Le occupazioni illegittime ex art. 43 T.U.Es. davanti a Corte EDU e Corte costituzionale

Nel 2001 veniva adottato il testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327). Si trattava complessivamente di un evento di grande impatto su tutta la materia espropriativa, ma è soprattutto in tema di occupazioni illegittime che tale impatto poteva dirsi sconvolgente: nell’art. 43 del testo unico, infatti, esse trovavano finalmente una loro specifica regolamentazione normativa, con la quale si intendeva sostituire tutta la costruzione giurisprudenziale antecedente.

Nel complesso, la soluzione tentata dall’art. 43 era molto simile a quella successivamente offerta dall’art. 42bis oggi vigente. Con la nuova disposizione si attribuiva infatti alla p.a. «il potere di emanare un atto di acquisizione dell’area al suo patrimonio indisponibile (con la peculiarità che non viene meno il diritto al risarcimento del danno), in base ad un... _OMISSIS_ ...iscrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale». Il fenomeno, noto come “acquisizione coattiva sanante”, poteva aver luogo anche in sede giudiziale ed in tal caso si parlava di “acquisizione giudiziale”.

In mancanza dell’atto acquisitivo, invece, il bene rimaneva nella proprietà del precedente titolare, in chiara opposizione al previgente meccanismo pretorio che attribuiva il bene alla p.a. in forza della sola attività di trasformazione: pertanto, come affermato con insistenza dalla costante giurisprudenza amministrativa (medio tempore subentrata in questa materia al giudice ordinario, o meglio affiancatasi ad esso, secondo un criterio di riparto assai complesso e risolto solo dopo circa un decennio), in mancanza di provvedimento di acquisizione il bene rimaneva in proprietà del privato, a prescindere da qualsiasi attività materiale della p.a. e segnatamente a prescindere dalla realizzaz... _OMISSIS_ ...;opera pubblica.

Al di là delle intenzioni del legislatore (encomiabili almeno in un’ottica di certezza del diritto), l’art. 43 mostrava ben presto notevoli profili tecnici ampiamente discutibili e per tutto il periodo in cui rimaneva in vigore sollevava perplessità, metteva in difficoltà la giurisprudenza ed attirava critiche dottrinali, anche alla luce della sopravvenuta giurisprudenza della Corte EDU.

Il diritto di proprietà ed il potere di espropriare sono notoriamente riconosciuti e bilanciati, oltre che da fonti costituzionali, anche da fonti sovranazionali. Tra queste ultime viene soprattutto in rilievo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Due anni dopo la firma della Convenzione e prima ancora che l’Italia la rendesse esecutiva, infatti, essa veniva integrata da un primo... _OMISSIS_ ...izionale, il cui art. 1 è espressamente dedicato alla «Protezione della proprietà».

Le radici della normativa sovranazionale sono dunque risalenti e la Corte EDU era già operante da tempo quando la giurisprudenza nazionale sull’accessione invertita aveva iniziato a consolidarsi. Fino alla fine del XX secolo, tuttavia, l’espropriazione indiretta non era mai stata giudicata con sfavore dalla giurisprudenza di Strasburgo, che anzi in più occasioni l’aveva ritenuta compatibile con l’art. 1 del primo Protocollo addizionale. Nel 2000, però, la Corte EDU cambiava orientamento e con due celeberrimi e contestuali arresti condannava l’Italia a risarcire il danno sofferto da alcuni privati che non si erano rassegnati all’espropriazione indiretta. Secondo la Corte, in particolare, la legalità pretesa dalla norma convenzionale comprendeva anche una ragionevole prevedibilità, per cui risultava ... _OMISSIS_ ...tuto che non consentisse al privato di prevedere i futuri sviluppi del suo diritto dominicale.

L’ordinamento italiano era quindi in contrasto con quello sovranazionale. E il revirement della Corte EDU, come si vede, interveniva proprio nella delicata fase di transizione dal sistema pretorio a quello legislativo, complicando ulteriormente un quadro già difficile per molte altre ragioni.

Il primo problema sollevato dalle pronunce della Corte di Strasburgo era quello di capire se esse si potessero estendere all’art. 43 T.U.Es., emanato poco dopo ed entrato in vigore nel 2003. Sulla questione, la Corte di cassazione ed il Consiglio di Stato assumevano posizioni opposte. Nell’interpretazione del giudice amministrativo, infatti, le condanne irrogate dalla Corte EDU (frequentissime da quel momento in poi ) erano state determinate dagli istituti giurisprudenziali antecedenti al testo unico, i ... _OMISSIS_ ...in quanto tali, non potevano rispettare il principio di legalità: discorso diverso, quindi, si doveva fare per l’art. 43, che era stato adottato dal legislatore (peraltro proprio per superare l’istituto dell’espropriazione sostanziale ) ed era quindi perfettamente compatibile con la Convenzione EDU. Secondo la Suprema Corte, viceversa, l’Italia era stata condannata per violazioni commesse in tempi remoti, ma ormai il sistema pretorio (che secondo la Corte di cassazione andava ancora applicato alle fattispecie antecedenti al testo unico ) presentava un grado di certezza sufficiente a superare il giudizio della Corte EDU.

La questione spiegava effetti anzitutto sul piano ermeneutico: a fronte dei delicati problemi interpretativi sollevati dall’art. 43 e dal perdurante sistema di matrice giurisprudenziale, infatti, appariva necessario chiarire quale dei due fosse contrario al diritto internazionale e quale dove... _OMISSIS_ ...orte dell’altro. L’importanza della questione, peraltro, rischiava di essere enormemente amplificata da un altro dubbio (nel frattempo delineatosi in dottrina) concernente gli effetti delle pronunce della Corte EDU sull’ordinamento giuridico nazionale: alla luce delle condanne irrogate all’Italia, in particolare, si dubitava seriamente della possibilità di continuare a dare applicazione ad una disciplina interna in dichiarato contrasto con le norme sovranazionali. Chiarire se la Corte EDU aveva avuto di mira l’espropriazione di fatto o l’art. 43, lungi dal limitarsi al piano strettamente ermeneutico, rischiava quindi di spiegare effetti anche sul sistema delle fonti.
Le due questioni, tra loro intimamente collegate, andavano irrimediabilmente incontro a soluzioni di particolare severità: da un lato, infatti, la Corte di Strasburgo aveva presto modo di chiarire che anche l’art. 43 si poneva in contrasto co... _OMISSIS_ ...sovranazionale ; dall’altro, nel 2007 la Corte costituzionale sposava la tesi per la quale le norme in accertato contrasto con la giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non potendo essere disapplicate dalla giurisprudenza interna, potevano essere espunte dalla Consulta, per violazione dell’art. 117, primo comma, della nostra Carta fondamentale. Combinando queste due conclusioni, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 sembrava ormai necessitata ed infatti già nel 2008 il TAR Napoli la rimetteva alla Consulta.

Unitamente a tale questione, però, il giudice a quo ne sottoponeva al giudice delle leggi anche altre due. Il TAR campano, infatti, intravedeva anzitutto nell’art. 43 una lesione del principio di intangibilità del giudicato, osservando che esso permetteva alla p.a. di disporre l’acquisizione coattiva sanante anche in spregio al decisum del giudice amministrativo, come infatti e... _OMISSIS_ ...le fattispecie sottoposte alla sua attenzione. Inoltre, la norma impugnata sembrava adottata in violazione dei principi e criteri direttivi fissati dalla citata legge di semplificazione del 1998, con conseguente illegittimità della norma per violazione dell’art. 76 Cost..

Il problema dell’eccesso di delega, invero, era stato già sollevato dalla dottrina, che spesso aveva concluso nel senso dell’incostituzionalità della disposizione in parola. E a questa lettura aderiva nel 2010 anche la Corte costituzionale, la quale pertanto, a distanza di quasi due anni dalle ordinanze di rimessione, accoglieva la questione di legittimità costituzionale illustrata per ultima (ma ritenuta pregiudiziale) e dichiarando assorbite le altre censure.

È interessante notare che la difesa erariale aveva chiesto il rigetto della questione in parola osservando che l’art. 43 era stato adottato in ri... _OMISSIS_ ...danne inflitte all’Italia dalla Corte EDU. In effetti, una simile difesa era già stata prospettata anche in dottrina, ma per vero subito confutata. La Consulta, dal canto suo, respingeva seccamente questa lettura della norma, evidenziando anzitutto che «ciò non era contemplato nei principi e criteri direttivi» della legge delega: è vero, ma è anche vero che la legge delega era anteriore alle prime condanne di questo tipo. Per altro verso, la Corte costituzionale dubitava seriamente della compatibilità dell’art. 43 con la Convenzione EDU, osservando da un lato che il legislatore avrebbe potuto rispettare la Convenzione semplicemente vietando l’acquisto connesso a fatti occupatori e d’altro lato che anche l’art. 43 era stato criticato dalla Corte EDU, in quanto lesivo del principio di legalità in materia espropriativa. Tale passaggio è assai singolare dal punto di vista tecnico, perché la violazione della Convenzione EDU costituiv... _OMISSIS_ ...noma questione di legittimità costituzionale, che la Consulta prima dichiarava assorbita e poi risolveva incidentalmente, per mezzo di un lungo e severo obiter dictum. La spiegazione di una simile scelta si può verosimilmente cercare nella volontà di non comprimere una discrezionalità legislativa non ancora esaurita, lasciando allo Stato la possibilità di cercare nuove vie per risolvere il legittimo dubbio che la soluzione tentata con il testo unico fosse davvero rispettosa della Convenzione EDU.

Il deposito della sentenza in parola, avvenuto l’8 ottobre 2010, segnava dunque la fine dell’art. 43, nato tra molte polemiche, attaccato su piani diversi e caduto infine per un vizio di forma. E al suo posto rimaneva, come in origine (e con l’eccezione delle Provincie Autonome di Trento e Bolzano) un vuoto nuovamente da riempire.