Liquidazione del danno da occupazione illegittima di suoli inedificabili ex lege

PATOLOGIA --> RISARCIMENTO DEL DANNO --> AREE AGRICOLE --> TERTIUM GENUS

Sintesi: In ipotesi di occupazione espropriativa di terreni non edificatori, al proprietario deve essere consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.


Estratto: «Anche queste censure vanno accolte nei limiti che seguono. Le considerazioni svolte sulla intervenuta declaratoria di incostituzionalità del criterio di stima incentrato sui VAM, superano le doglianze degli esproprianti rivolte a chiederne peraltro l'estensione all'occupazione espropriativa dei terreni non edificatori; in relazione alla quale d'altra parte la giurisprudenza di questa Corte, resa anche a Sezioni Unite ne aveva già escluso l'applicazione affermando: a) che al proprietario doveva essere consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (sez. un. 19551/2003 e succ); b) che l'indennizzo deve comunque essere determinato in base al suo valore venale, anche per l'avvenuta caducazione dei parametri riduttivi pur relative ai terreni edificatori, ad opera della nota sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale; ed il ripristino anche per essi della regola contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 39, nuovamente riproposta dall'art. 55 del T.U. sulle espr. come sostituito dal comma 89 della L. n. 244 del 2007, art. 2.»

Sintesi: In merito alla asserita possibilità di uno sfruttamento aggiuntivo e diverso da quello agricolo, non possono essere considerate ai fini risarcitori utilizzazioni potenziali o teoriche dei terreni, comunque inibite dalla disciplina urbanistica in vigore.

Estratto: «Anche del tutto irrilevante è poi l’asserita mancata valutazione del danno conseguente alle eventuali possibilità di uno sfruttamento aggiuntivo e diverso da quello agricolo.A parte, infatti, che non vi sono dubbi sulla destinazione e sull’uso agricolo di tali beni al momento dell’occupazione, comunque non possono essere considerate ai fini risarcitori utilizzazioni potenziali o teoriche dei terreni, comunque inibite dalla disciplina urbanistica in vigore.»

Sintesi: Il risarcimento del danno da fattispecie illecita non può essere determinato con applicazione del VAM, ma deve essere applicata la regola che impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario interessato dalla espropriazione sostanziale, di dimostrare che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.

Estratto: «Colgono nel segno le censure del ricorso avendo la Corte di merito applicato non già il valore reale dei suoli ma il criterio del VAM alla incompatibile fattispecie di risarcimento di un danno da fattispecie illecita (nella quale la ablazione si registra per il noto effetto di "abbandono" a parte actoris) e vieppiù facendo ricorso al parametro di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, dichiarato incostituzionale da C.C. 181/2011, se pur temperato dall'aumento del 50% per valore di posizione. Tale valore, si rammenta, doveva essere, ed oggi andrà determinato, alla stregua del valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39, come più volte ribadito, anche di recente, da questa Corte (Cass. 25718, 21386, 19938 del 2011, 20758 e 11276 del 2012), alla stregua del seguente principio:Al fine di determinare la giusta indennità per i terreni non edificabili deve essere applicata la regola che, applicata al caso di specie, impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario interessato dalla espropriazione sostanziale, di dimostrare, se del caso attraverso indagini tecniche, che il valore agricolo correlato alla presenza del PRG sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà, e, quindi,che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative".»

Sintesi: Correttamente in sede quantificazione del valore del bene ai fini risarcitori sono presi in considerazione tutti i fattori potenzialmente idonei ad incidere sull’effettiva utilizzabilità economica dei suoli, non potendo le aree essere semplicisticamente “appiattite” sul valore agricolo dei suoli, vista la loro astratta utilizzabilità economica; a tale valore dovranno tuttavia essere applicati coefficienti riduttivi in ragione della generale condizione di inedificabilità intrinseca derivante dalla soggezione a vincoli (nel caso di specie) aereoportuali.

Estratto: «In primo luogo, il valore dei suoli, da cui evincere il calcolo della misura del risarcimento, va riferito al tempo della cessazione dell’occupazione legittima, per poi essere contestualizzato applicando i relativi accessori secondo legge: ciò di cui il proprietario illegittimamente spossessato si duole e di cui chiede di essere risarcito è il mancato utilizzo del bene nel periodo considerato, e dunque si tratta di un ristoro avente ad oggetto le mancate utilità, con la conseguenza che si deve avere riguardo al momento iniziale in cui l’illecito si concretizza.Maggiori difficoltà pone invece il tema della qualificazione dei suoli ai fini urbanistici.Affermare che il valore dei suoli non può che essere pari a quello agricolo trascura di considerare che, pur soggetto a vincolo, il terreno delle ricorrenti è comunque collocato in una zona completamente edificata e pienamente servita da infrastrutture urbane; del resto, l’analisi del CTU ha compiutamente preso in considerazione tutti i fattori potenzialmente idonei ad incidere sull’effettiva utilizzabilità economica dei suoli, che è l’oggetto vero e proprio del risarcimento e ne ha tratto – non irragionevolmente - un coefficiente riduttivo del valore di base.D’altro canto, non è senza rilievo neppure la linea difensiva delle Amministrazioni resistenti, che evidenziano che i suoli sono comunque soggetti ad una generale condizione di inedificabilità intrinseca derivante dalla loro adiacenza al depuratore e dalla soggezione ai vincoli aereoportuali (cui l’area è soggetta, essendo collocata in vicinanza del perimetro dell’aereoporto “Tito Minniti”).Ad attenta analisi, le due posizioni divergono non tanto sul metodo, quanto sul risultato del percorso logico-motivazionale della ricostruzione del danno patito: invero, è certo che le aree non possono essere semplicisticamente “appiattite” sul valore agricolo dei suoli, vista la loro astratta utilizzabilità economica (che diviene concreta se si considera che l’esistenza di un centro sportivo attrezzato produce all’attualità redditi e proventi).Si tratta dunque di identificare un corretto criterio adeguatore di un valore di base che rifletta l’effettiva utilità economica del bene.In questo senso, il metodo utilizzato dal CTU (ovvero quello di partire da un valore base corrispondente alla valorizzazione formale del bene per applicarvi un coefficiente riduttivo) appare corretto nelle premesse, mentre può essere modificato nel risultato mediante l’applicazione di un coefficiente riduttivo maggiore di quello considerato, da determinarsi secondo equità.»

Sintesi: In sede di liquidazione del danno da occupazione illegittima di terreni non edificabili, deve essere applicata la regola che impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario di dimostrare che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria, utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Estratto: «Con il primo articolato motivo gli espropriati denunziano la falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis convertito dalla L. n. 359 del 1992 e della L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 nonché la ignoranza della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale, per avere la Corte di merito condiviso la valutazione del primo giudice per la quale il risarcimento del danno cagionato dalla occupazione usurpativa delle aree doveva essere stimato secondo i VAM. Ed infatti coglie nel segno tale censura avendo la Corte di merito applicato non già il dovuto valore reale dei suoli ma il criterio del VAM alla incompatibile fattispecie di risarcimento di un danno da fattispecie illecita (nella quale la ablazione si registra per il noto effetto di "abbandono" a parte actoris) facendo ricorso al parametro di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 dichiarato incostituzionale da C.C. 181/2011. Tale valore, si rammenta, doveva essere, ed oggi andrà determinato, alla stregua del valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39 come più volte ribadito, assai di recente, da questa Corte (Cass. 25718, 21386, 19938 del 2011, 20758 e 11276 del 2012), alla stregua del seguente principio, dettato per la determinazione dell'indennità ma comunque fonte di criteri idonei ad individuare il ristoro pieno:Al fine di determinare la giusta indennità per i terreni non edificabili deve essere applicata la regola che, applicata al caso di specie, impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario interessato dalla espropriazione sostanziale, di dimostrare, se del caso attraverso indagini tecniche, che il valore agricolo correlato alla presenza del PRG sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà, e, quindi, che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà,abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc), utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative".»

Sintesi: La riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati, ai fini risarcitori, in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità.

Estratto: «Una volta venuto meno quindi - a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 - il criterio riduttivo dell'indennizzo di cui all'art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, torna nuovamente applicabile - sia ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione che ai fini di quella di occupazione temporanea - il criterio generale del valore venale del bene fissato dall'art. 39 della L. 25 giugno 1865, n. 2359, mentre lo "ius superveniens" costituito dall'art. 2, commi 89 e 90, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, si applica solo ai procedimenti espropriativi e non anche ai giudizi in corso (cfr. Cass. Sez. 1 sent. n. 14939 del 21.6.2010).La dichiarazione di illegittimità costituzionale peraltro non ha toccato la necessità della distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, posto che il comma 4 del citato art. 5 bis non è stato interessato dalla pronuncia di incostituzionalità (cfr. Cass. 2007/19924 "In tema di espropriazione, la questione del contrasto del sistema indennitario previsto dall'art. 5 bis D.L. n. 333 del 1992, conv. in L. n. 359 del 1992, con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e con la Carta Costituzionale per violazione dei principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., riguarda il criterio di determinazione dell'indennizzo "per le aree edificabili" (regolato dai primi tre commi dell'art. 5 bis cit. ed, in via transitoria, dai commi sesto e settimo di questo), nonché il criterio di "liquidazione del danno... in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità", di cui al comma settimo bis del medesimo art. 5 bis, ugualmente applicabile alle sole "aree edificabili", non anche l'indennizzo "per le aree agricole e per quelle che ... non sono classificabili come edificabili", rispetto alle quali l'applicabilità delle norme contenute nel titolo secondo della L. n. 865 del 1971 (e successive modificazioni ed integrazioni), per un verso, è stata ritenuta conforme all'art. 42 della Costituzione (Corte cost. sentenza n. 355 del 1985) senza risultare oggetto di condanne da parte della Corte europea, laddove, per altro verso, neppure si palesa "retroattiva", atteso che il comma quarto del menzionato art. 5 bis, appunto "per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma terzo, non sono classificabili come edificabili", si è limitato soltanto a "richiamare", statuendone esattamente la persistente applicabilità, la disciplina che "già" vigeva in precedenza, ai sensi del titolo secondo della legge n. 865 del 1971").Con riferimento ai suoli di natura agricola quindi, "anche a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 42 e 117, comma 1, Cost., degli artt. 15 e 16 della L. 22 ottobre 1971, n. 865 (richiamati dall'art. 5-bis, comma 4, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1992, n. 359), nella parte in cui, relativamente alle aree non edificabili, commisurano l'indennità di espropriazione al valore agricolo medio; la predetta decisione ha infatti inciso sul solo regime indennitario dei suoli edificatori, la cui differenziazione da quello relativo ai suoli non edificabili non appare irrazionale ed arbitraria, in quanto le predette norme, lungi da prevedere un indennizzo irrisorio e in alcun modo ancorato ai valori di mercato, non solo dettano una puntuale disciplina diretta all'annuale adeguamento dei valori agricoli medi, ma consentono l'impugnazione di tali valori nelle competenti sedi, ove erroneamente attribuiti" (Cass. SS.UU. sent. n. 22753 del 28.10.2009).Alla luce di tanto, occorre ritenere che, in tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, continui ad applicarsi "la suddivisione di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie), e l'accertamento va compiuto sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri legali di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare la prevalenza a criteri di effettualità" (cfr. Cass. Sez. 1 sent. n. 717 del 13.1.2011).E pertanto, "in tema di liquidazione del danno da occupazione illegittima di un suolo agricolo, la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità; tuttavia, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. SS. UU. Sent. n. 19551 del 19.12.2003).»

Sintesi: In ipotesi di occupazione espropriativa di area non edificabile, al proprietario deve essere consentito di dimostrare che il fondo, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria; l'indennizzo deve comunque essere determinato in base al suo valore venale, anche per l'avvenuta caducazione dei parametri riduttivi pur relative ai terreni edificatori, ad opera della nota sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale ed il ripristino anche per essi della regola contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 39 nuovamente riproposta dall'art. 55 del T.U. come sostituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89.

Estratto: «Le considerazioni svolte sulla intervenuta declaratoria di incostituzionalità del criterio di stima incentrato sui VAM, supera le doglianze degli esproprianti rivolte a chiederne peraltro l'estensione all'occupazione espropriativa dei terreni non edificatori; in relazione alla quale d'altra parte la giurisprudenza di questa Corte, resa anche a Sezioni Unite ne aveva già escluso l'applicazione affermando: a) che al proprietario doveva essere consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (sez. un. 19551/2003 e succ.); b) che l'indennizzo deve comunque essere determinato in base al suo valore venale,anche per l'avvenuta caducazione dei parametri riduttivi pur relative ai terreni edificatori, ad opera della nota sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale; ed il ripristino anche per essi della regola contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 39 nuovamente riproposta dall'art. 55 del T.U. sulle espr. come sostituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89.»

Sintesi: Ai fini del risarcimento del danno, per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 349/2007 e n. 181/2011, non possono essere presi in considerazione i criteri dettati dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 neppure a titolo indicativo ed il danno deve essere liquidato alla stregua del valore venale del bene, in modo da prendere in considerazione le specifiche caratteristiche dell'area della quale i ricorrenti hanno perso la proprietà, tenendo conto di tutti i requisiti specifici del bene.

Sintesi: Ai fini del risarcimento del danno in caso di terreno agricolo, occorre considerare le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l'acqua, l'energia elettrica, l'esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant'altro può incidere sul valore venale, nonché le possibilità di utilizzazioni ulteriori e diverse da quelle agricole, intermedie tra le stesse e quelle edificatorie (quali parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica, previe le opportune autorizzazioni amministrative.

Estratto: «Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione della L. n. 848 del 1955 (ratifica della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo e del primo protocollo addizionale), lamentando che la Corte territoriale non aveva disapplicato il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis e conseguentemente era pervenuta ad un ristoro pecuniario non in ragionevole rapporto con il valore della proprietà espropriata.All'esame del motivo si deve premettere quello degli effetti spiegati nel presente procedimento dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, art. 34 ed applicabile, secondo quanto espressamente previsto dal comma 8, "anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore". Secondo tale disposizione, come è noto, "l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale". La disposizione in questione, pertanto, esclude che la proprietà possa essere perduta per effetto di una occupazione legittima seguita dalla realizzazione dell'opera pubblica ovvero per effetto di una occupazione illegittima seguita dalla richiesta di risarcimento del danno da parte del proprietario.Lo ius superveniens al quale sia attribuita efficacia retroattiva non si applica ai soli rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo. Nel caso in esame, in particolare, non è in discussione tra le parti, ed il punto deve ritenersi coperto da giudicato interno, l'avvenuta perdita della proprietà da parte degli odierni ricorrenti. Da ciò consegue anche la risarcibilità del danno per la perdita della proprietà alla stregua della disciplina anteriore a quella dettata dal citato art. 42 bis, tenendo ovviamente conto della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, (Corte cost. n. 349/2007) nonché del D.Lgs. n. 327 del 2001, stesso art. 5 bis, comma 4 e dell'art. 40 (Corte cost. n. 181/2011). Da ciò consegue che i criteri dettati dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 non possono essere presi in considerazione neppure a titolo indicativo ed il danno deve essere liquidato alla stregua del valore venale del bene, in modo da prendere in considerazione le specifiche caratteristiche dell'area della quale i ricorrenti hanno perso la proprietà, tenendo conto di tutti i requisiti specifici del bene, ivi compresi, in caso di terreno agricolo, "le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l'acqua, l'energia elettrica, l'esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant'altro può incidere sul valore venale di esso" (Corte cost. n. 181/2011) nonché le possibilità di utilizzazioni ulteriori e diverse da quelle agricole, intermedie tra le stesse e quelle edificatorie (quali parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica, previe le opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 28 maggio 2012, n. 8442).»

Sintesi: In mancanza di destinazione lenticolare, le aree incluse in zona G devono essere valutate come oggetto di un vincolo conformativo. In questo caso la valutazione dell'area non può prescindere dalle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio e dalle possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo (nel caso di specie in particolare, si deve tenere conto delle utilizzazioni rese possibili dalla destinazione al "terziario di supporto stradale").

Estratto: «I motivi sono fondati. La sentenza impugnata pur dando atto della destinazione di piano regolatore (zona G) ha attribuito al terreno perso dalle sorelle D.P. una condizione "per molti versi assimilabile a quella del terreno agricolo" e ciò sulla base di due considerazioni: la prima relativa alla destinazione agricola prima del PRG del 1980 e la seconda relativa al fatto che la collocazione nella zona G nel piano regolatore non era "disgiunta dalla previsione della realizzazione di imponenti opere stradali nel sito". Tale ragionamento, tuttavia, presuppone l'affermazione che il piano regolatore avrebbe disposto una destinazione cd. lenticolare delle aree; di una tale affermazione, tuttavia, non vi è traccia nella sentenza impugnata. Le aree in questione devono, pertanto, essere valutate come oggetto di un vincolo conformativo, tenendo conto della destinazione di piano regolatore e non della precedente destinazione agricola (Cass. 6 novembre 2008, n. 26615; Cass. 25 settembre 2007, n. 19924; Cass. 5 aprile 2006, n. 7892; Cass. 1 aprile 2005, n. 6914; Cass. 21 gennaio 2005, n. 1336). In questo caso la valutazione dell'area non può prescindere dalle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio e dalle possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo; in particolare, si deve tenere conto delle utilizzazioni rese possibili dalla destinazione al "terziario di supporto stradale". Infine, del tutto arbitrario appare il moltiplicatore del valore agricolo applicato dalla Corte territoriale senza alcuna dimostrazione del fatto che tale moltiplicatore consentisse di determinare il valore di mercato dell'area.»

Sintesi: Al fine di determinare la giusta indennità per i terreni non edificabili, deve essere applicata la regola che impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario interessato dalla espropriazione sostanziale, di dimostrare, che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.

Estratto: «Secondo motivo: denunzia, con riguardo alla stima del valore del manufatto, la violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 33 e 35, non essendo consentito ricavare, in una ipotesi quale quella, ricorrente nella specie e come accertato dalla Corte di Napoli, di area ricadente in zona sottoposta a vincolo paesistico, una presunzione di sanatoria per "silenzio-assenso". Il motivo è certamente fondato, alla luce della più volte ribadita giurisprudenza di questa Corte (Cass. 17881 del 2004, 19125 del 2005 e 23627 del 2007).La stessa censura è proposta nei due incidentali articolati nei controricorsi a ricorso ICOMEZ ed a ricorso ANAS. Nell'unico identico motivo il N. contesta la avvenuta applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis di conversione del D.L. n. 333 del 1992 introdotto dalla L. n. 662 del 1996. Ne contesta la legittimità e la conformità al Primo Protocollo CEDU. La censura in astratto certamente fondata ed in tesi comunque accoglibile per effetto dello jus superveniens (C.C. 349 del 2007) che ha inciso sui criteri, rimane però travolta nei suoi presupposti giuridici dalla cassazione della sentenza per l'errata affermazione della natura edificatoria dell'area. Ma poiché la censura attiene comunque alla determinazione del quantum, essa impedirà di applicare criteri che non siano coerenti - pur nel quadro della natura non edificatoria discendente dalla fondatezza dell'incidentale ANAS e dei motivi ICOMEZ - con l'esigenza di determinare il risarcimento alla stregua del valore venale.Tale valore, si rammenta, andrà determinato alla stregua del valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39, come più volte ribadito, assai di recente, da questa Corte (Cass. 25718, 21386, 19938 del 2011 ed 11276 del 2012), alla stregua del seguente principio:Al fine di determinare la giusta indennità per i terreni non edificabili deve essere applicata la regola che, applicata al caso di specie, impone di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, pertanto consentendo al proprietario interessato dalla espropriazione sostanziale, di dimostrare, se del caso attraverso indagini tecniche, che il valore agricolo correlato alla presenza del PRG sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà, e, quindi,che il suo fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc), utilizzazioni beninteso assentite dalla normativa vigente anche con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative". Si terrà conto, altresì, di quanto dianzi rammentato per la valutazione del valore del manufatto, per la quale non potrà essere formulata alcuna presunzione di sanatoria/inapplicabile nella zona in discorso.»

Sintesi: Nell'ipotesi di occupazione acquisitiva di fondi non edificatori al proprietario espropriato deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà: e, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.

Estratto: «Vero è poi, che questa Corte fin dalla decisione 9683/2000 ha recepito il principio che nell'ipotesi di occupazione acquisitiva di fondi non edificatori al proprietario espropriato deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà: e, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.»

Sintesi: In tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa di suoli di cui sia riconosciuta l'inedificabilità "ex lege" sulla base dello strumento urbanistico, la valutazione non va fatta in astratto e necessariamente in base all'utilizzazione agricola, ben potendo il proprietario dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, è mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità.

Estratto: «Nella specie l'indennità di occupazione temporanea, in quanto inerente a terreni qualificati come non edificabili, è stata determinata con assunzione del prescritto criterio di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 3, ossia in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell'indennità che sarebbe stata dovuta per l'espropriazione dell'area effettivamente occupata.Il relativo calcolo è stato peraltro effettuato determinando l'indennità virtuale di espropriazione secondo il criterio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4, che rinviava alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 mentre a seguito della sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalità di tale criterio (Corte cost. n. 181 del 2011), deve applicarsi il criterio generale della L. n. 2359 del 1865, art. 39 consentendosi ai proprietari di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificabilità, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchi possibili e consentite utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificabile (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, ecc. - in tema cfr cass. n. 25718 del 2011).Anche in tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa di suoli di cui sia riconosciuta l'inedificabilità "ex lege" sulla base dello strumento urbanistico, la valutazione non va fatta in astratto e necessariamente in base all'utilizzazione agricola, ben potendo il proprietario dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, è mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità e che esso, di conseguenza, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ha un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.»

Sintesi: Alla luce dei principi elaborati dalla Corte di Cassazione, in sede di liquidazione del risarcimento del danno da occupazione illegittima, il valore di un fondo classificato come “verde rurale”, come tale inedificabile, può essere determinato anche in ragione di una sua suscettibilità di usi diversi, qualora compatibili con la destinazione urbanistica del suolo.

Estratto: «La questione su cui verte la determinazione del valore del terreno di cui si tratta è relativa alla individuazione del valore di un terreno non edificabile.Sul punto, la Corte di cassazione, con riferimento ai «…principi elaborati da questa Corte per la ricognizione legale delle aree ai fini dell'indennità di espropriazione…», ritiene «…1) che la menzionata normativa dopo avere introdotto una generale ed incondizionata bipartizione dei suoli - edificabili e non edificabili - (che non ammette figure intermedie), associata ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell'area in considerazione, è pervenuta al risultato, che la stessa può essere qualificata legalmente edificabile soltanto se (il legislatore o) il piano regolatore o il programma di fabbricazione, o altri strumenti equivalenti, prevedano l'edificabilità della zona in cui è ubicato l'immobile, dichiarandola espressamente edificabile, regolandone la densità edilizia, consentendo la presentazione dì piani di lottizzazione, ecc.". Mentre se gli strumenti urbanistici non preordinati all'espropriazione l'assoggettino a vincolo di inedificabilità o tale destinazione edificatoria non consentano, alla stessa vengono precluse le possibilità legali di edificazione; 2) che la normativa in questione oltre a fissare tale rigida dicotomia, impone altresì di tener conto delle possibilità legali di edificazione sussistenti al momento della vicenda ablativa quali offerte dagli strumenti urbanistici; i quali, come è noto, onde dare un ordine ed un'armonia allo sviluppo dei centri abitati, nonché di disciplinare l'edilizia urbana nei suoi molteplici aspetti, ripartiscono il territorio comunale in zone con la precisazione delle relative destinazioni e la determinazione dei caratteri da osservare in ciascuna zona (utilizzazione, densità, modalità delle costruzioni, distacchi, intensità estensiva e volumetrica, e simili). Con la conseguenza che se l'inclusione del terreno espropriato in una zona avente per gli strumenti urbanistici generali destinazione edificatoria costituisce condizione necessaria e sufficiente per l'attribuzione del requisito dell'edificabilità legale, la relativa classificazione ne rappresenta anche il limite:non potendo l'immobile essere destinato a qualsiasi tipologia di edificazione, ma soltanto agli insediamenti espressamente previsti nella zona suddetta (Cass. 22961/2007; 18680/2005; 10265/2004; 16710/2003; 1739/2003)…» (Cass. Civ., Sez. I, 16 marzo 2012, n. 4210), e che «…Il parametro della c.d. edificabilità di fatto è utilizzabile solo in mancanza di disciplina urbanistica, in via suppletiva…» (Cass. Civ., Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2062).La Corte costituzionale, con sentenza 10 giugno 2011, n. 181, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei metodi di determinazione del valore dei suoli agricoli basati sui valori agricoli medi, affermando che «…il valore tabellare così calcolato prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il «ragionevole legame» con il valore di mercato, «prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte» (sentenza n. 348 del 2007, citata, punto 5.7 del Considerato in diritto)…».Ancora, la Corte di cassazione ha affermato che occorre «…tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell'area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un'espropriazione rituale, di dimostrare sempre all'interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative…» (Cass. civ., Sez. I, 29 settembre 2011, n. 19936).Da ciò, nel caso di specie, deriva che il valore del fondo di cui si tratta, classificato come “verde rurale”, può essere determinato anche in ragione di una sua suscettibilità di usi diversi, qualora compatibili con la destinazione urbanistica del suolo; sul punto, il CTU ha dato atto di aver determinato il valore del fondo in maniera a ciò coerente: «…ai fini della valutazione del valore di mercato del bene occorre tenere presenti anche quelle possibilità attuali di sfruttamento non agricolo e non edificatorio, quali l’utilizzazione dell’area come posteggio; come ricovero custodito di autocarri, roulotte, camper; come deposito custodito all’aperto di merce varia (materiali edili e correlative attrezzature, arredi da giardino, etc.)…» (relazione di consulenza, pag. 30), confermando nella relazione integrativa come tali parametri abbiano trovato applicazione al caso di specie: «…nella fattispecie, per le argomentazioni già svolte (in particolare, pagg. da 27 a 31 della relazione finale del giugno 2011), sussistono nel concreto sia i presupposti di ordine tecnico per considerare il terreno in esame non come un’area meramente agricola, e quindi per effettuarne la stima attraverso la determinazione del valore venale agricolo, sia (vds. anche gli atti pubblici acquisiti ed allegati alla relazione finale di C.T.U.) i parametri ed i riferimenti di ordine economico per la relativa comparazione estimativa…» (relazione di consulenza integrativa, pag. 8).»

Sintesi: All'accertata natura non edificatoria del terreno (nel caso di specie per essere destinato a verde pubblico), consegue soltanto che lo stesso non possa essere valutato come edificatorio, non certamente che debba essere posto extra- commercium, proprio perché "la qualificazione del vincolo a verde non può dirsi repulsiva ad ogni considerazione di redditività del bene". Deve pertanto in sede risarcitoria consentirsi al proprietario di dimostrare, all'interno della categoria suoli/inedificabili, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua destinazione non edificatoria.

Estratto: «Al lume di questi principi non più discutibili nel giudizio di rinvio,è ben vero che all'illecita occupazione di diritto comune realizzata dal comune di Cagliari non erano applicabili né la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, né tanto meno gli artt. 37 e 55 del T.U. (come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, erroneamente invocato dai ricorrenti), che disciplinano invece le espropriazioni rituali e quelle anomale (c.d. appropriative o acquisitive); ma le disposizioni degli artt. 2043 e 2058 cod. civ..Ma avendo nel caso i ricorrenti optato per la tutela risarcitoria (Cass. sez. un. 1907/1997 e succ.), in luogo di quella restitutoria concessa da quest'ultima norma, e dovendo essere apprezzato il valore in comune commercio del loro fondo, non poteva che trovare applicazione la regola, cui si è attenuta la Corte di appello, che detto valore è determinato anzitutto dalle "possibilità legali ed effettive di edificazione" ad esso attribuite dalla disciplina urbanistica, non superabile in nome di una più congrua reintegrazione patrimoniale del proprietario del fondo: posto che lo schema dell'illecito aquiliano comporta come unica conseguenza la sostituzione all'indennizzo peculiare delle espropriazioni il meccanismo del risarcimento del danno di cui all'art. 2043 cod. civ., ma non anche la restituzione al terreno di connotazioni,qualità e valutazioni commerciali che l'impossibilità di conseguire la concessione edilizia inequivocabilmente gli precludono (Cass. 8729/2009; 7157/2003; 1020/2000).Proprio per tale ragione la sentenza di rinvio ha confermato l'accertata soggezione del fondo M. al vincolo ambientale- paesistico di cui al menzionato P.T.P. di Molentargius - Monte Urpinu, respingendo il ricorso dei proprietari, nonché la sua destinazione a verde pubblico che ne ha escluso la natura edificatoria: sulla scia della consolidata giurisprudenza di legittimità ribadita dalle Sezioni Unite (sent. 173/2001), secondo cui: a) ove la zona è concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, che non ne tollera la realizzazione ad iniziativa privata neppure attraverso strumenti di convenzionamento, la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia, con la conseguenza che l'area va qualificata come non edificabile; b) pertanto, deve ricondursi a siffatta categoria la destinazione a verde pubblico urbano, pur se attrezzato per il gioco e per lo sport (Cass. 404/2010; 24585/2006; 2812/2006;Cass. 4732/2004). La quale non sta ad indicare, come erroneamente ritenuto dai ricorrenti, l'utilizzazione consentita ai proprietari, e che quindi anche costoro avrebbero potuto eseguirvi gli impianti sportivi previsti dallo strumento urbanistico (che altrimenti il terreno avrebbe avuto destinazione edificatoria); ma "la funzione urbanistica assegnata alla zona in cui il suolo è compreso": e quindi nella fattispecie la sottrazione delle aree che vi ricadono proprio a quest'ultima utilizzazione (edificatoria) privata,onde introdurre in luogo di essa la facoltà per la sola amministrazione comunale di realizzare esclusivamente strutture pubbliche, perciò funzionali all'uso suddetto (verde pubblico).Tuttavia da tale destinazione imposta dallo strumento urbanistico, ed ancor prima dalla Legge del 1939 avanti ricordata, conseguiva soltanto che il terreno non potesse essere valutato come edificatorio, non certamente che dovesse essere posto extra- commercium; né tanto meno la sua valutazione automatica in base al valore tabellare di un bosco di alto fusto per il fatto che al momento dell'occupazione vi insisteva tale tipologia di soprassuolo:avendo già Cass. 10742/2002 avvertito che si era resa necessaria la prosecuzione del giudizio di merito "ai fini di una adeguata valutazione in termini di utilizzabilità economica dei terreni", nel quadro dell'ormai accertata in edificabilità proprio perché "la qualificazione del vincolo a verde non può dirsi repulsiva ad ogni considerazione di redditività del bene". Sicchè il Collegio deve confermare il suddetto principio assolutamente saldo anche nella giurisprudenza successiva (Cass. sez. un. 19551/2003 e succ.) ed oggi confermato pure per le espropriazioni rituali dalla nota pronuncia di incostituzionalità dei VAM di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 (sent. 181/2011 della Corte Costit.), ma non osservato dalla decisione impugnata: che, dovendo tenersi conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini in relazione alle utilizzazioni consentite dalla legge, nonché dagli strumenti di pianificazione del territorio, al proprietario deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua destinazione non edificatoria. E quindi, che il fondo,suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (parcheggi, depositi, mostre, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.); e nel contempo gli eventuali particolari pregi paesaggistici, naturali e storico-archeologici (Cass. sez. un. 2419/2011), già nel caso evidenziati dalla sentenza di rinvio di questa Corte.»

Sintesi: In tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa di suoli di cui sia riconosciuta l'inedificabilità "ex lege" sulla base dello strumento urbanistico, l'area va qualificata come non edificabile, ma la valutazione non va fatta necessariamente in base all'utilizzazione agricola, potendo il proprietario dimostrare che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, è mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità e che esso, di conseguenza, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ha un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Il Giudice del merito, partendo dal corretto principio della liquidazione del danno da occupazione appropriativa secondo il valore sul mercato del bene, ritenuta la natura non edificabile del terreno di cui si tratta, ha erroneamente applicato il principio più volte espresso da questa Corte e tra le ultime ribadito nella sentenza 797/2011,secondo cui "In tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa di suoli di cui sia riconosciuta l'inedificabilità "ex lege" sulla base dello strumento urbanistico, l'area va qualificata come non edificabile, ma la valutazione non va fatta necessariamente in base all'utilizzazione agricola... il proprietario può dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentile dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, è mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità e che esso, di conseguenza, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ha un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria".La Corte catanese ha a riguardo fatto riferimento alla elevata "potenzialità edificatoria della zona... pur non realizzabile", ed alla rielaborazione in corso del P.R.G., violando i principi sopra enunciati, segnatamente quello relativo al divieto di considerazione della potenzialità edificatoria ovvero degli indici di valutazione attinenti al concetto della edificabilità di fatto, ed ha adottato la stima del C.T.U., basata sul criterio del prezzo di trasformazione, del tutto incongruo rispetto alla accertata natura non edificabile del terreno.Da ciò consegue la cassazione della pronuncia impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione, la quale dovrà provvedere alla valutazione di mercato del terreno non edificabile in oggetto, avuto riguardo alle obiettive caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dallo strumento urbanistico, ma senza considerazione della potenzialità edificatoria, alla stregua del principio come sopra espresso. »

Sintesi: In sede di determinazione del danno da occupazione appropriativa, il controvalore dell'immobile classificato non edificabile deve avere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria, tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà.

Estratto: «4) anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema dell'art. 5 bis, tra aree edificabili ed aree prive di siffatta destinazione, che non è disapplicabile in nome di una più congrua reintegrazione patrimoniale del proprietario del fondo; e valgono,di conseguenza, i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle "possibilità legali ed effettive di edificazione", in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica: ciò comportando che il controvalore dell'immobile classificato non edificabile debba avere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria, tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà (Cass. sez. un. 19551/2003, nonché 9683/2000; 4838/2000).4. Pertanto siccome secondo la sentenza impugnata il terreno ricadeva in zona omogenea G, destinata a servizi generali (pag. 2) e secondo la Provincia di Cagliari a zona contenenti attrezzature di uso collettivo, come scuole, uffici pubblici, ambulatori ed ospedali ecc, la ricognizione legale del terreno non poteva essere devoluta al giudizio del c.t.u., ma doveva essere compiuta di ufficio esclusivamente in base alla classificazione urbanistica dell'area, perciò indipendentemente dai criteri seguiti dall'espropriante nel formulare l'offerta dell'indennità provvisoria, nonché da quelli adottati dalla Commissione provinciale nel compiere la valutazione;ed indipendentemente (a fortiori) dalle prospettazioni, dalle richieste nonché da asserite ammissioni al riguardo delle parti, le cui deduzioni sul punto si esauriscono, pertanto, nell'espressione di semplici "punti di vista" circa l'ammontare del giusto indennizzo e non ineriscono al "petitum" immediato (elemento di identificazione dell'azione) già compiutamente definito dalla domanda di rideterminazione dell'indennità, ancorché non specificata nel "quantum" (Cass. sez. un. 35/2001, nonché 6176/2003; 15247/2001).»

Sintesi: In sede di valutazione del danno, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", non comporta che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola; al proprietario è consentito di dimostrare che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «5) Il primo motivo di appello formulato nell'interesse del Comune di Genzano di Lucania è fondato, ed ha indotto questa Corte a rinnovare la ctu, al fine di stimare nuovamente il valore dei suoli trasformati.L'ausiliare del Tribunale ha infatti valorizzato la posizione del terreno, posto in una zona centrale dell'abitato, circondato da edifici e da zone in cui erano stati individuati ulteriori lotti edificabili.Ciò non è tuttavia sufficiente per attribuire al bene natura edificatoria.Come evidenziato dall'appellante, il piano di fabbricazione, nell'ambito del programma generale di sviluppo urbanistico, costituente pertanto strumento conformativo, prevedeva la destinazione dei suoli occupati in parte a verde pubblico attrezzato e in parte ad attrezzature di pubblico interesse.Non può riconoscersi la prerogativa dell'edificabilità - e deve conseguentemente commisurarsi l'indennità di occupazione e il risarcimento al valore agricolo - riguardo alla destinazione urbanistica di terreni a servizi di pubblica utilità, preclusiva ai privati di forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, che, anche se previste, sono concepite al solo fine di assicurare la fruizione pubblica degli spazi. Ciò in quanto nel sistema introdotto dall'art. 5-bis della legge n. 359 del 1992, caratterizzato dalla rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole o comunque non edificabili, il riconoscimento della edificabilità del fondo, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione (come della determinazione del risarcimento per occupazione acquisitiva) è legato alla sola classificazione urbanistica, dovendosi tenere conto dei vincoli conformativi che, in quanto connaturati alla proprietà in sé, incidono su una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, come nei casi di zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso, qualora non siano tollerati interventi edificatori ad iniziativa privata, neppure attraverso apposite convenzioni.Ne consegue che, ove sul fondo espropriato insistano vincoli di destinazione pubblicistica tali da escludere l'edificabilità legale, quale la classificazione di zona a verde pubblico, l'indennità dev'essere commisurata al valore agricolo (per tutte: Cass. n. 15.213/2010; Cass. n. 17.995/2009).Quindi, la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità. Tuttavia, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione.Pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. Sez. un. n. 19.551/2003; Cass. n. 1041/2006; Cass. n. 1526/2006).»

Sintesi: In sede risarcitoria, per le aree inedificabili, è in facoltà del proprietario di dimostrare, in relazione alle caratteristiche e attitudini del suolo, utilizzazioni anche diverse da quelle meramente agricole, dalle quali rilevare valori maggiori di quelli meramente tabellari previsti dalle norme che la sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011 ha dichiarato illegittime in relazione all'indennità di espropriazione. Correttamente pertanto è utilizzato come parametro per determinare il valore di mercato di suddette aree loro concreta utilizzazione e redditività e quindi la loro destinazione economica desumibile da quella urbanistica.

Estratto: «La Corte di appello si è infatti uniformata alla sentenza n. 17252/02 di questa Corte nell'escludere ogni rilievo alla c.d. edificabilità di fatto e nel valutare il suolo in rapporto alla sua concreta destinazione urbanistica all'epoca della illecita occupazione avvenuta nel 1993 e quando già vigeva il P.R.G. del comune, approvato a gennaio di quello stesso anno.In realtà, l'area è sita in Zona F e quindi destinata ad attrezzature e servizi pubblici, ovvero a verde e, come tale, è ritenuta inedificabile dalla giurisprudenza di questa Corte (così, di recente, Cass. 13 gennaio 2010 n. 4 04), dovendosi le opere previste in tale zona realizzare di regola dalla amministrazione e non essendo in essa consentita l'edificazione a iniziativa privata.In quanto la manipolazione prevista dal certificato di destinazione urbanistica era solo la realizzazione di servizi pubblici, tra i quali il parcheggio in fatto costruito, la Corte ha esattamente ritenuto che, alla data dell'occupazione usurpativa, l'area doveva valutarsi in rapporto a tale destinazione e in ragione del fatto che unico acquirente di essa avrebbe potuto essere la P.A, che avrebbe dovuto realizzare l'opera per la sosta dei veicoli. Si è applicato il principio di recente affermato da Cass. 13 gennaio 2011 n. 717, per il quale, in sede risarcitoria, per le aree in edificabili, è in facoltà del proprietario di dimostrare, in relazione alle caratteristiche e attitudini del suolo, utilizzazioni anche diverse da quelle meramente agricole, dalle quali rilevare valori maggiori di quelli meramente tabellari previsti dalle norme che la sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 10 giugno 2 011 ha dichiarato illegittime in relazione alla indennità di espropriazione.Nel caso, la Corte ha ritenuto giusto il prezzo di L. 15.000 a mq. indicato dal c.t.u. in base alla comparazione con prezzi indicati in atti che la ricorrente ritiene inadeguati per il loro carattere fiscale, senza peraltro dare specifiche indicazioni diverse o alternative che possano fondare la individuazione di un diverso e maggiore valore di mercato dei terreni.Al giusto prezzo e al valore venale delle aree si è quindi ispirata la Corte d'appello, pur ritenendo inedificabili i terreni occupati in ragione del vigente P.R.G. del 1993, così decidendo in conformità alla decisione di questa Corte a base del giudizio di rinvio e non violando gli articoli della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo cui si riferisce il ricorso, che è quindi infondato, per essersi la Corte di merito correttamente uniformata ai principi espressi da questa Corte nel 2002, usando come parametro per determinare il valore di mercato delle aree in sede di liquidazione del risarcimento la loro concreta utilizzazione e redditività e quindi la loro destinazione economica desumibile da quella urbanistica. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico del Comune soccombente e si liquidano come in dispositivo.»

Sintesi: In sede di liquidazione del danno, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola; al proprietario è consentito di dimostrare che il terreno, all'interno della categoria di suoli inedificabili, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Deve porsi in evidenza, invero, come attraverso la denuncia della violazione di legge, senza per altro indicare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le disposizioni richiamate, o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, si proponga una censura di merito, attinente alla determinazione del valore del terreno.Sotto tale profilo, attesa la natura incontestabilmente agricola delle aree in questione, deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità; tuttavia, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo dei terreno, all'interno della categoria di suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass., 12 giugno 2006, n. 13581; Cass. 28 maggio 2004 n. 10280; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2003, n. 19551).In realtà le ricorrenti si dolgono delle scelte della corte territoriale che, in presenza dell'accertata natura agricola dell'area - non essendo per altro vincolante la stima risultante da una precedente liquidazione giudiziale di una porzione di terreno adiacente - ha adottato valori unitari di gran lunga superiori a quelli agricoli medi, pur in assenza della deduzione di una concreta ed attuale possibilità di sfruttamento ulteriore. Sotto questo profilo, la motivazione con la quale la corte territoriale si è discostata dalla stima del consulente tecnico d'ufficio, ponendo in rilievo, fra l'altro, come le meramente eventuali quanto future possibilità di edificazione in base a modifiche degli strumenti urbanistici non potessero essere prese in seria considerazione, appare corretta sia sotto il profilo logico che giuridico.Quanto alla individuazione del valore del suolo da parte della stessa corte territoriale, si rinvia all'esame che verrà effettuato in relazione allo scrutinio del ricorso incidentale.»

Sintesi: In tema di liquidazione del danno da occupazione illegittima di un suolo agricolo, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", non comporta che necessariamente il suolo debba essere valutato in base alla sua utilizzazione agricola, essendo al proprietario consentito di dimostrare, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Quanto ai terreni di cui la stessa Corte di appello ha evidenziato l'inclusione in zona qualificata dal P.R.G. come agricola,la decisione non ha tenuto in alcun conto i seguenti principi giurisprudenziali,ripetutamente enunciati da questa Corte,anche a sezioni unite: "In tema di liquidazione del danno da occupazione illegittima di un suolo agricolo, la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità; tuttavia, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. sez. un. 19551/2003; nonché 1526 e 1041/2006; 26615/2008).»

Sintesi: Con riguardo ai suoli non aventi vocazione edificatoria, la necessità di fare riferimento, ai fini della liquidazione del danno da occupazione appropriativa, al giusto prezzo che sarebbe stato riconosciuto in una libera contrattazione, e quindi di tener conto delle caratteristiche obbiettive ed intrinseche dell'immobile e delle possibilità di sfruttamento dello stesso permesse dagli strumenti di pianificazione del territorio, induce a ritenere che al proprietario sia consentito di dimostrare che il fondo, ancorché non edificabile, sia suscettibile di utilizzazioni ulteriori e diverse da quella agricola, che ne comportino un'effettiva valutazione di mercato diversa ed eventualmente più favorevole rispetto ai valori tabellari di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16.

Estratto: «2. - E' invece fondato il secondo motivo, con cui i ricorrenti deducono, in via subordinata, l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, per effetto della mancata considerazione della sentenza richiamata dal c.t.u., ha determinato il valore dell'area occupata sulla base di elementi aliunde acquisiti, aventi rilevanza esclusivamente fiscale.2.1. - Accertato che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il fondo occupato non aveva natura edificatoria, la Corte d'Appello ha disatteso le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado, il quale, richiamando anche la precedente sentenza, aveva determinato il valore dell'immobile sulla base di affermate potenzialità edificatorie, contrastanti con la sua classificazione urbanìstica.Ritenuto inoltre che, vertendosi in tema non già di determinazione dell'indennità di esproprio ma di liquidazione del danno per occupazione appropriativa, l'esclusione della vocazione edificatoria non comportasse necessariamente l'attribuzione di un valore commisurato all'utilizzazione agricola, essa si è posta il problema dell'individuazione di altre eventuali possibilità di sfruttamento del fondo, risolvendolo tuttavia in senso negativo, in considerazione della mancata allegazione di elementi idonei a fornirne la prova, ed ha pertanto concluso che l'unico elemento utilizzabile, ai fini della valutazione del fondo, fosse costituito dal valore dichiarato dagli stessi ricorrenti nella denuncia di successione presentata all'epoca della morte della madre, originaria proprietaria dell'immobile.Il procedimento in tal modo seguito risulta corretto, sotto il profilo logico-giuridico, nella parte in cui ha escluso la possibilità di tener conto, ai fini della valutazione delle possibilità di utilizzazione dell'immobile, della cd. edificabilità di fatto, la quale, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha carattere meramente residuale, assumendo rilievo esclusivamente in via suppletiva, ai fini dell'individuazione della vocazione edificatoria del fondo in carenza di strumenti urbanistici generali, ovvero in via integrativa, ai fini della determinazione del valore dell'immobile in presenza di una vocazione edificatoria accertata alla stregua degli strumenti urbanistici vigenti (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 1^, 26 novembre 2008, n. 28282; 26 giugno 2007, n. 14783; 28 maggio 2004, n. 10280; 1 febbraio 2000, n. 1090).Condivisibile appare anche l'affermazione secondo cui la riconosciuta inedificabilità ex lege del fondo e la conseguente impossibilità di darne una valutazione correlata a supposte potenzialità di sfruttamento edificatorio non comportano necessariamente che, nella determinazione del suo valore, debba farsi riferimento esclusivamente ad un'utilizzazione agricola, avendo questa Corte affermato che tale conseguenza era prevista soltanto ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, per la cui determinazione il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, contemplava una netta dicotomia tra le aree edificabili (per le quali l'indennizzo doveva essere determinato secondo i criteri stabiliti dai primi due commi del medesimo articolo) e tutte le altre aree (per le quali la liquidazione doveva aver luogo in base ai criteri di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 15 e 16, richiamati dall'art. 5 bis, comma 4). Anche in materia di liquidazione dell'indennità di espropriazione, peraltro, la rilevanza di tale distinzione è destinata a scemare per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011, con cui sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi da un lato i primi due commi dell'art. 5 bis, e dall'altro il comma quarto del medesimo articolo, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, con la conseguente reviviscenza, per entrambe le tipologie di immobili, del criterio del valore venale previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40. In ogni caso, con riguardo ai suoli non aventi vocazione edificatoria, la necessità di fare riferimento, ai fini della liquidazione del danno da occupazione appropriativa, al giusto prezzo che sarebbe stato riconosciuto in una libera contrattazione, e quindi di tener conto delle caratteristiche obbiettive ed intrinseche dell'immobile e delle possibilità di sfruttamento dello stesso permesse dagli strumenti di pianificazione del territorio, ha indotto questa Corte a ritenere che al proprietario sia consentito di dimostrare che il fondo, ancorché non edificabili, sia suscettibile di utilizzazioni ulteriori e diverse da quella agricola, che ne comportino un'effettiva valutazione di mercato diversa ed eventualmente più favorevole rispetto ai valori tabellari di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (cfr. Cass., Sez. 1^, 26 maggio 2010, n. 12862; 6 novembre 2008, n. 26615; 26 giugno 2007, n. 14783).La sentenza impugnata non appare invece condivisibile nella parte in cui, alla luce dell'errata valutazione del regime urbanistico del fondo da parte del c.t.u. e della mancata allegazione di circostanze idonee ad evidenziare possibilità di utilizzazione diverse da quella agricola, ha fatto riferimento, ai fini della valutazione dell'immobile, al valore indicato nella denuncia di successione. Tale scelta non appare infatti giustificata né dall'inattendibilità delle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., cui si sarebbe potuto porre rimedio mediante la rinnovazione delle indagini, né dalla considerazione che la dichiarazione, resa al di fuori del giudizio, non era stata contestata dalle parti né rettificata dall'Ufficio competente. L'estraneità della denuncia di successione alla vicenda processuale in esame e l'interesse del denunciante a contenere il valore dichiarato, al fine di limitare gli oneri tributari connessi alla successione, non fanno infatti venir meno la sua natura di atto di parte, la cui mancata contestazione ad opera del Comune non appare di per sé sufficiente, in assenza di altri elementi, a farne ritenere attendibili le risultanze, non essendo stata neppure precisata la fonte da cui è stata desunta la mancata rettifica.»

Sintesi: In entrambe le fattispecie di occupazione acquisitiva ed usurpativa il bene occupato deve ricevere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria, tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà.

Estratto: «5. Attesa siffatta destinazione,nessun risultato utile e giuridicamente apprezzabile può essere conseguito nel caso concreto dal comune con il riconoscimento che l'originaria domanda della proprietaria si fondasse sull'avvenuta occupazione espropriativa del suo terreno (1^ motivo), piuttosto che sulla sua illecita permanente occupazione al di fuori del procedimento ablativo (c.d. occupazione usurpativa), posto che: a) l' E. ha rinunciato a domandarne la restituzione e ne ha chiesto il pagamento del relativo valore venale (Cass. sez. un. 1907/1997 e succ.); b) detto valore deve essere determinato all'epoca della sua irreversibile trasformazione, così come sarebbe avvenuto ove la Corte di appello avesse riconosciuto l'indennizzo ex art. 42 Cost., a favore della proprietaria per il verificarsi dell'occupazione acquisitiva in favore del comune; c) in entrambe le fattispecie deve ricevere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria,tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà (Cass. sez. un. 19551/2003, nonché 9683/2000; 4838/2000).»

Sintesi: In ipotesi di occupazione acquisitiva, trovando applicazione il principio che il danno va liquidato in misura corrispondente al giusto prezzo che l'immobile avrebbe in una libera contrattazione, e, quindi, tenendo conto delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, al proprietario deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà e, quindi, che il fondo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.

Estratto: «La Corte territoriale per la valutazione dei terreni espropriati ha integralmente recepito il meccanismo prospettato dal c.t., il quale muove dalla individuazione di un comprensorio (virtuale) ritenuto omogeneo al cui servizio è posta la viabilità attuata sui fondi suddetti; calcola l'intera volumetria su di esso realizzabile in base alla somma delle singole porzioni chiamate a comporlo pur se aventi destinazioni urbanistiche diverse (B,C, attrezzature scolastiche, servizi, verde ecc.); ed operando una proporzione/divisione tra le due grandezze consegue un indice di fabbricabilità comprensoriale poi utilizzato per la ricerca del valore di trasformazione delle aree ricadenti nel comprensorio destinate ad ospitare le infrastrutture pubbliche: valore che viene infine mediato con il criterio della libera vendita di detti suoli,in tal modo ottenendosene il presunto più probabile valore.E' stato in tal modo riproposto il criterio estimativo c.d. del valore comprensoriale, già disatteso da questa Corte (sent. 5262/1993), rivolto ad attenuare le sperequazioni provocate dalle diverse destinazioni attribuite dagli strumenti di pianificazione urbanistica, con particolare riguardo alle aree destinate ad attrezzature ed infrastrutture e comunque a servizi idonei a soddisfare i bisogni della collettività: in relazione a queste ultime, allorché incluse in zone aventi destinazione pubblicistica, in cui è perciò precluso il requisito dell'edificabilità legale, si rileva infatti che le stesse sono a servizio delle attigue aree residenziali e perciò funzionali alla loro stessa esistenza, garantendo servizi, impianti ed infrastrutture costituenti nel loro insieme fattori indispensabili per consentirne l'insediamento secondo elevati standard sociali e qualitativi, in una ben individuata parte del territorio comunale.Da qui la ritenuta necessità di modificare la scala di riferimento urbanistico che non può più essere limitata alla zona omogenea prevista dalla pianificazione urbanistica generale, ma deve estendersi ad un comprensorio omogeneo di mercato, costituito da due addendi complementari, la componente insediativa privata, comprendente le aree edificabili o edificate private; e la componente infrastrutturale data dal complesso delle aree destinate ad attrezzature e ad impianti pubblici, in rapporto complementare ed imprescindibile con le prime, che li rende giuridicamente ed economicamente indistinguibili: consentendo in sede estimativa il trasferimento su di esse se non dell'intero valore delle aree private, per lo meno del "quantum" della loro partecipazione allo sviluppo ed alla stessa ragion d'essere di queste ultime, al pari di quanto avviene per le aree residue e/o pertinenziali di un lotto edificato.La Corte deve dare atto che proprio per evitare il sacrificio delle zone individuate come sedi di attrezzature e servizi pubblici a vantaggio di quelle residenziali, recenti leggi regionali si sono preoccupate di distribuire in modo equo fra tutti i proprietari delle aree interessate al programma di trasformazione urbana i vantaggi e gli oneri determinati dalle scelte di pianificazione; ed alcune di esse "ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione" hanno attribuito il requisito dell'edificabilità legale "a tutte le aree oggetto della pianificazione comunale" (L.R. Lombardia n. 3 del 2009, art. 17), ovvero a quelle "ricadenti all'interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal Piano" (L.R. Emilia n. 19 del 2007, art. 20), per poi indicare nelle disposizioni successive quali suoli debbano considerarsi privi di detto requisito. Mentre altre hanno introdotto più appropriati meccanismi di calcolo, come la L.P. Trento n. 10 del 1993, art. 14, comma 2 (come modificato dalla successiva L.R. n. 10 del 1998) e la L.P. Bolzano n. 9 del 2009, art. 4, che per le aree destinate a servizi e attrezzature di interesse generale hanno disposto che se ne deve determinare il valore venale tenendo conto delle caratteristiche dei terreni, del loro inserimento nel tessuto urbanistico e della destinazione urbanistica dei terreni circostanti.La maggior parte delle nuove normative regionali, poi, ha previsto direttamente o rimettendola agli strumenti urbanistici generali, l'adozione di sistemi perequativi, quali veri e propri criteri di giustizia distributiva attuabili con diverse tecniche (perequazioni c.d. di volumi, di valori, di comparti ecc.), con i quali sono riconosciute più eque possibilità di valorizzazione economica delle proprietà fondiarie, queste sostanzialmente rendendo indifferenti agli effetti conformativi delle scelte discrezionali ed alìimperatività della zonizzazione secondo le diverse funzioni territoriali; ovvero misure alternative, come i c.d. ambiti di compensazione o le cessioni compensative (invece del pagamento dell'indennizzo), pur essi suddivisi in tipologie variegate e legittimati dalla nota decisione 179/1999 della Corte Costituzionale.4. Sennonché proprio la necessità di questi interventi legislativi ne esclude la possibilità di sostituzione con il ricorso ad una tecnica estimativa sostanzialmente rivolta a recuperare per i terreni in questione qualità ed attitudini precluse in radice dal precetto dell'edificabilità legale posto dal ricordato art. 5 bis, ed ora ribadito dal combinato disposto degli artt. 32 e 37 del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001: e quindi a consentirne quale risultato ultimo una classificazione subedificatoria atta a neutralizzare gli effetti di quella legale non-edificatoria,che partecipi egualmente (sia pure non interamente) per altra via di benefici e valutazioni riservati alle destinazioni realizzabili in economia di mercato ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata.Detta normativa non rende,poi possibile allo stato,il superamento dell'azzonamento e la sostituzione ad esso del "comparto" peraltro rimesso non più al momento della programmazione urbanistica,ma a quello della stima dei terreni chiamati a farne parte, e perciò ad un'ampia e non controllabile discrezionalità sia per quanto riguarda la sua istituzione, che la delimitazione, sia soprattutto per apprezzarne la funzionalità ad uno specifico edificato residenziale (piuttosto che ad interessi più generali della collettività); ed appare in palese contrasto con il sistema di pianificazione tuttora vigente, fondato, invece, come ha più volte rilevato la Corte Costituzionale (cfr. sent. 261/1997) "sulla scelta del legislatore di suddividere le aree in due sole categorie (aree edificabili da una parte e tutte le rimanenti dall'altra)", e nell'ambito di essa sulla ripartizione, da parte degli strumenti urbanistici, dell'intero territorio in zone omogenee con la precisazione delle singole destinazioni e la determinazione dei caratteri da osservare in ciascuna zona (densità, modalità delle costruzioni, distacchi, intensità estensiva e volumetrica, e simili): con le quali le amministrazioni svolgono la funzione, dichiarata costituzionalmente legittima dalla stessa Consulta, di dare un ordine ed un'armonia allo sviluppo dei centri abitati, nonché di disciplinare l'edilizia urbana nei suoi molteplici aspetti relativi al regime giuridico di tutti i beni aventi una determinata localizzazione o ricompresi nell'ambito di una determinata zona del Piano urbanistico generale e, quindi, soggetti ad una preventiva conformazione;pur se oggi si assiste sempre più all'istituzione da parte delle amministrazioni, di zone polifunzionali all'interno delle quali viene incentivata la coesistenza di usi promiscui, pur meritevoli di un'adeguata disciplina legislativa.Per converso, il comparto, pur soltanto virtuale, si avvale soprattutto del meccanismo della c.d. edificabilità di fatto,peraltro incentrato sulla considerazione di elementi quasi esclusivamente spaziali, in quanto sia la sua superficie utile considerata, sia la volumetria realizzabile su di essa,risultano composte da un coacervo di aree assemblate senza alcun criterio oggettivo ed appartenenti a zone disomogenee, perciò aventi destinazioni e caratteristiche diverse l'una dall'altra; per cui anche l'indice di fabbricabilità che ne viene attraverso di esse calcolato costituisce una sorta di media tra quelli territoriali peculiari delle zone edificatorie, quelli aventi tutt'altra funzione perché istituiti esclusivamente per le opere pubbliche da realizzare nelle zone non edificabili, e quelli nulli, propri di aree, come quella appartenente ai C., che per la loro destinazione pubblicistica, ne sono in radice privi.Siffatte anomalie si disvelano in modo ancor più palese nella concreta valutazione delle aree espropriate operata dalla consulenza e poi dalla Corte di appello invocando tanto il metodo c.d. sintetico- comparativo, quanto quello analitico ricostruttivo, per poi mediare i risultati ottenuti: che si è tradotta nella violazione e disapplicazione di entrambi i criteri posto che quest'ultimo comporta l'accertamento dei volumi realizzabili sull'area perciò postulando l'esercizio concreto dello "ius aedificandi"; e muove dalle caratteristiche specifiche del fondo espropriato, depurando il valore dell'edificato dal costo di costruzione, per pervenire al valore dell'area, attesa la sua qualificazione urbanistica (edificabilità legale), comprensiva dell'entità volumetrica esprimibile dalla superficie a disposizione, che il terreno C. invece non possiede.D'altra parte l'applicazione del criterio c.d. sintetico-comparativo deve risolversi nell'attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili "omogenei", perciò forniti del carattere della "rappresentatività" con riferimento non solo agli elementi materiali - quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica e simili - e temporali ma anche e soprattutto alla condizione giuridica urbanistica; laddove nel caso sono stati utilizzati quale strumento di comparazione, immobili ubicati nel comparto, e quindi anche nelle zone B e C aventi destinazione legale edificatoria, perciò pervenendosi ad una valutazione rispettivamente di L. 60.000 mq. (suolo A) e di L. 35.000 mq. (suolo B), influenzata principalmente da immobili aventi la destinazione suddetta, e giustificata altresì con la vicinanza all'abitato urbano e con il carattere pertinenziale rispetto all'attiguo comprensorio edificato (pag. 9 sent.). Tant'è che la sentenza impugnata, dimenticando la premessa fondata sulla natura non edificatoria di entrambe le aree ha finito per applicarvi il criterio di stima introdotto dal comma 7 bis dell'art.5 bis per i soli terreni edificatori.5. La Corte deve allora ribadire la propria precedente ed ormai consolidata giurisprudenza del tutto trascurata dalla Corte di merito, secondo la quale: a) lo schema dell'illecito aquiliano che da luogo all'occupazione acquisitiva comporta come unica conseguenza rispetto all'espropriazione ritualmente conclusa la sostituzione del risarcimento del danno all'indennizzo da espropriazione legittima del bene non anche la facoltà di restituire al terreno connotazioni, qualità e valutazioni commerciali che l'impossibilità di conseguire la concessione edilizia inequivocabilmente gli precludono; ed ancor meno la valutazione della possibilità autonoma di edificare non solo "praeter", ma anche "contra" la classificazione amministrativa del suolo,in forza di presupposti fattuali creati in dispregio alla disciplina suddetta (urbanizzazione di fatto della zona,presenza di infrastrutture, di opere ed altro): e, quindi, di considerare il fondo svincolato da ogni collegamento con le scelte urbanistiche complessive; b) la riconosciuta inedificabilità ex lege e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio non comporta, tuttavia, che i suoli che tale qualifica non posseggano debbano essere necessariamente valutati in base alla loro utilizzazione agricola perché una tale conseguenza è stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio,per la cui determinazione la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, rinvia alle disposizioni della L. n. 865 del 1971; c) tornando ad applicarsi il principio che il danno va liquidato in misura corrispondente al giusto prezzo che l'immobile avrebbe in una libera contrattazione, e, quindi, tenendo conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, al proprietario deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà: e, quindi, che il fondo,suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria (Cass. 26615/2008; 6281/2004; sez. un. 19551/2003).»

Sintesi: Ai fini del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Inoltre, al fine di liquidare il risarcimento, pur vertendo il presente giudizio in tema non d'indennizzo espropriativo ma di risarcimento del danno da occupazione appropriativi di area inedificabile, in cui il ristoro deve essere commisurato al valore sul mercato del bene, ben potevano essere assunti in funzione meramente indicativa (cfr. tra le numerose altre, Cass. 200004838; 200009683; 200410280; 200714783) i criteri di commisurazione dell'indennizzo espropriativo per i terreni agricoli, di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (la cui conformità al dettato costituzionale è stata ribadita nella citata sentenza 200922753, resa dalle Sezioni Unite di questa Corte). Al riguardo va anche ricordato che la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. SU 200319551; in tema), prova che, peraltro, nella specie non risulta essere stata, prima che fornita, dedotta.D'altra parte, poiché il risarcimento è destinato a tener luogo del bene acquisito dalla PA, lo stesso non può superare in nessun caso il valore che il proprietario trarrebbe dall'immobile se decidesse di porlo sul mercato con la destinazione stabilita dallo strumento urbanistico.»

Sintesi: Il risarcimento del danno per occupazione illegittima di area agricola va determinato moltiplicando l’estensione del terreno effettivamente occupato, per il valore venale medio stimato alla data in cui l’occupazione è divenuta illegittima, secondo la sua destinazione urbanistica, ma tenendo conto altresì del possibile utilizzo dell’area in relazione alle possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo.

Estratto: «3. Nel merito, appare incontestato tra le parti che a decorrere dal 21/7/1992, l’occupazione è divenuta illegittima e che il Comune ha omesso di adottare il decreto di esproprio. Costituisce ius receptum pertanto il diritto della ricorrente al risarcimento del danno, sotto forma di equivalente monetario (il che peraltro appare riconosciuto anche dal Comune il quale si è dichiarato disponibile ad addivenire ad un accordo bonario per la chiusura della vertenza).D’altra parte, il risarcimento del danno è da ritenersi condizionato alla previa stipula di un accordo di cessione (non operando l’istituto di cui all’art. 43 t.u. espropriazioni a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 293/2010), non potendo certo il privato ottenere un ristoro per equivalente superiore al danno medesimo, il che si verificherebbe nell’ipotesi che la proprietà restasse in capo alla ricorrente.Detto diritto spetta, ad avviso del Collegio, secondo i criteri di seguito indicati ai sensi dell’art. 34, c. 4, c.p.a.:a) il danno da risarcire sarà determinato moltiplicando l’estensione del terreno effettivamente occupato, per il valore venale medio stimato alla data del 21/7/1992 (data in cui l’occupazione è divenuta illegittima), secondo la sua destinazione urbanistica, ma tenendo conto altresì del possibile utilizzo dell’area in relazione alle possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, nonché delle perdite effettivamente subite dalla ricorrente con riferimento agli alberi abbattuti ed ai manufatti demoliti; su tale importo dovranno essere calcolate le somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria, fino al momento della stipula dell’accordo di cessione;b) sulla somma così determinata, andranno calcolati e corrisposti gli interessi legali dal dì del dovuto fino a quella di effettivo soddisfo;»

Sintesi: In ipotesi di occupazione acquisiva, la riconosciuta inedificabilità "ex lege" non comporta che necessariamente i suoli debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare che il valore del terreno sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Non pertinente né rilevante appare, infine, la questione di costituzionalità sollevata nel secondo motivo di ricorso in riferimento ai criteri di commisurazione dell'indennizzo espropriativo per i terreni agricoli, di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (peraltro, già affrontata anche nella citata sentenza 200922753, resa dalle Sezioni Unite di questa Corte SU), vertendo il presente giudizio in tema non d'indennizzo espropriativo ma di risarcimento del danno da occupazione appropriativa di area inedificabile, in cui il ristoro deve essere commisurato al valore sul mercato del bene ed in cui detti criteri possono essere assunti in funzione meramente indicativa (cfr. tra le numerose altre, Cass. 200004838; 200009683; 200410280; 200714783). Al riguardo va anche ricordato che la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.»

Sintesi: In ipotesi di occupazione appropriativa il controvalore dell'immobile classificato non edificabile deve avere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria, tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà alla luce della priorità delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica.

Estratto: «Con il primo motivo, i L., deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 46, nonché della L. n. 865 del 1971 e dell'art. 2043 cod. civ., censurano la sentenza impugnata per aver attribuito ai loro immobili natura agricola senza considerare che avendovi installato sopra dei containers per le famiglie senza tetto, lo avevano reso di fatto edificatorio; e comunque la presenza di tutti i servizi e la vicinanza al centro abitato.Con il secondo motivo, prospettando altra violazione delle menzionate norme, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43, nonché dell'art. 1 della Convenzione CEDU lamenta che non sia stato considerato il carattere illegittimo dell'espropriazione che imponeva la valutazione del terreno in base alle sue intrinseche qualità ed al suo effettivo valore, anche in ottemperanza all'orientamento della Corte Edu, per il quale dovevano essere eliminate tutte le conseguenze della illegittima ingerenza nella proprietà privata.Entrambi i motivi sono infondati.La ricognizione legale dei terreni per accertarne la destinazione doveva essere compiuta - come ha fatto la Corte di appello ed hanno ribadito gli stessi ricorrenti - all'epoca della loro irreversibile trasformazione,seguita alla scadenza del periodo di occupazione temporanea (anno 1988) in base ai criteri della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis (ora trasfuso negli artt. 32 e 37 del T.U, appr. con D.P.R. n. 327 del 2001), come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte,secondo la quale: 1) la norma ha introdotto una rigida dicotomia, che non lascia spazi per un "tertium genus", tra "aree edificabili" ed "aree agricole" cui ha equiparato quelle "non classificabili come edificabili", associandola ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell'area in considerazione;2) ha qualificato edificabile un'area solo se, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa,intesa come appena spiegato, dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale: più non consentendo di far riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge, in quanto ha inteso richiedere che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che le eventuali possibilità "effettive" di edificazione, o, comunque, di sfruttamento economico del fondo in via alternativa, vengano minimamente in considerazione quante volte non sussistano le possibilità legali di edificazione (Cass. sez. un. 172/2001 e succ.); 3) la destinazione edificatoria va esclusa allorquando per lo strumento urbanistico vigente all'epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale,la zona in cui è ubicata risulta concretamente vincolata ad un utilizzo agricolo ovvero meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature sportive ecc.), che non ne tollera la realizzazione ad iniziativa privata neppure attraverso strumenti di convenzionamento (Cass. 21396/2009;21095/2009; 24585/2006; 2812/2006; 11322/2005); 4) anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema dell'art. 5 bis, tra aree edificabili ed aree prive di siffatta destinazione,che non è disapplicabile in nome di una più congrua reintegrazione patrimoniale del proprietario del fondo; e valgono di conseguenza, i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle "possibilità legali ed effettive di edificazione", in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica: ciò comportando che il controvalore dell'immobile classificato non edificabile debba avere un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi tutte le possibili utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria,tuttavia compatibili con la sua stabilita non edificatorietà (Cass. sez. un. 19551/2003, nonché 9683/2000; 4838/2000).Proprio a questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, la quale ha accertato che entrambi i terreni L. sia prima che dopo il P.R.G. del 1985 rientravano in zona classificata "E" cui lo strumento urbanistico generale attribuiva destinazione agricola; per cui del tutto correttamente ne ha escluso la natura edificatoria:peraltro non ricavabile neppure dai soli indici fattuali prospettati (vicinanza al centro abitato,presenza di infrastrutture e di servizi) pur se si adottasse il criterio da essi invocato della c.d. edificabilità di fatto. E neppure dall'art. 1 dell'Allegato 1 alla Convenzione Edu, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea, la quale ha riguardato sempre e comunque i fondi con destinazione legale edificatoria; e non ha affermato affatto che ai terreni per i quali ai proprietari non è consentito conseguire le opportune concessioni edilizie e/o utilizzarli ovvero venderli come area edificabile, in caso di espropriazione per p.u. debbano essere attribuiti qualità e valutazioni che gli stessi non posseggono.»

Sintesi: In caso di occupazione appropriativa dei suoli agricoli il risarcimento deve contemplare il valore agricolo "di mercato", esclusa però ogni edificabilità, nel senso che al massimo si può valorizzare l'area, rispetto al minimum dei valori tabellari di cui agli artt. 15 e 16 L. 865/71, di quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, rispecchiando possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), ma non gli indici di valutazione attinenti al concetto di edificabilità di fatto.

Estratto: «Orbene, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, è necessario il preventivo accertamento della natura dell'area occupata (edificabile o agricola), da condurre in base alla classificazione urbanistica dell'area medesima, atteso il carattere solo residuale della cosiddetta edificabilità di fatto.Nel caso di area edificabile si è in giurisprudenza ritenuto applicabile il criterio, introdotto dall'art. 3, comma 65, legge 23 dicembre 1996 n. 662, della semisomma del valore venale con il reddito dominicale rivalutato, senza la decurtazione del 40 per cento e con incremento del 10 per cento, mentre nel caso di area agricola, si è ritenuto che il danno vada commisurato al valore sul mercato dei terreni agricoli, che potrà tener conto, indicativamente, dei criteri di cui agli artt. 15 e 16 legge 22 ottobre 1971 n. 865, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie (Cass. 28.5.2004, n. 10280).Dunque, se l'art. 5 bis co. 7 bis non è applicabile ai suoli agricoli, il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, in sede di annullamento con rinvio, non è inciso dallo ius superveniens, ovverosia della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 5 bis, comma 7 bis, della legge n. 359 del 1992, giusta sentenza della Corte Costituzionale n. 349 del 24 ottobre 2007, pronunciata sul rilievo che al vantaggio riveniente all'Amministrazione espropriante di avvalersi di un modo di acquisto della proprietà derivante da fatto illecito, non può cumularsi l'ulteriore vantaggio dello sconto sull'obbligo risarcitori , che dunque va adempiuto secondo criteri d'integralità (prezzo di mercato del bene), al momento della consumazione dell'illecito (Cass. 28.5.2004, n. 10280; 24.7.2000, n. 9683; 12.6.1998, n. 5893; 3.3.1998, n. 2336).Il nuovo quadro normativo determinatosi, riguardo alle aree edificatali, per effetto della suddetta sentenza, ed anche di quella n. 348 del 2007, con la scomparsa dei criteri dettati dal comma 7 bis della disposizione citala, comporta che il danno da occupazione appropriativa sia da commisurare - in ogni caso - all'effettivo pregiudizio arrecato, ora necessariamente coincidente con il valore di mercato del bene illegittimamente acquisito alla mano pubblica.E, in tale contesto, non appare superfluo ricordare la modifica apportata al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (T.U. in materia di espropri) - anche se non di diretta applicazione ai suoli agricoli - dalla legge finanziaria per il 2008 (Legge 24 dicembre 2007 n. 244), la quale - con riferimento all'ipotesi di occupazione appropriativa - all'art. 2, comma 89, lett. e), colmando il vuoto normativo conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 5 - bis, comma 7 bis, d.l. n. 333 del 1992, convertito con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, ha modificato l'art. 55 D.P.R. n. 327 del 2001, disponendo che nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene (Cass. 8.2.2007, n. 14783).Dunque, va ribadito che in caso di occupazione appropriativa dei suoli agricoli il risarcimento deve contemplare il valore agricolo "di mercato", esclusa però ogni edificabilità, nel senso che al massimo si può valorizzare l'area, rispetto al minimum dei valori tabellari di cui agli artt. 15 e 16 L. 865/71, di quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, rispecchiando possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), ma non gli indici di valutazione attinenti al concetto di edificabilità di fatto, per cui, in sede di determinazione del danno, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, ben può il proprietario dimostrare che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria dei suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua accertata inedificabilità (Cass. 3 marzo 1998, n. 2336; Cass. 1 febbraio 2000, n. 1090; Cass. 14 aprile 2000, n. 4838; Cass. 24 luglio 2000,, n. 9683; Cass. Sezioni Unite 19 dicembre 2003, n. 19551; Cass. 28 maggio 2004, n. 10280; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19511; Cass. 28 aprile 2006, n. 9858).Nel caso di specie, la variante d'ampliamento della zona M/1 del p.r.g. di Roma, al fine di realizzare l'autorimessa At. per i mezzi di trasporto urbani, ha comportato, sui terreni interessati dall'opera pubblica, un vincolo di natura conformativa, nell'ambito della programmazione del territorio, e il vincolo preordinato all'esproprio è insorto successivamente, per cui la valutazione dei suoli, a fini risarcitori del danno da occupazione appropriativa, deve tenere conto della destinazione agricola delle aree occupate per la realizzazione dell'opera, pur nel contesto dell'intervento urbanistico che quella variante ha determinato.Il Comune di Roma si duole del fatto che il C.T.U., Ing. R.Fu., nominato in questa fase del giudizio, ha ritenuto di discostarsi dal valore minimo tabellare per la determinazione del valore dei terreni ablati, trattandosi di aree inserite in "un'area già urbanizzata ed in corso di ulteriore e rapida espansione", ma l' esperto, rispondendo ai quesiti postigli, ha svolto un serie di considerazioni che rendono del tutto convincenti e condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuto. Il C.T.U., infatti, ha evidenziato: che i terreni in esame, sebbene debbano essere considerati con destinazione agricola, alla data del 1987 potevano già ampiamente essere ritenuti compresi in un "ambito edificato" della città di Roma"; che "per la scelta del V.A.M. da porre a base nel calcolo si fa quindi riferimento alla cultura più redditizia rilevabile nella regione agraria di pertinenza: l'orto irriguo, il cui valore era pari nel 1987 a 54.500.000 Lire/ha"; che "la scelta dell'orto irriguo è senza dubbio applicabile nel caso in esame, qualora si voglia determinare il massimo valore di stima degli stessi beni; nell'ambito della città di Roma i terreni coltivati ad orto erano infatti numerosi ..."; che "per quanto riguarda il coefficiente moltiplicativo di cui al comma 7 dell'art. 16 della Legge 865/71 e articolo 14 della Legge 10/77... le stesse aree ... erano inserite in un'area già urbanizzata ed in corso di ulteriore e rapida urbanizzazione... erano altresì più vicine al centro storico della città rispetto ad altre aree già fortemente edificate ed urbanizzate negli anni '70"; che "il vero e reale valore di mercato di dette aree, pertanto, come per tutti i terreni agricoli compresi nella cerchia urbana della città di Roma, prescinde dal semplice valore agricolo del terreno, inteso come area sulla quale esercitare unicamente l'attività di coltivazione, in quanto le stesse aree sono suscettibili di forti trasformazioni, come peraltro verificatosi anche nel caso di terreni limitrofi a quelli in esame, nel corso degli ultimi decenni... e, pertanto, pur nei casi in cui venga compravenduto espressamente come terreno agricolo, il suo valore di mercato è sempre stato (e sempre sarà) notevolmente maggiore rispetto a quello di un terreno effettivamente molto distante dai centri abitati di grandi dimensioni, ovvero collocato in aperta campagna"; che "il valore del terreno è stato incrementato con il coefficiente pari a 8, che non corrisponde al massimo ...tra quelli previsti dal comma 7 dell'art. 16 della Legge 865/71 ...solo perché in ogni caso il terreno in esame non è immediatamente prossimo al centro storico della città" (n.b. il massimo è 10). Il C.T.U. ha quantificato il pregiudizio risarcibile subito dalla Im.Co., in Lire 4.954.268.000 ed in Lire 504.234.000 quello subito dalla Ag.Li. e tale valutazione è giuridicamente corretta avendo l'esperto fatto applicazione dell'insegnamento giurisprudenziale della Suprema Corte.Infatti, pur avendo escluso il C.T.U. la concreta possibilità di utilizzazioni "intermedie" dei terreni per cui è causa, ciò non toglie che la possibilità di "valorizzare l'area, rispetto al minimum dei valori tabellari agricoli" possa essere realizzata attraverso l'applicazione degli indici maggiorativi di cui ai citati artt. 15 e 16 della L. n. 865 del 1971, proprio in ragione della vicinanza al centro abitato di una grande città, elemento imprescindibile nella determinazione dei valori di mercato dei terreni agricoli compresi nella cerchia urbana capitolina (cfr. pagg. 23 e 24 della C.T.U. a firma dell'Ing. R.Fu.).»

Sintesi: In merito al risarcimento del danno conseguente ad occupazione illegittima di aree agricole deve essere consentito al proprietario di dimostrare che il valore agricolo del terreno, all’interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua accertata inedificabilità e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «5. - Occorre, a questo punto, esaminare la questione attinente la misura del risarcimento del danno, ovvero il quantum debeatur, aspetto sul quale più marcata è la divergenza di posizioni tra le parti.Il punto di partenza è dato dalla considerazione che il più volte richiamato art. 43, comma 6, del t.u. dispone che il risarcimento del danno dovuto al privato è determinato nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità (id est : al valore venale del bene), e , se riguarda un terreno edificabile, a norma dell’art. 37, si fa riferimento alle possibilità legali ed effettive di edificazione; è altresì prevista la corresponsione degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.Ad avviso del ricorrente, che ha prodotto in giudizio una relazione tecnica, il valore venale dei terreni occupati, collocati in prossimità del centro abitato, e con destinazione agricola di pregio dal punto di vista urbanistico, ammonta ad euro 36,00 al mq.; di contro, l’Amministrazione comunale evidenzia che si tratta di area con destinazione agricola, sottoposta a vincolo di rispetto cimiteriale, e quindi in condizione di inedificabilità legale, invocando altresì il precedente di cui alla sentenza 27 novembre 2007, n. 405 della Corte di Appello di Perugia, che ha stimato un valore di mercato di tali terreni corrispondente a lire 15.000.Il Collegio, premesso che ritiene di stabilire, ai sensi dell’art. 34, comma 4, del c.p.a., i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento entro un congruo termine, osserva come, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, in tema di occupazione appropriativa, per la determinazione dei danni risarcibili vale la suddivisione su cui è impostato il sistema di cui all’art. 5 bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie), con l’unica differenza che per queste ultime aree deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all’interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua accertata inedificabilità e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (in termini Cass., Sez. I, 4 febbraio 2010, n. 2602).Occorre però riconoscere che una tale differente destinazione del suolo non è stata adeguatamente dimostrata dal ricorrente, sì che il dichiarato valore di euro 36,00 al mq. appare sfornito di prova.In questo contesto, appare corretto fare riferimento alla tabella ufficiale (o quadro di insieme) dei “valori agricoli medi per tipo di coltura” formata dall’apposita Commissione della Regione Umbria per la determinazione dell’indennità di esproprio ai sensi dell’art. 41 del t.u. sulle espropriazioni (in termini T.A.R. Umbria, 14 febbraio 2009, n. 43).Al contempo, non si vede l’utilità della consulenza tecnica richiesta dal ricorrente, in quanto in nessun caso la stima soggettiva di un consulente potrebbe ritenersi maggiormente attendibile delle valutazioni periodicamente espresse dalla commissione di esperti formata a norma dell’art. 41 del d.P.R. n. 327 del 2001, con sede presso l’ufficio tecnico erariale. D’altro canto, la consulenza tecnica, come noto, non è un mezzo per l’acquisizione di prove, ma per fornire al giudice l’apporto di conoscenze tecniche che non gli appartengono.Il danno da perdita del proprio bene deve essere calcolato, secondo le modalità predette, tenendo conto del valore di mercato del terreno al momento dell’adozione del provvedimento sanante ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, solo in tale momento realizzandosi il trasferimento della proprietà del bene (comma 2, lett. e).Per quanto concerne poi il danno derivante dalla mancata utilizzazione del bene per il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione senza titolo e l’adozione del provvedimento di acquisizione ex art. 43, lo stesso va calcolato, in conformità del comma sesto della stessa disposizione, in misura pari agli interessi legali, decorrenti dal giorno in cui il terreno risulti occupato sine titulo. Nel caso di specie l’immissione in possesso è avvenuta il 22 agosto 2002; allo scadere del quinquennio (e cioè il 22 agosto 2007) l’occupazione è divenuta senza titolo, e dunque da tale epoca vanno calcolati gli accessori del credito (in termini, da ultimo, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 15 gennaio 2010, n. 55).»

Sintesi: Nella determinazione del danno da occupazione appropriativa di suoli agricoli è consentito valorizzare l'area rispetto al "minimum" dei valori tabellari, di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, qualora e per quanto sia suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, tenendo conto di possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es. parcheggio, caccia, sport, agriturismo).

Estratto: «Il giudice a quo si è discostato dal valore minimo tabellare per la determinazione del valore della porzione di terreno compresa nella zona agricola (OMISSIS) in base alla considerazione che tale porzione di fondo era vicinissima al centro abitato (tanto da essere stato utilizzato per l'insediamento edilizio pro-terremotati). Tale decisione è giuridicamente corretta, avendo fatto applicazione dell'insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui nella determinazione del danno da occupazione appropriativa di suoli agricoli è consentito valorizzare l'area rispetto al "minimum" dei valori tabellari, di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 qualora e per quanto sia suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, tenendo conto di possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es. parcheggio, caccia, sport, agriturismo) (cfr. cass. n. 10280 del 2004).»

Sintesi: Per la liquidazione del danno da occupazione appropriativa, ove si tratti di terreno agricolo, debbono essere applicati, indicativamente, i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (non del D.L. n. 333/1992, art. 5 bis, comma 7 bis), avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo in relazione alle utilizzazioni consentite dallo strumento urbanistico, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie, dovendo per questo ritenersi consentito al proprietario di dimostrare che il valore del terreno eccede l'utilizzazione strettamente agricola, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, purché non attinente al concetto di edificabilità di fatto.

Estratto: «La Corte d'appello ha accertato la natura agricola dei terreni ed ha in base a detta natura effettuato la valutazione del risarcimento dovuto. Tale valore risulta essere stato determinato in misura superiore al valore tabellare medio stabilito dalla Regione ed ad esso grattandosi di occupazione parziale, la Corte ha applicato il criterio di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40.Il ricorrente censura la detta statuizione non sotto il profilo della correttezza della determinazione in ragione della natura agricola, ma sostenendo, invece, che nel caso di specie si doveva applicare la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis senza tenere conto della differenza tra suoli edificabili e non. Tale censura è erronea. Questa Corte ha infatti a più riprese affermato che in tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, ove si tratti di terreno agricolo, debbono essere applicati, indicativamente, i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (non del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, conv. in L. n. 359 del 1992, come introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65), avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo in relazione alle utilizzazioni consentite dallo strumento urbanistico, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie, dovendo per questo ritenersi consentito al proprietario di dimostrare che il valore del terreno eccede l'utilizzazione strettamente agricola, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), purché non attinente al concetto di edificabilità di fatto (Cass. 14783/07; Cass. 1090/00; Cass. 2336/98); circostanze queste ultime non addotte dai ricorrenti.Del tutto correttamente pertanto la sentenza impugnata ha determinato il valore del terreno in ragione della sua natura agricola senza alcun riferimento alla edificabilità.»

Sintesi: Ai fini del risarcimento del danno conseguente ad intervenuta occupazione acquisitiva di area inedificabile, il valore base di riferimento è costituito non dal prezzo dei terreni edificabili, ma da quello dei fondi agricoli. Tale parametro indica tuttavia un valore orientativo minimo, in quanto occorre comunque valorizzare la circostanza che le aree siano suscettibili di sfruttamento diverso da quello agricolo (nel faso di specie a parcheggio o spazio di svago contiguo all’abitazione), rilevando un’utilizzazione sicuramente di minor pregio rispetto a quella edilizia, ma anche di maggior pregio rispetto a quella meramente agricola.

Estratto: «I ricorrenti lamentano innanzitutto il danno da perdita della proprietà dei terreni, con riferimento al valore venale dell’area occupata ed alla destinazione edificatoria e urbanistica al momento della consumazione dell’illecito, coincidente con la data di scadenza del periodo di occupazione legittima (31/5/2000). Al riguardo i deducenti sostengono che rilevi la destinazione residenziale B3, ed un valore di mercato, corrispondente a quello di un lotto edificabile della zona, di euro 235 al metro quadrato.Il Collegio osserva che la condotta dell’Ente ha effettivamente recato un danno ai ricorrenti, stante la mancata adozione del decreto di esproprio, la quale concreta una manifesta violazione di legge, imputabile a grave negligenza. Tuttavia non rileva, ai fini della sua quantificazione, la destinazione urbanistica indicata nel ricorso. Qualora l’irreversibile trasformazione del fondo sia avvenuta in pendenza del termine dell’occupazione autorizzata, il fenomeno appropriativo (e con esso l’illecito causativo dell’obbligo risarcitorio) si consuma alla scadenza del predetto termine, ove non sia nel frattempo intervenuto il decreto di esproprio, mentre è solo nella diversa ipotesi in cui prima della trasformazione irreversibile l’ingerenza nella proprietà privata avesse già assunto carattere abusivo che l’illecito si perfeziona contestualmente alla trasformazione.Nel caso di specie il Comune di Agliana, con deliberazione n. 107 del 7/2/1995, con decreto n. 39 del 22/4/1995 e con avviso di immissione in possesso ha disposto l’occupazione per 5 anni vincolandosi all’emissione del decreto di esproprio entro il 31/5/2000. L’infruttuoso decorso di detto termine, successivo all’ultimazione dei lavori (avvenuta il 15/6/1996, come da certificato di fine lavori costituente il documento n. 10 depositato in giudizio dagli istanti), ha segnato il momento del perfezionamento dell’illecito (ex multis: Cass., I, 21/4/2006, n. 9401).Quanto alla destinazione urbanistica dell’area in questione, rilevante ai fini della quantificazione del risarcimento spettante, occorre precisare quanto segue.Le aree interessate dai lavori sono identificate dai mappali n. 1779 (Ieri-Sadotti) e 1780 (Sadotti e Camaiani), i quali, alla data della consumazione dell’illecito (cioè nel maggio 2000), erano destinati a viabilità (dal 1982 al 1999 erano similmente destinati a zona per strade di progetto –si vedano i certificati di destinazione urbanistica depositati in giudizio, costituenti i documenti n. 17 e 18 depositati in giudizio dal Comune-).In sede di determinazione della somma risarcitoria si deve tenere conto del minore valore che all’immobile deriva dalla presenza di vincoli conformativi (Cass., I, 29/11/2001, n. 15514), mentre non assumono rilievo i vincoli espropriativi (Cass., 14/12/1988, n. 6303).Al riguardo, e con riferimento alle opere di viabilità, la Cassazione, muovendo dalla premessa che il piano regolatore generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, ha ripetutamente affermato che la destinazione di parti del territorio a determinati usi, anche se prelude all’acquisizione pubblica dei suoli necessari, non costituisce vincolo espropriativo, pur comportando un vincolo di inedificabilità. Fa eccezione l’ipotesi in cui tale destinazione consiste nel prevedere reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone, come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo, trattandosi di limitazioni particolari incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione di zona ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica (solo in quest’ultimo caso, ai fini della determinazione del risarcimento del danno da occupazione appropriativa, la valutazione dei suoli destinati alla realizzazione di strade deve essere riferita alla potenzialità edificatoria delle aree limitrofe al cui servizio la destinazione a strada è concepita –Cass., I, 6/11/2008, n. 26615-).Nel caso di specie la strada realizzata, costituente la via Mallemort, non è di interesse prevalente o esclusivo della zona in cui ricade, ma costituisce un lotto di una più vasta opera viaria che prevede il collegamento della via Roma con la strada provinciale (SP 1).L’opera in questione non è a servizio di una zona circoscritta, ma interessa un più ampio contesto, da un lato immettendosi sulla via Roma e consentendo di arrivare nel centro di Agliana, dall’altro essendo funzionale all’accesso verso l’incrocio di via Bellini, e poi verso via Berlinguer, via Giovannella e la strada provinciale 1 che collega con Pistoia. Essa concerne pertanto una vasta zona ed una pluralità indifferenziata di soggetti, e rispecchia criteri generali di conformazione viabilistica del territorio, cosicché la sua previsione assume carattere conformativo. Ciò considerato, la definizione contenuta nel piano urbano del traffico, richiamata dai deducenti, facente riferimento a “strada locale di accesso secondario” con la precisazione che la stessa consente l’accesso alle aree residenziali e commerciali del centro urbano (documento n. 15 depositato in giudizio dai ricorrenti), non lascia di per sé desumere la natura espropriativa della previsione viaria.La previsione della strada, contenuta nel piano regolatore, non indica quindi un vincolo imposto a titolo particolare, ma una generale destinazione di zona.Ne discende che, trattandosi di area non edificabile, il valore base di riferimento è costituito non dal prezzo dei terreni edificabili, ma da quello dei fondi agricoli. Tale parametro indica tuttavia un valore orientativo minimo, in quanto occorre comunque valorizzare la circostanza che le aree dei signori Sadotti Guido e Camaiani Rosa erano suscettibili di sfruttamento diverso da quello agricolo. Esse infatti potevano essere adibite a parcheggio (come risulta dal passo carrabile autorizzato in data 16/1/1989 –si veda la perizia tecnica prodotta dai ricorrenti-), o utilizzate come spazio di svago contiguo all’abitazione, rilevando un’utilizzazione sicuramente di minor pregio rispetto a quella edilizia, ma anche di maggior pregio rispetto a quella meramente agricola (Cass., S.U., 3/4/2007, n. 8231; Cass., I, 28/5/2004, n. 10280; idem, 27/5/2005, n. 11322).»

Sintesi: In ipotesi di occupazione acquisitiva di suoli agricoli o comunque inedificabili deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «La sentenza impugnata, dopo avere dato atto che il terreno della società, complessivamente esteso mq. 17.605 (o mq. 18.266) è suddiviso in due aree, incluse, la prima (di mq. 6261) nella zona (OMISSIS) con destinazione edificatoria, e la seconda di maggiore estensione, inclusa nella zona (OMISSIS) avente destinazione agricola, ha calcolato anche l'indennizzo relativo a quest'ultima area come se la stessa avesse egualmente natura edificatoria: attribuendole un indice di edificabilità pari a 0,4 mc/mq. (perché in tal modo aveva prospettato il c.t.u.) ed applicando il meccanismo di calcolo previsto dall'art. 3, comma 65, appunto per le aree edificabili.Sennonché questa Corte, pure a sezioni unite, ha ripetutamente affermato che anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, definito dalla Corte Costituzionale non irrazionale né arbitrario (Corte Costit.261/1997), tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie). E valgono, di conseguenza, i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle "possibilità legali ed effettive di edificazione", in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica (Cass. sez. un. 173/2001 e successive); e deve escludersi che in nome di una più congrua reintegrazione del patrimonio del proprietario che ha subito la perdita del fondo, debbano obliterarsi i criteri legali di classificazione dell'area, su cui è impostato il sistema indennitario previsto dalla norma per dare la prevalenza a criteri di effettualità (c.d. edificabilità di fatto). O, peggio, che possa farsi riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge, in quanto ha inteso richiedere che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che le eventuali possibilità "effettive" di edificazione, o, comunque, di sfruttamento economico del fondo in via alternativa, vengano minimamente in considerazione quante volte non sussistano le possibilità legali di edificazione.In conseguenza di detto sistema, ove il suolo non possa considerarsi legalmente edificabile, l'indennità di espropriazione va determinata in base al valore agricolo medio del terreno calcolato dalle Commissioni provinciali di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, con riferimento ai tipi di coltura effettivamente praticati, e quindi soprattutto alle piantagioni esistenti sul fondo espropriato. Ove, invece al fondo è attribuita dagli strumenti urbanistici destinazione edificatoria, l'indennizzo corrisponde al maggior valore indicato dal mercato immobiliare in conseguenza della possibile utilizzazione edilizia; e la stima deve avvenire con il meccanismo previsto dai primi due commi del menzionato art. 5 bis, come modificati dalla declaratoria di incostituzionalità contenuta nella recente decisione 348 del 2007 della Corte Costituzionale.Analoghi meccanismi di stima valgono per l'indennizzo spettante per la ed. occupazione espropriativa cui viene attribuita la massima consistenza consentita dall'art. 42 Cost., in luogo della mera indennità di espropriazione, tradizionalmente intesa a partire dalla nota sentenza 61 del 1957 della Corte Costituzionale, come "il massimo di contributo e di riparazione, che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica amministrazione può garantire all'interesse privato" in un determinato contesto storico-politico;con l'unica differenza che per i suoli agricoli o comunque inedificabili deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria. Mentre per i terreni edificatori resta fermo il limite posto dal menzionato della L. del 1865, art. 39, della sua valutazione in misura corrispondente al "giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita": questa volta insuscettibile (a seguito della sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale di cui si dirà avanti) di essere diminuita in forza di criteri riduttivi (Cass. 26615/2008; 6281/2004;sez. un. 19551/2003; 9683/2000).La Corte di appello invece ha applicato un meccanismo unico, valido per le sole aree edificatorie, in cui il valore venale di ciascuna porzione è stato ricavato in base ad un indice di edificabilità, a sua volta tratto non da quello peculiare della zona, ma mediando quest'ultimo e l'indice più elevato delle zone limitrofe; e poi differenziato a seconda della sua applicazione all'area edificabile (0,76 mc/mq.) ovvero a quella agricola (0,4 mc/mq.): e quindi in base ad un criterio che non ha riscontro né nel menzionato art. 5 bis, né in alcun'altra norma di legge. Laddove il sistema avanti delineato imponeva di suddividere pregiudizialmente l'intero terreno in due distinte porzioni, l'una edificatoria e l'altra agricola, determinata ciascuna in base alle possibilità legali di edificazione di cui all'art. 5 bis, - e successivamente di calcolare per ognuna l'indennizzo risarcitorio di cui si è detto, applicando il criterio di stima suo proprio avanti prospettato; che per le aree non edificatorie non poteva comunque fondarsi sull'indice di edificabilità (in qualsivoglia modo determinato), che la relativa zona, proprio per tale sua natura, non può possedere.»

Sintesi: Ai fini della liquidazione del danno da occupazione appropriativa, un'area può essere risarcita non necessariamente quale suolo agricolo, pur essendo questa la sua vocazione formale; all'interno della categoria dei suoli inedificabili vi possono essere infatti aree suscettibili di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo e la valutazione del danno subito a seguito dello spossessamento da parte del soggetto pubblico deve tener conto di un valore che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia, pur senza attribuire formalmente al suolo natura edificatoria.

Estratto: «A parere dell'appellante il giudice di primo grado, pur rilevando la natura non edificatoria del suolo, avrebbe liquidato il danno in misura corrispondente a quello subito da un suolo edificatorio, piuttosto che a quello subito in ipotesi di fondo agricolo, quale era classificato quello in questione; deduce, altresì, che tale liquidazione sarebbe in contrasto con l'art. 5 bis L. 359/92, normativa con la quale il Legislatore avrebbe introdotto una rigida ed ineludibile dicotomia: da un lato le aree edificabili - riconosciute come tali dallo strumento urbanistico - e dall'altro le aree agricole.Da un punto di vista interpretativo, non tiene conto l'appellante del fatto che, come evidenziato dallo stesso Comune, il quarto comma dell'art. cit. precisa che "per le aree agricole e per quelle che non sono classificabili come edificabili si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22.10.1971 n. 865 e successive modificazioni", con ciò intendendo che oltre alle aree agricole ed a quelle edificabili proprie - riconosciute come tali dallo strumento urbanistico - esistono delle aree non agricole e non classificabili come edificabili.Ad ogni modo, secondo consolidato orientamento della S.C. (Cass. 6.11.2008 n. 26615, conf. A Cass. S.U. 19551/03, a Cass. 13199/06, Cass. 7892/06, Cass. 24837/05; Cass. 9683/00) la dicotomia tra area edificatoria ed area agricola è ipotizzabile unicamente nell'ambito dei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione. Viceversa, nella liquidazione del danno da occupazione appropriativa di area, benché non edificatoria, destinata ad opere di viabilità nell'ambito di un programma generale di sviluppo urbanistico, essa può essere risarcita non necessariamente quale suolo agricolo, pur essendo questa la sua vocazione formale, se in concreto, per le sue caratteristiche specifiche che emergano in giudizio, la vocazione suddetta sia tradita o smentita da una attitudine diversa del fondo ed in relazione alle utilizzazioni in concreto consentite. In altre parole, all'interno della categoria dei suoli inedificabili vi sono aree suscettibili di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo e la valutazione del danno subito a seguito dello spossessamento da parte del soggetto pubblico deve tener conto di un valore che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia, pur senza attribuire formalmente al suolo natura edificatoria.Nell'ipotesi in esame è pacifico che il suolo in questione si trovava in pieno centro città e che tutta l'area espropriata ricadeva nella zona destinata dallo strumento urbanistico alla viabilità ed ai parcheggi di cui al progetto di riqualificazione urbana del Comune di Benevento; le opere pubbliche effettuate consistono nell'ampliamento di una strada cittadina e nella costruzione di un ampio parcheggio pubblico.Di conseguenza la quantificazione del danno alla stregua della vocazione agricola del terreno sarebbe stata non conforme alla possibilità di uno sfruttamento alternativo rispetto a quello agricolo, che, per l'ubicazione del suolo, non era in concreto praticabile.»

Sintesi: In caso di c.d. occupazione espropriativa di suoli agricoli o comunque inedificabili, deve essere consentito al proprietario di dimostrare che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Questa Corte ha ripetutamente affermato che anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema dell'art. 5 bis, definito dalla Corte Costituzionale non irrazionale né arbitrario (Corte Costit. 261/1997), tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie). E valgono, di conseguenza, a tal fine i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle "possibilità legali ed effettive di edificazione", in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica (Cass. sez. un. 173/2001 e successive); e deve escludersi che in nome di una più congrua reintegrazione del patrimonio del proprietario che ha subito la perdita del fondo, debbano obliterarsi i criteri legali di classificazione dell'area, su cui è impostato il sistema indennitario previsto dalla norma per dare la prevalenza a criteri di effettualità (c.d. edificabilità di fatto).In conseguenza di detto sistema, ove il suolo non possa considerarsi legalmente edificabile, l'indennità di espropriazione va determinata in base al valore agricolo medio del terreno calcolato dalle Commissioni provinciali di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, con riferimento ai tipi di coltura effettivamente praticati, e quindi soprattutto alle piantagioni esistenti sul fondo espropriato; sicché essendo detto criterio ispirato al principio dell'onnicomprensività, a differenza dal sistema previgente, di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 43, una nuova ed ulteriore considerazione del soprassuolo (sia pure per definire la consistenza dell'azienda agraria) finirebbe con l'attribuire ai proprietari espropriati una duplicazione del pregiudizio già congruamente indennizzato con il menzionato parametro della L. n. 865, art. 16 (Cass. 11782/2007; 11846/2006; 4732/2004).Ove, invece al suolo è attribuita dagli strumenti urbanistici destinazione edificatoria, l'indennizzo corrisponde al maggior valore indicato dal mercato immobiliare in conseguenza della possibile utilizzazione edilizia; che naturalmente si incrementa e tiene conto delle costruzioni (non autonome e strumentali) che su di esso insistono; e si aggiunge a quello delle costruzioni edilizie autonome ivi realizzate, sottratte all'ambito di applicazione dell'art. 5 bis e da sempre soggette al criterio di calcolo di cui alla L. Fondamentale n. 2359 del 1865, art. 39. Senza che vi sia spazio in entrambi i casi per un valore aggiuntivo del soprassuolo, che per quanto pregiato, è comunque inidoneo come già osservato da questa Corte, ad aumentare il (maggior) valore che al terreno deriva dalla sua edificabilità urbanistica.Analoghi meccanismi di stima valgono per l'indennizzo spettante per la c.d. occupazione espropriativa cui viene attribuita la massima consistenza consentita dall'art. 42 Cost., in luogo della mera indennità di espropriazione, tradizionalmente intesa a partire dalla nota sentenza 61 del 1957 della Corte Costituzionale, come "il massimo di contributo e di riparazione, che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica amministrazione può garantire all'interesse privato" in un determinato contesto storico - politico;con l'unica differenza che per i suoli agricoli o comunque inedificabili deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria. Mentre per i terreni edificatori resta fermo il limite posto dal menzionato dalla L. del 1865, art. 39, della sua valutazione in misura corrispondente al "giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita": questa volta insuscettibile di essere diminuita in conseguenza di criteri riduttivi.»

Sintesi: In sede di liquidazione del danno da occupazione espropriativa riferita a terreno inedificabile, al proprietario deve essere consentito di dimostrare, all'interno della categoria suoli/inedificabili, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà, con conseguente valutazione di mercato che rispecchi queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria.

Estratto: «Questa Corte, poi, con giurisprudenza costante, resa anche a sezioni unite, con riferimento all'indennizzo da occupazione espropriativa ha affermato che, la riconosciuta inedificabilità ex lege e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio non comporta che i suoli che tale qualifica non posseggano debbano essere necessariamente valutati in base alla loro utilizzazione agricola perché una tale conseguenza è stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio, per la cui determinazione la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nell'interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale (sent. 261/1997) e dalla giurisprudenza del tutto prevalente di questa Corte, ha adottato una soluzione netta e fondata su una dicotomia che contrappone le aree edificabili a tutte le altre (per le quali il calcolo dell'indennizzo deve compiersi obbligatoriamente mediante il criterio tabellare di cui alla L. n. 865 del 1971). E, d'altra parte, la già evidenziata declaratoria di incostituzionalità della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 65 (Corte Cost. 369/1996) ha troncato in radice possibili interpretazioni della norma rivolte ad eliminare anche per questi suoli ogni differenziazione tra danno in caso di occupazione acquisitiva ed indennizzo conseguente ad espropriazione rituale.Per cui, tornando ad applicarsi il principio che il danno va liquidato in misura corrispondente al giusto prezzo che l'immobile avrebbe in una libera contrattazione, e, quindi, tenendo conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, al proprietario deve essere consentito di dimostrare all'interno della categoria suoli/inedificabili che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà: e, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell'edificatorietà, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l'agricola e l'edificatoria: così realizzandosi anche nel settore dei fondi non edificabili una differenziazione a favore del proprietario illegittimamente espropriato. Mentre se questa prova non venga offerta, il giudice ben può fare riferimento al valore di mercato agricolo, basato sul criterio delle colture praticate, e tener conto, indicativamente, dei criteri di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 15 e 16; che dunque in tale prospettiva finiscono per rappresentare il limite minimo cui può farsi ricorso quando né le parti, né il c.t.u. forniscano altri elementi certi per determinare un più elevato ed attendibile valore venale di un fondo con destinazione non edificatoria.»

Sintesi: In tema di occupazione appropriativa di un suolo non edificabile, il valore agricolo medio previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 per la determinazione dell'indennità di esproprio costituisce la soglia minima per calcolare il relativo risarcimento del danno, ben potendo la parte interessata dimostrare, nell'ambito delle utilizzazioni consentite sul fondo dagli strumenti urbanistici, un valore maggiore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo.

Estratto: «In tema di occupazione appropriativa di un suolo non edificabile il valore agricolo medio previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 per la determinazione dell'indennità di esproprio costituisce la soglia minima per calcolare il relativo risarcimento del danno, ben potendo la parte interessata dimostrare, nell'ambito delle utilizzazioni consentite sul fondo dagli strumenti urbanistici, un valore maggiore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo.Nel caso in esame la Corte d'Appello, pur dando atto dell'errore in cui era incorso il Tribunale che, ai fini della valutazione del fondo, aveva fatto riferimento alla cosiddetta edificabilità di fatto di cui il terreno occupato era a suo giudizio caratterizzato, ne ha confermato ugualmente il valore nella misura di L. 15.000 al mq. sulla base di vari parametri di riferimento (redditività del fondo, valore accertato giudizialmente per fondi finitimi, prospettive di modifica degli strumenti urbanistici per l'area in questione).»

Sintesi: La liquidazione del danno da occupazione appropriativa di un suolo non edificabile deve essere compiuta non necessariamente in base alla sua utilizzazione agricola, essendo al proprietario consentito di dimostrare una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.

Estratto: «Proprio perché i ricorrenti hanno riferito che la porzione di terreno estesa mq. 1050 era compresa dallo strumento urbanistico del comune di Cipriano in zona CR avente destinazione agricola, non è ad essi più consentito invocare una pretesa edificabilità di fatto (come accertata dal c.t.u.) divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge, in quanto la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, ha inteso richiedere che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale; onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che le eventuali possibilità "effettive" di edificazione, o, comunque, di sfruttamento economico del fondo in via alternativa, vengano minimamente in considerazione quante volte non sussistano le possibilità legali di edificazione. Mentre la cosiddetto edificabilità "di fatto", riproposta dagli espropriati, rileva esclusivamente in via suppletiva (non ricorrente nella fattispecie) - in carenza di strumenti urbanistici - ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell'area espropriata, di cui sia stata invece accertata l'edificabilità, incidente sul calcolo dell'indennizzo.Per la medesima ragione è fuor di luogo invocare il principio giurisprudenziale che l'edificabilità non comprende soltanto quella residenziale, ma anche tutte le trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica ed economica di edificazione:essendo lo stesso rivolto non già ad attribuire per altra via natura egualmente edificatoria ad aree in relazione alle quali lo strumento urbanistico esclude tale qualità, ma soltanto ad enucleare le possibili tipologie in cui detta destinazione si traduce allorché da questo riconosciuta e consentita;nonché ad evidenziarne la diversa edificabilità di fatto e, quindi, il maggiore o minore valore degli immobili in funzione del tipo di costruzione consentita (Cass. 10343/2005; 11729/2003; 10073/2003).E' invece esatto che la liquidazione del danno da occupazione appropriativa di un suolo non edificabile deve essere compiuta non necessariamente in base alla sua utilizzazione agricola, essendo al proprietario consentito di dimostrare una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria.»

Sintesi: In sede di liquidazione del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva di area agricola, legittima è la valutazione a prezzo di mercato del terreno, operata alla luce anche delle potenzialità di sfruttamento non incompatibili con l'indiscussa vocazione agricola: quale, ad esempio, la realizzabilità di aree di servizio o distributori di benzina nella fascia di rispetto viaria.

Estratto: «La Corte d'appello di Milano ha rilevato l'incontroversa natura agricola dei terreni espropriati e riconosciuto il valore conformativo dei relativi vincoli a fasce di rispetto della sede stradale. Contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, non è affatto incorsa in contraddizione nel determinare il valore agricolo di mercato, sulla scorta delle indagini del consulente tecnico d'ufficio, trattandosi di occupazione acquisitiva che dava diritto al risarcimento del danno e non alla semplice indennità di esproprio, valutabile L. n. 865 del 1971, ex artt. 15 e 16. Nè la stima appare inadeguatamente motivata, ove si pensi che è stato anche ridotto il valore astrattamente attribuibile al terreno proprio in considerazione della vicinanza con le sedi stradali. Per il resto va confermata, come principio di assoluta ovvietà, la risarcibilità anche dei terreni assoggettati a zone di rispetto, data la ripercussione della loro espropriazione anche su corrispondenti porzioni di terreno agricolo, che quindi venivano a costituire analoghe fasce di rispetto; nonché la valutazione, con criterio prudenziale, delle potenzialità ulteriori, per la possibile realizzazione di aree di servizio o distributori di carburante. Nessuna violazione di legge appare al riguardo ravvisabile, a prescindere dall'estrema genericità del riferimento all'intera L. n. 865 del 1971 in sede di allegazione dell'error in iudicando; né carenza o contraddittorietà della motivazione nell'apprezzamento del valore di mercato agricolo dell'area espropriata. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 865 del 1971 e dell'art. 116 c.p.c., in tema di valutazione della prova, nonché il travisamento dei fatti e l'illogicità della motivazione. La doglianza, strettamente connessa con quella sopra esaminata, è egualmente infondata, attribuendo alla sentenza l'enucleazione di un tertium genus, oltre quelli dei terreni edificagli e agricoli, che in realtà la stessa Corte ha negato. Cosa diversa, in sede di liquidazione del risarcimento del danno, è la valutazione a prezzo di mercato del terreno, operata alla luce anche delle potenzialità di sfruttamento non incompatibili con l'indiscussa vocazione agricola: quale, ad esempio, la ricordata realizzabilità di aree di servizio o distributori di benzina nella fascia di rispetto viaria.»

PATOLOGIA --> RISARCIMENTO DEL DANNO --> AREE AGRICOLE --> TERTIUM GENUS --> ONERE DELLA PROVA

Sintesi: Ai fini del risarcimento del danno da accessione invertita per i suoli non edificabili è consentito al proprietario di dimostrare che il terreno è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo ed ha un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia siffatte possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria. In tal modo, tuttavia, non si è inteso condizionare il diritto del privato all'assolvimento di particolari o gravosi oneri probatori, in mancanza dei quali l'indennità dovrebbe essere calcolata secondo astratti e imprecisati valori agricoli, con l'effetto di introdurre un fattore di correzione dell'unico criterio valido per la determinazione del danno risarcibile causato da occupazioni illegittime dei suoli (edificabili e non edificabili) che oggi è il valore di mercato.

Estratto: «1.1.- Entrambi i motivi sono infondati. Essi si basano sul presupposto dell'applicazione del criterio del valore agricolo medio (ed. VAM) ai fini del risarcimento del danno da accessione invertita per i suoli non edificabili. Tale presupposto era erroneo già prima che il contesto normativo mutasse a seguito dei noti interventi della Corte costituzionale che hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale del criterio legale riduttivo di calcolo del risarcimento per le occupazioni illegittime dei suoli edificabili (n. 349 del 2007) e degli stessi VAM ai fini del calcolo dell'indennità di esproprio dei suoli non edificabili (n. 181 del 2011). Infatti la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ritenuto che la disposizione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65 (che inserì il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, conv. con modif. nella L. n. 359 del 1992), che introdusse il criterio riduttivo per il risarcimento del danno in caso di occupazioni illegittime dei suoli per causa di pubblica utilità, non riguardava le occupazioni illegittime dei suoli inedificabili, per i quali valeva il criterio della piena reintegrazione patrimoniale commisurata al prezzo di mercato (tra le prime in tal senso Cass. n. 2336 del 1998). La successiva giurisprudenza precisò che era consentito al proprietario di dimostrare che il terreno era suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo e aveva un'effettiva valutazione di mercato che rispecchiava siffatte possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. n. 9683 del 2000, n. 14783 del 2007 e, anche di recente, n. 21386 del 2011, n. 7174 del 2013). In tal modo, tuttavia, non si è inteso condizionare il diritto del privato all'assolvimento di particolari o gravosi oneri probatori, in mancanza dei quali l'indennità dovrebbe essere calcolata secondo astratti e imprecisati valori agricoli, con l'effetto di introdurre un fattore di correzione dell'unico criterio valido per la determinazione del danno risarcibile causato da occupazioni illegittime dei suoli (edificabili e non edificabili) che oggi è, appunto, il valore di mercato. Tale valore infatti non può prescindere dalle caratteristiche concrete del suolo e da tutto ciò che può incidere su di esso, tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche. A tali principi la corte territoriale si è sostanzialmente attenuta, valutando il suolo della società attrice come inedificabile e calcolando il suo valore di mercato, a tal fine valorizzandone le caratteristiche concrete, essendo collocato in "posizione strategica" e circondato da fabbricati civili nel cuore di una zona ad elevata densità abitativa, ed escludendo l'utilizzabilità del "volume edificabile medio comprensoriale" in ragione della natura inedificabile dello stesso.Del tutto generica e quindi inammissibile in questa sede è la doglianza (svolta solo nel primo quesito) concernente l'utilizzazione da parte della corte del merito di una consulenza tecnica che si assume inammissibile.»

PATOLOGIA --> RISARCIMENTO DEL DANNO --> AREE EDIFICABILI

Sintesi: In ipotesi di occupazione espropriativa di terreni edificabili l'indennizzo deve comunque essere determinato in base al suo valore venale, anche per l'avvenuta caducazione dei parametri riduttivi pur relative ai terreni edificatori, ad opera della nota sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale ed il ripristino anche per essi della regola contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 39, nuovamente riproposta dall'art. 55 del T.U. sulle espr. come sostituito dal comma 89 della L. n. 244 del 2007, art. 2.

Estratto: «Anche queste censure vanno accolte nei limiti che seguono. Le considerazioni svolte sulla intervenuta declaratoria di incostituzionalità del criterio di stima incentrato sui VAM, superano le doglianze degli esproprianti rivolte a chiederne peraltro l'estensione all'occupazione espropriativa dei terreni non edificatori; in relazione alla quale d'altra parte la giurisprudenza di questa Corte, resa anche a Sezioni Unite ne aveva già escluso l'applicazione affermando: a) che al proprietario doveva essere consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (sez. un. 19551/2003 e succ); b) che l'indennizzo deve comunque essere determinato in base al suo valore venale, anche per l'avvenuta caducazione dei parametri riduttivi pur relative ai terreni edificatori, ad opera della nota sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale; ed il ripristino anche per essi della regola contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 39, nuovamente riproposta dall'art. 55 del T.U. sulle espr. come sostituito dal comma 89 della L. n. 244 del 2007, art. 2.»

Sintesi: In ipotesi di occupazione acquisitiva di suoli edificabili, resta fermo il limite posto dalla L. del 1865, art. 39, della sua valutazione in misura corrispondente al "giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita"; questa volta insuscettibile (a seguito della sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale), di essere diminuita in forza di criteri riduttivi.

Estratto: «La sentenza impugnata, dopo avere dato atto che il terreno della società, complessivamente esteso mq. 17.605 (o mq. 18.266) è suddiviso in due aree, incluse, la prima (di mq. 6261) nella zona (OMISSIS) con destinazione edificatoria, e la seconda di maggiore estensione, inclusa nella zona (OMISSIS) avente destinazione agricola, ha calcolato anche l'indennizzo relativo a quest'ultima area come se la stessa avesse egualmente natura edificatoria: attribuendole un indice di edificabilità pari a 0,4 mc/mq. (perché in tal modo aveva prospettato il c.t.u.) ed applicando il meccanismo di calcolo previsto dall'art. 3, comma 65, appunto per le aree edificabili.Sennonché questa Corte, pure a sezioni unite, ha ripetutamente affermato che anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, definito dalla Corte Costituzionale non irrazionale né arbitrario (Corte Costit.261/1997), tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie). E valgono, di conseguenza, i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle "possibilità legali ed effettive di edificazione", in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica (Cass. sez. un. 173/2001 e successive); e deve escludersi che in nome di una più congrua reintegrazione del patrimonio del proprietario che ha subito la perdita del fondo, debbano obliterarsi i criteri legali di classificazione dell'area, su cui è impostato il sistema indennitario previsto dalla norma per dare la prevalenza a criteri di effettualità (c.d. edificabilità di fatto). O, peggio, che possa farsi riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge, in quanto ha inteso richiedere che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che le eventuali possibilità "effettive" di edificazione, o, comunque, di sfruttamento economico del fondo in via alternativa, vengano minimamente in considerazione quante volte non sussistano le possibilità legali di edificazione.In conseguenza di detto sistema, ove il suolo non possa considerarsi legalmente edificabile, l'indennità di espropriazione va determinata in base al valore agricolo medio del terreno calcolato dalle Commissioni provinciali di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, con riferimento ai tipi di coltura effettivamente praticati, e quindi soprattutto alle piantagioni esistenti sul fondo espropriato. Ove, invece al fondo è attribuita dagli strumenti urbanistici destinazione edificatoria, l'indennizzo corrisponde al maggior valore indicato dal mercato immobiliare in conseguenza della possibile utilizzazione edilizia; e la stima deve avvenire con il meccanismo previsto dai primi due commi del menzionato art. 5 bis, come modificati dalla declaratoria di incostituzionalità contenuta nella recente decisione 348 del 2007 della Corte Costituzionale.Analoghi meccanismi di stima valgono per l'indennizzo spettante per la ed. occupazione espropriativa cui viene attribuita la massima consistenza consentita dall'art. 42 Cost., in luogo della mera indennità di espropriazione, tradizionalmente intesa a partire dalla nota sentenza 61 del 1957 della Corte Costituzionale, come "il massimo di contributo e di riparazione, che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica amministrazione può garantire all'interesse privato" in un determinato contesto storico-politico;con l'unica differenza che per i suoli agricoli o comunque inedificabili deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria. Mentre per i terreni edificatori resta fermo il limite posto dal menzionato della L. del 1865, art. 39, della sua valutazione in misura corrispondente al "giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita": questa volta insuscettibile (a seguito della sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale di cui si dirà avanti) di essere diminuita in forza di criteri riduttivi (Cass. 26615/2008; 6281/2004;sez. un. 19551/2003; 9683/2000).La Corte di appello invece ha applicato un meccanismo unico, valido per le sole aree edificatorie, in cui il valore venale di ciascuna porzione è stato ricavato in base ad un indice di edificabilità, a sua volta tratto non da quello peculiare della zona, ma mediando quest'ultimo e l'indice più elevato delle zone limitrofe; e poi differenziato a seconda della sua applicazione all'area edificabile (0,76 mc/mq.) ovvero a quella agricola (0,4 mc/mq.): e quindi in base ad un criterio che non ha riscontro né nel menzionato art. 5 bis, né in alcun'altra norma di legge. Laddove il sistema avanti delineato imponeva di suddividere pregiudizialmente l'intero terreno in due distinte porzioni, l'una edificatoria e l'altra agricola, determinata ciascuna in base alle possibilità legali di edificazione di cui all'art. 5 bis, - e successivamente di calcolare per ognuna l'indennizzo risarcitorio di cui si è detto, applicando il criterio di stima suo proprio avanti prospettato; che per le aree non edificatorie non poteva comunque fondarsi sull'indice di edificabilità (in qualsivoglia modo determinato), che la relativa zona, proprio per tale sua natura, non può possedere.»

PATOLOGIA --> RISARCIMENTO DEL DANNO --> AREE EDIFICABILI --> AREE URBANIZZATE E DA URBANIZZARE

Sintesi: Non v’è dubbio che il ristoro economico da corrispondere al proprietario inciso dall’azione illegittima dell’amministrazione deve essere parametrato all’effettivo valore venale del bene che certamente è diverso a seconda che l’area ricada in zona urbanizzata o meno.

Estratto: «3.1. Con il secondo motivo d’appello il comune di Gioiosa Marea ritiene erronea la decisione del TAR, nonché la valutazione operata dalle due consulenze tecniche d’ufficio, nella parte in cui avrebbe considerato le due aree, ove sono state realizzate la via Piemonte e la via Liguria, come edificabili. Per l’appellante, invece, essendo tali aree destinate in parte a “verde pubblico” e in parte a “viabilità di PRG”, le predette aree avrebbero dovuto considerarsi come inedificabili; conseguentemente il valore venale loro attribuito sarebbe palesemente errato e notevolmente superiore a quello che avrebbe dovuto essere riconosciuto in corretta attuazione delle norme di legge.3.2. La decisione del TAR in relazione al punto relativo alle somme da riconoscere a titolo di occupazione illegittima è stata questa: «… Il risarcimento del danno da occupazione illegittima, nel caso in cui l’Amministrazione proceda alla restituzione del bene, dovrà consistere negli interessi legali calcolati sul valore, all’epoca dell’immissione in possesso, della superficie occupata (sul punto cfr. Tar Campania, Salerno II, n. 1539/2001). In buona sostanza, il Comune dovrà accertare il valore del terreno occupato nel momento in cui l’occupazione illegittima ha avuto inizio (l’8 febbraio 2002 per i metri quadri 1086 della particella 525 in relazione ai quali il ricorrente aveva inizialmente consentito l’immissione in possesso; il 14 dicembre 1981 per i residui metri quadri 394 della particella 525; il 20 marzo 1980 per la superficie di metri quadri 640 delle particelle 463 e 464).Il valore dell’immobile dovrà essere determinato partendo dalle conclusioni di cui alla consulenza tecnica disposta dal Tribunale di Patti (conclusioni dalle quali questo stesso Collegio non ravvisa motivi per discostarsi). E’ chiaro, peraltro, che le conclusioni medesime dovranno essere parametrate all’epoca in cui l’occupazione illegittima, in relazione alle diverse aree, ha avuto corso.Le somme così determinate in relazione a ciascuna annualità dovranno, poi, essere rivalutare anno per anno e sugli importi cosi rivalutati dovranno essere corrisposti gli interessi legali, in base ai principi generali sulla liquidazione dell’obbligazione risarcitoria (sul punto, cfr., per tutte, Cass. Civ. I, n. 19510/2005).Non può condividersi l’argomentazione del Comune resistente secondo cui le conclusioni del consulente tecnico nominato dal Tribunale di Patti non terrebbero conto della natura non edificatoria dei terreni di cui si tratta.Il consulente tecnico ha chiarito, infatti, che le superfici interessate erano destinate in parte a “verde pubblico” ed in parte a “viabilità di Piano Regolatore Generale”, ma ha chiarito che il settore urbano in cui le stesse ricadono è di tipo residenziale, in quanto caratterizzato da numerosi insediamenti privati, da case popolari e da immobili destinati ad attività commerciale (ad identiche conclusioni, peraltro, è giunto anche il consulente tecnico nominato da questo Tribunale nel ricorso n. 542/2002) …».Per quanto attiene all’individuazione delle somma da corrispondere nel caso in cui il comune dovesse scegliere di non restituire l’area, il TAR ha così stabilito: «… Nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di fare applicazione del citato art. 42-bis, essa dovrà corrispondere al proprietario degli immobili un indennizzo corrispondente al valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, oltre il 10% di tale valore per il ristoro del danno non patrimoniale (art. 42-bis, primo e terzo comma).Il valore venale del bene dovrà, ovviamente, essere determinato partendo dalle conclusioni di cui alla consulenza tecnica disposta dal Tribunale di Patti e parametrando le conclusioni stesse al momento di adozione del provvedimento di acquisizione.Nell’ipotesi di acquisizione ai sensi del citato art. 42-bis, l’Amministrazione dovrà, inoltre, corrispondere il risarcimento per l’occupazione illegittima, da computare in relazione alla varie aree con le decorrenze sopra specificate e che consisterà nell’interesse del 5% sul valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione (art. 42-bis, terzo comma).Riassumendo le fila del discorso sin qui svolto, il Comune di Gioiosa Marea, in applicazione della disciplina attualmente vigente, è tenuto:a) a restituire al proprietario la superficie di metri quadri 2120, previa riduzione in pristino, corrispondendo, inoltre, al medesimo il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, da computare in relazione alla varie aree con le decorrenze sopra specificate e consistente negli interessi legali calcolati sul valore, all’epoca dell’immissione in possesso, della superficie occupata, oltre rivalutazione e interessi nei sensi di cui in motivazione;b) a procedere, in alternativa all’ipotesi di cui alla precedente lettera a), all’acquisizione della superficie di metri quadri 2120 tramite un valido titolo di acquisto, e, in primo luogo, tramite quello disciplinato dall’art. 42-bis d.p.r. n. 327/200; nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ritenga di acquisire il bene ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 42-bis, dovrà corrispondere al proprietario l’indennizzo di cui al primo comma della disposizione indicata (corrispondente al valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, oltre il 10% di tale valore per il ristoro del danno non patrimoniale), nonché il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, da computare in relazione alla varie aree con le decorrenze sopra specificate e consistente nell’interesse del 5% sul valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione (come prescritto dal citato art. 42-bis, terzo comma)…».3.3. A giudizio del Consiglio la censura oltre che inammissibile – nel motivo di appello non si stabilisce invero quale sarebbe il valore economico effettivo da riconoscere all’area – non merita accoglimento.In primo luogo occorre rilevare che la decisione resiste nella parte in cui ha ritenuto condivisibili le conclusioni cui era pervenuta la CTU (“Il consulente tecnico ha chiarito, infatti, che le superfici interessate erano destinate in parte a “verde pubblico” ed in parte a “viabilità di Piano Regolatore Generale”, ma ha chiarito che il settore urbano in cui le stesse ricadono è di tipo residenziale, in quanto caratterizzato da numerosi insediamenti privati, da case popolari e da immobili destinati ad attività commerciale (ad identiche conclusioni, peraltro, è giunto anche il consulente tecnico nominato da questo Tribunale nel ricorso n. 542/2002”) perché, come riferito nella memoria dell’appellato, il CTU ha qualificato, con motivazione ritenuta congrua da questo Consiglio, tali aree come “indispensabili strutture di servizio” e per questo le ha equiparate “alle limitrofe aree ove si sono realizzate costruzioni a più livelli di discreta cubatura” (si vedano pagg. 15-16 della memoria del 2 novembre 2012). Non v’è dubbio che correttamente la sentenza impugnata ha stabilito che il ristoro economico da corrispondere al proprietario inciso dall’azione illegittima dell’amministrazione deve essere parametrato all’effettivo valore venale del bene che certamente è diverso a seconda che l’area ricada in zona urbanizzata (come nel caso di specie) o meno. Giova poi incidentalmente rilevare che, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, d.P.R. 327/2001, salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l'indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell'accordo di cessione o alla data dell'emanazione del decreto di esproprio, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù. In secondo luogo non è inutile ricordare che la Corte Costituzionale – in adesione ad un orientamento molto attento ai principi stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – con riferimento all’espropriazione delle aree non edificabili ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 2, d.P.R. 327/2001, ove veniva stabilito che se l'area non era effettivamente coltivata, l'indennità era commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. Per la Corte «… E' vero che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo che in caso di "espropriazione isolata", pur se a fini di pubblica utilità, soltanto una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene. Tuttavia, proprio l'esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell'indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest'ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore (sentenza n. 1165 del 1988), in guisa da garantire il "giusto equilibrio"tra l'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui…» (Corte Cost. 10 giugno 2011 n. 181).»

Sintesi: In ipotesi di occupazione illegittima di aree urbanizzate dall’occupante, tale valore aggiunto non può essere attribuito ai proprietari, cui spetta il risarcimento per la sola cessione di aree non urbanizzate.

Estratto: «Le due CTU disposte da questo Tribunale forniscono valori molto diversi per quanto concerne l’area edificabile (€/mq 45,00 secondo il giudizio dell’Ing. Monelli; valori più che dimezzati a parere dei successivi CTU).Valori quasi raddoppiati, rispetto quelli proposti dall’Ing. Monelli, sono invece rivendicati dai ricorrenti sulla base di valutazioni che, nella sostanza, equiparano i terreni in oggetto a quelli edificabili e già urbanizzati presenti nel libero mercato immobiliare di Jesi.Quest’ultima prospettazione non può, tuttavia, essere condivisa per le medesime ragioni già illustrate nell’escludere il valore meramente agricolo.Le aree destinate alla realizzazione dell’Interporto non possono infatti essere equiparate tout court alle altre aree produttive limitrofe, poiché soggette ad un doppio vincolo di destinazione, ossia oggettivo (per la sola realizzazione dell’Interporto) e soggettivo (per la possibilità di vendere esclusivamente alla società all’uopo costituita), che le rendono obiettivamente poco appetibili per altri soggetti.Per quanto il terreno in esame possieda una generica vocazione edificabile, essendo ubicato in prossimità di aree edificabili, non è tuttavia possibile immaginare quale diversa destinazione (rispetto alla realizzazione dell’Interporto) avrebbe potuto essere ragionevolmente impressa dalla strumentazione urbanistica del Comune di Jesi, atteso che, al riguardo, l’amministrazione gode di ampi poteri discrezionali sotto ogni punto di vista. Una diversa destinazione edificabile, rispetto alla precedente destinazione agricola e alla successiva destinazione ad Interporto, costituisce, pertanto, una mera aspettativa non suscettibile di quantificazione economica alla data di riferimento.Va poi osservato che le aree venivano urbanizzate dall’occupante, per cui tale valore aggiunto non può essere attribuito ai ricorrenti, cui spetta il risarcimento per la sola cessione di aree non urbanizzate.»

Sintesi: Ai fini della quantificazione del risarcimento del danno la somma dovuta deve essere rapportata alla superficie effettivamente occupata e allo specifico indice di edificabilità territoriale, tenendo conto, in particolare, della necessità di riconoscere la giusta incidenza al costo della realizzazione di opere di urbanizzazione.

Estratto: «Ritenuta, quindi, ammissibile la pretesa risarcitoria della ricorrente, al fine della quantificazione del risarcimento del danno dovuto il Collegio ritiene, in primo luogo, di dover chiarire come l’applicazione del principio secondo cui il danno deve essere calcolato con riferimento al momento in cui il bene è definitivamente sottratto alla titolarità del privato e, quindi, nel momento in cui è acquisito al patrimonio dell’Amministrazione, comporta, nel caso di specie, che il momento di riferimento sia rappresentato dall’anno 2000: anno in cui è intervenuto il decreto d’esproprio e le aree sono state occupate e trasformate.La somma dovuta deve, altresì, essere rapportata alla superficie effettivamente occupata e allo specifico indice di edificabilità territoriale, tenendo conto, in particolare della necessità di riconoscere la giusta incidenza al costo della realizzazione di opere di urbanizzazione quali strade con annessi parcheggi, aree a verde attrezzato, acquedotto, metanodotto, illuminazione pubblica, rete telecom, rete fognatura, allacciamento pubblici servizi posto a carico di chi edifichi sulla scorta del piano attuativo in questione (circostanza, quest’ultima, che incide in modo netto sul valore delle aree).»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.