Giurisdizione in materia di cessione volontaria del bene assoggettato a procedura espropriativa

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> ATTO DI CESSIONE VOLONTARIA

Sintesi: La riconducibilità della cessione volontaria 12, l. n. 865/1971 sotto il più ampio ombrello dell’art. 11, l. 241/90, così come l’ampia duttilità che caratterizza quest’ultimo sia pure nei limiti della tipicità dei provvedimenti autoritativi che va a sostituire, consentono di affermare che le controversie relative all’esecuzione della cessione volontaria, diverse da quelle in tema di indennità, devono essere conosciute dal g.a.


Estratto: «5. Riconosciuta la natura giuridica dell’accordo deve essere esaminato il rapporto che corre tra quest’ultimo e la cessione volontaria disciplinata all’epoca dei fatti dall’art. 12, l. n. 865/1971.5.1. Il tema esaminato dalle Sezioni Unite della Cassazione, più di recente con sentenza n. 24687/2010, è stato risolto da quest’ultime nel senso di escludere che la cessione volontaria sia species dell’accordo ex art. 11, tanto, che: “inoltre - come esattamente rilevato dal confliggente Tribunale amministrativo regionale per la Calabria con la menzionata sentenza n. 1313/09 del 25 novembre 2009 (che richiama il consolidato orientamento di queste sezioni unite), in contrasto con la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme n. 257/06 del 6 giugno 2006 - tale orientamento non collide con il combinato disposto della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, commi 5 e 1 - che riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi stipulati dall'amministrazione procedente con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento finale ovvero ... in sostituzione di questo -, in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato che detta norma non è applicabile al (sub)procedimento di cessione volontaria del bene da espropriare, ciò in base al rilievo che la legge generale sul procedimento amministrativo non può trovare applicazione quando la disciplina di settore (quale quella che regola, come nella specie, la procedura ablatoria di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 9 e segg.), soddisfacendo in maniera diversa (e con minori margini di discrezionalità per la Pubblica Amministrazione) le esigenze tutelate dalla disciplina generale, risulti incompatibile con il modello procedimentale da essa delineato e debba applicarsi nella sua interezza, compresa la disciplina della giurisdizione, atteso l'inscindibile collegamento tra questa e le disposizioni sul procedimento (cfr., ex plurimis, le sentenze delle sezioni unite nn. 9845 del 2007 e 9130 del 1994);che con le ora richiamate sentenze è stato affermato, in particolare, che la cessione volontaria degli immobili assoggettati ad espropriazione e la determinazione amichevole della relativa indennità non possono derogare in alcun modo dai prestabiliti parametri legali, e che la funzione stessa di tale cessione è quella di rappresentare un modo tipico di chiusura del procedimento di esproprio, secondo modalità ritenute necessarie dalla legge in forza di una relazione legale e predeterminata di alternatività della cessione volontaria rispetto al decreto ablatorio, e non già di mera "sostituzione" di questo che ne consenta l'inquadramento tra gli accordi sostitutivi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 1 i quali sono liberi nell'an e nel quomodo, a differenza degli accordi espropriativi che sono, invece, liberi soltanto nell'an;”. Quest’impostazione non può essere condivisa, proprio per le conclusioni alle quali è giunta la Consulta: presupposto dell’accordo è la preesistenza di un potere autoritativo, che viene sostituito da uno strumento negoziale, non importa se la discrezionalità attiene soltanto all’an e non al quomodo. Del resto, è la stessa Cassazione che precisa come la cessione volontaria non possa essere assimilata ad un contratto di compravendita per le seguenti ragioni: “a) l'inserimento del negozio nell'ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell'acquisizione del bene da parte dell'espropriante, quale strumento alternativo all'ablazione d'autorità; b) la preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell'indennità e delle relative offerta ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall'art. 12 della legge 22 ottobre 1971 n. 865; c) il prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell'indennità di espropriazione.” (Cass., civ. Sez. II, 22 maggio 2009, n. 11955).In definitiva, la posizione della Suprema Corte pare maggiormente orientata alla necessità di giustificare la giurisdizione del g.o. in tema di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (Cass., Sez. Un., n. 29527/2008). Peculiarità che risulta essere stata mantenuta anche all’indomani del c.p.a. con l’art. 133, comma 1, lett. g), anche per evitare che l’insorgere di conflitti giurisprudenziali potenzialmente non risolvibili nel caso in cui delle controversie inerenti le indennità dovute per l’adozione del decreto d’esproprio dovesse occuparsi il g.o., e di quelle conseguenza della cessione volontaria dei beni dovesse occuparsi il g.a. Questa conclusione, infatti, hanno raggiunto le stesse Sezioni Unite con la pronuncia, n. 28343/2011, desumendola dalle coordinate offerte dalla Consulta in sede di valutazione della costituzionalità dell’art. 53 d.P.R. n. 327/2001: “La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 53 comma 1, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 325, trasfuso nell'art. 53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ad opera della sentenza n. 191 del 2006 della Corte costituzionale, riguarda soltanto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni, conseguenti all'applicazione delle disposizioni del testo unico, non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere e, dunque, tenuti in carenza di potere od in via di mero fatto; conseguentemente appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo quelle controversie in tema di risarcimento del danno derivante da provvedimenti che, benché impugnati per illegittimità od illiceità, sono comunque riconducibili ai poteri ablatori riconosciuti alla P.A. dagli artt. 43 e 44 del T.U. n. 327 e dall'art. 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166, ivi compresi gli atti di cessione volontaria, parificati dall'art. 45 del medesimo T.U. ai decreti di esproprio. (Fattispecie relativa ad un'azione di annullamento di un contratto di cessione volontaria di beni immobili e contestuale azione di restituzione e di risarcimento dei danni)”.5.2. In definitiva, come ha già avuto modo di chiarire questo Consiglio (Cons. St., Sez. VI; 14 settembre 2005, n. 4735) la cessione volontaria del bene, nel procedimento espropriativo, in quanto sostitutiva del decreto di espropriazione, di cui produce i medesimi effetti, non perde la connotazione di atto autoritativo, implicando, più semplicemente la confluenza in un unico testo di provvedimento e negozio e senza che la presenza del secondo snaturi l'attività dell'Amministrazione, dato che il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale. Né come affermato dal primo Giudice la circostanza secondo la quale la clausola con la quale viene costituita la servitù prediale a favore delle odierne appellanti, nella misura in cui decampa dal contenuto vincolato della cessione volontaria può portare ad escludere la giurisdizione esclusiva del g.a., che sarebbe limitata al solo contenuto tipico dell’accordo di cessione. La riconducibilità, infatti, della cessione volontaria sotto il più ampio ombrello dell’art. 11, l. 241/90, così come l’ampia duttilità che caratterizza quest’ultimo sia pure nei limiti della tipicità dei provvedimenti autoritativi che va a sostituire, consentono di affermare che le controversie relative all’esecuzione della cessione volontaria, diverse da quelle in tema di indennità, devono essere conosciute dal g.a.»

Sintesi: L'art. 53 T.U. prevede espressamente la giurisdizione del giudice amministrativo anche in ordine agli accordi in materia di espropriazione, stipulati ai sensi del DPR 327/2001, tra cui quindi anche la cessione volontaria, lasciando al G.O. soltanto le questioni sulla misura dell'indennità.

Estratto: «fondato poi è il ricorso, appartenendo la giurisdizione nella vicenda in esame al giudice amministrativo;si ribadisce in proposito (Cass. S.U. n. 26793 del 07/11/2008) che la dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325, art. 53, comma 1, trasfuso nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53, comma 1 ad opera della sentenza...
[...omissis...]

Sintesi: Sussiste la giurisdizione del GO non solo in relazione alle controversie aventi direttamente ad oggetto la determinazione dell’indennità dovuta a seguito della cessione volontaria, ma anche allorché sia contestata la validità dell’accordo, per farne discendere il diritto ad un’indennità diversamente determinata.

Estratto: «Il giudicante ha sottolineato che gli istanti hanno agito in giudizio al fine di ottenere l’attuazione di una convenzione per la cessione volontaria di beni immobili da espropriare, destinata, nell’ambito del procedimento espropriativo, a sostituire il decreto di esproprio.La convenzione, rileva ancora il giudicante nella sentenza indicata, si colloca fra gli accordi sostitutivi del provvedimento autoritativo ed unilaterale della pubblica amministrazione, disciplinati dall’art. 11 della legge n. 241/1990., che, al quinto comma, riserva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in ordine a tali accordi.Da qui la conclusione, corroborata, peraltro, anche dalle previsioni di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle materie di cui agli artt. 34, primo comma, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e 53 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, secondo cui la giurisdizione in ordine alla controversia dedotta spetta al giudice amministrativo.Questo Tribunale Amministrativo non ritiene di potere condividere la pur argomentata ed acuta ricostruzione del Tribunale di Lamezia Terme. La giurisprudenza, sia quella della Suprema Corte sia quella amministrativa, ha affermato, infatti, che la pretesa indennitaria, di carattere puramente patrimoniale, rientra nella previsione dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nella parte in cui riserva al giudice ordinario le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità, in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. La dizione della norma, estremamente ampia, comprende, pertanto, l’indennità di esproprio, il prezzo della cessione volontaria, l’indennità per servitù (Cass. civ., sez. un., 24 aprile 2007 , n. 9845; id., 13 febbraio 2007 , n. 3040; Cass civ., sez. I, 21 gennaio 2000 n. 655; Cass. civ., sez. un., 11 agosto 1997 n. 7455; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 30 luglio 2009 n. 1953; TAR, Calabria, Catanzaro, sez. I, 21 luglio 2004 n. 1670; T.A.R. Lombardia Brescia, 25 gennaio 2006 n. 70; T.A.R. Molise Campobasso, 7 luglio 2004 n. 350; T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 3 aprile 2002 n. 1441; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 11 giugno 1999 n. 839). Non è fuor di luogo rilevare che la giurisprudenza della S.C., almeno con riferimento al periodo precedente all’entrata in vigore delle norme di cui ai richiamati artt. 34 d.lgs. n.80/1998 e 53 D.P.R. 327/2001, ha affermato la giurisdizione del g.o., non solo in relazione alle controversie aventi direttamente ad oggetto la determinazione dell’indennità dovuta a seguito della cessione volontaria, ma anche allorché fosse contestata la validità dell’accordo, per farne discendere il diritto ad un’indennità diversamente determinata o per fondarvi, eventualmente, una pretesa risarcitoria dipendente dalla mancata tempestiva sopravvenienza dell’atto conclusivo del procedimento espropriativo. Ciò sulla base dell’affermazione secondo cui “...la cessione volontaria è configurata come modo tipico di chiusura del procedimento, secondo modalità ritenute necessarie dalla legge in virtù di una relazione legale e predeterminata di alternatività al decreto ablatorio, e per ciò non di semplice sostituzione che ne consenta l’inquadramento tra gli accordi sostitutivi previsti dall’art. 11 della legge n. 241-90, che sono liberi nell’an e nel quomodo, a differenza degli accordi espropriativi, che sono liberi solo nell’an” (Cass. civ., sez. un., 4 novembre 1994 n. 9130). Non resta, pertanto, che dichiarare l’inammissibilità del ricorso oggetto del presente giudizio per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.»

Sintesi: Rientrano nella giurisdizione dell’A.G.O. le controversie in materia di cessione volontaria del bene assoggettato a procedura espropriativa, la cui disciplina inerisce finalisticamente alla commisurazione dell'indennizzo, e quindi tutela in modo diretto ed immediato la posizione del soggetto espropriando.

Estratto: «Nella fattispecie dedotta in giudizio deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo nei confronti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria.La giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., sez. un., 24 aprile 2007, n. 9845; sez. I 3 luglio 2001, n. 8970; 17 novembre 2000 n. 14901) ha, infatti, riportato alla giurisdizione dell’A.G.O. le controversie in materia di cessione volontaria del bene assoggettato a procedura espropriativa: «rientra nella giurisdizione del g.o. la questione, preliminare ad un'azione di determinazione del conguaglio del prezzo, circa la nullità del contratto di cessione volontaria del bene assoggettato a procedura espropriativa, la cui disciplina inerisce finalisticamente alla commisurazione dell'indennizzo, e quindi tutela in modo diretto ed immediato la posizione del soggetto espropriando» (Cass. civ., sez. un., 24 aprile 2007, n. 9845).La soluzione è fondata su una ricostruzione della fattispecie che può sicuramente essere condivisa dalla Sezione e che può pertanto essere richiamata, in funzione motivazionale della presente decisione: «la più qualificata dottrina e la giurisprudenza di questa Corte fin dalle pronunce meno recenti hanno qualificato la cessione volontaria un contratto cd. ad oggetto pubblico che si inserisce necessariamente nell'ambito del procedimento di espropriazione, che l'espropriando ha il diritto di convenire in seguito ad un subprocedimento predisposto dalla L. n. 865 del 1971, art. 12 e ad un prezzo pur esso predeterminato in base a criteri inderogabili stabiliti dalla legge del tempo per la determinazione dell'indennità spettante per la sua espropriazione, che costui può soltanto accettare (o rifiutare); e che ha anche l'effetto di porre termine al procedimento, eliminando la necessità dell'emanazione del decreto di espropriazione (richiesto, invece, nel caso di mancata accettazione dell'offerta) e dello svolgimento del subprocedimento di determinazione dell'indennità definitiva (Cass. 17102/2002; 8970/2001; 14901/2000). Poichè le relative disposizioni configurano regole procedimentali che tutelano in via immediata e diretta posizioni di diritto soggettivo dell'espropriando medesimo, in considerazione della loro stretta connessione con la determinazione dell'indennizzo in quanto il giusto indennizzo voluto dall'art. 42 Cost. a tutela diretta e immediata del singolo soggetto, a riparazione del sacrificio subito nell'interesse pubblico, e con il presupposto legittimante del potere ablativo dell'amministrazione, queste Sezioni Unite hanno sempre attribuito al giudice ordinario la giurisdizione a conoscere di tutte le controversie con cui il privato deduce la loro inosservanza………Questa ricostruzione non può ritenersi modificata dalla L. n. 241 del 1990, art. 11, ….Le Sezioni Unite, infatti, hanno osservato al riguardo: a) che la norma afferma un principio di contrattualità in ogni momento dell'azione amministrativa, in forza del quale, nel quadro della valorizzazione dei rapporti tra amministratori ed amministrati, il modulo convenzionale assurge a strumento imprescindibile dell'azione dei pubblici poteri; i relativi accordi hanno carattere contrattuale e sono soggetti alle norme civilistiche sulle obbligazioni e i contratti in quanto compatibili, mirando a svincolare l'Amministrazione del procedimento. E la loro disciplina, in quanto espressa dall'accordo e non dal provvedimento, risulta sprovvista dei caratteri di esecutività e imperatività: perciò restando salva la facoltà delle leggi di settore di dare una regolamentazione propria e diversa nella sedes materiae; b) che, d'altra parte, gli stessi art. 2 e 13 affermano che la normativa non sì applica nei casi in cui la disciplina dettata per particolari settori sia strutturata in modo da soddisfare diversamente le specifiche esigenze avute di mira e da risultare incompatibile con il modello procedimentale disegnato nella nuova legge: come avviene proprio con riguardo allo speciale settore dell'espropriazione per p.u., il cui procedimento ha connotati tali, e soddisfa esigenze tali, da non tollerare commistioni con la disciplina generale della nuova legge sul procedimento. E risulta scandito con modi ed in tempi tali (L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 9 e ss.) da non lasciare rilevanti margini alla discrezionalità degli atti del procedimento, espressamente prevista, invece, dalla L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 1; c) che la cessione volontaria degli immobili e la determinazione amichevole dell'indennità, in particolar modo non possono derogare in alcun modo dai prestabiliti parametri legali; e la funzione stessa della cessione è quella di rappresentare un modo tipico di chiusura del procedimento, secondo modalità ritenute necessarie dalla legge in virtù di una relazione legale e predeterminata di alternatività al decreto ablatorio: e per ciò non di semplice sostituzione che ne consenta l'inquadramento tra gli accordi sostitutivi previsti dalla L. n. 241 del 1990, art. 11, invece liberi nell'an e nel quomodo, a differenza degli accordi espropriativi, che sono liberi solo nell'an» (Cass. civ., sez. un., 24 a»

Sintesi: In ipotesi in cui risulti stipulato contratto di cessione volontaria qualificabile come preliminare di vendita ad effetti anticipati, essendo intervenuto, a fronte della corresponsione di parte del prezzo pattuito, l’effetto traslativo, in ipotesi di mancata stipula del contratto definitivo, con pagamento del residuo prezzo, si pone un problema di (eventuale) responsabilità contrattuale di una parte per mancato adempimento di un’obbligazione, il cui accertamento rientra nella cognizione del Giudice Ordinario.

Estratto: «6. Inoltre il contratto preliminare, nel caso di specie, intercorso tra la concessionaria ed il dante causa della ricorrente e nel quale quest’ultima, in qualità di erede universale, era succeduta, va correttamente qualificato come preliminare di vendita ad effetti anticipati, essendo intervenuto, a fronte della corresponsione di parte del prezzo pattuito, l’effetto traslativo, con la conseguenza che il possesso non è stato acquisito in forza di un atto autoritativo.In tale situazione, rimaneva, a carico di entrambe le parti, unicamente l’obbligo di attivarsi per la stipula del contratto definitivo e, a carico del concessionario, l’obbligo di corrispondere la residua parte del prezzo pattuito, obbligazioni, queste, rientranti chiaramente nella tutela civilistico sottratta alla cognizione del G.A. In buona sostanza, nella fattispecie, risulta intervenuto tra il Coppola Luigi e la “So.Fi.Coop. s.p.a.” un accordo preliminare ad effetti anticipati (di cui i successivi ne rappresentano la ripetizione) avente ad oggetto l’obbligazione delle parti a stipulare il contratto definitivo di cessione del suddetto immobile, alla cui stipula, però, non si è mai giunti per causa imputabile al concessionario.7. In punto di responsabilità del concessionario - come rilevato, da farsi valere, in ogni caso, innanzi al giudice ordinario - la difesa del resistente Comune ragguaglia nel senso che, a seguito di specifica richiesta del legale rappresentante della “So.Fi.Coop. s.p.a.”, con delibera di Giunta Municipale n. 78 del 27.1.1981, il Comune aveva delegato la predetta Società “a procedere all’esproprio delle aree ad essa assegnate” e che, con successiva delibera di Giunta Municipale n. 339 dell’8.4.1981, l’Ente aveva integrato il suo precedente deliberato “…..nel senso di delegare la So.Fi.Coop anche per tutta la procedura espropriativa compresa l’occupazione temporanea delle aree”. La società concessionaria, però, una volta immessasi nel possesso delle aree, aveva proceduto alla realizzazione di cinque fabbricati, ma non risultava avere ottemperato alla delega per il compimento degli atti della procedura espropriativa - come autorizzata con delibere di G.M. n. 78 del 27.1.1981 e n. 339 dell’8.4.1981 - con la conseguenza che, a causa delle gravi inadempienze dalla "So.fi.Coop. S.p.a." poste in essere (non solo nei confronti della ricorrente e del suo dante causa, ma) anche nei confronti di molte altre ditte espropriate, il Comune, con ordinanza sindacale n. 271 del 9.8.1983, aveva sospeso tutti i provvedimenti di assegnazione di suoli disposti in favore della concessionaria.Avverso tale ordinanza, l’impresa aveva adito il T.A.R. della Campania che, con sentenza della V Sezione n. 960 del 6.4.2000, confermata in appello dal Consiglio di Stato, aveva rigettato l’impugnativa proposta, per tal guisa riaffermandosi la pienezza dei poteri conferiti dal Comune di Somma Vesuviana alla concessionaria ed, in particolare, la legittimità dei contratti preliminari ad effetti anticipati da quest’ultima stipulati nonostante si fosse resa inadempiente all’obbligo di pagare la residua parte del prezzo.8. Il problema si pone, quindi, in termini di (eventuale) responsabilità contrattuale di una parte per mancato adempimento di un’obbligazione su di essa gravante nei confronti dell’altra, ed, in particolare, dell’obbligazione posta a carico della concessionaria di “stipulare il contratto definitivo di cessione” del suolo di proprietà della ricorrente, con contestuale corresponsione della parte residua del prezzo, responsabilità il cui accertamento rientra senz’altro nella cognizione del Giudice Ordinario.»

Sintesi: In tema di cessione volontaria d'immobile, l’inadempimento da parte dell’espropriante comporta una sua responsabilità di natura contrattuale, con obbligo di risarcire il danno. La causa, al pari di tutte le controversie contrattuali, rientra nella giurisdizione del G.O., quale giudice di diritti.

Estratto: «9. La giurisprudenza ha più volte ribadito il principio di diritto in virtù del quale in tema di cessione volontaria di immobile, l’inadempimento da parte dell’espropriante comporta una sua responsabilità di natura contrattuale con obbligo di risarcire il danno. La causa, al pari di tutte le controversie contrattuali, rientra nella giurisdizione del G.O., quale giudice di diritti, senza che rilevi, ai fini della giurisdizione, l’emanazione di eventuali provvedimenti di acquisizione con effetto sanante, peraltro mancanti nel caso di specie (Cfr.: Cass., SS.UU., 19.12.2007, n. 26732; 24.4.2007, n. 9845).»

Sintesi: Dell'esecuzione di contratto di diritto privato, per essere lo stesso intervenuto al di fuori di procedimento espropriativo, conosce il GO.

Estratto: «Comunque si consideri la domanda proposta, sul cui oggetto ai sensi dell'art. 386 c.p.c. deve determinarsi la giurisdizione, questa spetta al giudice ordinario.Anche a considerare la richiesta contenuta in citazione di risoluzione per inadempimento o mancato pagamento del contratto costituito dalla proposta degli attori di vendita dell'area di loro proprietà per il prezzo indicato nell'atto e dalla successiva delibera del Comune, che ha definito tale atto dei privati come precontrattuale ed avente ad oggetto la assunzione unilaterale di un obbligo a contrarre, su tale domanda la giurisdizione è del giudice ordinario, essendo relativa alla esecuzione di un contratto di diritto privato ed avendo ad oggetto soltanto diritti soggettivi (così, tra altre, S.U. 19 dicembre 2007 n. 26732, 28 luglio 2008 n. 20543).Nelle stesse materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e per i contratti ad evidenza pubblica, chiusa la fase della scelta del contraente, ogni controversia sulla mera esecuzione di tali atti, come quella di risoluzione per inadempimento delle obbligazioni che in essi trovano la loro fonte, spetta di regola alla cognizione del giudice ordinario (S.U. 17 dicembre 2008 n. 29425, 23 aprile 2008 n. 10443 e 18 luglio 2008 n. 19805, tra altre).Nel caso, risulta essersi avuto l'intervento dei tecnici comunali nelle "trattative" (l'espressione è contenuta nella citata Delib. n. 44 del 1997) con i ricorrenti, che si indussero a sottoscrivere un atto unilaterale, non qualificabile come di diritto pubblico né inserito in un procedimento di espropriazione per pubblico interesse, in assenza di un qualsiasi atto di esercizio dei poteri della P.A. da parte dell'ente locale, che ha agito uti civis e a mezzo di propri funzionari tecnici, non legittimati a rappresentarlo quale ente pubblico.L'atto unilaterale dei privati non può costituire un accordo e non è qualificabile quindi come cessione del bene ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12 unica norma ratione temporis applicabile alla fattispecie; altrettanto può dirsi, anche ove si ritenga applicabile la sopravvenuta disciplina del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 20 come poi modificato, in vigore dal 30 giugno 2003 e irrilevante nella vicenda oggetto di causa che è del 1997 - 1999.Non emergono dal controricorso dell'ente locale elementi che individuino il procedimento espropriativo in cui, ove si ritenga sussistente e perfezionato, potrebbe essere inserito il preteso accordo di cui sopra, né risulta l'atto o il provvedimento, dell'ente locale o di altra P.A., che possa costituire la dichiarazione, anche tacita, di pubblica utilità del parcheggio poi realizzato.Neppure viene precisato agli atti, dall'ente locale che insiste sulla giurisdizione del giudice amministrativo, lo stato del subprocedimento di determinazione dell'indennità e il criterio legale usato per liquidare quest'ultima, risultando essersi avuta nella fattispecie la sola richiesta di un "prezzo" per la compravendita da stipulare dinanzi a notaio, entro un certo termine a decorrere dalla delibera di approvazione dell'acquisto.Anche a ritenere perfezionato un contratto nella fattispecie descritta in domanda, lo stesso dovrebbe qualificarsi di diritto privato, essendo il prezzo chiesto dai privati espressione della loro autonomia e non predisposto in base alle regole sui criteri di determinazione della indennità di espropriazione.Pertanto, sulla domanda come prospettata nel procedimento principale, che sembra ritenere concluso un contratto che nel ricorso per regolamento esattamente si afferma non essersi mai perfezionato, tale atto,se concluso dovrebbe qualificarsi di diritto privato e andrebbe quindi riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario.»

GIUDIZIO --> GIURISDIZIONE E COMPETENZA --> ATTO DI CESSIONE VOLONTARIA --> CONTRATTO PRELIMINARE

Sintesi: In ipotesi di contratto preliminare non è invocabile la giurisdizione del GA ex art. 53 DPR 327/2001; ciò in quanto la norma richiama gli atti, i provvedimenti, gli accordi ed i comportamenti “conseguenti all'applicazione delle disposizioni del testo unico”, mentre il contratto preliminare di cessione del bene non è espressamente contemplato dal alcuna norma del testo unico.

Estratto: «Rileva, di poi, il Tribunale, che la inapplicabilità dell’articolo 11 della legge generale del procedimento amministrativo emerge in tutta evidenza considerando, nello specifico, la fattispecie negoziale cui le parti sono ricorse e le sue peculiarità.Trattasi, nella specie, di un contratto preliminare di cessione; dunque, di un atto non produttivo dell’effetto reale dell’acquisto del diritto di proprietà in capo all’amministrazione, quanto piuttosto di un effetto obbligatorio: quello della costituzione dell’obbligo di cedere la proprietà del bene, consentendo nelle more l’apprensione delle aree e la loro utilizzazione per la realizzazione dell’opera pubblica.A maggior ragione, dunque, non è ipotizzabile una “sostituzione” del provvedimento di esproprio, né in altra guisa un accordo finalizzato a “determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”, così come previsto dalla richiamata norma delle legge n. 241/1990.Ritiene , inoltre, il Collegio, pur non risultando tale riferimento normativo esplicitato nell’atto introduttivo del giudizio, che la giurisdizione del giudice amministrativo non possa radicarsi neppure attraverso il richiamo all’articolo 53 del t.u. n. 327/2001, nella parte in cui devolve a quest’ultima “le controversie aventi per oggetto ….gli accordi delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati”.La norma, invero, richiama gli atti , i provvedimenti, gli accordi ed i comportamenti “conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico”.Orbene, il contratto preliminare di cessione del bene non è espressamente contemplato dal alcuna norma del testo unico, onde, sotto tale profilo non appare sussumibile nella previsione dell’articolo 53.Risulta piuttosto espressione di una peculiare autonomia negoziale, che si esprime nella scelta di uno strumento consensuale atipico ( in quanto non previsto dalle specifiche disposizioni legislative in materia di espropriazione), attraverso il quale regolamentare i reciproci interessi, costituendo diritti soggettivi ed obblighi, con conseguente applicazione delle ordinarie regole in tema di riparto della giurisdizione , le quali affermano la giurisdizione del giudice ordinario nel caso in cui la controversia involga posizioni giuridiche di diritto soggettivo.»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.