Il vizio di "travisamento di fatto" all'origine della revocazione della sentenza impugnata

Sintesi: Il vizio di travisamento di fatto si sostanzia nell'erronea percezione dei fatti di causa quali emergenti, nella loro ontologica realtà, dagli atti di giudizio, nella affermazione o supposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito.

Estratto: «Con particolare riferimento al 2 e 3 motivo va ulteriormente osservato che laddove fa riferimento ad un vero e proprio travisamento del fatto asseritamente operato dalla corte di merito la ricorrente in realtà inammissibilmente adombra un vizio revocatorio.Come questa corte ha avuto più volte modo di affermare...
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Sintesi: L'errore del giudice di merito consistente in una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali non può essere fatto valere con ricorso per cassazione ma soltanto con la revocazione per errore di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c..

Estratto: «6) Il quarto motivo lamenta "carenza di motivazione per travisamento dei fatti". Vi si rileva che la Corte territoriale ha ritenuto nuove la finestra a primo livello sulla destra per chi guarda e la finestra centrale a secondo livello. Si afferma che per contro la casa disponeva originariamente di due aperture per livello e che l'incremento sia stato di una finestra al secondo e una al terzo livello. La Corte avrebbe errato nel non disporre la chiusura della nuova finestra al terzo piano. Il motivo è inammissibile.Viene con esso denunciato un chiaro errore revocatorio, dovute a una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali. Posto che è incontroverso che due su otto erano le nuove aperture, se la violazione era costituita da incremento di una finestra in due dei tre piani, l'errore nella individuazione delle nuove aperture non è attribuibile a vizio di motivazione, ma a errata percezione dei fatti documentati. Tale vizio e soggetto a revocazione per errore di fatto ex art 395 c.p.c. e non si può far valere con ricorso per cassazione.»

Sintesi: L’erronea interpretazione delle memorie delle parti circa la cessazione della materia del contendere è motivo di revocazione.

Sintesi: L'erronea percezione delle dichiarazioni dei difensori in udienza può costituire errore di fatto ai sensi dell'art. 395 n. 4 cpc quando determini una decisione in rito anziché nel merito della causa.

Estratto: «7. Nel merito la ricostruzione dei fatti esposta nel ricorso (v. sopra al punto 5) è stata accolta dal TAR Brescia con l’ordinanza 11 giugno 2004 n. 1004, che ha sospeso ex art. 401 cpc l’esecuzione della sentenza n. 452/2004. La sospensione è stata accordata sul presupposto che anche l'erronea percezione delle dichiarazioni dei difensori in udienza può costituire errore di fatto ai sensi dell'art. 395 n. 4 cpc quando determini una decisione in rito anziché nel merito della causa.8. La valutazione svolta in sede di sospensione può essere condivisa e confermata. In effetti l’errore in rito si fonda su un atto processuale meramente supposto (la dichiarazione di carenza di interesse) che altera la rappresentazione dei fatti rilevanti per la decisione e indirizza quest’ultima verso un esito non voluto e non satisfattivo per la parte ricorrente. In proposito si osserva che la giurisprudenza considera motivo di revocazione l’erronea interpretazione delle memorie delle parti circa la cessazione della materia del contendere (v. ancora CS Sez. IV 12 maggio 2009 n. 2890). Questo precedente può essere esteso al caso in esame: la sopravvenuta carenza di interesse è assimilabile alla cessata materia e le dichiarazioni rese in udienza sono equivalenti a quelle contenute nelle memorie. Ai fini della revocazione, secondo quanto previsto dall'art. 395 n. 4 cpc, l’errore non deve incidere su un punto controverso oggetto della sentenza impugnata. Anche questa condizione appare rispettata, in quanto l’errore in questione è del tutto estrinseco rispetto al contenuto della lite. Pertanto la sentenza n. 452/2004 deve essere revocata e il ricorso deve essere riportato nella sede di merito.»

Sintesi: Sussiste il travisamento del fatto, e non il vizio di motivazione della sentenza impugnata, quando l’errore è costituito dall’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo.

Sintesi: Il travisamento del fatto non costituisce motivo di ricorso per Cassazione, ma di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, comportando un accertamento di merito, non consentito al giudice di legittimità.

Estratto: «La mancata percezione dell’esistenza di una impugnazione incidentale in merito alla domanda di adempimento contrattuale si risolve in un travisamento del fatto da parte del giudice di appello, nonostante la contraria opinione del ricorrente.Infatti, sussiste il travisamento del fatto, e non il vizio di motivazione della sentenza impugnata, quando l’errore e’ costituito dall’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo. Tale errore non costituisce motivo di ricorso per Cassazione, ma di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, comportando un accertamento di merito, non consentito al giudice di legittimita’ (v. Cass. 10.3.2006, n. 5251; Cass. 13.11.2006, n. 24166 e molte altre).»

Sintesi: L’errore di fatto idoneo a sorreggere il ricorso per revocazione è solo quello che consiste in un’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio, derivante da svista o abbaglio dei sensi, che abbia indotto il giudicante a supporre l'esistenza di un fatto, che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto, che risulta, invece, positivamente accertato, sempre che, tuttavia, tale errata percezione sia stata determinante sulla pronuncia, cioè che l'errore si riveli decisivo, nel senso che sussista un rapporto di necessaria causalità tra l'erronea supposizione e la pronuncia stessa.

Estratto: «Quanto al primo, asserito, errore di fatto revocatorio (quello relativo alla contestata identità di ingombro e di sagoma fra i due edifici per cui è causa), il Collegio osserva che, quand’anche sussistente in concreto, tale errore non avrebbe comunque fornito un contributo essenziale e determinante ai fini dell’assunzione dell’impugnata decisione, con la conseguenza che esso risulti carente dei requisiti che l’errore di fatto deve necessariamente possedere al fine di supportare il positivo esperimento dell’azione revocatoria.Ed infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui nella specie il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione, l’errore di fatto idoneo a sorreggere il ricorso per revocazione è solo quello che consiste in un’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio, derivante da svista o abbaglio dei sensi, che abbia indotto il giudicante a supporre l'esistenza di un fatto, che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto, che risulta, invece, positivamente accertato, sempre che, tuttavia, tale errata percezione sia stata determinante sulla pronuncia, cioè che l'errore si riveli decisivo, nel senso che sussista un rapporto di necessaria causalità tra l'erronea supposizione e la pronuncia stessa (sul punto, cfr. – ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 19 giugno 2007, n. 3296; id., Sez. V, sent. 20 ottobre 2005, n. 5896; id, Sez. VI, sent. 4 novembre 2002, n. 6015).Dall’esame della pronuncia impugnata, infatti, emerge che l’affermazione secondo cui l’intervento edilizio in questione non richiedesse l’approvazione del contestato piano planivolumetrico (né di qualunque altro strumento urbanistico attuativo del P.R.G., all’uopo essendo sufficiente un mero permesso di costruire), non derivasse in alcun modo dalla ritenuta consistenza dell’immobile preesistente e di quello a realizzarsi – in ipotesi, erronea -, bensì discendesse da valutazioni derivanti per un verso dal carattere interamente urbanizzato ed edificato dell’area e, per altro verso, dall’interpretazione delle pertinenti prescrizioni urbanistiche (sul punto, cfr. infra, sub 2.1.2.).In definitiva, il primo dei lamentati errori di fatto (contenuto, per altro, in una parentesi del testo dal carattere meramente incidentale e da riguardarsi quale mero obiter dictum nell’economia della pronuncia), quand’anche sussistente in concreto, non avrebbe comunque sortito un effetto determinante ai fini del decidere, atteso che la ritenuta inessenzialità del contestato piano planivolumatrico si fondava su ulteriori e diversi elementi, contenuti in altro punto della decisione e di per sé idonei a supportarne gli assunti e le conclusioni.»

Sintesi: In materia di revocazione ordinaria, non consente tale forma di impugnazione della sentenza l’erronea individuazione ed applicazione delle norme di diritto regolanti una determinata fattispecie, verificandosi in siffatte ipotesi un errore di diritto e non già un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395, num. 4) c.p.c.

Estratto: «Quanto al secondo, asserito errore di fatto revocatorio (quello relativo alla ritenuta inutilità dello studio planivolumetrico, così come di un qualunque altro strumento urbanistico attuativo del P.R.G. ed alla ritenuta sufficienza di un mero permesso di costruire), il Collegio osserva che, quand’anche sussistente, un siffatto errore non sarebbe ascrivibile alla categoria di cui all’art. 395, n. 4), c.p.c., concernendo piuttosto l’apprezzamento e la valutazione de jure delle circostanze rilevanti ai fini del decidere.Ed infatti, risulta agli atti che il giudice di appello abbia ritenuto essenziale l’approvazione del piano planivolumetrico (quanto di un qualsiasi ulteriore strumento urbanistico attuativo del P.R.G., essendo sufficiente il rilascio di un mero permesso di costruire per l’opera a realizzarsi) sulla base dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è illegittimo il diniego di concessione edilizia, fondato sulla rilevata carenza di uno strumento attuativo dello strumento urbanistico generale quando l'area sia integralmente urbanizzata, atteso che l'esigenza della previa approvazione di uno strumento attuativo si giustifica solo quando si tratti d'asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata ad un insediamento edilizio di carattere residenziale o produttivo, mentre invece le medesime esigenze non sussistono laddove l’area di cui trattasi sia già completamente urbanizzata ed edificata.L’argomento in questione viene censurato dal sig. Lillo, il quale osserva che l’iter logico-giuridico seguito dal Collegio giudicante, così come le relative conclusioni, non tenga in alcun modo conto delle pertinenti prescrizioni urbanistiche (in particolare, dell’art. 10 delle N.T.A. al P.R.G. di Monopoli, come introdotte dalla D.G.R. 28 luglio 1981, n. 7335, di approvazione della variante generale al Piano), le quali sancirebbero senza dubbio alcuno l’obbligatorietà dello studio di sistemazione planivolumetrica per la realizzazione dell’intervento di cui trattasi ed a prescindere dal carattere interamente edificato dell’area.In definitiva, nella tesi del ricorrente, “il Consiglio di Stato [avrebbe nell’occasione] omesso di considerare ed applicare, per abbaglio dei sensi, la normativa urbanistica locale, come da prescrizioni della regione Puglia (…) che assoggetta a speciale disciplina di tutela urbanistico-architettonica gli isolati perimetrali dal PRG all’interno della zona murattiana di Monopoli” (ricorso, cit., pag. 19).Al riguardo il Collegio osserva che l’asserito errore di cui trattasi, quand’anche sussistente, concernerebbe piuttosto l’inesatto apprezzamento o valutazione delle risultanze di causa ovvero dei precedenti giurisprudenziali citati inerendo, quindi, all'attività valutativa del giudice (in tal senso: Cons. Stato, Ad. Plen., sent. 11 giugno 2001, n. 3; id., Sez. IV, sent. 16 marzo 2001, n. 1580).Ancora, l’asserito errore in parola non consentirebbe comunque il positivo esperimento del ricorso per revocazione qui proposto sulla base dell’orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, secondo cui non consente la revocazione della sentenza impugnata l’erronea individuazione ed applicazione delle norme di diritto regolanti una determinata fattispecie, verificandosi in siffatte ipotesi un errore di diritto e non già un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395, num. 4) c.p.c. (in tal senso: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 31 maggio 1999, n. 927).»

Sintesi: Resta al di fuori dell’ambito di operatività dello strumento della revocazione l'erronea individuazione ed applicazione delle norme disciplinanti una determinata fattispecie la quale concreta piuttosto un errore di diritto (e non di fatto), inidoneo come tale a supportare l’esperibilità del giudizio per revocazione.

Estratto: «2.Il gravame proposto costituisce ricorso per revocazione ordinaria a norma del punto 4 dell’art.395 c.p.c. che pertanto puo’ esperirsi solo quando la sentenza costituisca effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa, il fatto in questione non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunziata in modo espresso, l’errore di fatto sia un elemento determinante nella decisione del ricorso.3.Nessuno di tali requisiti ricorre nel caso in esame.3.1.Quanto all’errore di fatto la giurisprudenza ha chiarito come resta al di fuori dell’ambito di operatività dello strumento della revocazione la erronea individuazione ed applicazione delle norme disciplinanti una determinata fattispecie la quale concreta piuttosto un errore di diritto (e non di fatto), inidoneo come tale a supportare l’esperibilità del giudizio per revocazione (in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 1999, n. 927).Nel caso in esame il preteso errore di fatto revocatorio in cui sarebbe incorso il Giudice integra, salvo quanto si dirà più oltre, al più un errore di diritto attinente l’erronea applicazione di norme giuridiche e pertanto non è deducibile con il ricorso in revocazione.»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.