Necessaria la declaratoria di illegittimità dell'occupazione per ottenere il risarcimento danni

Sintesi: Il privato illegittimamente espropriato può legittimamente domandare sia il risarcimento e sia la restituzione del fondo con la riduzione in pristino. Oggi infatti è stata del tutto superata - alla stregua della Convenzione Europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n. 1 - l'interpretazione che, dall'irreversibile trasformazione dei beni espropriati, faceva derivare effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica.

Estratto: «In linea di principio si deve dunque ricordare che, contrariamente a quanto si afferma nell’atto di appello, ai sensi dell’art. 112 “I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla amministrazione e dalle altre parti” e che la successiva attività amministrativa trova il suo limite nelle fattispecie così come si è consolidata nel giudicato.Il Consorzio sembra infatti del tutto ignorare che l'Amministrazione ha l'obbligo di eseguire il giudicato proprio al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Cost.. La sentenza di annullamento di provvedimenti amministrativi produce, con l'effetto caducatorio dell’eliminazione degli atti impugnati, anche quello conformativo, che vincola la successiva attività dell'Amministrazione ad un eventuale riesercizio del potere (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 05 aprile 2012 n. 2032).Pertanto, una volta annullata la procedura espropriativa con sentenze passate in giudicato, l'intervenuta indebita cessione a terzi dei terreni non fa affatto venire meno l'obbligo dell'Amministrazione procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso.L’ordinamento giuridico nazionale e comunitario non concede alcun “diritto di resistere all’ottemperanza” come singolarmente afferma il Consorzio, la cui introduzione in via interpretativa, si risolverebbe in una regolamentazione della materia che sarebbe in radicale contrasto proprio con i ricordati principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.Il privato illegittimamente espropriato può dunque legittimamente domandare sia il risarcimento e sia la restituzione del fondo con la riduzione in pristino. Oggi infatti è stata del tutto superata - alla stregua della Convenzione Europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n. 1 - l'interpretazione che, dall'irreversibile trasformazione dei beni espropriati, faceva derivare effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica (cfr. sentenza Corte EDU, 30 maggio 2000, ric. 31524/96; Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290).La giurisprudenza ha sempre affermato il potere-dovere di far luogo alla riapprensione del bene ed alla materiale rimozione delle opere che risultano senza titolo (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. VI 01 dicembre 2011 n. 6351).Pertanto, in base ai principi comunitari, una volta intervenute le sentenze che statuivano l’illegittimità della procedura espropriativa del Consorzio, la richiesta di restituzione della Sabesa dei propri terreni era legittima in quanto concerneva un’attività comunque dovuta, avendo il Consorzio l'obbligo giuridico di far venir meno -- in ogni caso -- l'apprensione "sine titulo" e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.Il Consorzio ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai legittimi proprietari, magari riacquistandoli in via bonaria, oppure si deve attivare per la creazione di un legittimo titolo di acquisto dell'area ex art. 42 bis, t.u. n. 327 del 2001.Al riguardo del tutto errata è la singolare tesi per cui il suddetto art..42- bis non potrebbe essere utilizzato solo per far conseguire l'acquisizione alla proprietà pubblica , ma sarebbe consentito il trasferimento del bene ai privati, dato che nulla la norma prevede al riguardo e comunque la norma è perfettamente speculare a tutti i casi in cui è consentita l’espropriazione.Nella fattispecie in esame, pur avendo proceduto all’occupazione di un'area di consistenti dimensioni, il Consorzio né ha ottenuto il consenso della controparte alla cessione bonaria; né ha restituito il bene ripristinando lo status quo ante; né ha proceduto all'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis t.u. espropriazioni di cui al d.P.R. n. 327 del 2001 (introdotto dall'art. 34, comma 1, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111).Del tutto inconsistenti sono quindi le considerazioni circa la possibilità del Consorzio di scegliere autonomamente il procedimento di cui all’art. 63 L. 488/1998, che non può essere affatto ricondotta ad un’attività esecutiva della sentenza, ma che è un procedimento connesso ad un fatto del tutto estraneo al presente contendere quale nella specie, l’inadempimento del terzo agli obblighi assunti con la convenzione.Al riguardo del tutto metagiuridiche appaiono sia le considerazioni circa la pretesa “sopravvivenza” di una dichiarazione di pubblica utilità implicita negli atti di programmazione urbanistica da far valere in sostituzione di quella annullata; e sia la singolare tesi per cui in caso di recupero dell’area ex-art. 63 per mancata realizzazione dell’intervento da parte del terzo assegnatario, il terreno resterebbe al Consorzio e non dovrebbe essere restituito al legittimo proprietario.In ogni caso, l’allegazione del mero inizio, senza ‘adozione dell’atto finale del procedimento di revoca del titolo della Sirio ex art. 63 L. 488/1998, appare solo come un ulteriore tentativo di procrastinare nel tempo l’adempimento.»

Sintesi: Il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria d'illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

Estratto: «2. - In via di fatto, la Sezione rileva come, a seguito della sentenza di primo grado data dal T.A.R. della Sardegna, n. 235 del 2004 e della decisione ottemperanda, n. 8651 del 9 dicembre 2010, l’intero procedimento espropriativo posto in essere dal Comune di Olbia sia stato integralmente posto nel nulla, non sussistendo più alcun fondamento giuridico per il mantenimento in mano pubblica del bene di proprietà dei ricorrenti.Questa Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo.Partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera). Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non fosse impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.»

Sintesi: Il proprietario del fondo illegittimamente occupato, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

Estratto: «Al fine di affrontare il (preliminare) tema della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per effetto dell’intervenuta ( o meno) perdita del diritto di proprietà a causa dell’illecito della Pubblica Amministrazione (tale essendo la domanda proposta ed essndosi su di essa instaurato il contraddittorio), occorre innanzi tutto considerare l’intervenuta espunzione dal nostro ordinamento dell’istituto dell’acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica, a seguito della realizzazione di un’opera pubblica.Questa Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e ciò superando l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.Infatti, partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96).Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.Così inquadrato il tema della vicenda, osserva la Sezione che, stante la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 DPR n. 327/2001 (Testo unico espropriazioni), non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato ivi previsto.Conseguentemente, deve ritenersi che il Comune, allo stato, abbia unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure agire con un nuovo procedimento espropriativo.Da quanto esposto, discende l’accoglimento del primo motivo di appello, con conseguente riforma della sentenza del I giudice, laddove la medesima dichiara prescritto il diritto al risarcimento del danno e, quindi, l’infondatezza del ricorso.»

Sintesi: Il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla p.a., in esito alla declaratoria d'illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

Estratto: «Costituisce principio generale dell’ordinamento che la restaurazione dell’ordinamento violato possa avvenire sia in forma specifica che in forma generica: tale ultimo rimedio è necessitato laddove sia impossibile, giuridicamente o materialmente, la restaurazione in forma materiale o restitutoria.Per esempio, si è affermato che in sede di espropriazione per pubblica utilità, l'eventuale impossibilità pratica di restitutio in integrum a causa dell'irreversibile trasformazione del fondo nelle more intervenuta, può essere affrontata in sede di giudizio di ottemperanza, potendo il ricorrente vittorioso, anche in tale sede, optare per il risarcimento per equivalente cui ha diritto in luogo della restituzione specifica, senza peraltro escludersi che ove il ricorrente sia già al corrente dell'irreversibile trasformazione e non sia più interessato alla restituzione specifica, egli possa già con la domanda di annullamento chiedere, in alternativa alla restituzione del fondo, anche il risarcimento per equivalente (Consiglio Stato , sez. IV, 27 marzo 2009 , n. 1858).Il principio della alternatività della restaurazione viene ribadito nel senso che il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla p.a., in esito alla declaratoria di illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino (Consiglio Stato , sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; nel senso della restituzione, si è sostenuto che nel caso di annullamento in sede giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità, il proprietario dell'area può chiedere, mediante il giudizio di ottemperanza, la restituzione del bene invece che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l'area è stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell'opera pubblica; così Consiglio Stato a. plen., 29 aprile 2005 , n. 2).Il principio della alternatività dei rimedi e in ogni caso della sussidiarietà del risarcimento per equivalente in caso di impossibilità del ristoro in forma specifica vale anche in caso di impossibile restituzione.»

Sintesi: Spetta al soggetto danneggiato la scelta tra tutela risarcitoria per equivalente o rispristinatoria; tale scelta può essere dichiarata anche in sede di ottemperanza, qualora non preclusa dal giudicato che contempli in alternativa o la restituzione al proprietario ovvero il risarcimento per equivalente monetario del danno da perdita/abdicazione al diritto di proprietà.

Estratto: «Nel merito, la sentenza n° 342/2009 aveva disposto in alternativa o il risarcimento del danno in misura corrispondente al valore venale del fondo, oltre rivalutazione e interessi legali, ed il contestuale trasferimento della proprietà al Comune sulla base di accordo, o la restituzione del fondo e il risarcimento del danno...
[...omissis...]

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.