Comuni totalmente privi di strumento urbanistico generale: gli standard generali

Le considerazioni svolte nei paragrafi che precedono muovono tutte dall’ipotesi nella quale l’intero territorio comunale sia stato oggetto di pianificazione urbanistica.

Prima di concludere l’analisi normativa degli indici di edificabilità, però, è opportuno soffermarsi sull’ipotesi della lacuna normativa, che si può presentare in due forme: da un lato, infatti, essa ricorre laddove il territorio comunale sia totalmente sprovvisto di strumenti di pianificazione [1], ma dall’altro va analizzata anche l’ipotesi in cui, pur essendoci uno strumento urbanistico generale, questo non trovi applicazione in una parte del territorio comunale [2].

In entrambi i casi si applicheranno gli standard generali previsti oggi [3] dall’art. 9 del testo unico dell’edilizia, ma le due ipotesi sono notevolmente diverse [4], come si ricava anche dalla ripartizione del citato art. 9 in due commi, destinati ad operare... _OMISSIS_ ... ipotesi nettamente distinte.

In ordine all’ipotesi che la lacuna riguardi l’intera superficie del Comune, va subito osservato che si tratta di un’eventualità che oggi appare tutto sommato piuttosto remota. Si è detto infatti che la generalizzazione dell’obbligo di pianificazione risale alla riforma del 1967, cioè a oltre quarant’anni fa.

D’altro canto, l’ordinamento urbanistico va incontro ai Comuni più piccoli offrendo loro l’alternativa del programma di fabbricazione, che costituisce strumento urbanistico generale al pari del p.r.g. ma si connota per le forme notevolmente semplificate [5].

A partire dal 2003, infine, la mancanza di strumenti urbanistici generali è divenuta causa di scioglimento del Consiglio comunale che non abbia provveduto alla loro adozione nel termine di diciotto mesi dalle elezioni [6] e nonostante la specifica diffida prefettizia [7]: anche se limitata... _OMISSIS_ ...i sopra dei mille abitanti, questa dura sanzione contribuisce efficacemente a scongiurare il pericolo che il territorio comunale sia del tutto sprovvisto di pianificazione urbanistica.

Comunque, nel periodo in cui il territorio comunale rimane completamente privo di strumento urbanistico - e salva la ricorrenza di più specifiche normative regionali [8] - si applica il primo comma dell’art. 9, che distingue tra interventi sostanzialmente conservativi e nuove costruzioni.

Ai sensi della lettera a), anzitutto, gli interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria e di restauro o risanamento conservativo sono ammessi in ogni parte del Comune sprovvisto di strumento urbanistico [9]. Tutti e tre gli interventi devono comunque riguardare singole unità immobiliari o parti di esse [10], secondo una limitazione che autorevole dottrina ritiene dettata ad ulteriore garanzia della «modesta ricaduta urbanistica» [11] de... _OMISSIS_ ...in parola.

Notevolmente più rigide sono le condizioni di assentibilità dettate dalla lett. b) in relazione alle nuove costruzioni. Ciò dipende dal fatto che questi interventi hanno un impatto sul territorio notevolmente superiore rispetto alle attività edilizie sostanzialmente conservative previste dalla lett. a) del medesimo comma 1: tale maggior impatto rende opportuno comprimere sensibilmente le facoltà edificatorie dei privati, in modo che l’insediamento non si sviluppi disordinatamente e non pregiudichi la situazione urbana prima dell’intervento del pianificatore.

In primo luogo, dunque, interventi di questo tipo sono ammissibili soltanto al di fuori dei centri abitati [12]. A questo proposito si può osservare un progressivo restringimento delle possibilità di erigere nuove costruzioni in assenza di pianificazione.

Nel vigore dell’originario art. 41-quinquies della legge urbanistica, infatti, le nuove c... _OMISSIS_ ...o escluse soltanto nei centri storici [13] - definiti come sopra [14] - laddove a partire dalla legge suoi suoli è esclusa in tutti i centri abitati [15], anche se privi di valore storico. Di conseguenza, tutte le aree abitate, che pure non costituiscono centri storici, hanno visto notevolmente ridotte le proprie possibilità edificatorie con l’avvento della riforma del 1977.

Il centro abitato [16] che viene qui in rilievo è quello che l’art. 41-quinquies rimette ad uno specifico atto di pianificazione comunale [17]: teoricamente, infatti, i Comuni erano tenuti a perimetrare il centro abitato del proprio territorio entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge ponte [18], proprio ai fini dell’applicazione degli standard generali di edificabilità.

Sennonché, ad oltre quarant’anni dalla scadenza di questo termine, la dottrina seguita a rilevare che in molti Comuni la perimetrazione non è ancora stata effettua... _OMISSIS_ ...ante il Ministero per i lavori pubblici abbia a suo tempo esortato i Prefetti a monitorare la situazione ed intervenire tempestivamente, eventualmente con la nomina di un commissario ad acta [20]. Di conseguenza, si pone oggi il problema dell’ambito applicativo di questo limite, in mancanza di apposita perimetrazione comunale.

Sul punto, nonostante le resistenze di una parte della giurisprudenza amministrativa [21], si può convenire con la ricordata dottrina nel senso che occorre prendere in esame la situazione di fatto [22]. Diversamente opinando, infatti, si dovrebbe ritenere che tutto il territorio dei Comuni sprovvisti di perimetrazione costituisca centro abitato, oppure che essi non abbiano alcun centro abitato.

Ebbene: la prima tesi è evidentemente irragionevole, mentre la seconda è inaccettabile, perché in questo caso si dovrebbe ammettere in tutto il territorio comunale l’attività edilizia riservata alle aree extraurbane... _OMISSIS_ ...n lato urta con il chiaro intento legislativo di comprimere l’attività edilizia entro limiti rigorosi e dall’altro incoraggerebbe i Comuni ad astenersi dall’attività di perimetrazione, che viceversa appare doverosa.

Di conseguenza, un centro abitato deve essere individuato anche in quei Comuni che non hanno ottemperato al dovere di perimetrazione e per questa delimitazione non si può che far riferimento allo stato di fatto.

Naturalmente, l’individuazione fattuale del centro abitato può rivelarsi talvolta assai problematica. A questo proposito si possono trarre indicazioni dalla già citata [23] circolare interpretativa 3210/1967: essa infatti suggerisce ai Comuni tre possibili definizioni di centro abitato [24] e delle stesse definizioni ci si può giovare laddove il Comune non abbia ottemperato all’obbligo di perimetrazione.

La prima definizione è quella contenuta nel codice della strada [25], ch... _OMISSIS_ ...a è stato sostituito [26] e la più attenta dottrina [27] non esita a far riferimento al nuovo codice [28]. La seconda definizione è offerta dall’ISTAT [29], che fa riferimento a tre elementi ben precisi: secondo il Ministero, infatti dalla definizione ISTAT si ricava che, affinché un gruppo di edifici sia un centro abitato, «deve sempre trattarsi di un gruppo di case più o meno numeroso; in tale gruppo di case vi debbono essere servizi ed esercizi pubblici; i servizi o gli esercizi pubblici devono determinare un luogo di raccolta ove sogliono concorrere anche gli abitanti delle zone circostanti» [30].

La terza definizione, infine, ha origine giurisprudenziale e fa principalmente riferimento all’esistenza di un minimo di organizzazione e servizi pubblici [31]. Avvalorando soprattutto quest’ultima - che è ripresa anche da giurisprudenza un po’ più recente [32] - appare corretto concludere nel senso che costituiscono centr... _OMISSIS_ ...e aree nelle quali ricorrono due condizioni: da un lato, i fabbricati devono presentare un minimo di raggruppamento [33], evitando di sopravvalutare le sogli numeriche fissate per altri fini dalla normativa statale [34] o regionale [35]; dall’altro, il raggruppamento deve essere munito di servizi essenziali [36].

In definitiva, dunque, l’attività edilizia di cui alla lettera b) del comma 1 dell’art. 9 è consentita, nei Comuni sprovvisti sia di strumento urbanistico generale che di perimetrazione, laddove tra i fabbricati non vi sia alcun legame e laddove difetti qualsiasi erogazione di servizi pubblici. Nelle aree in cui si può riscontrare un raggruppamento dotato di servizi, invece, si dovrà applicare la sola lettera a) del medesimo art. 9 comma 1.

La seconda condizione per erigere nuove costruzioni in Comuni totalmente privi di strumenti urbanistici generali è il rispetto dell’indice di edificabilità fondiaria di 0,... _OMISSIS_ ...Si tratta di un tipico standard generale, perché fissato dal legislatore e destinato ad operare su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalle condizioni dell’insediamento.

Come si vede si tratta di un indice di edificabilità estremamente ridotto [38]: esso non supera infatti il 60% della densità edilizia massima fissata per le zone agricole dal d.m. 1444/1968, che è pacificamente ritenuto un limite di per sé molto severo. Anche su questo aspetto, peraltro, la legge sull’edificabilità dei suoli è intervenuta in senso restrittivo: in precedenza, infatti, l’indice di edificabilità era pari 0,1 mc/mq, mentre con la riforma del 1977 è stato abbassato a 0,03 mc/mq [39].

Infine, la terza condizione alla quale l’art. 9, comma 2, lett. b) del testo unico subordina l’erezione di nuove costruzioni nell’ambito di Comuni sprovvisti di strumento urbanistico generale consiste nel fatto che, qualora l’inter... _OMISSIS_ ...tinazione produttiva, la superficie coperta non può superare un decimo dell’area di proprietà [40].

A riguardo si può anzitutto osservare che questo terzo requisito non è propriamente un indice di edificabilità: esso infatti non consiste in un rapporto tra volumi e superfici, bensì tra superfici e superfici e costituisce pertanto, più propriamente, un rapporto di copertura [41].

Sulla nozione di edilizia produttiva che viene in rilievo nel caso di specie non vi è uniformità di vedute in dottrina. Un primo indirizzo sostiene infatti un’interpretazione rigorosa [42], ma forse è preferibile la tesi di chi riprende anche in quest’ambito la nozione «piuttosto estensiva» [43] di edifici a destinazione produttiva già riscontrata in sede di analisi delle zone D [44], che ha il pregio di mantenere un minimo di omogeneità tra i territori comunali pianificati e quelli totalmente sprovvisti di strumento urbanistico ... _OMISSIS_ ...
Autorevole dottrina ha inoltre osservato che la norma, pur avendo avuto il merito di superare alcuni precedenti contrasti giurisprudenziali [45], è affetta da palese illogicità, dal momento che un edificio rispettoso del limite di densità edilizia di 0,03 mc/mq non potrebbe giammai raggiungere il 10% della superficie del fondo [46]. Ed invero, una superficie di 1000 mq potrebbe sviluppare una volumetria di 30 mc che certo non potrebbe essere distribuita su una superficie di 100 mq, a meno di non voler costruire immobili produttivi dell’altezza di 30 centimetri [47]!

Ad avviso di chi scrive, la svista è dovuta al già riscontrato intento della riforma del 1977, che ha proceduto ad irrigidire tutti i profili della prescrizione in parola, a volte senza preoccuparsi della ragionevolezza complessiva dell’istituto [48]. In dottrina, per vero, si è tentato di dare un senso alla previsione, ritenendo che agli edifici di questo tipo non si app... _OMISSIS_ ...parte della lettera b) [49]: una simile interpretazione urta però con il dato letterale della disposizione [50] ed è stata sconfessata dal Consiglio di Stato [51], che ha ritenuto applicabile all’edilizia produttiva il ricordato doppio limite, osservando seccamente che in claris non fit interpretatio.

Sia in relazione agli interventi generalmente ammessi, che in relazione a quelli ammessi soltanto al di fuori del perimetro dei centri abitati, il comma 1 dell’art. 9 fa salvi i limiti fissati da leggi regionali e i vincoli paesaggistici [52]. I primi, per vero, sono fatti salvi soltanto se «più restrittivi»: evidentemente il legislatore statale ha inteso impedire che le Regioni vanificassero la logica del mantenimento dell’esistente concedendo diritti edificatori troppo generosi ai Comuni più lenti nell’attività di pianificazione.

Quanto ai limiti paesaggistici, invece, il testo unico dell’edilizia fa... _OMISSIS_ ... previste dal d.lgs. 29 ottobre 1990, n. 490: questo però è stato abrogato dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio [53], con la conseguenza che il rinvio operato dal testo unico deve essere rivolto a quest’ultimo codice.

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