origine del problema delle occupazioni illegittime

1. Premessa





L’irrequietezza della disciplina delle illegittime occupazioni poste in essere dalla p.a., che sono oggetto da molti decenni di interminabili contrasti sia in dottrina che in giurisprudenza, è dovuta in larga parte alle profonde differenze che separano l’occupazione illegittima di diritto comune e quella posta in essere dal soggetto pubblico[1]. Tali differenze affondano le radici nello stesso concetto di pubblica amministrazione, il cui scopo istituzionale di curare il pubblico interesse ne permea tutta l’azione, dall’attività provvedimentale rispettosissima della legalità alle forme più scorrette di impossessamento del bene altrui. Se è così, però, l’interprete non potrà applicare serenamente alle occupazioni illegittime poste in essere dalla p.a. quelle stesse regole che utilizza in ipotesi di occupante privato e ciò per la semplice ragione che la p.a. non si presta ad essere qualificata come occupante tout court.

Di queste differenze tra occupante pubblico e privato, però, il legislatore si è disinteressato per lunghissimo tempo[2], regolamentando le conseguenze dell’illegittimità delle occupazioni - oltre che in modo tutt’altro che risolutivo - con disarmante ritardo[3]. A fronte dell’inerzia legislativa, del compito di differenziare i due occupanti si è fatta subito carico la giurisprudenza, la quale - prescindendo in prima approssimazione dalle diverse posizioni assunte dal giudice ordinario e da quello amministrativo[4] - non ha potuto che prendere le mosse dal diritto comune. Poiché le peculiarità dell’occupante pubblico, quindi, sono storicamente emerse dal confronto con l’occupante privato, non sembra fuori luogo ricostruire anzitutto la disciplina dettata dal codice civile per l’eventualità che un soggetto costruisca su suolo altrui, occupandolo illegittimamente.




2. Occupazioni illegittime nel diritto comune





Ai sensi dell’art. 934 c.c., il proprietario del suolo acquista a titolo originario la proprietà di tutto ciò che vi viene costruito[5], anche a prescindere da un espressa volontà in tal senso[6]. La norma, che esprime l’antichissimo[7] principio dell’accessione, fa espressamente salva - oltre alla diversa disciplina risultante dal titolo o dalla legge - le quattro disposizioni seguenti. Tra esse viene principalmente in rilievo, ai nostri fini, l’art. 936 c.c., che si occupa dell’eventualità che un soggetto costruisca su suolo altrui con materiali propri. In linea di massima, il proprietario del suolo può scegliere in tal caso se trattenere le opere o obbligare il costruttore a rimuoverle[8]; tuttavia, se il proprietario sapeva della costruzione e non vi ha fatto opposizione[9], o se il costruttore era in buona fede[10], o se il proprietario è rimasto inerte per sei mesi[11], la rimozione non è più possibile, per cui il proprietario acquisterà la proprietà delle opere e dovrà corrispondere al costruttore una giusta indennità.

Se violenta o clandestina, poi, l’occupazione del suolo altrui, legittima altresì lo spossessato a chiedere entro un anno la reintegrazione del possesso[12]. Decorso l’anno, la tutela possessoria - caratterizzata da particolare celerità - non è più possibile, ma non per questo lo spossessato rimane privo di tutela.

Fino a che l’occupante non abbia usucapito il bene[13], infatti, lo spossessato rimane proprietario ed in quanto tale può rivendicare la proprietà del bene[14]. In aggiunta, egli può chiedere che gli sia risarcito il danno subito a causa dell’illegittima occupazione. Ed invero, l’occupazione sine titulo integra senz’altro quel fatto illecito al quale l’art. 2043[15] c.c. accorda tutela risarcitoria, come ritenuto da pacifica giurisprudenza civile[16]. In questo modo, dunque, il proprietario potrà ottenere tutela - reale e risarcitoria - anche dopo il decorso del termine annuale[17].

A rigore, le voci di danno sofferte dal proprietario a causa di un’occupazione di questo tipo sarebbero teoricamente due. Da un lato, infatti, egli per un certo periodo non ha potuto utilizzare il bene di sua proprietà: da ciò gli deriva senz’altro un danno risarcibile, che la giurisprudenza civile ritiene peraltro in re ipsa[18]. D’altro lato, però, nel nostro caso abbiamo ipotizzato che l’occupante abbia anche trasformato il bene. Orbene, si è detto che le opere edificate sul suolo occupato abusivamente confluiscono nel patrimonio del proprietario, ma quid iuris se questi vuole il bene nelle condizioni in cui era prima?

A ben vedere, le spese che il proprietario dovrà sopportare per riportare l’opera allo stato in cui era costituirebbero un danno addebitabile all’occupante, che sarebbe tenuto a risarcirlo anche per questo. Procedendo su tale strada, si dovrebbe osservare che il codice civile, dopo aver previsto e disciplinato il risarcimento in termini monetari - c.d. “per equivalente” - ammette anche il risarcimento “in forma specifica”[19], subordinandolo a tre condizioni: va richiesto dal danneggiato, deve essere in tutto o in parte possibile e non deve essere eccessivamente oneroso per il debitore[20]. In teoria, dunque, il proprietario potrebbe chiedere che l’occupante, anziché versargli l’equivalente in denaro del danno subito per l’occupazione sine titulo, sia condannato direttamente a rimettere in pristino l’area occupata, a proprie spese.

Sennonché, si è già detto che il codice civile subordina la domanda di rimozione al breve termine di sei mesi dalla notizia dell’incorporazione. Successivamente l’opera confluisce nel patrimonio del proprietario del suolo, il quale non solo non ha più diritto ad essere risarcito, ma è addirittura tenuto ad indennizzare colui che vi ha abusivamente costruito[21]. Ciò finisce dunque per limitare l’azione risarcitoria del proprietario, che potrà ottenere soddisfazione per il periodo in cui non ha potuto utilizzare il bene, ma non potrà più chiedere la rimozione delle opere dopo il decorso del termine fissato dal codice civile[22].

Per meglio intendere il descritto quadro di tutele, dunque, si ipotizzi che Tizio costruisca una casa sul fondo di Caio senza il permesso di quest’ultimo. Caio potrà anzitutto reagire evocando Tizio in giudizio possessorio: il giudice condannerà Tizio a rilasciare il bene di cui Caio era possessore, dopo averlo però rimesso in pristino, cioè dopo averlo ricondotto allo stato in cui si trovava prima dell’illegittima occupazione. In aggiunta, Caio potrebbe chiedere il risarcimento dei danni che Tizio gli ha provocato, a cominciare dal fatto di non aver potuto disporre del bene per un certo periodo. In alternativa - ad esempio perché sono decorsi i termini dell’azione possessoria - Caio potrebbe agire contro Tizio e rivendicare la proprietà dell’area, almeno fintanto che questa non sia stata usucapita. Anche la rivendica può essere cumulata con l’azione risarcitoria, la quale teoricamente potrebbe essere chiesta pure in forma specifica. Nel caso di specie, però, la domanda di risarcimento in forma specifica deve essere coordinata con le regole dell’acquisto per accessione, che subordinano la domanda di rimozione ad uno stretto termine decadenziale. Decorsi sei mesi dal giorno in cui ha avuto notizia dell’incorporazione, dunque, Tizio non potrebbe più chiedere la rimozione delle opere, diventandone senz’altro proprietario in forza del combinato disposto degli artt. 934 e 936 c.c. e potendo al più richiedere, in questo caso, l’accertamento del suo nuovo diritto dominicale[23].




3. Occupazioni illegittime nel diritto amministrativo





Dall’esposta panoramica si può senz’altro ricavare che il codice civile offre un ampio ventaglio di tutele[24] al proprietario-possessore del suolo, che ha l’unico onere di doversi attivare tempestivamente, per non incorrere nelle decadenze fissate dal codice civile. Alla base di questa scelta si può senz’altro intravedere la tradizionale elevata considerazione del possesso e della proprietà fondiaria, ma soprattutto la precisa consapevolezza che l’occupazione abusiva costituisce un atto illecito e che come tale va sanzionato.

Come anticipato, però, il quadro si complica se l’occupante è una pubblica amministrazione, che agisce in veste istituzionale per la cura dell’interesse pubblico e in quanto tale adibisce il bene alla pubblica utilità. A questo proposito, è noto che alcune pubbliche amministrazioni dispongono del potere di acquisire coattivamente la proprietà di beni privati, per mezzo dell’espropriazione per pubblica utilità. È però evidente, al contempo, che si tratta di uno strumento decisamente invasivo, in quanto porta all’estinzione di un diritto di proprietà, che è ritenuto uno dei pilastri fondamentali delle società occidentali: per questo, le norme costituzionali[25] e sovranazionali[26] che prevedono l’espropriazione per pubblica utilità hanno cura di subordinarla al rispetto di precise condizioni, dalla cui violazione discende l’illegittimità dell’espropriazione. Laddove nel corso della procedura espropriativa il bene sia stato occupato, poi, l’occupazione si rivela illegittima a sua volta ed è qui che si pone il problema della disciplina applicabile.

Anche in questo caso, però, resta il fatto che l’occupazione non è stata posta in essere per un appetito individuale, bensì per fini di utilità generale, che l’interprete raramente si sente di trascurare. La qualificazione pubblica dell’occupante, in buona sostanza, costituisce una spada di Brenno che l’amministrazione mette sul proprio piatto, sbilanciando l’equilibrio di diritto comune tra proprietario-possessore e costruttore abusivo.

D’altro canto, sopravvalutare la qualificazione pubblica dell’occupante pone seri problemi di compatibilità con i fondamenti dello stato di diritto, a cominciare dall’eguaglianza e dalla legalità dell’azione amministrativa. Inoltre, la scelta di preservare l’azione amministrativa dalle normali conseguenze dell’occupazione illegittima rischia di essere strumentalizzata dalle amministrazioni più spregiudicate e di trasformarsi in un irragionevole privilegio, riaffermando l’esigenza di non sottrarre nessun occupante alle sanzioni che gli spettano, neppure se si tratta di un ente pubblico.

In definitiva, il lungo susseguirsi di instabili soluzioni al problema delle occupazioni illegittime di diritto pubblico è generato dalla difficoltà di individuare un punto di equilibrio tra queste esigenze contrapposte, le quali, oltre ad essere ontologicamente complesse, evolvono con la società e ne rispecchiano i giudizi. 




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[1] Cfr. Di Marzio M., Occupazione di immobili senza titolo e rimedi esperibili dal proprietario, in Immobili e proprietà, 2011, 6, pagg. 382 e ss.: nell’affrontare le occupazioni illegittime sul piano civile, infatti, l’Autore osserva che «di “occupazione senza titolo”, d’altronde, si discorre sovente anche con riguardo alla condotta della pubblica amministrazione che intraprenda la strada del procedimento espropriativo senza poi portarlo a termine, sì da rendere ab origine illegittima, poiché priva di titolo giustificativo, l’occupazione dell’immobile attuata ai fini della realizzazione di un’opera pubblica: argomento, quest’ultimo, di sterminate proporzioni, estraneo alla presente trattazione».

[2] Cfr. Varrone C., L’accessione invertita fa finalmente il suo ingresso nell’ordinamento di settore dalla porta principale, in www.giustamm.it, 31 agosto 2011, pag. 3, che rinviene la lacuna «nello stesso codice civile, che disciplina unicamente le ipotesi di accessione aventi ad oggetto beni tra loro omogenei, perché entrambi appartenenti al patrimonio disponibile dei privati».

[3] Cfr. infra, pag. 20.

[4] Cfr. infra, pagg. 23, 29 e 31.

[5] Cfr. art. 934 c.c.: «Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge».

[6] Cfr. da ultimo, in questo senso Cass. Civ., 6 giugno 2006, n. 13215.

[7] Cfr. Pasquino P., Rimedi pretori in alcuni casi di accessione, in www.teoriaestoriadeldirittoprivato.com.

[8] Cfr. art. 936, primo comma, c.c.: «Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle».

[9] Cfr. art. 936, quarto comma, prima parte, c.c.: «Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione».

[10] Cfr. art. 936, quarto comma, seconda parte, c.c.: «Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, [...] quando sono state fatte dal terzo in buona fede». Sul punto cfr. Cass. Civ. Sez. II, 7 maggio 1997, n. 3971, ove si legge che per la buona fede non basta il convincimento - che si presume - di aver agito sciente domino, occorrendo la convinzione - che deve essere provata - di essere proprietario. In senso apparentemente contrario, però, cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 18 febbraio 1997, ove si afferma che la buona fede è presunta ai sensi dell’art. 1147 c.c..

[11] Cfr. art. 936, quinto comma c.c.: «La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione». Secondo la giurisprudenza, il termine decorre però soltanto dal completamento dell’opera, onde, finché questa non sia portata a termine, la domanda di rimozione deve ritenersi tempestiva: cfr. Cass. Civ., Sez. II, 15 marzo 1982, n. 1688.

[12] Cfr. art. 1168, primo comma, c.c.: «Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo».

[13] Cfr. art. 948, terzo comma, c.c.: «L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione».

[14] Cfr. art. 948, primo comma, prima parte c.c.: «Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene» In dottrina cfr. Di Marzio M., Occupazione di immobili senza titolo, cit., che in caso di occupazione sine titulo esamina «anzitutto, il caso in cui il proprietario dell’immobile oggetto dell’occupazione faccia valere contro l’occupante il proprio diritto di proprietà e chieda, allegando la qualità di proprietario, la condanna dell’occupante medesimo al rilascio».

[15] Cfr. art. 2043 c.c.: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Per una trattazione dei profili civilistici del tema del risarcimento del danno da occupazione senza titolo cfr. Di Marzio M., Occupazione di immobili senza titolo, cit..

[16] Cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. II, 28 novembre 2001, n. 15130: «Lo spoglio [...] costituisce un atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa obbligando chi lo commette al risarcimento del danno». In termini sostanzialmente analoghi cfr. altresì, più di recente, Cass. Civ., Sez. II, 18 febbraio 2008, n. 3955.

[17] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 5 dicembre 2006, n. 25899: «L’azione per il risarcimento del danno ha dunque natura possessoria quando il danno si fa consistere nella sola lesione del possesso, [...] ed essa soggiace in tal caso alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella generale previsione di cui all’art. 2043 cod. civ., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti non la lesione del solo possesso, ma anche altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato».

[18] Cfr. Di Marzio M., Occupazione di immobili senza titolo, cit.: «Nella giurisprudenza della S.C., si trova reiteratamente affermato il principio secondo cui, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso».

[19] Cfr. art. 2058, primo comma, c.c.: «Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile».

[20] Cfr. art. 2058, secondo comma, c.c.: «Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore».

[21] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, 18 luglio 2002, n. 10441: «In tutti i casi nei quali al proprietario del suolo non è consentito, o non è più consentito, chiedere la rimozione dell’opera sul suolo stesso realizzata, è, viceversa, riconosciuto il diritto all’indennizzo in favore di chi l’opera abbia realizzata, il che implica il riconoscimento d’un vantaggio economico derivatone al proprietario del suolo, prioritario ed assorbente rispetto all’eventuale danno subito ed incompatibile con una pretesa risarcitoria».

[22] Cfr. sul punto Cass. Civ., Sez. II, 18 marzo 1986, n. 1841, ove si osserva che le eventuali spese di demolizione graveranno dunque sul proprietario.

[23] Per una fattispecie concreta di edificazione abusiva su suolo altrui recentemente sottoposta al vaglio della Suprema Corte cfr. ad esempio Cass. civ. Sez. II, 31 agosto 2011, n. 17895: «Sp.Gi. e B.G. convenivano in giudizio S.A. assumendo di essere proprietari esclusivi di un fondo sito in (OMISSIS) sul quale la convenuta aveva realizzato una struttura coperta in muratura estesa circa 70 mq. Gli attori chiedevano quindi l’abbattimento di detta costruzione ed il rilascio del suolo occupato abusivamente, nonché la condanna della S.A. al risarcimento dei danni per il mancato godimento del suolo».

[24] Cfr. Di Marzio M., Occupazione di immobili senza titolo, cit.: «Nelle diverse situazioni ipotizzabili, allora, si prospettano secondo i casi diverse azioni esperibili dal proprietario, a volte in concorrenza tra loro [...]. Il tema dei rimedi esperibili dal proprietario contro l’occupazione senza titolo di un proprio immobile si risolve, quindi, nella individuazione di figure dotate di sufficiente omogeneità concettuale, tali da comportare l’applicazione di regole sostanziali e processuali uniformi».

[25] Cfr. art. 42, terzo comma, Cost.: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale».

[26] Cfr. art. 1, primo comma, secondo periodo, Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito per brevità “Convenzione EDU”): «Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».