Il Consiglio di Stato sostiene la natura giuridica pubblicistica delle «Case cantoniere» con una tesi singolare

Le considerazioni sopra esposte, sebbene di gran lunga prevalenti, sono, però, state rimesse in discussione da una recente sentenza del Consiglio di Stato [1] attraverso cui tale importantissimo organo della giustizia amministrativa ha dovuto pronunciarsi sulla legittimità dello sgombero di una casa cantoniera [2]…



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Prima di analizzare il «peculiare» ragionamento giuridico seguito dallo stesso Consiglio di Stato e, soprattutto, al fine di meglio comprenderlo, è importante effettuare una sintetica analisi dei fatti.

Il giudizio trae origine dall’appello mosso verso una sentenza di primo grado [3], che aveva provveduto a rigettare l’impugnazione del provvedimento di sgombero eseguito in via amministrativa e aveva…



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Avverso la sentenza di primo grado vengono mosse prevalentemente due censure [4]:


1) in primo luogo, a detta dell’appellante, la legge 21 aprile 1995, n. 242, che ha trasformato l’Anas in ente pubblico economico, ha comportato «la trasformazione delle strade e delle relative pertinenze da esso gestite in meri beni disponibili», modificandone implicitamente la destinazione e lo status di beni demaniali e patrimoniali indisponibili [5];

2) in secondo luogo, il provvedimento di sgombero veniva ritenuto affetto da vizi motivazionali.

Più in particolare, l’elemento che secondo l’appellante modifica la qualificazione demaniale o patrimoniale indisponibile del bene si risolve esclusivamente nel mutamento di qualificazione soggettiva dell’ente che ne ha la disponibilità.

Nel risolvere il contenzioso sottoposto alla sua attenzione il giudice d’appello ha sostenuto che la legittimità dell’esercizio dei poteri di autotutela con riferimento ai beni oggetto di causa dipende dal regime giuridico cui gli stessi soggiacciono…



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Pertanto, il provvedimento di sgombero potrà essere correttamente considerato legittimo (e nel caso in esame lo è stato) solo laddove i beni nei cui confronti viene esercitato risultino oggetto di proprietà pubblica in senso stretto.

A tale riguardo, di conseguenza, Consiglio di Stato [6] è stato chiamato a chiarire se le modifiche soggettive subite dall’Anas avessero potuto incidere sulla natura giuridica di detti beni.

Il massimo organo della nostra giustizia amministrativa, con una soluzione peraltro molto criticata in dottrina, perviene ad una risposta negativa non in quanto ritiene irrilevanti le modifica soggettive dell’ente proprietario sulla disciplina giuridica dei beni, ma in quanto nel caso di specie le predette modifiche soggettive hanno investito l’ente che ha la mera gestione e non anche la titolarità proprietaria dei beni in esame.

Pertanto, ciò che incide sulla natura giuridica dei beni non sono le modifiche soggettive che investono l’ente gestore, quanto piuttosto la modifiche soggettive che riguardano gli enti titolari.

Attraverso una ricostruzione della normativa concernente le modifiche soggettive dell’Anas, tra cui l’art. 18 d.lgs. 242/1995 [7] e il successivo d.lgs. 320/1997, il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che la proprietà delle strade e delle sue pertinenze è sempre rimasta in capo a soggetti diversi dal predetto ente.

Più precisamente, lo stesso Consiglio di Stato precisa che: «… Dalla lettura di tali disposizioni normative emerge con immediatezza che la principale intenzione del legislatore (che si inquadra nel più generale fenomeno della c.d. privatizzazione delle strutture pubbliche) è stata quella di scindere la proprietà dei beni dalla loro gestione, solo quest’ultima essendo stata affidata al neo costituito ente pubblico: pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la trasformazione dell’A.N.A.S. da azienda autonoma del Ministero dei lavori pubblici in ente pubblico non ha inciso minimamente sulla natura giuridica (demaniale e/o patrimoniale indisponibile) dei beni (strade e loro pertinenze) affidati alla sua gestione, beni rimasti in mano pubblica».



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La soluzione adottata nella sentenza in esame è stata fortemente criticata in dottrina [8] in quanto ritenuta ancorata ad un approccio ricostruttivo tradizionale legato ad una qualificazione classica, ed ormai superata, dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili in virtù della quale la disciplina giuridica della proprietà pubblica troverà applicazione solo nei confronti dei beni rientranti nella titolarità pubblica.

Tale approdo interpretativo, però, è stato recentemente superato dalla predilezione di un criterio non più meramente soggettivo, quanto piuttosto oggettivo e incentrato appunto sulla effettiva destinazione del bene ai fini collettivi [9].

Il criterio dell’attribuibilità soggettiva non è più correttamente praticabile soprattutto all’interno del panorama organizzativo odierno della P.A. ove proliferano accanto ai classici enti pubblici in senso stretto anche figure privatistiche, frutto spesso di un processo di privatizzazione.

Attualmente, pertanto, come autorevole dottrina [10] ha avuto modo di mettere in evidenza, la funzionalizzazione del bene all’uso pubblico ne rende irrilevante la titolarità della proprietà privata o pubblica.

L’aspetto di maggiore criticità della pronuncia in esame del Consiglio di Stato…



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Per cui, il processo di trasformazione di un ente pubblico in ente privato, e più specificatamente in una società per azioni determina per ciò solo l’automatica privatizzazione dei beni acquisiti o trasferiti al nuovo soggetto di diritto privato seppur utilizzati al fine di erogare un servizio per la collettività.

Tale ragionamento giuridico, però, anche alla luce della premessa effettuata all’inizio del capitolo in esame, è da ritenersi ormai obsoleto in quanto, innanzitutto, contravviene con la tesi attualmente prevalente secondo cui indice della pubblicità di un bene non è tanto l’elemento soggettivo [11] quanto piuttosto quello oggettivo [12] attinente alla sua effettiva strumentalità al perseguimento del fine pubblico, e, oltretutto, non considera che, in realtà, i processi di privatizzazione avviati a partire dagli anni Novanta si sono spesso fermati ad uno stadio meramente formale, inadatto perciò a snaturare il reale ed effettivo status giuridico dei beni in esame.

Per cui, sebbene nel caso dell’Anas è possibile operare una scissione tra titolarità e gestione dei beni autostradali e delle relative pertinenze in vista dello strumento concessorio e pervenire per tale via ad affermare la natura giuridica pubblicistica degli stessi, ciò non consente di poter, però, estendere tale regola a tutte le altre ipotesi di privatizzazione di enti che si sono verificate.

Alla luce di quanto è stato sostenuto finora in relazione delle vicende…



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...possibile ed opportuno effettuare una considerazione conclusiva.

A tale riguardo, infatti, al di là del singolare ragionamento giuridico seguito dal Consiglio di Stato con la sentenza sopra esaminata, l’orientamento che attualmente risulta di gran lunga prevalente è quello secondo cui nel caso in esame, unitamente ad altre vicende similari, quali, per esempio, quelle che hanno coinvolto la rete telefonica, i beni sono e restano contraddistinti da un vincolo di destinazione.

Il legislatore, pertanto, nel prevedere la creazione di un nuovo soggetto privato, incaricato della gestione del pubblico servizio, ha inteso preservare la destinazione pubblica dei beni che non sono più tali in senso soggettivo, ma rispetto ai quali permane la destinazione ad un pubblico servizio, che coesiste con la proprietà di diritto comune della S.p.a.. 

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