La prescrizione del diritto all'indennizzo-risarcimento

La prescrittibilità del diritto al risarcimento del danno aveva costituito una delle più tormentate difficoltà operative del regime dell’espropriazione di fatto[1].

Molto spesso, infatti, il proprietario non aveva modo di rendersi conto dell’intervenuta radicale trasformazione del bene, la quale secondo la giurisprudenza costituiva dies a quo per l’azione risarcitoria tutte le volte in cui avvenisse successivamente alla scadenza dell’occupazione legittima: attendendo cinque anni dalla radicale trasformazione - ovvero, se antecedente, dalla cessazione dell’occupazione legittima - veniva dunque meno qualunque possibilità di rivalersi sull’amministrazione per l’abuso subito e ciò aveva concorso a far dichiarare il sistema contrario alla Convenzione EDU.

A ragione, dunque, la dottrina più entusiasta dell’art. 43 ne sottolineava il vantaggio per il proprietario del bene occupato[2]: fino al provved... _OMISSIS_ ...ivo, infatti, nel nuovo sistema egli poteva ancora considerarsi proprietario e vittima di un illecito permanente, per cui non decorrevano i termini di prescrizione dell’azione risarcitoria[3].

Sul punto, la soluzione accolta dall’art. 42-bis è assai vicina a quella dell’art. 43. Alla luce dell’intervenuta distinzione fra indennizzo e risarcimento, tuttavia, risulta opportuno analizzare separatamente la prescrittibilità delle due voci patrimoniali.

Il diritto all’indennizzo, infatti, sorge solo con il provvedimento acquisitivo. Prima di questo momento, dunque, non corre alcun termine di prescrizione[4]. Con l’adozione del provvedimento, invece, il diritto diventa esigibile e quindi inizia a decorrere il termine di prescrizione, che si ritiene decennale[5]. È comunque quanto mai improbabile che il diritto all’indennizzo si prescriva, perché l’effetto acquisitivo è sospensivamente condizionato al ... _OMISSIS_ ...er cui una rapida corresponsione dell’indennizzo sarà anche nell’interesse dell’amministrazione.

Un discorso diverso deve essere fatto per il diritto al risarcimento, che oggi non deve essere più parificato al valore venale del bene - la cui perdita non è risarcibile - bensì all’illegittima occupazione subita, che cagiona un danno specifico ogni anno, segnatamente pari, anno per anno, al 5% del valore venale.

Di conseguenza parte della dottrina ha ritenuto che anno per anno inizi a decorrere il termine di prescrizione di ciascun ventesimo del valore venale, che può dunque andare incontro a prescrizione nel termine quinquennale dettato dal codice civile[7]: seguendo questa tesi, al momento di quantificare il danno l’amministrazione o il giudice dovrebbero calcolare le sole annualità il cui danno non si sia prescritto, perché non sono ancora decorsi cinque anni o perché il relativo termine è stato interrot... _OMISSIS_ ...CRLF| A sommesso avviso di chi scrive, però, il fatto che il risarcimento sia stato ridotto a ciò che è realmente è illecito non sembra sufficiente per porre nel nulla tutte le considerazioni svolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza tradizionali, che nel vigore dell’art. 43 erano fermissime nel ritenere che l’illegittima occupazione costituisse un illecito permanente[9]. Se è così, sembra si possa parimenti escludere che il nuovo risarcimento vada incontro a prescrizione prima dell’interruzione, cioè prima dell’azione in giudizio o prima del provvedimento di sanatoria.

Di conseguenza, anche questa posta non potrà essere perduta dal privato finché perdura l’occupazione sine titulo e l’unica differenza rispetto all’indennizzo sarà nella durata del termine prescrizionale, che qui è dimezzato, trattandosi appunto di risarcimento del danno[10].