L'acquisizione sanante: il superamento dell'art. 43 del D.P.R. 327/2001 e l'avvento dell'art. 42 bis

Il deposito della sentenza n. 293 della Consulta l'8 ottobre 2010, segna la fine del tormentato iter seguito nella sua applicazione dall’art. 43 del d.P.R. 327/2001.



Gli sforzi in “buona fede” compiuti dal legislatore venivano in questo modo definitivamente preclusi a fronte di una giurisprudenza nemica che lo aveva sottoposto per circa nove anni ad un “fuoco incessante” di contestazioni di vizi assoluti.
Le “munizioni” erano state illimitatamente fornite dal legislatore del protocollo addizionale della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, prima, e dalla micidiale censura della “Grande Chambre” di Strasburgo poi.

L’occupazione illegittima denotava soltanto una condotta “contra ius” della Pubblica Amministrazione e, come tale, andava sanzionata nell’unico modo possibile: la restituzione del bene.

In alcun modo si poteva ac... _OMISSIS_ ...un comportamento simile, aggravato sotto il profilo soggettivo dal fatto che l’agente fosse una pubblica autorità e sotto quello oggettivo che si andasse a colpire il “bene vita” della sfera patrimoniale del privato secondo i canoni garantisti della Costituzione italiana, potesse nascere un diritto “sano” nell’ambito del patrimonio indisponibile dell’Apparato pubblico era ineluttabilmente inaccettabile.

In tale contesto storico, definito in dottrina “interregno” , ritornano pertanto i tumultuosi interrogativi che avevano preceduto la genesi della norma “maledetta”, e che ora come allora non trovavano degna risposta, soprattutto il riscontro continuava ad essere contradditorio e circostanziato alla fattispecie pratica che doveva risolversi.

In primis, occorreva isolare l’ambito di applicazione della pronuncia d’incostituzionalità.

Bisognava escluderne... _OMISSIS_ ...curamente per tutti quei rapporti che erano già stati oggetto di giudicato sostanziale e, dunque, avevano trovato epilogo nella statuizione del giudice, non più impugnabile in grado successivo o perché esauriti i gradi di gravame previsti dall’ordinamento processuale.

Bisognava, altresì, escluderne gli effetti anche nel caso in cui l’inappellabilità, intesa secondo un’accezione estesa anche dal punto di vista amministrativo, fosse afferita all’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante: il decreto non era stato impugnato nel termine di decadenza per l’esercizio dell’azione e, di conseguenza, aveva già prodotto i suoi effetti traslativi che così si erano cristallizzati nel tempo.

In secundis, occorreva capire come procedere per quei rapporti ancora aperti che, invero, soffrivano degli influssi venefici della sentenza n. 293 della Corte costituzionale.

Anche questi ul... _OMISSIS_ ...ssere divisi in procedimentali, cioè pendenti in fase di emanazione dell’atto in sanatoria presso l’Autorità pubblica, oppure non ancora sortiti perché non ancora portati all’attenzione della struttura pubblica competente, e giudiziari, cioè oggetto di cause ancora non concluse in rito con sentenza definitiva.

In quest’ultimo caso, si ricorda, rientrava nei poteri del Giudice adito rilevare d’ufficio, senza cioè che l’istante formulasse apposita richiesta, la caducità della norma e la conseguente disapplicazione alla controversia insorta.
Sul piano pratico, si andava alla disperata ricerca di soluzioni secundum ius che producessero l’utile risposta all’angosciosa domanda che in modo biunivoco attanagliava la dottrina e di conseguenza la giurisprudenza: restituire o potere sanare?
In relazione alla possibilità di lasciare godere il bene alla collettività, bisognava distinguere tra “ve... _OMISSIS_ ...ià offerti dal Codice civile da quelli strutturati su fondamenta “amicali” di natura negoziale o su manifestazioni, espresse o tacite, di natura abdicativa.

Ritornavano in auge i disposti già analizzati delle norme contenute nel rispettivo secondo comma degli artt. 2058 e 2933 del Codice civile, norme che invero non rivestivano più alcuna importanza in quanto avulse da un effettivo contesto sociale, ma soprattutto perché tassativamente venivano disapplicate dalla volontà del Giudice atteso che non assorbivano quella che era la fattispecie abbastanza complessa e soggettiva dell’occupazione illegittima della singola proprietà fondiaria.
Dall’altra parte si cercava un “porto sicuro” nel negozio giuridico, quale piano di equilibrio delle opposte volontà, rappresentato dall’accordo di cessione o dal contratto di compravendita in cui però l’Ente pubblico agiva iure privatorum anziché iure auctoritatis propr... _OMISSIS_ ...te di quel potere pubblico tipico della procedura espropriativa, potestà che, prevista in via eccezionale dall’art. 43, era andata nuovamente persa con la pronuncia della Consulta.

Dulcis in fundo, un altro palliativo era rappresentato dalla volontà dello stesso privato, che convinto da ragioni di opportunità, visto lo stato di depauperamento del bene occupato e goduto dalla longa manus pubblica per troppo tempo, optava per una più apprezzabile soddisfazione risarcitoria rinunciando a ciò che gli era stato sottratto ingiustamente ed oramai contaminato dall’uso della collettività.

In tal senso, l’abdicazione poteva trovare fondamento nell’azione esercitata attraverso l’esplicita richiesta contenuta nell’atto introduttivo unitamente ad una richiesta risarcitoria, oppure tacitamente omettendo nella richiesta risarcitoria di esprimersi in merito alla restituzione del bene, spogliandosi così per disinte... _OMISSIS_ ...to.
Nulla però era opponibile ad una richiesta diretta di restituzione del bene da parte del privato, in situazioni simili rimaneva ben poco da fare significando in caso contrario una tutela giudiziaria che avrebbe condotto ob torto collo ad un giudicato restitutorio suscettibile di applicazione forzata tramite la nomina del Commissario ad acta ed un ulteriore aggravio di responsabilità per il correlato dispendio del danaro pubblico.

Quando però le “acque” erano ancora tranquille, perché nessuno aveva dato ancora impulso ad alcunché; ma da un esame ricognitore si era venuti a conoscenza della situazione di clandestinità, preferibilmente si agiva ricorrendo ad una riedizione del procedimento espropriativo vivificando l’interesse pubblico sotto diversi aspetti sia formali che sostanziali.
La riedizione procedimentale permetteva anche di completare l’iter di registrazione del titolo presso gli uffici della conservatoria,... _OMISSIS_ ...ficile e comunque inspiegabile anche in accoglimento del diritto di abdicare.
Raramente, infatti, alla Pubblica Amministrazione conveniva restituire il fondo occupato (rectius usurpato) per ragioni di pubblica utilità e risarcire il danno, soprattutto se l’opera era stata realizzata e messa in funzione e l’occupazione non era stata “materializzata” solo sulla “carta” particellare.

In definitiva, l’art. 43 aveva abituato tutti gli operatori pratici del diritto ad avere a portata di “mano” una soluzione tipica, snella e dal “taglio operativo” che, sotto il mantello della “sanatoria”, risolveva secondo canoni legali problematiche ataviche che la pratica espropriativa, in buona o in cattiva fede questo non è importante dirlo, si portava dietro come un peso rilevante quanto un macigno, anche per gli ingenti danni erariali che andava producendo.

Bisognava perciò ... _OMISSIS_ ... un altro provvedimento ad hoc che prendesse ciò che di buono fosse in re ipsa nella vecchia norma caducata, si epurasse da qualsiasi scoria di corruzione istituzionale e fornisse un valido strumento di immediata applicazione per il riequilibrio del pregiudizio arrecato al proprietario.

D’altronde è un pacifico pensiero giurisprudenziale che l’art. 43 e l’art. 42 bis siano accomunati sia nella causa, l’illegittimità dell’abusivismo, sia nello scopo, preservare l’interesse pubblico alla conservazione dell’uso, dall’unico intento di eliminare il danno prodotto nella sfera giuridica del consociato.