Nozione
La dottrina definisce la perequazione la possibilità data al proprietario di un lotto di potere trasferire liberamente la superficie lorda d’uso, generata dall’indice fondiario indicato dal piano urbanistico, a patto di cedere al comune l'area da destinare ad attrezzature o a finalità pubbliche (Urbani P. Conformazione della proprietà, diritti edificatori e moduli di destinazione d’uso dei suoli, in Urb. App., 2006, 905).
La previsione perequativa ha funzione di incentivare l'adesione spontanea dei proprietari agli obiettivi collettivi.
Le aree interessate sono quelle oggetto di previsioni edificatorie o quelle vincolate o che saranno vincolate per la realizzazione di attrezzature pubbliche o per la realizzazione di interventi di edilizia economica popolare.
Alle aree soggette è attribuito un indice di cubatura utilizzabile su altri lotti. Tale cubatura diventa realizzabile dopo la cessione.
In questo senso la perequazione costituisce un superamento dell'urbanistica vincolistica in quanto l’attribuzione di un premio al proprietario che aderisce alla proposta di cessione realizza l’effetto di consentire senza oneri per l’amministrazione l’acquisizione di aree da destinare a servizi anche se dette aree non entrano nel patrimonio indisponibile del comune mancando una idonea disposizione di legge.
La tendenza più recente, quella che possiamo definire urbanistica post-vincolistica, si esprime invece attraverso strumenti urbanistici che cercano di rendere partecipe il privato nell'attuazione del disegno urbanistico anche oltre gli obiettivi egoistici che egli è razionalmente orientato a perseguire.
Il pianificatore, assegnando a tutti i suoli compresi nel comparto una medesima potenzialità edificatoria, pone le condizioni affinché il perseguimento di tali finalità avvenga in coincidenza con il contestuale raggiungimento di obiettivi collettivi, in termini di cessione di aree a verde o di formazione di opere destinate ad uso collettivo.
E’ evidente che l’effetto delle norme può realizzarsi solo quando si verifica la collaborazione dei proprietari interessati.
Se questi restano fermi su posizioni di chiusura nessuna perequazione è possibile.
La stessa amministrazione rimane vincolata dalla proposta perequativa; essa, infatti, non può rifiutare l’adesione solo parziale di alcuni proprietari se non è tassativamente stabilito dalle norme di piano.
L’alternatività del modello al procedimento ablatorio
Questa modalità di manifestazione della precettività pianificatoria ha la precipua funzione di legare vantaggi ed oneri che gravano sul costruttore mediante un vincolo di necessaria contestuale attuazione. Questo legame consente, all'interno dei comparti perequativi, di evitare il ricorso all'esproprio e di assicurare l'effettiva realizzazione degli interventi di urbanizzazione.
La localizzazione, entro un piano perequativo, non ha dunque valenza di vincolo preordinato all'ablazione, ma ha unicamente la funzione di predeterminare gli obiettivi collettivi cui è subordinato il perseguimento dei vantaggi che i privati possono ottenere con le trasformazioni edilizie. (Boscolo E. Espropriazione: la giurisprudenza della cedu e l'urbanistica regionale tra perequazione, compensazione e premialità, in Foro Amm. TAR, 2005, 1334).
Il procedimento ablatorio diventa residuale come estrema risorsa per l’amministrazione nel caso in cui nessun proprietario abbia aderito all’iniziativa.
Nel caso di adesioni solo parziali l’amministrazione deve attivarsi con il procedimento espropriativo solamente per la parte residua.
Non c’è di fatto nessuna preclusione al procedimento ablatorio, ma solo la sua eventuale sostituzione nell’ambito di quella tendenza che vuole imporre la realizzazione degli obiettivi urbanistici attraverso accordi con i soggetti interessati con evidenti risparmi procedimentali e di relativo contenzioso.
La molla per fare scattare l’accordo è l’aspetto premiale che favorisce chi aderisce spontaneamente alle disposizioni di piano.
Alla cessione bonaria delle aree dietro corrispettivo in questi casi si sostituisce una cessione bonaria degli immobili in cui il corrispettivo è costituito dalla cubatura che il proprietario può realizzare su altri lotti.
La mancanza di fonti nazionali
Mancano delle disposizioni generali stabilite dal legislatore nazionale per realizzare la perequazione. Alcuni principi sono fissati dalla legislazione regionale, ma le vere fonti si trovano nelle disposizioni di attuazione dei piani regolatori generali che hanno disciplinato l’istituto.
La giurisprudenza ammette la possibilità di introdurre la perequazione in assenza di specifiche previsioni legislative.
Essa ritiene che sia possibile introdurre la perequazione nella pianificazione comunale anche in assenza di specifiche previsioni nella legislazione nazionale e regionale.
Del resto il dibattito si è arricchito di opinioni di contenuto opposto, espresse da chi ritiene che di perequazione abbia senso parlare solo de iure condendo (D'Angelo G., L'illegittimità dei piani regolatori generali in assenza di zonizzazione, in Urb. App., 2002, 451).
La giurisprudenza ha affermato che esiste nell'ordinamento urbanistico, non meno che in tutto il diritto pubblico, in applicazione del più generale principio di legalità, un inderogabile principio di nominatività e tipicità degli strumenti urbanistici.
Per questo una p.a. non può adottare od approvare una figura di piano di organizzazione del territorio che non corrisponda per presupposti, competenze, oggetto ed effetti ad uno schema già predeterminato, in via generale ed astratta, da una norma principale dell'ordinamento (Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2001, n. 5721, in Riv. Giur. Ed, 2002, I, 151).
In altri termini, la possibilità di perequare non può essere per nulla considerata implicita nel sistema e la sua compatibilità con la legislazione vigente va dimostrata.
La questione può presentarsi con riferimento ai piani regolatori che, in numero sempre crescente, fanno ricorso a questa tecnica in assenza di un’esplicita copertura legislativa regionale.
Il ragionamento può prendere le mosse da un principio giurisprudenziale: le sentenze che ancora di recente si sono fatte carico di identificare il contenuto essenziale del p.r.g. hanno rinvenuto tale nucleo irrinunciabile nella suddivisione del territorio in zone, secondo la fondamentale disposizione contenuta nell'art. 7, della l. 1150 del 1942.
È questo l'elemento per il quale è stata ritenuta incompatibile con tale principio una microzonizzazione che finiva per parcellizzare eccessivamente le scelte pianificatorie, facendo perdere il carattere di omogeneità alle singole zone (T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 20 novembre 2001, n. 1000, in Riv. Giur. Ed., 2002, I, 496).
Per la giurisprudenza l'art. 7 della l. urb. – là dove prevede che il p.r.g. deve indicare "la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona", esprime l'adesione del legislatore nazionale alla tecnica pianificatoria dello zoning.
Tale disposizione non significa necessariamente che la norma abbia anche una valenza preclusiva di ogni altra esperienza in materia.
Non va sottovaluta la circostanza che le disposizioni della legge urbanistica sono risalenti nel tempo ed anzi remote, a tenere conto degli sviluppi del settore degli ultimi decenni.
Appare illogico non già il ritenere compatibile con il nostro ordinamento esperienze pianificatorie ispirate a concezioni diverse dallo zoning, bensì piuttosto il pretendere di interpretare la disciplina urbanistica nazionale come un sistema che escluda ogni alternativa alla concezione predetta.
La giurisprudenza ha affrontato positivamente la questione del superamento della zonizzazione rigida, rilevando come nella legislazione più recente in materia urbanistica emergano indicazioni ed istituti che privilegiano scelte ispirate al criterio dell'integrazione funzionale.
Detto criterio è strettamente correlato alla tecnica pianificatoria perequativa (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, Sez. I, 19 dicembre 2001, n. 1286).
La perequazione è stata considerata dalla giurisprudenza un mezzo e non un fine in sé.
Le norme di piano
Per arrivare alla compensazione il piano regolatore deve fissare delle norme che si discostano dai principi generali elaborati dalla giurisprudenza in tema di cessione di cubatura.
Il piano deve in primo luogo individuare le aree oggetto di compensazione; possono essere aree di riqualificazione urbanistica o aree riservate a speciali attrezzature di interesse pubblico o ad interventi di edilizia economico popolare.
Il piano può fissare dei limiti minimi per potere effettuare la cessione delle aree interessate sia per evitare una parcellizzazione che crea evidenti problemi amministrativi nel realizzare gli interventi descritti dal piano sia, soprattutto, perché la cessione di una ridotta superficie non concretizza lo scopo primario di evitare il procedimento ablatorio.
La mancata adesione decreta, di fatto, il fallimento della normativa di piano
Il piano deve, in secondo luogo, prescrivere per ciascuna area le volumetria realizzabile; si tratta di definire un indice di edificabilità di un certo numero di metri quadrati di superficie lorda di pavimento realizzabile per ogni metro quadrati di area ceduta.
Detto indice consente di costruire una cubatura aggiuntiva in altri comprensori su cui avviene l’asservimento.
In terzo luogo il piano può stabilire i requisiti che le aree sulle quali può essere chiesto di trasferire la superficie lorda di pavimento devono avere. Innanzi tutto i requisiti di accessibilità carrabile e di superficie minima. Può essere contemplato l’utilizzo per aree di espansione per interventi di nuova edificazione o di ampliamento di edifici esistenti, ma anche per interventi di ristrutturazione urbanistica nei centri storici.
E’ previsto un coefficiente di ponderazione che riduce la superficie lorda di pavimento nel caso in cui il soggetto utilizzatore adibisca detta superficie a destinazioni diverse dalla residenza.
In quarto luogo per realizzare il trasferimento di cubatura è necessaria la cessione gratuita al Comune delle aree.
La cessione può essere effettuata con la stessa convenzione che disciplina l’attuazione dello comparto nel quale è concentrata la superficie oggetto di trasferimento o con atto autonomo.
L’atto deve indicare il soggetto che cede l’area, la superficie lorda di pavimento che deriva da tale cessione, i terzi che concentrano la superficie che deriva dalla cessione e l’area su cui avviene la concentrazione.
L’atto deve essere trascritto nei pubblici registri a spesa degli operatori interessati anche con atti unilaterali d’obbligo.
La pubblicità legale degli atti pubblici di trasferimento è requisito fondamentale.
La cessione di cubatura, in quinto luogo, trova un limite nel suo utilizzo. Essa può in ogni caso essere impiegata nel rispetto dei limiti massimi di utilizzazione fondiaria fissati per l’area che acquisisce la cubatura. Se l’area non consente l’utilizzo di tutta la cubatura acquista attraverso l’atto di cessione la cubatura in più può solo essere destinata ad un altro lotto di terreno. (Tintori S., Perequazione, dieci tesi maturate sul campo, in Urb. Inf., 1996, n. 148, 15).
Le norme di piano, infine, possono prevedere che le aree oggetto di perequazione, soprattutto nei casi di modeste dimensioni, possano esser monetizzate ossia dette aree restano nella disponibilità del proprietario che acquisisce attraverso la loro monetizzazione la facoltà di realizzare la cubatura che dette aree usufruiscono in relazione alla loro possibilità di essere oggetto di perequazione.
Spetta di norma al Consiglio comunale determinare con deliberazione da emettersi con scadenza annuale il valore della monetizzazione in relazione ai valori medi di esproprio di aree destinate ad attrezzature pubbliche o di interesse pubblico.
L’attuazione del piano regolatore
L’inquadramento del rapporto tra piano regolatore e perequazione si colloca entro la dimensione attuativa del primo.
La perequazione non solo si pone a valle della pianificazione generale, ma - soprattutto - coinvolge unicamente alcuni particolari ambiti del territorio, generalmente ordinati in comparti.
Dunque quando si parla di piani perequativi si deve precisare che ci si riferisce ad una vicenda che investe specifici e circoscritti ambiti, preventivamente identificati dal piano regolatore.
Andando oltre l'identificazione di questo rapporto di non alternatività tra perequazione e piano regolatore, la dottrina afferma che la perequazione si inserisce entro la trama dello zoning (Boscolo E. Una conferma giurisprudenziale (e qualche novità legislativa) in tema di perequazione urbanistica, in Riv. Giur. Ed., 2003, 3, 348).
Compete al piano fissare a priori la natura edificatoria delle aree ed assegnare a ciascuna i rispettivi indici, salvo prevedere che in taluni ambiti la vicenda edificatoria si conformi allo schema del comparto perequativo.
La tecnica di pianificazione ispirata al principio della perequazione urbanistica prevede che le proprietà inserite in un determinato ambito di intervento siano investite contemporaneamente del beneficio dell'edificabilità e del peso di contribuire all'elevazione della qualità urbana generale e si estrinseca nella formazione di comparti entro cui i proprietari sono trattati tutti in modo identico (T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 7 agosto 2003, n. 844).
L'equa distribuzione dei diritti edificatori conserva una valenza di carattere eminentemente urbanistico.
Essa ha infatti il solo obiettivo di evitare che il beneficio collettivo derivante dalla pianificazione sia sopportato solamente da alcuni dei proprietari degli immobili, mentre altri, in analoga condizione di fatto e di diritto al momento di approvazione dello strumento urbanistico generale, beneficiano, direttamente e indirettamente, solo di consistenti utilità economiche.
E’, invece, estranea agli obiettivi della perequazione urbanistica, ogni finalità, per la quale manca un fondamento normativo e costituzionale, di ridistribuzione della ricchezza fondiaria tra i vari proprietari di aree comprese nel comparto, con lo scopo di pervenire ad una distribuzione egualitaria dei benefici economici derivanti dalla pianificazione, indipendentemente dalla consistenza e dall'estensione delle aree dei singoli proprietari.
È, pertanto, conforme agli obiettivi ed alla tecnica della perequazione urbanistica nonché ai principi costituzionali in materia di tutela della proprietà privata il fatto che, in applicazione del principio della perequazione, i benefici e gli oneri derivanti dalla pianificazione siano distribuiti in modo rigidamente proporzionale alla consistenza ed all'estensione delle singole proprietà.
La giurisprudenza ha ritenuto che il comparto edificatorio costituisca uno strumento attuativo del p.r.g. e che possa essere impiegato per dare ingresso nella pianificazione urbanistica alla tecnica perequativa, prestandosi ad una ridistribuzione dei diritti edificatori tra tutti i titolari dei lotti compresi nel comparto stesso, indipendentemente dalla destinazione delle relative aree quali zone di concentrazione volumetrica o quali spazi destinati ad ospitare servizi pubblici: tale tecnica ha un fondamento tipicamente consensuale, consente di evitare sperequazioni indotte dalla pianificazione e fa sì che ogni intervento sia effettivamente preceduto e compensato dal reperimento di aree da destinare a verde (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 5 luglio 2002, n. 670, in Riv. Giur. Ed., 2003, I, 812). Superate le iniziali incertezze, la perequazione sembra essere entrata stabilmente nel catalogo degli strumenti di governo del territorio.
Le regioni condividono il principio e ribadiscono la valenza equitativa della perequazione, ma si percepisce ormai una notevole disomogeneità nelle impostazioni normative.
Alcune leggi regionali hanno espressamente introdotto la perequazione nella rispettiva legislazione urbanistica. Su tali provvedimenti legislativi non è stato inoltrato alcun ricorso per illegittimità costituzionale alla Corte.
La concentrazione di cubatura. L’indennità in caso di espropriazione
La concentrazione di cubatura convenzionalmente realizzata su una parte di area nell’ambito di una articolata proposta lottizzatoria realizza una ipotesi solo parzialmente perequativa.
Manca in tal caso lo scambio fra trasferimento di cubatura e ces-sione dell’area.
In tal caso tutta l’area rimane di proprietà privata anche se la cuba-tura è stata convenzionalmente spostata solo su di una parte di essa.
Il Comune può espropriare comunque successivamente l’area attra-verso l’ordinario procedimento ablatorio.
Si pone il problema se l’area rimasta convenzionalmente priva di cubatura ma inserita su di una zona edificabile debba essere espropriata a valore agricolo.
La giurisprudenza ha precisato che non sussiste il requisito dell'edi-ficabilità di fatto per l'area, facente parte di più vasto comparto destina-to dal piano regolatore a zona residenziale di espansione, che sia stata destinata da un piano di attuazione ad iniziativa privata a parco pub-blico, previa concentrazione o trasferimento su altra area del medesimo comparto della volumetria edificatoria.
In tal modo tutti i comproprietari in conseguenza della perequa-zione da essi stessi predisposta ed approvata dalle autorità territoriali hanno potuto beneficiare pro-quota dell'accrescimento delle potenzialità edificatorie a compensazione della perdita subita. In questo caso, infatti, la perdita della volumetria edificabile non dipende dall'imposizione di un vincolo preordinato all'espropriazione, ma è conseguenza di una convenzione privatistica e non dell'espropriazione.
La convenzione sottrae al terreno l'edificabilità di fatto, attraverso un meccanismo che consente comunque di spalmarla su altr...