Definizione di «veduta» ed implicazioni sul rispetto delle distanze legali dalle costruzioni

VINCOLI ED EDIFICABILITÀ --> VINCOLI URBANISTICI E LEGALI --> DISTANZE --> LUCI E VEDUTE

L'art. 907 c.c. richiama, ai fini della misurazione delle distanze delle costruzioni dalle vedute i criteri stabiliti dal precedente art. 905, con la conseguenza che le distanze dal confine delle vedute, quando queste si aprano in un incavo del muro, deve essere di un metro e mezzo calcolato dalla facciata esterna del muro stesso.

Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alla regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. In applicazione dell'enunciato principio, l'altezza del parapetto, anche in relazione al suo spessore, deve esser sufficiente per garantire un affaccio sicuro.

Le prescrizioni introdotte dal D.M. 2/4/1968 n. 1444 non riguardano gli edifici già esistenti, ma sono da applicare agli interventi edilizi di successiva realizzazione; la sola modifica della disposizione delle luci e delle apertura su un lato di un edificio che già presentava vedute non determina “nuova costruzione” e, di conseguenza, non può essere sottoposta alla succitata disciplina delle distanze.

Ai sensi dell’art. 900 c.c., le vedute o i prospetti “permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”; quindi, ciò che differenzia la veduta dalla luce è la possibilità non soltanto di guardare, ma anche di affacciarsi verso il fondo del vicino. Quindi, l’apertura sul fondo del vicino integra una ‘veduta’ quando consente di affacciarsi e di guardare secondo una valutazione rapportata a criteri di comodità, di sicurezza e di normalità, da accertarsi con riferimento al fondo dal quale la veduta è esercitata, e non già con riferimento al fondo oggetto della veduta stessa.

Ai sensi dell'art. 9 del D.M n. 1444/68, l'espressione "pareti finestrate", riguardante la distanza minima nelle sopraelevazioni di dieci metri verso gli edifici antistanti, va riferita alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza comprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette lucifere.

L'art. 905 c.c., che stabilisce le distanze per l'apertura di vedute dirette e balconi, è diretto a salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dalla apertura di vedute negli edifici vicini e a tutelare interessi esclusivamente privati. Pertanto, dalla esistenza di una norma regolamentare, la quale stabilisca una distanza fra le costruzioni maggiore di quella prevista dall'art. 873 c.c., non deriva che la distanza minima per la apertura di vedute e balconi debba ritenersi stabilita nella metà di quella anzidetta, anziché in quella di un metro e mezzo posta dall'art. 905 c.c.

La disposizione contenuta nell'art. 905 c.c., secondo la quale per l'apertura di vedute dirette e balconi verso il fondo del vicino occorre osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con la norma dell'art. 873 c.c., che prescrive una distanza non minore di tre metri, o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali, per le costruzioni su fondi finitimi. Pertanto, non può aprirsi una veduta jure proprietatis se non sia stata rispettata, nel compiere la costruzione, la distanza, dal fondo del vicino, stabilita dal codice civile o, eventualmente, dal regolamento edilizio locale.

La norma dell'art. 905 c.c., in considerazione degli interessi tutelati (salvaguardare il fondo finitimo dalla indiscrezioni attuabili mediante opere a tanto idonee) non ha alcuna correlazione con quella dell'art. 873 c.c., diretta a tutelare interessi di igiene, decoro e sicurezza negli abitati e, pertanto, non può, come quella, ritenersi, sia pur indirettamente, integrata da eventuali disposizioni locali in tema di distanze tra fabbricati o rispetto al confine.

Ove nel realizzare la costruzione non sia stata rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice Civile, o dalle norme integrative, non potrà aprirsi in detta costruzione una veduta jure proprietatis.

In tema di limitazioni legali della proprietà, con particolare riferimento alle scale, ai ballatoi e alle porte, che fondamentalmente sono destinati all’accesso dell’edificio, e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l’affaccio, esse possono configurare vedute quando – indipendentemente dalla funzione primaria del manufatto – risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l’esercizio della “prospectio” e "inspectio" su o verso il fondo del vicino.

In tema di limitazioni legali della proprietà, le scale, ai ballatoi e alle porte, che fondamentalmente sono destinati all'accesso dell'edificio, e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l'affaccio, possono configurare vedute quando - indipendentemente dalla funzione primaria del manufatto - risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l'esercizio della prospectio ed inspectio su o verso il fondo del vicino.

Il limite di 10 metri di distanza di cui all’art. 9 del DM 1444/68 presuppone la presenza di due “pareti” che si fronteggiano, delle quali almeno una finestrata: il limite predetto presuppone pareti munite di finestre qualificabili come vedute e non ricomprende quelle su cui si aprono finestre cd. “lucifere”.

La disciplina di cui all'art. 873 c.c. regolamenta la distanza tra le costruzioni al fine di evitare la formazione di intercapedini dannose, per cui al proprietario che richieda in giudizio la tutela del suo dominio da abusi del vicino concretanti in violazione delle norme sulle distanze tra le costruzioni non può essere accordata, perché estranea all'oggetto della sua domanda, la tutela di diritti di veduta.

Perché un'apertura possa considerarsi veduta, non basta la mera possibilità di una inspectio e di una prospectio sul fondo del vicino, ma è altresì necessario che la possibilità di guardare nel fondo medesimo e di sporgere il capo e vedere nelle diverse direzioni senza l'uso di mezzi artificiali abbia luogo con comodità e sicurezza, tale dovendo risultare la destinazione normale e permanente dell'opera, individuata alla stregua di elementi obbiettivi di carattere strutturale e funzionale.

Le terrazze possono configurare veduta a carico del fondo vicino solo se munite di solidi ripari, come ringhiera o parapetto, tali da permettere di sporgere la testa senza pericolo verso detto fondo.

Al fine di valutare l'idoneità del parapetto di una terrazza a consentire di guardare nell'altrui fondo, è rilevante la posizione reciproca delle due proprietà, atteso che, nell'ipotesi in cui il fondo dal quale si esercita la veduta sia in posizione sopraelevata, la prospectio ed a maggior ragione la inspectio possono risultare agevolate anche senza l'apporto determinante di un parapetto ad altezza normale, potendo non essere necessario che la parte si appoggi al manufatto al fine di esercitare la visione circolare intorno a sé.

Nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci.

L’astratta possibilità per il confinante di esigere il ripristino dello status quo ante, ovvero delle condizioni che consentivano di qualificare l’apertura odierna come semplice luce e non come finestra o veduta, per la sua rilevanza meramente civilistica, non è suscettibile di influire sull’applicazione di una norma che, come quella contenuta nell’art. 9 d.m. n. 1444/1968, per la sua rilevanza pubblicistica, non può che assumere a riferimento l’attuale situazione dei luoghi, non quella che potrebbe assumere ove l’avente titolo esigesse il rispetto delle disposizioni civilistiche in tema di regolamentazione dei rapporti tra proprietà confinanti.

La disciplina della distanza delle vedute dal confine, in quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua fonte esclusivamente nell'art. 905 c.c. (che richiede una distanza di un metro e mezzo), norma che, a differenza di quanto stabilito dall'art. 873 c.c., non può ritenersi integrata da eventuali regolamenti locali in tema di distanze, salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regolamenti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme regolamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine.

Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere".

In caso di intervento edilizio che si assuma determini il possesso di una illegittima servitù di veduta, chi afferma che la nuova veduta sia stata aperta in sostituzione di un'altra veduta di cui ammetta o non contesti la conformità al diritto, deve dimostrare il presupposto su cui si basa la sua pretesa, cioè la difformità della nuova veduta rispetto a quella preesistente.

Ai fini dell’applicabilità delle norme di cui agli artt. 900 c.c. e segg., per "porta" deve intendersi un’apertura praticata in una parete o in una recinzione al fine di crearvi un passaggio, mentre per "finestra" (che può costituire veduta o luce a seconda che consenta o meno l’affaccio) deve intendersi quella apertura praticata nelle pareti esterne di un edificio al fine di consentire l’areazione e l’illuminazione degli ambienti interni.

L'obbligo di rispettare le distanze previste dall'art. 906 c.c., per le vedute laterali ed oblique cessa quando ogni possibilità di veduta sul fondo altrui sia interdetta dall'esistenza di un muro o di altro riparo duraturo e dotato di consistenza e stabilità; tale riparo può anche essere costituito da pannelli di vetro retinato ed opaco stabilmente incorporati nella compagine del manufatto e collocati ad una altezza tale dal pavimento da non consentire di guardare ed affacciarsi verso il fondo vicino se non con l'impiego di specifici ed anormali mezzi ed accorgimenti.

Mentre l'art. 873 c.c. è inteso ad evitare la formazione di intercapedini dannose e a tutelare gli interessi generali dell'igiene, decoro e sicurezza degli abitanti, consentendo agli enti locali di stabilire distanze maggiori, secondo una valutazione particolare degli interessi collettivi, invece l'art. 905 c.c., che stabilisce le distanze per l'apertura di vedute dirette e balconi, è diretto a salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dall'apertura di vedute degli edifici vicini e a tutelare interessi esclusivamente privati.

Poiché la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto, non trova applicazione la disciplina sulla distanza delle costruzioni dalle vedute di cui all'art. 907 c.c.

Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale.

Quanto all'affaccio necessario affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 c.c, esso deve essere sicuro, nel senso che - avuto riguardo al luogo, alle modalità di accesso e alle caratteristiche dell'apertura - la veduta deve essere possibile senza usare particolari accorgimenti o mettere a repentaglio l'incolumità di chi si affaccia.

Secondo l'uso corrente, che deve ritenersi recepito dal legislatore nella definizione delle vedute (art. 900 c.c.), l'espressione "affacciarsi" denota la posizione che l'osservatore assume per potere, comodamente, senza pericolo e senza l'ausilio di alcun mezzo artificiale, vedere obliquamente e lateralmente sul fondo altrui, tenendo il petto, protetto dall'opera, a livello superiore a quello massimo dell'opera stessa.

È rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, verificare in concreto se una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c - in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati - permetta a una persona di media altezza l'affaccio sul fondo del vicino o il semplice prospetto.

La facoltà di trasformare una veduta illegittima in luce, quale si desume dall'art. 903 c.c., presuppone che anche questa debba essere aperta lungo il medesimo muro preesistente, in mancanza del quale non può darsi trasformazione dell'una apertura nell'altra. È pertanto da escludere che la veduta esercitata da un balcone posto a distanza inferiore a quella di cui all'art. 905 cpv. c.c., possa essere eliminata e trasformata in luce previo tamponamento su tre lati del balcone stesso, cioè creando ex novo dei muri che, a loro volta, integrerebbero gli estremi di una costruzione da tenere a distanza ancora maggiore, in quanto la reintegrazione di un diritto leso non può essere attuata provocando una lesione di tipo diverso.

La qualificazione di una apertura come venduta o come luce spetta al giudice, sulla base della situazione di fatto e il relativo giudizio è insindacabile in cassazione se congruamente motivato.

L'apposizione di una inferriata alla finestra non vale a trasformarla da veduta in luce, ben potendo l'inferriata essere rimossa ad nutum da proprietario.

Le attività di affaccio e prospetto vanno accertate con riferimento al fondo dal quale la veduta si esercita e non già al fondo oggetto della veduta stessa, tant'è che per quest’ultimo si deve intendere una qualunque parte, anche minima o marginale, ma che possa esser guardata comodamente e con agevole (o non disagevole) affaccio.

L’apertura di un vano luce, di per sé solo, quando non si accompagna ad altri lavori di trasformazione edilizia, costituisce un elemento accessorio del manufatto che non è soggetto a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. a), del Testo unico delle disposizioni in materia edilizia e non è pertanto suscettibile della sanzione prevista dall’art. 31 dello stesso testo unico.

Il presupposto logico-giuridico affinché operi la disciplina della distanza delle costruzioni dalle vedute di cui all'art. 907 c.c. è l'anteriorità dell'acquisto del diritto alla veduta sul fondo vicino rispetto all'esercizio, da parte del proprietario di quest'ultimo, della facoltà di costruire.

Si intendono per pareti finestrate, in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di veduta o di luce.

Le aperture o gli altri manufatti soggetti al rispetto delle distanze ex art. 873 c.c. sono soltanto quelli che consentano un comodo e non pericoloso affaccio sul fondo del vicino, vale dire non solo l'inspectio, ma anche la prospectio.

La distanza minima fissata dall'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444 di dieci metri dalle pareti finestrate è volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico –sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi e trattasi di una norma che in ragione delle prevalenti esig...
Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.