Il vincolo preordinato all’esproprio

Come già detto, l’art. 8 del Testo Unico identifica le fasi che precedono l’emanazione del decreto di esproprio: apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; dichiarazione di pubblica utilità; determinazione, anche in via provvisoria, dell’indennità di esproprio.

La disciplina dettata dal Testo Unico in materia di vincolo preordinato all’esproprio ha inteso raccordare la materia dei vincoli espropriativi alla legislazione urbanistica, collegando l’espropriazione ad una gestione razionale del territorio. In buona sostanza, la Pubblica Amministrazione è tenuta ad individuare i beni immobili che sarà necessario acquisire per la realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità già in sede di pianificazione urbanistica.

E la scelta dell’area in cui va realizzata l’opera non può che implicare in maniera molto stretta la programmazione dell’uso del territorio, implicando scelte di natura urbanistica in virtù dell’inserimento dell’opera stessa nel contesto territoriale. L’individuazione del luogo è espressione di una scelta tecnica e discrezionale compiuta dall’Amministrazione e come tale è sottratta al sindacato di legittimità compiuto dal giudice, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità [1].

Secondo l’impostazione tradizionale, la pianificazione generale è fonte di vincoli generali e astratti che conformano il regime proprietario dei suoli, mentre l’espropriazione necessita di una individuazione puntuale e specifica di aree, che vengono sottratte al loro ordinario regime proprietario per essere trasferite alla Pubblica Amministrazione [2].

La distinzione tra zonizzazione e localizzazione deriva dal modello costruito dalla legge n. 1150/1942, articolando i piani urbanistici in piani regolatori generali, contenente il programma di massima dei parametri dell’attività edificatoria, e i piani attuativi, incaricati di tradurre i suddetti parametri in una concreta disciplina della destinazione delle singole aree all’interno delle zone [3]. 

Le destinazioni di zona ad opere o servizi non varrebbero a localizzare le aree da espropriare, poiché rimarrebbero ad un livello generale tipico del piano regolatore generale, per la cui attuazione sarebbe necessaria l’intermediazione di strumenti attuativi.

Così il vincolo preordinato all’esproprio non discenderebbe dalla disciplina generale dettata dal piano regolatore generale, bensì dalla localizzazione puntuale delle aree destinate ad essere espropriate. La localizzazione avverrebbe in un momento successivo, attraverso l’approvazione degli strumenti attuati del piano regolatore generale, ovvero di specifici progetti con i quali viene dichiarata la pubblica utilità [4]. 

A partire dalla sentenza della Cassazione n. 173/2001 [5], tuttavia, si è affermato il principio secondo il quale il vincolo preordinato all’esproprio può sorgere già nel piano regolatore generale oppure nei piani attuativi, a patto che sia il risultato della precisa e puntuale localizzazione dell’opera pubblica [6]. Il piano regolatore generale non è automaticamente conformativo, bensì solo tendenzialmente: si deve fare avere riguardo alla dimensione spaziale c.d. lenticolare del vincolo [7].

Nel Testo Unico il procedimento espropriativo non è slegato dalla pianificazione generale: l’art. 8 fissa come momento di inizio del procedimento espropriativo la previsione nel piano regolatore dell’opera da realizzare, quando il terreno viene assoggettato a un vincolo di inedificabilità preordinato all’espropriazione [8].

Inoltre, il Testo Unico attribuisce espressamente al piano regolatore generale la puntuale individuazione dei terreni da espropriare, lasciando all’atto dichiarativo della pubblica utilità solamente la specificazione progettuale di dettaglio dell’opera [9]. 

Il vincolo preordinato all’esproprio è la previsione contenuta nello strumento urbanistico generale in base alla quale su un bene di proprietà privata va realizzato un intervento di pubblica utilità [10]. La previsione del piano urbanistico, quindi, va ad incidere direttamente nella sfera giuridica del privato e ha su di essa un effetto immediatamente lesivo.

La legge fondamentale del 1865 non aveva disciplinato il vincolo preordinato all’esproprio: il decreto di esproprio poteva essere emanato entro il termine massimo fissato nel decreto dichiarativo della pubblica utilità dell’opera oppure entro il termine di durata legale del piano di riorganizzazione dell’abitato o del piano di espansione. Era la dichiarazione di pubblica utilità a scegliere l’area interessata dall’intervento pubblico, unitamente all’individuazione dell’opera; oggi, invece, questo compito spetta al piano urbanistico.

L’art. 11 della legge n. 1150/1942 prevedeva che il piano regolatore generale avesse vigore a tempo indeterminato. Successivamente all’entrata in vigore della norma, per anni si dibatté sulla reale possibilità di mantenere vigente a tempo indeterminato una previsione che riguardasse la realizzazione di un’opera su un bene di proprietà privata. In particolare, la dottrina maggioritaria contestava il carattere immediatamente vincolante del vincolo preordinato all’esproprio, posticipandone la rilevanza nei confronti dei privati al momento dell’attuazione mediante il piano particolareggiato o mediante un altro strumento esecutivo. 

Per contro, il Consiglio di Stato riteneva che l’area sottoposta al vincolo veniva conformata già dal piano urbanistico, senza necessità del piano attuativo [11]. L’orientamento dei giudici di Palazzo Spada è rimasto costante negli anni a seguire e si è andato consolidando il principio secondo il quale il piano urbanistico ha un carattere conformativo e una durata tendenzialmente illimitata ed è superabile solo se viene mutato, integralmente o parzialmente, mediante l’adozione di una variante.

Il momento di sottoposizione del bene immobile al vincolo preordinato all’esproprio è disciplinato dagli articoli 9 e 10 del Testo Unico.

Ai sensi dell’articolo 9, un bene viene sottoposto a vincolo preordinato all’esproprio nel momento in cui diviene efficace l’atto con il quale si approva il piano urbanistico generale ovvero una sua variante in cui si preveda la realizzazione dell’opera. Affinchè il procedimento espropriativo prenda il via, non è sufficiente la sola preventiva localizzazione dell’opera da parte del piano regolatore generale, bensì è necessario anche che esso apponga sull’area un vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio [12]. 

Ai fini dell’espropriazione, dunque, come primo presupposto si ha che non bastano solamente la compatibilità dell’opera con l’azzonamento o la previsione nelle norme tecniche del piano regolatore generale della possibilità di realizzare una certa tipologia di opera in una certa zona, bensì è necessario che nel piano regolatore generale sia prevista la specifica opera pubblica, alla cui realizzazione è finalizzata l’espropriazione [13].

Poi, è necessario che sul bene interessato sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio mediante l’approvazione del piano regolatore generale che prevede la realizzazione dell’opera, mediante una variante ordinaria al piano regolatore generale che prevede la realizzazione dell’opera, mediante uno degli atti indicati dall’art. 10, comma 1, T.U., ovvero mediante una variante semplificata con le modalità di cui all’art. 19, commi 2 ss., T.U. [14].

La previsione del piano urbanistico è vincolante per l’Amministrazione, che quindi non può approvare un progetto di realizzazione dell’opera diverso da quello consentito ai sensi delle previsioni urbanistiche: diventa necessaria una variante al piano regolatore per realizzare un’opera originariamente non prevista o non conforme a quanto approvato [15].

A tal fine, l’art. 19 T.U. ha previsto un procedimento semplificato per l’approvazione della suddetta variante: il Consiglio comunale può disporre o autorizzare con atto motivato la realizzazione della nuova o diversa opera a seguito del perfezionamento del silenzio-assenso della Regione. 

In particolare, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all’art. 10, comma 1, oppure con l’approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del Consiglio comunale, circostanza che vale a costituire adozione della variante allo strumento urbanistico.

Se l’opera pubblica o di pubblica utilità da realizzare non è di competenza del Comune, l’atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo ad opera dell’autorità competente viene trasmesso al Consiglio comunale, che può disporre l’adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico.

Qualora la Regione o il diverso ente delegato dalla Regione all’approvazione del piano urbanistico comunale non manifesti il proprio eventuale dissenso entro 90 giorni dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa documentazione, la determinazione del Consiglio comunale si intende approvata e lo stesso, nella seduta successiva, ne disporrà l’efficacia. 

Ciò vale a dire che il mancato esercizio da parte della Regione del proprio potere di approvazione, comporta che questa non possa più effettuare alcuna valutazione discrezionale diversa da quella comunale.

È previsto che il silenzio-assenso acquisisca efficacia giuridica con la presa d’atto da parte del Consiglio comunale dell’assenza di riscontro dalla Regione e non con il mero decorso del termine assegnato, al fine di prevenire qualsiasi forma di incertezza circa l’operato dell’amministrazione comunale [16].

Emerge da questa scelta il favore del legislatore per la conclusione del procedimento espropriativo, preferendo consentire la realizzazione di opere diverse dalla pianificazione originaria, piuttosto che dover reiterare il vincolo e corrispondere il relativo indennizzo [17]. 

Qualora la realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità non sia prevista dal piano urbanistico, allora il vincolo può essere imposto – dove ne venga espressamente dato atto – su istanza del soggetto interessato ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 241/1990 ovvero su iniziativa dell’Amministrazione competente per l’approvazione del progetto, mediante uno dei seguenti atti: conferenza di servizi; accordo di programma; intesa o altro atto, anche di natura territoriale, che comporti variante al piano urbanistico ai sensi della legislazione vigente. 

A questi atti è stato riconosciuto il rilievo di variante e di integrazione delle previsioni urbanistiche, in considerazione delle esigenze di celerità che si vuole soddisfare, di confronto tra le amministrazioni interessate, di contributo dell’eventuale interessato, di obbligo di motivazione della scelta che deve basarsi su una adeguata valutazione delle iniziative esaminate e degli interessi in conflitto.

La motivazione di tali atti deve dare conto dell’assenza di profili di eccesso di potere e deve valutare la ragioni che hanno portato a ritenere inconsistenti soluzioni alternative, tenendo conto anche delle argomentazioni sollevate da altre amministrazioni e delle osservazioni eventualmente presentate dai privati [18].

Di tutto ciò è necessario che l’Amministrazione comunale dia espressamente atto, pena l’insussistenza del vincolo, che giuridicamente quindi non esiste; in questa ipotesi, la dichiarazione di pubblica utilità successivamente emessa è illegittima per violazione di legge.

Il vincolo può essere disposto anche, purché se ne dia espressamente atto, con ricorso alla variante semplificata al piano urbanistico, da realizzare, anche su richiesta dell’interessato, ai sensi dell’art. 19, commi 2 e ss., del Testo Unico, secondo la procedura esposta poco sopra [19].

Pertanto, l’apposizione di vincoli preordinati all’esproprio è possibile con strumenti urbanistici di ogni livello, anche indipendentemente dai piani di attuazione, ai quali il Testo Unico riserva la dichiarazione di pubblica utilità [20], che quindi si configura come un momento successivo all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e collegato al progetto esecutivo, a cui è demandato di individuare con esattezza gli specifici immobili su cui l’opera andrà ad incidere.

Riprendendo quanto sopra riportato, i vincoli possono derivare sia dall’approvazione di varianti generali che dall’approvazione di varianti speciali.

Le prime sono delle modalità di pianificazione simili a quelle previste nel piano regolatore, poiché costituiscono la disciplina generale del territorio comunale e spesso richiedono pianificazioni di dettaglio per poter incidere sulle sfere proprietarie dei singoli e per poter imporre vincoli espropriativi.

Le seconde, invece, sono una particolare modificazione di porzioni specifiche e determinate del territorio, pertanto sono idonee a imporre vincoli pre-espropriativi perché connesse all’introduzione di destinazioni a servizi pubblici, sulle quali realizzare opere di rilevanza pubblica.

I vincoli preordinati all’esproprio sono soggetti a termine di decadenza quinquennale. Entro cinque anni dalla loro apposizione, quindi, può (rectius, deve) essere emanato il provvedimento comportante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Laddove questa non venga tempestivamente dichiarata, il vincolo preordinato all’esproprio decade e l’immobile resta sottoposto alla disciplina prevista per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, prevista dall’art. 9 del Testo Unico n. 380/2011 in materia edilizia [21]. La disciplina delle aree prive di regolamentazione urbanistica consente solamente interventi di recupero all’interno del perimetro dei centri abitati e una limitata possibilità di edificazione al di fuori di tale perimetro [22]. 

Si precisa che in nessun modo si può sostenere che in tali ipotesi si assista ad una reviviscenza della disciplina urbanistica previgente all’apposizione del vincolo, preclusa in ragione della perdita dell’efficacia del vincolo [23]. Diverso sarebbe il caso di annullamento del vincolo, che produrrebbe la sua eliminazione ab origine, con effetto ripristinatorio della situazione preesistente.

L’effetto immediato che consegue alla decadenza del vincolo è il venir meno di una condizione imprescindibile per la conclusione del procedimento con l’emanazione del decreto di esproprio. In questi casi la procedura ablatoria potrà essere avviata solamente facendo ricorso ad una variante allo strumento urbanistico. La pubblica utilità dichiarata in assenza di un efficace vincolo preordinato all’esproprio vizia l’intero procedimento e la giurisprudenza commina l’illegittimità alla dichiarazione di pubblica utilità.

Con l’apposizione del vincolo il libero godimento della proprietà viene limitato fortemente, pertanto il proprietario ha interesse a dialogare con l’Amministrazione per chiedere che il vincolo non venga apposto alla sua proprietà o per capire quali siano le scelte che l’Amministrazione ha posto a base della propria decisione, soprattutto nel caso di reiterazione del vincolo.

L’art. 11 del Testo Unico prevede allora che prima di approvare il provvedimento dal quale deriva l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, l’Amministrazione procedente deve trasmettere l’avviso di avvio del procedimento al proprietario dell’immobile interessato [24]. 

Laddove si tratti di una variante speciale al piano regolatore, necessaria per la realizzazione di una singola opera pubblica, l’avviso di avvio del procedimento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio va trasmesso almeno venti giorni prima della seduta consiliare in cui è prevista l’approvazione della variante [25]. Laddove, invece, si versi nell’ipotesi di apposizione dei vincoli ai sensi dell’art. 10, comma 1 [26], l’avviso di avvio del procedimento deve essere inviato almeno 20 giorni prima dell’emanazione dell’atto. 

Ma qui, a differenza dell’ipotesi del caso di variante al piano regolatore generale, il rispetto dei 20 giorni non è obbligatorio, perché il termine prescritto può venire meno se il suo rispetto non risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento.

Nel caso di amministrazione concertata, il riferimento all’atto va inteso come al provvedimento conclusivo del procedimento di concertazione. Nel caso di accordo di programma, il riferimento è alla deliberazione consiliare del Comune che ratifica il consenso del Sindaco. Nel caso della conferenza di servizi il riferimento è alla determinazione motivata di conclusione del procedimento [27].

La decorrenza dei 20 giorni va calcolata dalla data di invio della comunicazione e non da quella di ricezione da parte del destinatario. Si noti che la previsione dei 20 giorni mal convive con il termine dei 30 giorni per presentare osservazioni, che quindi potrebbero giungere all’Amministrazione dopo l’adozione del provvedimento, a scapito dell’effettività della garanzia di partecipazione del privato al procedimento.

L’avviso di avvio del procedimento va comunicato personalmente a ciascuno dei proprietari interessati dalla singole opere previste dal piano urbanistico o dal progetto dell’opera pubblica. 

Tuttavia, per l’ipotesi in cui i destinatari siano più di 50, si consente una modalità di comunicazione “di massa” [28]: non si darà corso ad una comunicazione personale, bensì ad un avviso pubblico. Questo deve essere reso conoscibile sia mediante affissione all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili interessati, sia mediante pubblicazione su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale.

Inoltre, può eventualmente darsi corso anche alla pubblicazione dell’avviso sul sito informatico della Regione o della Provincia autonoma nel cui te...