Giurisdizione sull'ingiunzione di pagamento di canoni per l'utilizzazione di beni demaniali

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> GIUDICE AMMINISTRATIVO, IN GENERALE

Sintesi: Le azioni esperibili di fronte al giudice amministrativo sono previste dal codice del processo amministrativo agli artt. 29 (azione di annullamento), 30 (azione di condanna), 31 (azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità) e 112 (azione di ottemperanza); non sono previste azioni di accertamento della proprietà.


Estratto: «Pur essendo pacifica la giurisdizione di questo Giudice Amministrativo sulle controversie in tema di espropriazione, fino a ricomprendere anche quelle aventi per oggetto comportamenti, se riconducibili all’esercizio di un pubblico potere (Cons. Stato, AA. PP. 30 luglio 2007, n. 9 e 22 ottobre 2007, n. 12; CGARS, 6 marzo 2008, n. 188...
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Sintesi: Nell’ipotesi in cui la P.a. emetta un'ingiunzione di pagamento di canoni per l’utilizzazione di beni demaniali, sul presupposto della loro appartenenza al demanio pubblico e il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, la cognizione della controversia spetta al Giudice amministrativo ove il privato deduca vizi di legittimità dell’atto amministrativo, invocando il cattivo uso del potere autoritativo in materia di concessioni di beni pubblici.

Estratto: «Dalla documentazione versata in atti emerge, da un lato, la diretta attinenza della controversia in esame alla materia delle concessioni di beni pubblici e, dall’altro, la connotazione in termini di diritto soggettivo delle posizioni giuridiche fatte valere dalle parti. La giurisdizione, infatti, a norma dell’art. 386 c.p.c., va determinata in base all’oggetto della domanda...
[...omissis...]

Sintesi: La giurisdizione dei tribunali amministrativi regionali in materia di ricorsi contro i provvedimenti con i quali la concessione edilizia viene data o negata, nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo per generi di urbanizzazione, prevista dalla L. n. 10 del 1977 cha ha sostituito al regime della licenza edilizia quello concessorio, per la propria natura esclusiva si estende anche alle controversie che insorgono in via di ripetizione di quanto si assuma indebitamente pagato per gli oneri di urbanizzazione.

Estratto: «Ritenuto che nel costituirsi il Comune, facendo esplicito riferimento tanto alla L. n. 10 del 1977, art. 3 (Contributo per il rilascio della concessione) quanto all'art. 9 (cessione - rectius: concessione - gratuita), ha rimarcato la pertinenza degli oneri pretesi al tipo di concessione richiesto dal ricorrente e ribadito l'obbligo del pagamento di essi per ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, stabilito dalla L. n. 10 del 1977, artt. 1 e 3 (cfr. ora: D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 378, art. 16) e dalle norme tecniche di attuazione del locale piano regolatore generale; ritenuto che, sulla base degli assunti delle parti, l'oggetto della causa va individuato nella ripetizione degli oneri imposti per il rilascio della concessione edilizia n. (OMISSIS) e che attengono, invece, alla fondatezza della domanda proposta le questioni relative all'identificazione di essi, in tutto o in parte, con quelli soggettivamente od oggettivamente non dovuti per essere stato il fabbricato realizzato dalla venditrice nell'anteriore regime dettato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, ed alla legittimità delle norme che hanno giustificano la richiesta da parte del Comune del loro pagamento;ritenuto che la L. n. 10 del 1977, che ha sostituito al regime della licenza edilizia quello concessorio, ha devoluto nel suo art. 16 alla giurisdizione dei Tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro i provvedimenti con i quali la concessione edilizia viene data o negata, nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo per generi di urbanizzazione, e che tale giurisdizione, per la sua natura esclusiva, si estende anche alle controversie che insorgono in via di ripetizione di quanto si assuma indebitamente pagato per gli oneri di urbanizzazione, (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. un., sent. 14 novembre 2005, n. 22904);ritenuto che, pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, davanti al quale vanno rimesse le parti (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 22 febbraio 2007, n. 4109).»

Sintesi: Le disposizioni attributive della giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, in considerazione della loro natura eccezionale, vanno interpretate restrittivamente.

Estratto: «Queste Sezioni Unite hanno da ultimo ribadito, dopo alcune oscillazioni seguite alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, dichiarativa della parziale incostituzionalità del D.Lgs. 31 marzo 2000, n. 80, art. 34, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7...
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Sintesi: In materia di concessione di beni pubblici le controversie relative all’atto generale di determinazione della tariffa, e non a questione individuale sul canone o sul corrispettivo, sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo e non del giudice ordinario.

Estratto: «Rilevato che: - i ricorrenti sono soggetti privati inseriti in graduatoria dal Comune di Foggia per la concessione, di durata novantanovennale, di suoli cimiteriali al fine di realizzare cappelle gentilizie;- il Comune di Foggia, con i provvedimenti impugnati, determinava il costo del suolo a metro quadrato in €. 1.847,61, somma ritenuta dai ricorrenti eccessiva e immotivata;considerato, in tema di riparto di giurisdizione, che:- anche dopo la riforma introdotta dalla l. 21 luglio 2000 n. 205, il riparto della giurisdizione in materia di concessione dei beni pubblici (nella specie, concessione di suolo pubblico) resta regolato dall'art. 5 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, che distingue i ricorsi contro "atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni" che sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali, dalle controversie concernenti "indennità, canoni e altro corrispettivi" per i quali resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria;- nel caso di specie, peraltro, essendo la controversia relativa all’atto generale di determinazione della tariffa e non a questione individuale sul canone o sul corrispettivo, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo (Consiglio Stato, sez. V, 30 aprile 2003 , n. 2265);»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> GIUDICE AMMINISTRATIVO, IN GENERALE --> COGNIZIONE SULL'ATTO AMMINISTRATIVO

Sintesi: La competenza giurisdizionale a conoscere le domande che investano la legittimità degli atti del procedimento di espropriazione in generale - con le quali vengano dedotte scorrettezze commesse dall'espropriante nell'esercizio del potere ablativo, apparteneva già prima della L. n. 205 del 2000 al giudice amministrativo, deputato a verificare la lesione dell'interesse legittimo della parte alla regolarità dell'azione amministrativa.

Estratto: «Motivi della decisioneche, i ricorrenti - a sostegno del promosso regolamento di giurisdizione - osservano: a) in punto di ammissibilità del ricorso, che essi sono portatori di un interesse concreto ed immediato alla risoluzione definitiva od immodificabile della questione di giurisdizione...
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Sintesi: Le scelte effettuate dall’amministrazione in sede di pianificazione urbanistica, pur essendo connotate da un’amplissima discrezionalità, non sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, laddove siano inficiate da arbitrarietà, irrazionalità od irragionevolezza, ovvero dal travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare.

Estratto: «Infine il Collegio rammenta che, secondo un consolidato orientamento (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2291), le scelte effettuate dall’amministrazione in sede di pianificazione urbanistica, pur essendo connotate da un’amplissima discrezionalità, non sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, laddove siano inficiate da arbitrarietà, irrazionalità od irragionevolezza, ovvero dal travisamento dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare. Pertanto, se è vero che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5357), la reiezione delle osservazioni presentate dei privati in sede di formazione del piano regolatore generale (da qualificare come meri apporti collaborativi alla formazione dello strumento urbanistico) non richiede un particolare onere di motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano, è anche vero che la decisione sull’osservazione deve comunque essere congrua rispetto agli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento dell’osservazione stessa (T.A.R. Sardegna Cagliari, Sez. II, 25 marzo 2005, n. 469) ed è, quindi, sindacabile da parte del giudice amministrativo.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> GIUDICE AMMINISTRATIVO, IN GENERALE --> COGNIZIONE SULL'ATTO AMMINISTRATIVO --> DISAPPLICAZIONE ATTI ILLEGITTIMI

Sintesi: Al giudice amministrativo, al di fuori dei casi tassativamente previsti, non è consentita una cognizione incidentale del provvedimento illegittimo ai fini della sua disapplicazione.

Estratto: «Stabilita la giurisdizione del g.a., occorre esaminare la domanda di AMSC diretta alla declaratoria di nullità del contratto di servizio da essa stipulato con il Comune di S.C., in quanto non preceduto da una procedura ad evidenza pubblica.Tale domanda è, tuttavia, inammissibile, non essendo stato tempestivamente impugnato il provvedimento con cui il Comune intimato ha disposto l’affidamento diretto del servizio.Invero, secondo una pacifica giurisprudenza, la procedura di affidamento costituisce una fase autonoma (ancorché connessa) rispetto a quella della stipulazione del contratto, i cui vizi non si riverberano direttamente sulla validità del negozio, ma devono essere tempestivamente fatti valere dai soggetti che si assumono lesi attraverso l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione o, come è accaduto nel caso di specie, di affidamento diretto (Consiglio di Stato, V, 15 marzo 2010, n. 1498).Al giudice amministrativo, al di fuori dei casi tassativamente previsti, non è, peraltro, consentita una cognizione incidentale del provvedimento illegittimo ai fini della sua disapplicazione (art. 34, comma 3 c.p.a.). Né la cogenza del termine d’impugnazione può venir meno allorché l’illegittimità dell’atto di affidamento derivi dalla violazione di norme di rango comunitario, atteso che, anche in tal caso, la patologia che colpisce il provvedimento è quella della annullabilità e non della nullità, stante il fatto che il contrasto con il diritto CE non rientra fra i casi tassativi in cui l’art. 21 septies della L. 241 del 1990 prevede che il provvedimento possa risultare affetto da tale forma di invalidità (Consiglio di Stato, VI, 31 marzo 2011, n. 1983).»

Sintesi: L’istituto della disapplicazione opera solo per gli atti formalmente e sostanzialmente normativi.

Estratto: «Il terzo ricorso si appalesa invece tardivo e, quindi, irricevibile rispetto al dies a quo, da identificare nel momento in cui le norme tecniche di attuazione hanno manifestato la concreta attitudine lesiva, ossia all’epoca della conoscenza della concessione edilizia impugnata con il primo ricorso. Non giova al ricorrente il dedotto profilo del carattere non meramente confermativo dell’atto (prot. n. 364 del 6 febbraio 1999), con il quale si è concluso negativamente il procedimento finalizzato all’annullamento della concessione edilizia n. 37/98 (rilasciata in data 3 novembre 1998), in quanto tale aspetto, relativo all’atto applicativo (ovvero la concessione edilizia), non incide sull’insorgenza dell’onere di impugnazione del piano regolatore a partire dal momento in cui detto atto ha manifestato la sua concreta idoneità a ledere la sfera giuridica del ricorrente. Va soggiunto che il principio di certezza dei rapporti giuridici, a tutela del quale è posta la previsione del termine decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, da un lato, esclude la pertinenza del riferimento all’istituto della disapplicazione, operante solo per gli atti formalmente e sostanzialmente normativi e, dall’altro, impedisce di annettere all’adozione di ogni atto attuativo del piano l’effetto di sancire la riapertura del termine di impugnazione delle specifiche disposizioni pianificatorie che si siano consolidate per effetto della mancata tempestiva impugnazione nel termine decadenziale decorrente dalla conoscenza dell’originaria produzione dell’effetto lesivo (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 4244 del 2012 e sez. V, n. 2629 del 2010, cui si rinvia a mente dell’art. 88,co. 2, lett. d), c.p.a.).»

Sintesi: Non è consentito al giudice amministrativo, per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, disapplicare il provvedimento amministrativo, non potendo essere eluso il termine per l'impugnazione degli atti amministrativi al quale l'ordinamento riconosce la funzione di consolidare, entro un termine ragionevole, gli effetti dell'azione amministrativa.

Estratto: «La domanda di disapplicazione dei suddetti atti deve essere dichiarata, invece, inammissibile, non essendo consentito al giudice amministrativo, per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, disapplicare il provvedimento amministrativo, non potendo essere eluso il termine per l'impugnazione degli atti amministrativi al quale l'ordinamento riconosce la funzione di consolidare, entro un termine ragionevole, gli effetti dell'azione amministrativa.In linea di principio, potrebbe essere dichiarata, in alternativa alla richiesta disapplicazione, la nullità degli atti emessi in difetto assoluto di attribuzione.Ciò in quanto, prima dell’entrata in vigore del codice processuale amministrativo che ha disciplinato, appunto, l’azione di nullità nel processo amministrativo, non era stabilito dalla legge alcun termine di decadenza per la proposizione della suddetta domanda dichiarativa della nullità. Nella fattispecie, peraltro, non è possibile addivenire alla declaratoria di nullità degli atti impugnati.Non solo perché il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato impedisce al giudice di dichiarare la nullità di un atto in difetto della relativa domanda, laddove parte ricorrente si è limitata a chiedere l’annullamento o la disapplicazione degli atti contestati.Ma anche perché, seppure si volesse intendere che la deduzione, contenuta nel ricorso, della nullità degli atti impugnati, in quanto emessi, secondo parte ricorrente, in carenza assoluta di potere, contenga, implicitamente, la domanda di accertamento della nullità di tali atti, osterebbe a tale pronuncia la dirimente considerazione che, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non è configurabile l’istituto giuridico della carenza di potere, anche dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto l’attività amministrativa esercitata in conseguenza della dichiarazione di pubblica utilità possiede il carattere autoritativo tipico del potere pubblicistico, per cui gli atti, anche illegittimi, adottati nell’esercizio del potere espropriativo, possono essere annullati solo se tempestivamente impugnati e non dichiarati nulli in qualsiasi momento, come se fossero stati adottati in carenza assoluta di potere.L'inoppugnabilità degli atti lesivi determina il definitivo consolidamento dei rapporti giuridici dedotti, con conseguente inoppugnabilità delle determinazioni assunte in merito dall'amministrazione provinciale.»

Sintesi: Il potere di disapplicazione dei regolamenti, anche se non ritualmente impugnati, è ammesso, in caso di contrasto tra norme di rango diverso (conflitto di norme-fonti non omogenee nella loro forza precettiva, ma simultaneamente abilitate e intervenire direttamente sulla stessa fattispecie concreta), per garantire il rispetto della gerarchia delle fonti e accordare, quindi, prevalenza a quella di rango superiore, e cioè alla legge o comunque agli atti di rango primario.

Estratto: «5.1.- La Sezione, ribadita la inammissibilità delle censure rivolte all’originario provvedimento di autorizzazione n. 54 del 1988, non impugnato in primo grado, ritiene che dette censure siano comunque insuscettibili di positiva valutazione.Il provvedimento n. 70 del 1989, prot. n. 4197, di autorizzazione alla esecuzione di interventi di restauro e risanamento conservativo ex art. 31 legge n. 457/1978, lettera c), è stata adottato vista la domanda del sig. Q. di autorizzazione edilizia ad eseguire lavori consistenti in “intervento di restauro e risanamento conservativo in variante in corso d’opera all’autorizzazione edilizia n. 54/88”, verificato che i lavori di cui alla variante erano conformi allo strumento urbanistico vigente, visti gli artt. 10 e 13 della l. n. 47/1985, atteso che risultava versato l’importo dovuto a titolo di sanzione pecuniaria a seguito della ordinanza n. 19/1989 e visti, tra l’altro i regolamenti comunali di edilizia.Ai sensi dell’art. 13 della l. n. 47/1985 il responsabile dell'abuso può infatti ottenere la concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera eseguita in assenza della concessione o l'autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda.Gli interventi di restauro e di risanamento conservativo sono indicati e specificati nell’art. 31 lettera c) della l. n. 457/1978, il cui ultimo comma prevede che “Le definizioni del presente articolo prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Restano ferme le disposizioni e le competenze previste dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni ed integrazioni.”Essi interventi sono sottoposti, ai sensi dell'art. 7 comma 1, della l. 25 marzo 1982 n. 94, al regime autorizzatorio di cui all'art. 48 della citata l n. 457/1978, sempre che l'immobile non ricada all'interno di area vincolata ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089 o della l. 29 giugno 1939 n. 1497.Per le opere di restauro conservativo è quindi sufficiente (ai sensi di dette disposizioni, che vanno osservate anche se i regolamenti locali siano con esse in contrasto perché la norma di legge prevale su quelle di rango inferiore) la semplice autorizzazione del sindaco (Consiglio Stato sez. V 17 dicembre 1996 n. 1551).Infatti, il potere di disapplicazione dei regolamenti, anche se non ritualmente impugnati, è ammesso, in caso di contrasto tra norme di rango diverso (conflitto di norme-fonti non omogenee nella loro forza precettiva, ma simultaneamente abilitate e intervenire direttamente sulla stessa fattispecie concreta), per garantire il rispetto della gerarchia delle fonti e accordare, quindi, prevalenza a quella di rango superiore, e cioè alla legge o comunque agli atti di rango primario.Legittimamente quindi l’intervento di cui trattasi è stato sanato con autorizzazione e non con concessione edilizia, dovendo ritenersi la disposizione contenuta nel regolamento edilizio del Comune de quo, all’art. 4, n. 1, lettera H), superata dalle norme di rango primario prima indicate che escludono per la realizzazione di opere di restauro la necessità della concessione edilizia.»

Sintesi: Al Giudice Amministrativo non è consentito, ai sensi degli artt.4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E., abolitiva del contenzioso amministrativo, la disapplicazione di atti amministrativi, anche ove eventualmente ritenuti illegittimi.

Estratto: «Inoltre, come noto, al Giudice Amministrativo non è consentito, ai sensi degli artt.4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E., abolitiva del contenzioso amministrativo, la disapplicazione di atti amministrativi, anche ove eventualmente ritenuti illegittimi (Consiglio Stato , sez. V, 17 febbraio 2010 , n. 934). In ogni caso, giova evidenziare che la disapplicazione non potrebbe comunque essere disposta ad istanza dell'Amministrazione che, come nel caso in esame, ha dato causa al vizio che inficia la legittimità dell’atto (Cassazione civile , sez. lav., 09 marzo 2010, n. 5703).»

Sintesi: A prescindere dalla sua formale impugnazione, al giudice amministrativo è consentito disapplicare la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con la norma di legge, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo.

Estratto: «3.1. Orbene, rileva intanto il Collegio come il ricorso critichi per più profili il diniego per invalidità derivata dall’art. 70 del regolamento edilizio, approvato con deliberazione 17 gennaio 2005, n. 4, norma anch’essa oggetto d’impugnazione, e per la quale soltanto il Comune oppone la tardività ovvero l’inammissibilità del gravame, sia perché proposto nei confronti di una disposizione immediatamente lesiva, che, dunque, avrebbe dovuto essere impugnata non appena entrata in vigore, sia perché la disposizione censurata è stata già opposta a Vodafone, in occasione di un precedente diniego espresso nel novembre 2006, per un altro impianto che egualmente doveva essere collocato a meno di 200 metri dalla stessa scuola.3.2. Invero, l’eccezione può essere semplicemente superata, rammentando che, a prescindere dalla sua formale impugnazione, al giudice amministrativo è consentito disapplicare la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con la norma di legge, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo (C.d.S., VI, 29 maggio 2008, n. 2536; id. 3 ottobre 2007, n. 5098; T.A.R. Lombardia Milano, II, 19 febbraio 2009, n. 1322).In ogni caso, la lesione consegue all'emanazione del provvedimento applicativo di quello generale, “così che il termine per impugnare, contestando le prescrizioni generali in concreto applicate, decorre dalla conoscenza del provvedimento che ne fa applicazione; quest'ultimo, infatti, è quello che comporta l'attualità e la concretezza della lesione della situazione soggettiva protetta” (C.d.S., VI, 8 settembre 2009, n. 5258): e ciò vale evidentemente per ogni autonomo diniego che non sia meramente confermativo di altro precedente, seppure fondato sullo stesso atto generale.Il ricorso, consegnato per la notifica il giorno 11 novembre successivo, è dunque da ritenersi tempestivo, giacché non è stato eccepito che il diniego sia stato conosciuto da Vodafone oltre sessanta giorni prima, tenendo conto della sospensione feriale.»

Sintesi: L'amministrazione ed il giudice amministrativo non possono disapplicare gli strumenti pianificatori che non abbiano natura regolamentare.

Estratto: «Per quanto concerne la richiesta disapplicazione del p.r.g. (poi estesa in appello alla presupposta norma del piano ambientale – cfr. pagina 17 dell’atto di gravame e pagine 9 e ss. della comparsa conclusionale), la sezione ne rileva la manifesta inammissibilità in quanto entrambi gli strumenti pianificatori in questione non hanno natura regolamentare, il che esclude la possibilità, per l’amministrazione ed il giudice, di disapplicare la relativa disciplina non potendosi configurare un conflitto apparente di norme giuridiche risolvibile con gli strumenti esegetici divisati dalle disposizioni preliminari al c.c. fra cui il criterio gerarchico (cfr. in termini Cons. St., sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2629).»

Sintesi: Il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento.

Estratto: «5. L’appellante lamenta violazione dell’art. 83 del proprio regolamento edilizio il quale non consente l’installazione di stazioni radio base all’interno del centro abitato; inoltre, la normativa della zona “B1 residenziale satura” vieta l’installazione di manufatti di altezza superiore a mt. 13,50, mentre quello di cui si discute è alto mt. 17 dal livello del piano di campagna.Neanche questa censura può essere condivisa.La potestà regolamentare in materia è attribuita ai Comuni dall’art. 8, comma sesto, della legge 22 febbraio 2001, n. 36.Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che tale potestà è esercitata mediante la previsione di ‘criteri localizzativi” e la previsione di “limiti alla localizzazione” ritenendo consentiti i primi, in quanto recanti criteri specifici rispetto a localizzazioni puntuali, e non i secondi, in quanto recanti divieti generalizzati per intere aree (ex multis: C. di S., VI, 5 giugno 2006, n. 3452; 19 maggio 2008, n. 2287; 17 luglio 2008, n. 3596).Su questa base, la citata norma del regolamento edilizio comunale, riguardando l’intero centro abitato, viene a rientrare nella normativa del secondo tipo, non ammessa dal richiamato indirizzo giurisprudenziale.Questo Consiglio ha inoltre chiarito (C. di S.,. VI, 7 giugno 2006, n. 3425) che i limiti delle altezze, dettati per le costruzioni, non si applicano agli impianti tecnologici di cui qui si tratta, essendo stati posti per l’edificazione di strutture e manufatti aventi un rilievo urbanistico ed edilizio diverso da quello dei detti impianti, i quali non sviluppano normalmente volumetria o cubatura, se non limitatamente ai basamenti e alle cabine accessorie, e non determinano perciò ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né simile impatto sul territorio, dovendosi anche considerare che spesso “Le stazioni radio base, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, tramite strutture metalliche, pali o tralicci, talora collocate su strutture preesistenti, su lastrici solari, su tetti, a ridosso di pali”come è nel caso in esame in cui l’impianto da adeguare si trova su un terrazzo.Il richiamato art. 83 del regolamento edilizio comunale deve, in conclusione, essere disapplicato, essendo stato da tempo ammesso “che il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti possa valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento” (C. di S., VI, 3 ottobre 2007, n. 5098).L’argomentazione deve, pertanto, essere disattesa.»

Sintesi: Il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento.

Estratto: «-questo Consiglio ha chiarito (Sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3425) che i limiti delle altezze, dettati per le costruzioni, non si applicano agli impianti tecnologici di cui qui si tratta, essendo stati posti per l’edificazione di strutture e manufatti aventi un rilievo urbanistico ed edilizio diverso da quello dei detti impianti, i quali non sviluppano normalmente volumetria o cubatura, se non limitatamente ai basamenti e alle cabine accessorie, e non determinano perciò ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né simile impatto sul territorio, dovendosi anche considerare che spesso “Le stazioni radio base, per esigenze di irradiamento del segnale, si sviluppano normalmente in altezza, tramite strutture metalliche, pali o tralicci, talora collocate su strutture preesistenti, su lastrici solari, su tetti, a ridosso di pali”, come è nel caso in esame in cui l’impianto è previsto a ridosso di una preesistente ciminiera; - nella sentenza di primo grado oggetto diretto della dichiarazione di disapplicazione è una disposizione (l’art. 83) contenuta nel regolamento edilizio comunale, essendosi da tempo ammesso “che il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti possa valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento” (Cons. Stato, Sez. VI, 3 ottobre 2007, n.5098).»

Sintesi: Il giudice amministrativo, in applicazione del principio di gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell'impugnazione congiunta del regolamento posto a fondamento del provvedimento stesso.

Estratto: «1.1 Ad avviso della difesa dell’amministrazione comunale, il ricorso è stato proposto tardivamente e ciò in quanto Enel doveva impugnare immediatamente la delibera n. 29 del 19.6.2001 con cui veniva approvato il regolamento per il sottosuolo, conosciuta con comunicazione protocollata il 25.7.2001.1.2 I regolamenti sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi e contengono, dunque, di regola, prescrizioni che hanno i caratteri della generalità ed astrattezza.Per tale ragione, la giurisprudenza ritiene che tali atti non siano idonei ad incidere direttamente sulla sfera giuridica dei destinatari e che possano, quindi, essere impugnati solo unitamente al provvedimento che ne costituisca la concreta applicazione.1.3 I c.d. regolamenti c.d. volizione - azione, tuttavia, contengono previsioni che incidono direttamente sulla sfera soggettiva dei destinatari: in tali casi l’insorgere dell’interesse a ricorrere è immediato e non deve attendere l’adozione dell’atto applicativo (Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2000, n. 2581; Sez. IV, 12 ottobre 1999, n. 1558; Sez. VI, 6 giugno 1995, n. 556; Sez. IV, 19 ottobre 1993, n. 897, Sez. IV, 24 marzo 1981, n. 279).1.4 La tempestività dell’impugnazione del regolamento assume, dunque, rilievo con riferimento alle censure rivolte avverso disposizioni che fossero immediatamente lesive. Siccome il Collegio non affronterà l’esame del primo e del terzo motivo di ricorso - in quanto, nel corso dell’udienza, il difensore del ricorrente ha dichiarato, per conto del suo assistito, di non avere più interesse - le uniche disposizioni del regolamento che sono oggetto di gravame, delle quali occorre valutare l’immediata lesività, sono gli artt. 4 e 9 del regolamento (censurati con il secondo motivo di ricorso). 1.5 Tali disposizioni prevedono che il gestore debba versare al Comune, ai fini del rilascio dell’autorizzazione allo scavo, un importo a titolo di oneri di collaudo, due depositi cauzionali, un importo a titolo di degrado del corpo stradale, un compenso per la sorveglianza del cavo ed un importo a titolo del degrado dell’apparato radicale delle essenze vegetali.Il Collegio è dell’avviso che si tratti di previsioni immediatamente lesive e per tale ragione debbano formare oggetto di autonoma impugnazione: gli atti con cui l’amministrazione chiede al concessionario il pagamento delle somme in questione non possono, difatti, avere contenuto diverso dalla mera applicazione di quanto previsto dalle disposizioni regolamentari e dai relativi allegati che prestabiliscono i principi, le modalità e i criteri per la relativa determinazione.Tali disposizioni, d’altro canto, non necessitano neppure di un vero e proprio provvedimento di attuazione dal momento che il regolamento prevede il pagamento anticipato delle varie somme.1.6 Con atto del 19.7.2001, il Comune di Cologno Monzese ha comunicato ad Enel l’approvazione del regolamento, avvenuta con delibera del C.C. n. 29/06/2001; con successiva nota dell’11.9.2001 il Comune ha invitato l’Enel ad un incontro avente ad oggetto la programmazione triennale degli interventi prevista dall’art. 2 del regolamento per il sottosuolo.Con tali atti, l’amministrazione comunale ha reso edotta la ricorrente dell’esistenza e degli elementi essenziali del regolamento.Per costante giurisprudenza, perché si abbia la piena conoscenza del provvedimento lesivo, non è necessario che esso sia conosciuto in tutti i suoi elementi, ma è sufficiente la concreta conoscenza degli elementi essenziali (tra cui il contenuto, costituito dall'oggetto e dagli effetti essenziali), mentre la successiva integrale conoscenza di tutti gli aspetti del provvedimento, e dei suoi atti presupposti, può consentire la proposizione di motivi aggiunti, qualora un ricorso sia già stato presentato (Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1990, n. 817; sez. V, 7 marzo 1987, n. 168; sez. VI, 25 marzo 1985, n. 94; sez. VI, 19 marzo 1984, n. 138; sez. VI, 31 ottobre 1978, n. 1115; sez. VI, 27 gennaio 1978, n. 95).Poiché il ricorso è stato notificato in data 10 gennaio 2002, l’impugnazione del regolamento, è, pertanto, tardiva.1.7 La tardività dell’impugnazione del regolamento non comporta, però, l’inammissibilità del ricorso.1.8 In quanto atto avente natura di regolamento, la delibera n. 29 del 19.6.2001 può, difatti, essere disapplicata dal giudice amministrativo che la ritenga illegittima, anche in assenza di una rituale impugnazione: ormai da tempo la giurisprudenza (v., fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 5098; Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2183), ammette che il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, possa valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell'impugnazione congiunta del regolamento.»

Sintesi: L'orientamento giurisprudenziale che ammette la disapplicazione dei regolamenti non ritualmente impugnati è fondato sul rilievo della natura normativa del regolamento e sulla necessità, in caso di contrasto tra norme di rango diverso, di garantire il rispetto della gerarchia delle fonti e di accordare, quindi, prevalenza a quella di rango superiore, e cioè alla legge o ad altro atto di normazione primaria.

Sintesi: Il Giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell'impugnazione congiunta del regolamento.

Estratto: «Il regolamento del Comune di San Cono per l'alienazione degli immobili comunali di cui alla deliberazione di consiglio comunale n 21 reg. del 28.11.2006 nella fattispecie è stato impugnato contestualmente agli atti applicativi ed al momento in cui è sorto l’interesse in relazione alla concretezza della sua efficacia lesiva.In ogni caso, la mancata impugnazione della predetta norma regolamentare non determina, comunque, l'inammissibilità del ricorso.La norma contenuta all'articolo 10 del predetto regolamento comunale, ancorché non impugnata, va disapplicata perché in contrasto con l’art. 12 della legge n. 127 del 1997 nella parte in cui non garantisce il rispetto di procedure di alienazione dei beni caratterizzate da adeguata pubblicità e concorsualità.L'orientamento giurisprudenziale che ammette la disapplicazione dei regolamenti non ritualmente impugnati è, in particolare, fondato sul rilievo della natura normativa del regolamento e sulla necessità, in caso di contrasto tra norme di rango diverso, di garantire il rispetto della gerarchia delle fonti e di accordare, quindi, prevalenza a quella di rango superiore (e cioè alla legge o ad altro atto di normazione primaria). E' stato affermato, infatti, che il Giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell'impugnazione congiunta del regolamento (Consiglio di Stato VI 3 ottobre 2007 numero 5098).»

Sintesi: Per il principio di gerarchia delle fonti, il G.A. ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge, valutando così direttamente il contrasto tra provvedimento e legge ed annullando il provvedimento, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento.

Estratto: «4. Il Collegio ritiene fondata la lettura di parte ricorrente, per le seguenti ragioni: ai sensi dell'art. 31 lett. d), l. 5 agosto 1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprendeva anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicurasse la piena conformità di sagoma, volume e superficie fra il vecchio e il nuovo manufatto e venisse comunque effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (ex multis Consiglio Stato , sez. IV, 18 marzo 2008 n. 1177; Sez. V, 30.8.2006 n. 5061).E’ poi intervenuto il T.U. dell’Edilizia, che ha espressamente disciplinato la ristrutturazione con demolizione e ricostruzione: nell’art 3 comma 1 lett d), stabilendo che “nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.Anche in base alla disciplina del T.U., quindi, gli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti con demolizione e ricostruzione, possono comportare la realizzazione di un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, purché il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume ed altezza.Infatti a seguito della modifica introdotta dal D. Lvo 201/2002 per l’intervento ricostruttivo che si ricollega ad un intervento demolitorio non si richiede più il riferimento alla fedele ricostruzione ma che il risultato finale coincida, nella volumetria e nella sagoma, con il preesistente edificio demolito.Nel caso de quo è innegabile che, oltre ad essere variata l’altezza, è stato realizzato un immobile con una sagoma differente, elemento che non viene contestato neppure dalla Amministrazione resistente, la quale afferma la legittimità dell’intervento, applicando la nozione di ristrutturazione ai sensi dell’art 66.3.3 del regolamento edilizio, che, come già sopra detto, non richiede il mantenimento della sagoma.Il Regolamento tuttavia, laddove qualifica come ristrutturazione interventi che comportano una diversa sagoma, poiché si pone in contrasto con la norma primaria, non poteva trovare applicazione e comunque può essere disapplicato in questa sede, in conformità al principio di gerarchia delle fonti, secondo cui il G.A. ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge, valutando così direttamente il contrasto tra provvedimento e legge, ed annullando il provvedimento, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento ( Consiglio Stato , sez. VI, 03 ottobre 2007 , n. 5098).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.