata del negozio di affrancazione) sulla titolarità del diritto dominicale in capo alla ricorrente, come illustrati dalla Corte territoriale.»

Sintesi: La disapplicazione da parte del giudice ordinario del provvedimento amministrativo presuppone che quest'ultimo attribuisca al soggetto che lo invoca a proprio vantaggio una posizione soggettiva spendibile nel conflitto con l'altra parte, sicché eliminato concettualmente il provvedimento e i suoi effetti sulla controversia, questa possa essere decisa mediante l'applicazione delle norme comuni.

Estratto: «9. - Anche la quarta censura non ha pregio.La disapplicazione da parte del giudice ordinario del provvedimento amministrativo presuppone che quest'ultimo attribuisca al soggetto che lo invoca a proprio vantaggio una posizione soggettiva spendibile nel conflitto con l'altra parte, sicché eliminato concettualmente il provvedimento e i suoi effetti sulla controversia, questa possa essere decisa mediante l'applicazione delle norme comuni.Nella specie, è proprio e solo l'applicazione di queste ultime che consente di dirimere la lite, atteso che il provvedimento di assenso alla costruzione non attribuisce in nessun caso al suo destinatario alcun diritto nei confronti dei terzi, essendo emesso salvo i diritti di questi ed esaurendo la propria rilevanza nell'ambito del rapporto di natura pubblicistica tra il richiedente e la P.A. stessa (giurisprudenza nota e costante di questa Corte: cfr. per tutte Cass. n. 12405/07).»

Sintesi: Poichè al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell'atto amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità del provvedimento - incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere - ma non ha il potere di sostituire l'amministrazione negli accertamenti e nelle valutazioni di merito che sono di sua esclusiva competenza, il richiedente deve specificamente indicare i vizi dell'atto amministrativo del quale chiede la disapplicazione.

Estratto: «2.2. - Quanto al vizio di violazione dell'art. 5 della L.A.C., e specificamente alle censure riportate sopra sub 2 lettera b), il ricorso presenta evidenti carenze in punto di autosufficienza.In primo luogo, non riporta, nemmeno per estratto, il contenuto del decreto ministeriale, del quale ha invocato la disapplicazione in sede di merito, così violando il disposto dell'art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e rendendo di fatto impossibile il controllo di questa Corte sul sindacato compiuto dal giudice di merito, se non altro con riguardo al dedotto vizio di mancanza di motivazione del provvedimento amministrativo.In secondo luogo, poiché al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell'atto amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità del provvedimento - incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere - ma non ha il potere di sostituire l'amministrazione negli accertamenti e nelle valutazioni di merito che sono di sua esclusiva competenza (cfr. Cass. n. 332/02, n. 14728/06, tra le altre), il ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare i vizi dell'atto amministrativo del quale aveva chiesto la disapplicazione, e non soffermarsi sul merito della valutazione sul carattere di "pregio" dell'unità abitativa, riservata all'attività discrezionale della p.a..Invece in ricorso sono solo genericamente indicati i vizi in forza dei quali sarebbe stata chiesta la disapplicazione del decreto ministeriale: essere stato "evidentemente emesso in situazione non prevista dalla legge" ed in ogni caso "perché in alcun modo motivato" (pag. 21 del ricorso); tali vizi sembrano riconducibili alla violazione di legge, ma il primo potrebbe essere anche ricondotto alla carenza di potere. La genericità del ricorso sul punto induce a ritenere violato il principio dell'autosufficienza anche sotto questo profilo: in particolare, esso non riporta le censure mosse al provvedimento amministrativo così come il ricorrente le avrebbe proposte dinanzi al giudice di secondo grado, al fine di invocarne la disapplicazione.»

Sintesi: Il perfezionamento del procedimento di pubblicazione dello strumento urbanistico generale determina una presunzione di legittimità dell'iter del procedimento di adozione e approvazione del medesimo: eventuali vizi di legittimità possono essere certamente essere incidentalmente conosciuti dal G.O. ai fini della disapplicazione, ma essi, ove già non risultanti evidenti ex actis, devono essere dedotti dalle parti.

Estratto: «Se è vero che il principio iura novit curia impone al giudice di prendere cognizione, di ufficio ed indipendentemente da attività probatorie o impulso di parte, non solo delle fonti normative primarie, di rango legislativo, ma anche di quelle secondarie, integrative delle disposizioni di legge regolanti il rapporto controverso (come è stato ripetutamente affermato da questa Corte in tema di individuazione ed applicazione delle norme edilizie locali, integrative ex artt 872 e 873 c.c., di quelle civilistiche sulle distanze nelle costruzioni: v., tra le altre sent. nn. 14446.10, 176692: 09, 2563.09), altrettanto vero è che il normale compito di ricerca ed individuazione al riguardo del giudice civile si esaurisce all'atto del formale riscontro della giuridica esistenza della norma regolamentare emanata dalla P.A. all'esito del procedimento a tanto finalizzato. Tale esistenza, nel caso dei P.R.G. soggetti alla disciplina contenuta nella L. n. 1150 del 1942, art. 10 nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, coincideva con il perfezionamento del procedimento amministrativo conclusosi con la pubblicazione del provvedimento di approvazione di cui al primo comma del medesimo articolo, costituito da un decreto del Ministro per i Lavori Pubblici, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici (competenza poi trasferita dalla L. n. 291 del 1971, al Presidente della Giunta Regionale), formalità quest'ultima determinante una presunzione di legittimità del complesso iter di adozione e approvazione dello strumento urbanistico culminato nell'adempimento medesimo.E' pur vero che il giudice avrebbe potuto, in virtù dei poteri conferitigli dai tuttora vigenti principi di cui alla fondamentale L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, all. E conoscere incidentalmente, agli effetti della relativa disapplicazione, di eventuali vizi di legittimità afferenti il procedimento de quo, ma a tal proposito gli stessi, ove già non risultanti evidenti ex actis, avrebbero dovuto al fine di superare la suddetta presunzione, essere dedotti dalle parti.»

Sintesi: L'estraneità al giudizio della pubblica amministrazione comporta che le eventuali questioni concernenti la valutazione di aspetti di pubblico interesse, ovvero la disapplicazione o il sindacato di legittimità di provvedimenti amministrativi in via meramente incidentale, attengono al merito e non alla giurisdizione.

Estratto: «che il primo motivo è infondato;che, secondo i consolidati principi affermati dalle sezioni unite di questa Corte: a) il criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinano e giudici speciali si individua nel cosiddetto "petitum sostanziale", il quale si risolve nell'irrilevanza delle formule giuridiche utilizzate dall'attore...
[...omissis...]

Sintesi: L'attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A..

Sintesi: Il giudice può rilevare la non conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici non solo quando l'atto sia illecito perché frutto di attività criminosa ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell'amministrazione, ma anche nei casi in cui l'emanazione dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge e in quelli di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere.

Sintesi: Il potere dovere del giudice in presenza dell'atto abilitativo illegittimo deve essere esercitato anche con riferimento a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale.

Estratto: «La giurisprudenza di questa Corte, proprio con riferimento al reato di esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, ha ripetutamente considerato le conseguenze derivanti dall'esecuzione di interventi edilizi con permesso di costruire (in precedenza concessione) illegittimo e sui poteri del giudice penale in presenza di vizi di legittimità del titolo abilitativo.La questione è stata oggetto di numerose pronunce della Corte di cassazione, anche a sezioni unite, non sempre di contenuto univoco che seguivano a molteplici pronunce di merito le quali ammettevano originariamente il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo illegittimo (Cass. SS.UU. n. 3, 17 febbraio 1987; SS.UU. n. 11635 21 dicembre 1993).Successivamente si è giunti alla condivisibile conclusione che l'attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A..A tale proposito si è precisato che la valutazione del giudice penale riguarda l'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non configura alcuna "disapplicazione" ovvero una indebita ingerenza verso la P.A., in quanto viene esercitato un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice. Inoltre, il giudice può rilevare la non conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici non solo quando l'atto sia illecito perché frutto di attività criminosa ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell'amministrazione, ma anche nei casi in cui l'emanazione dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge e in quelli di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere (Sez. 3, n.35391, 30 settembre 2010; n. 34809, 8 settembre 2009; n. 14504, 2 aprile 2009; n. 9177, 2 marzo 2009; n. 35389, 16 settembre 2008; n. 28225, 10 luglio 2008; n. 41620,13 novembre 2007; n. 1894, 23 gennaio 2007; n. 40425, 12 dicembre 2006; n. 21487, 21 giugno 2006).Si poi ulteriormente precisato che il potere dovere del giudice in presenza dell'atto abilitativo illegittimo deve essere esercitato anche con riferimento a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 23080, 10 giugno 2008, conf. Sez. 3, n. 27948, 8 luglio 2009; n. 12869, 24 marzo 2009; n. 31479,29 luglio 2008; n. 26144, 1 luglio 2008).Tali principi erano stati ritenuti in precedenza applicabili anche nelle ipotesi di "condono edilizio" disciplinato dalla L. n. 724 del 1994 (Sez. 3, n. 5031, 27 aprile 2000).Si è inoltre chiarito che, nell'esercizio di tale potere-dovere, il giudice penale deve verificare la sussistenza dei requisiti di condonabilità dell'intervento e, segnatamente, con riferimento specifico al condono introdotto con la L. n. 724 del 1994: la tempestività della domanda; la riferibilità della domanda agli imputati o ai comproprietari dell'immobile abusivo; la riferibilità della domanda all'immobile stesso; la ultimazione dei lavori entro il termine di legge; i requisiti volumetrici dell'immobile costruito; la congruità quantitativa dell'oblazione versata, attraverso l'acquisizione del certificato a tal fine rilasciato dal Sindaco competente (Sez. 3, n. 10512, 20 novembre 1997; conf. Sez. 3, n. 9367, 17 ottobre 1997; n. 13836, 5 aprile 2001).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare. 

L’articolo sopra riportato è composto da contenuti tratti da questo prodotto (in formato PDF) acquistabile e scaricabile con pochi click. Si invita a scaricarsi il sampler gratuito per constatare l'organizzazione dei contenuti.

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