Storia normativa della densità edilizia

uo;esigenza di regolare la densità degli edifici non è coeva all’ordinamento urbanistico italiano. Nella versione originaria della legge 1150/1942, infatti, l’istituto non era oggetto di alcuna esplicita regolamentazione. Di conseguenza, la disciplina della densità edilizia era rimessa all’autonomia dei vari pianificatori[1].

La densità edilizia fece dunque capolino nella legislazione soltanto con l’avvento della legge ponte[2], sulla quale è già stato svolto qualche cenno introduttivo[3]. Si trattava all’epoca - e si tratta tuttora - di un profilo fondamentale della riforma del 1967: i primi commentatori sono infatti unanimi nel ritenere che l’art. 17 della legge, che introduce nella legge 1150/1942 il nuovo art. 41-quinquies, costituisca una «svolta decisiva dell’urbanistica»[4]. Ed invero, la disposizione costituisce la colonna portante della nuova disciplina degli standard urbanistici[5], i qua... _OMISSIS_ ...uo;60 e gli anni ’70 del XX secolo rappresentavano una delle frontiere più avanzate della scienza e del diritto dell’urbanistica[6].

Nonostante questa attenzione dottrinale e giurisprudenziale, però il concetto di standard era all’epoca tutt’altro che pacifico: costituiva un punto fermo il fatto che lo standard fosse un livello[7], ma era piuttosto discusso di quale livello si trattasse. Secondo una prima impostazione, infatti, per standard si doveva intendere un «livello soddisfacente, se non proprio ottimale»[8]. Secondo altra corrente dottrinale, invece, lo standard era un bensì un livello, ma il livello minimo[9]: quest’ultima definizione era da taluni ritenuta erronea[10], ma a quanto pare è proprio quella accolta dal legislatore, che con la legge ponte ha introdotto nella legge urbanistica una serie di minimi inderogabili[11]. Se, dunque, si condivide che l’art. 41-quinquies della legge urba... _OMISSIS_ ...isce la principale previsione normativa degli standard, è giocoforza concludere che lo standard - almeno in senso normativo - è in ogni caso un livello minimo, sotto il quale non è consentito scendere.

Ciò detto, è opportuno chiarire di quale grandezze gli standard urbanistici costituiscano il livello minimo. In astratto, infatti, possono essere assoggettati a standard tutte le prescrizioni attinenti all’insediamento umano, purché quantificabili: più precisamente, lo standard può essere utilizzato per fissare delle soglie in relazione a quei parametri che, se compromessi, pregiudicano la qualità della vita umana[12]. Nel concreto, però, la scelta di quali grandezze quantificabili subordinare a limiti inderogabili è rimessa al legislatore che, prima di dettare il valore dei singoli standard, ha dovuto selezionare quali grandezze quantificabili assoggettare alla tecnica in parola.

Quest’opera di selezione delle grandezze quantifica... _OMISSIS_ ...ttare standard è avvenuta con il citato art. 41-quinquies della legge urbanistica[13], che ne ha individuate essenzialmente quattro[14]: spazi pubblici, densità edilizia, altezza e distanza tra fabbricati[15]. Per ognuno di questi quattro parametri, dunque, il legislatore ha previsto la fissazione di un limite inderogabile, detto livello standard. Il limite, peraltro, è espresso talvolta in forma di minimo[16] e talaltra in forma di massimo[17], ma anche in questo secondo caso appare rispettata la citata logica del livello ottimale, dal momento che la subordinazione dell’attività edilizia ad un valore massimo, in effetti, evidenzia per converso un livello minimo di vivibilità, che l’urbanizzazione deve in ogni caso rispettare[18].

Una volta scelte le grandezze da quantificare e prevista la fissazione di uno standard, al legislatore si presentavano due alternative: o procedere alla quantificazione del livello ottimale, o rimandarne la puntualizz... _OMISSIS_ ...ficatore. Le due tecniche vengono alternate nell’ambito dell’art. 41-quinquies, all’interno del quale si possono distinguere due modi di operare distinti e contrapposti, rispettivamente indicati in dottrina con la terminologia di standard generali e standard speciali[19].

Per standard generali si intendono quelli fissati direttamente dal legislatore e sono così chiamati perché hanno validità su tutto il territorio nazionale[20]. Con questa tecnica, in buona sostanza, il legislatore non si accontenta di individuare le grandezze da quantificare e di prevedere la fissazione dei livelli ottimali, procedendo fino a raggiungere la puntuale determinazione di tali livelli. In tal modo, però, si finisce per espropriare il pianificatore delle sue competenze generali, che trovano giustificazione nello stretto legame tra quest’ultimo ed il territorio: è infatti d’intuitiva evidenza che il legislatore non può tener conto delle parti... _OMISSIS_ ...zona nello stesso modo in cui ne terrebbe conto il pianificatore locale, perché il legislatore cala dall’alto le proprie determinazioni, ragionando principalmente a priori e non sulla base delle concrete peculiarità delle singole realtà territoriali.

La consapevolezza di questi limiti della tecnica degli standard generali ha indotto il legislatore a farne limitata applicazione, preferendo di regola gli standard speciali[21]. È vero che entrambe le tecniche si trovano adottate nell’art. 41-quinquies, ma è pur vero che lo standard generale si pone come eccezionale in un sistema che invece appare principalmente orientato agli standard speciali. In altre parole, il legislatore ha preso atto dell’utilità di lasciare al pianificatore la fissazione dei livelli ottimali delle quattro grandezze prese in considerazione, comprimendo il più possibile lo spazio riservato agli standard generali. In buona sostanza, gli standard generali sembrano venire ... _OMISSIS_ ...anto laddove manchi lo strumento urbanistico generale[22]: in tutti gli altri casi, il legislatore ha preferito rinviare la quantificazione al momento della pianificazione.

La rimessione, peraltro, è raramente assoluta: anche nell’adottare la tecnica degli standard speciali, cioè, il legislatore ha spesso ritenuto inopportuno affidare il territorio alle esclusive determinazioni del pianificatore, preferendo assoggettarlo a limiti più o meno rigorosi. La fissazione di questi limiti per gli standard, che la legge ponte rinvia ad un successivo decreto ministeriale[23], è stata ritenuta compatibile con il dettato costituzionale dal supremo consesso di giustizia amministrativa[24] e costituisce oggi la caratteristica tipica della tecnica degli standard speciali: essi infatti sono bensì fissati dal pianificatore - diversamente dagli standard generali - ma rigorosamente all’interno dello spazio concesso dal legislatore.

La tecnic... _OMISSIS_ ...lazione alla densità edilizia rispecchia l’impostazione generale. Così, per i Comuni non provvisti né di piano regolatore generale, né di programma di fabbricazione, sono inizialmente previsti nell’art. 41-quinquies due standard generali di densità edilizia, l’uno relativo ai centri abitati[25], l’altro riferito alle restanti parti del territorio comunale[26]. Coerentemente con la loro natura di standard generali, peraltro, questi limiti sono destinati a cedere il passo a quelli previsti dal pianificatore[27], laddove intervenga lo strumento urbanistico generale.

Laddove il Comune disponga di p.r.g. o di piano di fabbricazione, infatti, le soglie di densità edilizia sono affidate a questi ultimi. Come anticipato, però, la tecnica degli standard speciali non preclude la fissazione di pregnanti limiti alla discrezionalità del pianificatore, che anzi costituisce una caratteristica saliente della tecnica in discorso. Da un lato, ... _OMISSIS_ ...islatore individua una soglia di densità edilizia che il pianificatore può bensì superare, ma solo mediante pianificazione attuativa[28]. D’altro lato - e soprattutto - l’ottavo comma dell’art. 41-quinquies obbliga tutti i pianificatori a rispettare determinati limiti inderogabili di densità edilizia[29], i quali, in base al comma successivo, «sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici»[30].

Successivamente alla legge ponte, che concentra nell’art. 41-quinquies, della legge urbanistica sia gli standard generali che quelli speciali, i due tipi di prescrizioni si avviano lungo cammini differenti e non si incontreranno mai più. Gli standard generali rimangono infatti invariati per meno di un decennio: il primo comma dell’art. 41-quinquies è parzialmente inciso già quat... _OMISSIS_ ...a novella[31] e implicitamente abrogato nel 1977 allorché la nuova normativa sull’edificabilità dei suoli riduce notevolmente[32] i limiti planivolumetrici applicabili a partire dal 10 gennaio 1979[33] nei Comuni sprovvisti di strumento urbanistico generale[34]. Solo con la riforma del 1977, quindi, gli standard generali hanno trovato pace, confluendo poi sostanzialmente invariati[35] nel testo unico per l’edilizia, laddove si trovano tuttora[36].

Viceversa, la disciplina degli standard speciali dettata dalla seconda parte dell’art. 41-quinquies è andata incontro ad un destino molto più felice. Il decreto previsto dall’ultimo comma della disposizione veniva emanato il 2 aprile del 1968 ed il quadro così risultante - composto dall’art. 41-quinquies e dal relativo regolamento di attuazione - non veniva mai più modificato e costituisce ancora oggi la struttura fondamentale della regolamentazione della densità edilizia.
... _OMISSIS_ ...pure la disciplina degli standard speciali, però, è uscita del tutto indenne dagli anni ’70: è vero che il legislatore statale non è mai più tornato sull’argomento, ma è pur vero che a partire da quegli anni hanno fatto la loro comparsa, sulla scena politica, le attesissime Regioni[37]. Queste ultime disponevano di potestà legislativa concorrente in materia urbanistica già nel testo originario del dettato costituzionale[38], al quale lo Stato diede concretamente attuazione già in occasione del primo trasferimento[39] tornandovi in occasione del secondo solo per puntualizzare alcuni aspetti[40]. Ricevute le competenze in questa materia - che, come ricorda la dottrina, comprendevano già il potere di dettare gli standard[41] - le Regioni si dedicarono con entusiasmo alla regolamentazione di una materia che - come già si è anticipato - sembra richiedere per natura una differenziazione territoriale. In questo modo, la disciplina della densità edilizia si arricchiv... _OMISSIS_ ...icolarità, la cui analisi deve necessariamente essere affiancata a quella dettata dalla legge ponte e dal relativo regolamento attuativo.

Nel confrontarsi con la densità edilizia, peraltro, le Regioni non hanno mai scordato l’insegnamento statale. Talvolta, in effetti, le previsioni dei legislatori periferici sono state particolarmente capillari, ma persino laddove le competenze legislative urbanistiche sono state utilizzate nella massima estensione possibile[42] non è difficile scorgere l’eco della regolamentazione statale[43]. Di conseguenza, sarà opportuno demandare l’analisi della normativa regionale ad un’apposita sezione[44], anticipando soltanto quegli elementi di differenziazione che, per la loro incidenza sui tratti fondamentali dell’istituto, sembrano acquistare rilevanza anche ai fini di una trattazione generale.