Principio di parità di trattamento e non discriminazione

L’art. 3 della nostra Costituzione sancisce uno dei principi cardine del nostro ordinamento, il principio di eguaglianza, enunciato nella sua duplice veste formale e sostanziale.
Accanto ad esso si pongono le disposizioni dell’art. 14 CEDU e dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che vietano in sostanza qualunque forma di discriminazione: i comportamenti discriminatori, tenuti ad ogni livello, costituiscono violazione di un diritto fondamentale proprio di ciascun individuo e rappresentato dalla dignità umana.
Il citato art. 14 espressamente stabilisce che «il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea invece, divenuta giuridicamente vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) all’art. 21 prevede che sia vietata «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali».
Inoltre, nell'ambito d'applicazione del Trattato che istituisce la Comunità europea e del Trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute negli stessi.
In particolare il luogo di lavoro è storicamente teatro di trattamenti differenziati che possono risultare più o meno giustificati. E se certamente non costituiscono atti di discriminazione quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse al sesso, alla razza, all'origine etnica, alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, sono molteplici i casi in cui non vi sono ragioni di tal genere a fondare il differente trattamento.
La risposta dell’ordinamento e delle parti sociali a ciò si individua nell’apposizione di alcuni limiti ai poteri del datore di lavoro.

Per quanto riguarda il settore occupazionale l’Unione europea ha approcciato la parità sul lavoro focalizzandosi dapprima esclusivamente sulla parità di trattamento tra uomini e donne.
Già se ne faceva menzione (con riguardo ai trattamenti retributivi) nel testo fondante dell’allora Comunità Economica Europea . E negli anni Settanta venivano emanate una serie di Direttive per la promozione e l’attuazione in maniera effettiva della parità tra i sessi sul lavoro.

Progressivamente poi, l’approccio dell’Unione è mutato: dal mero ambire alla parità di trattamento ad un riconoscimento delle differenze, purché queste non siano causa di comportamenti diversi in situazioni analoghe.
E la lotta alla discriminazione sul lavoro si è ampliata, giungendo a considerare [Omissis - versione integrale presente nel testo].
Il principio di parità di trattamento e i divieti di discriminazione in materia sono dunque entrati prepotentemente nel nostro sistema giuridico per poi trovare estrinsecazione specifica in ambiti differenti.

Gli artt. 15 e 16 dello Statuto dei Lavoratori, così come risultanti dopo plurimi interventi del legislatore, espressamente prescrivono la nullità di qualsiasi patto od atto diretto a discriminare un lavoratore in ragione della sua adesione o mancata adesione ad un sindacato, delle sue idee politiche, della confessione religiosa, di razza, lingua, sesso, handicap, età, orientamento sessuale o convinzioni personali facendo da ciò dipendere la sua occupazione o il suo licenziamento, la sua qualifica o le sue mansioni, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari, o altri eventuali pregiudizi che dovesse per ciò sopportare, anche con riguardo ai trattamenti economici.

A queste disposizioni nel tempo se ne sono affiancate altre; si sono susseguiti interventi normativi che hanno, anche qui, ampliato progressivamente il novero dei fattori di discriminazione tutelati e regolato in maniera più specifica alcune ipotesi.

L’articolo sopra riportato è composto da contenuti tratti da questo prodotto (in formato PDF) acquistabile e scaricabile con pochi click. Si invita a scaricarsi il sampler gratuito per constatare l'organizzazione dei contenuti.

pdf 154 pagine in formato A4

20,00 €