Le norme in materia di metanodotti fanno il loro ingresso per la prima volta nel quadro giuridico italiano con la Legge n. 136 del 1953, che ha istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), disciplinando la costruzione della rete di metanizzazione italiana.
Con l’art. 23 della suddetta legge, il legislatore ha inteso sancire la pubblica utilità di tale servizio, reso da ENI e dalle sue società controllate, ai sensi della legge 25 giugno 1865, n. 2359, la prima legge dello Stato a disciplinare le espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità (c.d. “legge fondamentale” – cfr. infra).
Per quanto rileva in questa sede, è importante notare che la legge fondamentale disciplinava l’indennità di servitù in generale, senza specificarne i criteri di stima, stabilendo soltanto che «è dovuta un'indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilità vengono gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto. La privazione d'un utile, al quale il proprietario non avesse diritto, non può mai essere tenuta a calcolo nel determinare l'indennità» (cfr. art. 46).
Si è chiarito che il Codice civile non prevede la costituzione di una servitù coattiva specifica per i gasdotti, né vi era una previsione specifica nell’ambito della legge fondamentale. Oggi, tuttavia, la servitù per la posa e l’esercizio di infrastrutture lineari energetiche (inclusi i metanodotti) è disciplinata dal Testo Unico Espropri (di seguito anche “T.U.E.”) di cui al D.P.R. n. 327 dell’8 giugno 2001, che ha sostituito alcune norme precedenti sugli espropri e, di essi, raccolto altre disposizioni.
Il T.U.E. è il corpus normativo che disciplina specificamente le espropriazioni, che possono riguardare sia il diritto di proprietà sia un diritto reale minore (cfr. art. 1 T.U.E.), ossia un diritto su una cosa altrui che presenta un contenuto limitato, talvolta riducendosi a una sola facoltà sul bene, coesistendo con il diritto di proprietà di un altro soggetto. Tra i diritti reali minori vi sono l'enfiteusi, il diritto di superficie, l’usufrutto, il diritto reale d’uso, il diritto reale di abitazione e le servitù.
Inizialmente, il T.U.E. si limitava a riprendere sostanzialmente quanto già previsto dalla legge fondamentale, senza introdurre alcuna disciplina particolare per la servitù di metanodotto[1].
Successivamente, con il D.Lgs n. 330/2004, il legislatore ha integrato il T.U.E., introducendo una disciplina specifica per le infrastrutture lineari energetiche, che includono i gasdotti, gli elettrodotti, gli oleodotti e le reti di trasporto di fluidi termici, comprese le opere, gli impianti e i servizi accessori connessi o funzionali al loro esercizio, nonché i gasdotti e gli oleodotti per la coltivazione e lo stoccaggio degli idrocarburi. Vi rientrano, dunque, anche i metanodotti, con la previsione dell’asservimento coattivo per la relativa posa, ma senza indicazioni precise sul calcolo dell’indennizzo per questa tipologia di servitù (cfr. art. 52-octies T.U.E.).
Quasi tutti gli articoli introdotti riguardanti le infrastrutture lineari energetiche si rifanno alla disciplina espropriativa, sebbene queste infrastrutture richiedano e presuppongano, quasi sempre, l’asservimento dei terreni interessati dal passaggio delle reti, mentre l’espropriazione è l’istituto a cui si fa ricorso più raramente.
In questo contesto, il comma 6 dell’art. 52-bis T.U.E. stabilisce che ai procedimenti di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche si applichino, per quanto non previsto dal Capo II (che contiene le disposizioni in materia di infrastrutture energetiche), le disposizioni generali del T.U.E., in quanto compatibili.
L’unica norma che affronta esplicitamente la servitù per infrastrutture lineari energetiche è rappresentata dall’art. 52-octies T.U.E., intitolato “Decreto di imposizione di servitù”, il quale prevede che «il decreto di imposizione di servitù relativo alle infrastrutture lineari energetiche, oltre ai contenuti previsti dall'articolo 23 (norma che tratta del contenuto e degli effetti del decreto di esproprio, n.d.r.), dispone l'occupazione temporanea delle aree necessarie alla realizzazione delle opere e la costituzione del diritto di servitù, indica l'ammontare delle relative indennità, e ha esecuzione secondo le disposizioni dell'articolo 24».
Come si è accennato, con l’art. 52-octies T.U.E. viene introdotto il concetto di servitù per infrastrutture lineari energetiche: la norma prevede, qualora non sia possibile costituire una servitù volontaria, la possibilità di ricorrere all’asservimento coattivo dei terreni interessati dal passaggio delle infrastrutture energetiche mediante l’emanazione del relativo decreto di imposizione di servitù.
Tale decreto deve essere redatto in linea con i contenuti, gli effetti e le modalità propri del decreto di esproprio (in particolare cfr. artt. 23 e 24 del T.U.E).
Sebbene, dunque, il T.U.E. definisca l’iter amministrativo da seguire per l’imposizione della servitù di metanodotto, non risolve, tuttavia, il “vuoto normativo” sulla determinazione dell’indennità di asservimento, limitandosi a stabilire che il decreto di asservimento debba indicare l’ammontare delle indennità di asservimento e occupazione.
Per determinare tale indennità, occorre fare riferimento all’art. 44 T.U.E., che, riprendendo in gran parte quanto previsto dagli artt. 45 e 46 della legge fondamentale, stabilisce che sia riconosciuta un’indennità a favore dei fondi che, a seguito dell’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, vengano vincolati da una servitù o subiscano una diminuzione permanente del loro valore a causa della perdita o della ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà.
L’art. 44 del T.U.E. raggruppa due diverse ipotesi di indennizzo: la prima riguarda la riduzione di godimento di un fondo che deriva dall’esecuzione di un’opera pubblica/di pubblica utilità che grava su di esso (indennità di servitù vera e propria); la seconda, invece, concerne la diversa ipotesi della cosiddetta “espropriazione larvata” (o “occulta/sostanziale”).
Questa seconda ipotesi si verifica quando la realizzazione di un’opera pubblica/di pubblica utilità determina una riduzione stabile del godimento di un fondo, pur non essendo direttamente interessato dalla sua realizzazione. Un esempio tipico è rappresentato da un fondo che subisce gli effetti negativi derivanti dalla vicinanza di un’opera pubblica/di pubblica utilità, come nel caso di un immobile ricadente al di sotto di un viadotto: pur non essendo stato espropriato, l’immobile subisce una diminuzione di valore a causa della perdita o della riduzione di alcune sue caratteristiche intrinseche, come la privacy, la luminosità, la visuale, il soleggiamento, l’amenità e la sicurezza.
Pur applicandosi, quanto meno il primo comma, anche nel caso della servitù di metanodotto, l’art. 44 T.U.E. non risolve la questione della determinazione concreta dell’indennità dovuta per le limitazioni conseguenti all’asservimento, poiché non specifica gli elementi utili per una concreta quantificazione dell’indennizzo.
In linea generale, il T.U.E. stabilisce che l’indennità di esproprio corrisponda al valore venale del bene espropriato (cfr. artt. 37 e 40 T.U.E.); l’indennità di asservimento, come si vedrà, è stata sempre determinata come una percentuale dell’indennità di esproprio, in funzione della minore limitazione del diritto di proprietà determinata dalla servitù[2].
Fino all’introduzione della disciplina specifica per l’asservimento da infrastrutture lineari energetiche, si riteneva che, per la determinazione dell’indennità per servitù di metanodotto si potessero estendere le norme, ritenute simili, relative all’acquedotto (regolate dal Codice civile) e all’elettrodotto coattivo (regolate dalla legge speciale di cui al Regio Decreto 11/12/1933, n. 1775 “Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”)[3].
Possono, infatti, ravvisarsi delle somiglianze con le servitù di acquedotto, di scarico coattivo e di passaggio, laddove si consideri che la determinazione delle indennità, in ottemperanza agli articoli 1038[4] e 1053[5] del Codice civile, come si è brevemente accennato, è volta a indennizzare il valore dell’area occupata permanentemente dall’opera e una percentuale ulteriore del valore, variabile in funzione delle limitazioni imposte dalla servitù sul godimento del fondo servente.
Lo stesso si dica per gli elettrodotti, per i quali il Codice civile rimanda alla già citata legge speciale n. 1775/1933, la quale, all’articolo 123[6], ora abrogato, adottava lo stesso approccio estimativo comunemente applicato alle altre servitù disciplinate dal Codice.
Nonostante le differenze tra i vari tipi di opere e servitù, si osserva frequentemente che, nell'operato dei periti, la lacuna normativa riguardante il criterio di determinazione dell'indennizzo per la servitù in esame viene colmata applicando, per analogia, la disciplina prevista per le altre tipologie di servitù (come quelle relative ad acquedotti ed elettrodotti) al metanodotto.
Al fine di fare chiarezza in merito, in assenza di una disciplina specifica sulla quantificazione dell’indennità, per i metanodotti può essere utile esaminare sia le decisioni dei Giudici investiti della relativa questione, sia gli orientamenti dell’odierna prassi estimativa, preliminarmente chiarendo il concetto di indennizzo.
Indennizzo e risarcimento
Per una migliore comprensione dell’oggetto della stima, è necessario chiarire preliminarmente che, contestualmente all’asservimento, avviene anche l’occupazione delle aree necessarie alla posa del metanodotto. Le superfici occupate, generalmente ricomprese all’interno dell’area asservita, devono essere restituite al proprietario nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’occupazione, ossia ripristinate a regola d’arte.
Prima di esaminare i criteri di stima, è opportuno definire cosa rientri nel concetto di indennizzo (o indennità) e in quali casi si configuri, invece, un risarcimento del danno.
In seguito all’asservimento per la realizzazione di un metanodotto, si ritiene corretto includere, nel ristoro dovuto al proprietario del terreno interessato:
1. l’indennizzo di servitù, derivante dalla limitazione del pieno godimento del fondo servente;
2. un indennizzo per il mancato godimento del bene durante l’esecuzione dei lavori di posa della condotta, a compensazione dei danni arrecati dalla costruzione dell’opera (quali la perdita di frutti pendenti e di produzione, sostanzialmente riconducibili all’indennità di occupazione temporanea) e degli eventuali altri danni indiretti derivanti dalla realizzazione dell’opera (ad esempio, l’impossibilità di accedere a fondi temporaneamente interclusi).
In aggiunta a tali indennità, ma in via distinta e autonoma, potrebbe essere richiesto un risarcimento per eventuali danni causati dai lavori, qualora il fondo non venga ripristinato a regola d’arte. Tali danni, per loro natura, sono eventuali e non dovrebbero verificarsi. In ogni caso, se si dovessero verificare, essi giustificherebbero una richiesta di risarcimento, e non di indennizzo.
È, quindi, utile chiarire la differenza tra indennizzo e risarcimento per comprendere appieno l’oggetto della valutazione estimativa della servitù in questione.
L’indennizzo consiste nel ristoro di un pregiudizio che deriva da un atto lecito, ossia da un comportamento consentito dall’ordinamento giuridico (autorizzato, come nel caso delle obbligazioni contrattuali, o imposto per legge, come nel caso delle servitù coattive).
Il risarcimento consiste, invece, nella compensazione di un danno che deriva da un atto illecito ed è previsto ogniqualvolta, per opera colpevole dell’uomo, dolosa o colposa, venga messa in atto una condotta non consentita dall'ordinamento giuridico che, come conseguenza immediata e diretta, comporti la lesione di un diritto altrui. Il pregiudizio che ne deriva si riflette in un’effettiva diminuzione del patrimonio del danneggiato (lesione di interesse) e ne consegue che il risarcimento ha l’obiettivo di andare a ristabilire integralmente la situazione patrimoniale del danneggiato, riportandola nella stessa condizione in cui si sarebbe trovata se il fatto illecito non si fosse verificato (restitutio ad integrum).
Quando il risarcimento del danno mira a ripristinare integralmente la situazione precedente al verificarsi del danno, il compenso si configura come un intervento economico di natura riparatoria. Tuttavia, tale compenso non è sempre commisurato all’entità effettiva del danno subito, potendo essere determinato anche sulla base di parametri definiti dalla legge o da accordi contrattuali.
Gli atti leciti, essendo conformi all’ordinamento giuridico, non possono comportare sanzioni per chi li compie. Tuttavia, per ragioni di equità, l’ordinamento prevede che chi ha compiuto un atto lecito debba farsi carico di alcune conseguenze negative derivanti da tale atto a danno di terzi, imponendo così l’obbligo di indennizzo.
Un esempio emblematico di indennizzo è quello legato all’espropriazione per pubblica utilità[7]. In tale caso, la perdita della proprietà derivante dal provvedimento espropriativo è considerata lecita. Tuttavia, il soggetto che beneficia dell’espropriazione (spesso, ma non necessariamente, un ente pubblico) è tenuto a indennizzare il proprietario per il sacrificio subito.
Nel nostro sistema giuridico, questo diritto all’indennizzo è garantito dalla Costituzione. L’articolo 42, infatti, stabilisce che: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale».
Poiché, come si è detto, nel caso di esproprio (e per analogia, di asservimento) il pregiudizio consegue ad un atto lecito, la relativa indennità non ha natura risarcitoria e non è tesa a compensare integralmente il danno subito, ma costituisce una misura patrimoniale più limitata, predeterminato per legge o stimato per equità.
Si pone, dunque, la questione di come determinare l’indennità, in quanto, come si è chiarito, la normativa vigente non fornisce un criterio di valutazione preciso, limitandosi genericamente a prevedere il principio del diritto all’indennizzo (cfr. artt. 44 e 52 sexies T.U.E.).
Alla luce di quanto sin qui esposto, in assenza di parametri normativi precisi, si ritiene che la valutazione dell’indennità non possa prescindere da un’accurata indagine delle limitazioni effettivamente e concretamente imposte con la servitù, affinché possa necessariamente calibrarsi in funzione del reale pregiudizio arrecato al fondo servente.
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[1] Art. 44 (L) - Indennità per l'imposizione di servitù – stabilisce in via generale che:
1) É dovuta una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell'opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà. (L)
2) L'indennità è calcolata senza tenere conto del pregiudizio derivante dalla perdita di una utilità economica cui il proprietario non ha diritto. (L)
3) L'indennità è dovuta anche se il trasferimento della proprietà sia avvenuto per effetto dell'accordo di cessione o nei casi previsti dall'articolo 43. (L)
4) Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano per le servitù disciplinate da leggi speciali. (L)
5) Non è dovuta alcuna indennità se la servitù può essere conservata o trasferita senza grave incomodo del fondo dominante o di quello servente. In tal caso l'espropriante, se non effettua direttamente le opere, rimborsa le spese necessarie per la loro esecuzione. (L)
6) L'indennità può anche essere concordata fra gli interessati prima o durante la realizzazione dell'opera e delle relative misure di contenimento del danno. (L)
[2] Corte Cassaz. n. 25011/2007, Cassaz., I sez. civ., 23/11/2015, n. 23865.
[3] Corte Cassazione a sezioni unite n. 1567 del 1972.
[4] L’art. 1038 C.c. (servitù di acquedotto) stabilisce che “Prima di imprendere la costruzione dell'acquedotto, chi vuol condurre acqua per il fondo altrui deve pagare il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare, senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti al fondo, oltre l'indennità per i danni, ivi compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento del fondo da intersecare. Per i terreni, però, che sono occupati soltanto per il deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo non si deve pagare che la metà del valore del suolo, e sempre senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti; ma nei terreni medesimi il proprietario del fondo servente può fare piantagioni e rimuovere e trasportare le materie ammucchiate, purché tutto segua senza danno dell'acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione”.
[5] L’art. 1053 C.c. (passaggio coattivo) prescrive che “Nei casi previsti dai due articoli precedenti è dovuta un'indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio. Qualora, per attuare il passaggio, sia necessario occupare con opere stabili o lasciare incolta una zona del fondo servente, il proprietario che lo domanda deve prima d'imprendere le opere o di iniziare il passaggio, pagare il valore della zona predetta nella misura stabilita dal primo comma dell'articolo 1038”.
[6] Con riguardo agli elettrodotti la norma stabiliva che “Omissis …In ogni caso, per l'area su cui si proiettano i conduttori, viene corrisposto un quarto del valore della parte strettamente necessaria al transito per il servizio delle condutture, e per le aree occupate...