Necessario il collegamento tra diritto al risarcimento del danno e perdita del diritto di proprietà

Estratto: «4.- Venendo al merito della illegittima, perdurante occupazione del bene, appare evidente la sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile invocata dalla parte ricorrente nella sua richiesta di risarcimento dei danni, atteso il grave inadempimento dell'Amministrazione, responsabile della sottratta disponibilità dei beni e del mancato ristoro al proprietario, donde la ricorrenza di tutti gli estremi previsti dall'art. 2043 c.c. (comportamento omissivo, colpa dell'Ente procedente, danno ingiusto e nesso di causalità) in presenza dei quali è possibile affermare la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito delle resistenti, consistente, per l'appunto, nella suindicata sottrazione abusiva della disponibilità dei beni.5.- La qualificazione della condotta della PA in termini di illecito civile impone, quindi, l’individuazione di rimedi a tutela del privato coerenti coi principi di cui alla disciplina generale prevista dagli artt. 2043 segg. c.c.Ed allora l’Amministrazione dovrà risarcire il danno facendo cessare la situazione di permanente, illegittima occupazione (recte: sottrazione) anzitutto in forma specifica, provvedendo alla restituzione ai legittimi proprietari dei terreni utilizzati per la realizzazione dell’opera pubblica opportunamente rimessi in pristino (e, naturalmente, corrispondendo l’indennizzo per il periodo di abusiva occupazione).6.- La definizione della richiesta risarcitoria implica, pertanto, un passaggio intermedio consistente nell'assegnazione di un termine all'Amministrazione perché definisca la sorte della titolarità dei beni illecitamente appresi, cui potrà seguire, ma in posizione inevitabilmente subordinata, la condanna risarcitoria secondo il criterio generale ed esaustivo previsto dall’art. 2043 c.c.Termine durante il quale l’Amministrazione, qualora ritenesse eccessivamente oneroso il risarcimento in forma specifica – ossia la restituzione dei beni nelle condizioni precedenti all’intervento: e l'irreversibilità della trasformazione dell'area, connessa con la realizzazione dell'opera, può effettivamente implicare un giudizio di impossibilità o, quanto meno, di eccessiva onerosità della sua restituzione al privato – potrebbe optare, conformemente peraltro con la domanda dei ricorrenti, per il risarcimento per equivalente, il cui pagamento sarebbe condizionato dal giudice (cui spetta, ai sensi dell’art. 2058, II comma c.c., di disporre che il risarcimento avvenga, appunto, per equivalente) alla conclusione del negozio traslativo (in considerazione della necessità di risolvere, stante l’intervenuta abrogazione dell’art. 43 del DPR n. 327/01, il problema della formazione di un titolo idoneo alla trascrizione del trasferimento del diritto reale in capo all'Amministrazione).7.- A margine, peraltro, il collegio ritiene utile precisare che la necessità di una previa definizione certa della sorte del bene occupato supera la possibile obiezione di non corrispondenza tra il chiesto (risarcimento del danno per equivalente) e il pronunciato (acquisto negoziale), atteso che, diversamente opinando, si perverrebbe all'assurdo giuridico o di respingere la domanda (di risarcimento) dei ricorrenti per impossibilità di sommare il risarcimento integrale (pari al valore venale attualizzato dei beni, più accessori) alla conservazione della proprietà dei beni stessi nel patrimonio dei ricorrenti, ovvero di accoglierla limitatamente ai danni da illecita occupazione da parte dell'Amministrazione, illecita occupazione che, peraltro, continuerebbe a permanere: soluzione quest’ultima che sarebbe altresì formalmente coerente – ma non certamente satisfattiva - con la domanda di ristoro del danno formulata dai ricorrenti, giacché sino al momento in cui interverrà il passaggio di proprietà delle aree in capo all’Amministrazione, il danno da essi subito è appunto da individuarsi nell’occupazione sine titulo delle aree stesse.»

Sintesi: Il risarcimento del danno per equivalente presuppone la conclusione del negozio traslativo; diversamente opinando, si perverrebbe all'assurdo giuridico o di respingere la domanda (di risarcimento) dei ricorrenti per impossibilità di sommare il risarcimento integrale alla conservazione della proprietà dei beni stessi nel patrimonio dei ricorrenti, ovvero di accoglierla limitatamente ai danni da illecita occupazione da parte dell'Amministrazione.

Estratto: «4.- Venendo al merito della illegittima, perdurante occupazione del bene, appare evidente la sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile invocata dalla parte ricorrente nella sua richiesta di risarcimento dei danni, atteso il grave inadempimento dell'Amministrazione...
[...omissis: vedi sopra...]

Sintesi: In ipotesi d'irreversibile trasformazione la prestazione risarcitoria per equivalente rimane subordinata alla definizione formale tra le parti dell’atto traslativo del diritto dominicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata.

Estratto: «Nel merito il ricorso appare fondato.Osserva il Collegio che, ancorché la trasformazione irreversibile delle aree occupate non comporta di per sé la perdita della proprietà tuttavia parte ricorrente manifesta la volontà di dismettere la proprietà in favore dell'Amministrazione, optando per il conseguimento del risarcimento per equivalente...
[...omissis...]

Estratto: «D.3. – Poste tali premesse ermeneutiche, si rileva che, nel caso di specie, parte ricorrente ha chiesto in via principale il ristoro del danno per equivalente e, solo in via subordinata la restituzione dei terreni, su cui è stata realizzata l’opera pubblica.Ritiene il Collegio - anche tenendo conto del tenore delle deduzioni difensive del Comune di Palermo, il quale si è reso disponibile ad addivenire ad un accordo bonario – di potere accogliere la domanda formulata in via principale da parte ricorrente, tendente ad ottenere il ristoro patrimoniale della perdita subita.Anche in mancanza dell’acquisto del bene da parte del Comune - esclusa la possibilità giuridica della “occupazione acquisitiva” e della rinuncia al diritto da parte del proprietario per effetto della mera proposizione della domanda risarcitoria - il protrarsi dell'occupazione sine titulo del fondo e la suindicata perdita di disponibilità dello stesso per i ricorrenti proprietari – dati di fatto non contestati - giustificano l'accoglimento della domanda di risarcimento che, nel caso di perdita definitiva della proprietà, corrisponde al valore venale del bene, oltre al risarcimento del danno subito, da individuarsi nell'occupazione senza titolo dell'area con conseguente perdita della sua disponibilità.Facendo, quindi, applicazione dei principi generali in materia di risarcimento del danno, il Comune di Palermo è tenuto a risarcire il danno cagionato ai ricorrenti per il periodo di illegittima occupazione del fondo.Sussistono, in particolare, tutti gli elementi normativamente previsti per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno (art. 2043 c.c.): in ordine all’elemento oggettivo dell’illiceità della condotta, viene in rilievo, come visto, il fatto materiale dello spossessamento, causalmente riconducibile all’attività provvedimentale di occupazione e di irreversibile trasformazione delle particelle interessate dall’opera pubblica, poi non sfociata in un tempestivo atto traslativo.Sotto il profilo, invece, dell’elemento soggettivo, viene in considerazione la colpa della P.A. procedente, intesa come colpa dell’apparato, concretantesi, in punto di fatto, nella negligenza nella gestione di una procedura ablatoria, incidente in maniera definitiva sul diritto dominicale dei ricorrenti, mai conclusa né con un valido ed efficace provvedimento di espropriazione, né con il provvedimento ex art. 43 citato (prima della sua espunzione dal panorama normativo); e tenendo conto, altresì, dello svolgersi della vicenda in un arco temporale dilatato in modo consistente, in presenza, medio tempore, di controversie pendenti tra le parti davanti a due diversi plessi giurisdizionali.Il che rende, peraltro, indimostrato che il comportamento dell’amministrazione comunale possa essere dovuto ad errore scusabile.E. – Da quanto sopra segue l’accoglimento del ricorso, con conseguente condanna del Comune di Palermo, subordinatamente alla stipulazione del negozio traslativo del diritto di proprietà, al pagamento, in favore dei ricorrenti, del risarcimento dei danni.Il Comune resistente provvederà a stipulare con i ricorrenti un atto di natura contrattuale - privatistica, idoneo a determinare il trasferimento della proprietà del bene de quo, che, altrimenti, continuerebbe a rimanere sine die nella sfera di proprietà dei predetti, con tutte le conseguenze anche giuridiche e fiscali connesse, e dovrà essere quantificato il danno risarcibile secondo i criteri di seguito indicati, precisandosi, quanto al momento di scadenza del periodo di legittima occupazione, che trova applicazione, nel caso in specie, la disposizione – peraltro richiamata da parte ricorrente – contenuta nell’art. 22 della l. n. 158/1991, che ha prorogato di un biennio i termini dell’occupazione d’urgenza.»

Sintesi: Va affermato il necessario collegamento tra il diritto al risarcimento integrale del danno subito e la perdita del diritto di proprietà del bene stesso, non potendo certo il privato ottenere un ristoro per equivalente superiore al danno medesimo. Il conseguimento del risarcimento deve essere accompagnato dal formale trasferimento della titolarità della proprietà in capo all’Amministrazione, in applicazione del principio che vieta l'arricchimento senza causa, derivandone altrimenti l’illegittima locupletazione del privato, che rimarrebbe titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il valore.

Estratto: «D.2. – Ciò premesso, vanno ora stabilite le condizioni, in presenza delle quali alla domanda di risarcimento del danno per equivalente – qual è, nel caso di specie, quella proposta in via principale dai ricorrenti - possa riconoscersi l’effetto dell’abdicazione al diritto di proprietà sul bene irreversibilmente trasformato.A tal proposito giova ricordare che, durante la vigenza dell’art. 43 cit., si è ritenuto che la proposizione della domanda espressa di risarcimento del danno subito, in luogo di quella restitutoria, non portasse con sé l’implicita rinuncia al diritto di proprietà del bene illegittimamente occupato, neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica (in tal senso, Consiglio di Stato, Ad. plen., 29 aprile 2005, n. 2; Consiglio di Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1° luglio 2010; T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 29 aprile 2010, n. 6065; T.A.R. Campania, Napoli, V, 1° settembre 2009, n. 4865; T.A.R. Campania, Napoli, V, 27 maggio 2008, n. 5083; T.A.R. Puglia, Bari, III, 14 luglio 2008, n. 1751 e 22 settembre 2008, n. 2176; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 25 giugno 2008, n. 601; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 28 maggio 2008, n. 583; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 12 maggio 2008, n. 894 e 18 novembre 2008, n. 2098); con la conseguente necessità che l’amministrazione facesse ricorso all’apposito rimedio di cui al citato art. 43.Secondo una diversa interpretazione, al momento della proposizione della domanda risarcitoria per equivalente si sarebbe verificato anche l’effetto abdicativo del diritto di proprietà in favore dell’amministrazione (cfr. C.G.A., 10 novembre 2010, n. 1410; 18 febbraio 2009, nn. 49, 51 e 52; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 23 febbraio 2010, n. 373), alla cui data, pertanto, andrebbe determinato il valore venale del bene utile ai fini della quantificazione del danno.Tale tesi, formatasi nel vigore dell’art. 43 cit., prevedeva, comunque, in base a detta norma, l’adozione dell'atto formale di trasferimento, con trascrizione del decreto nei registri immobiliari.Oggi, pur essendo venuto meno l’istituto della c.d. acquisizione sanante, ritiene il Collegio di mantenere fermo il proprio precedente orientamento, secondo il quale il trasferimento del diritto di proprietà in capo alla P.A. non è effetto della rinuncia al diritto di proprietà esplicitamente o implicitamente connessa alla domanda di risarcimento del danno per equivalente, sospensivamente condizionata all’accoglimento dell’azione proposta dinanzi al giudice, bensì, dell’apposito accordo di cessione conseguente al riconoscimento giudiziale della sussistenza di un danno ingiusto risarcibile (ipotesi, peraltro, già applicabile in alternativa all’istituto dell’acquisizione sanante, prima della dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultimo).Si può, dunque, concludere affermando il necessario collegamento tra il diritto al risarcimento integrale del danno subito e la perdita del diritto di proprietà del bene stesso, non potendo certo il privato ottenere un ristoro per equivalente superiore al danno medesimo. Evidenziandosi come il conseguimento del risarcimento debba essere accompagnato dal formale trasferimento della titolarità della proprietà in capo all’Amministrazione, in applicazione del principio che vieta l'arricchimento senza causa, derivandone altrimenti l’illegittima locupletazione del privato, che rimarrebbe titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il valore (cfr. T.a.r. Sicilia, Palermo, III, 2 dicembre 2010, n. 14232; 17 dicembre 2010, n. 14322).Vale la pena precisare che, ad avviso del Collegio, non può accogliersi la richiesta, formulata dalla resistente amministrazione, di applicazione, alla fattispecie a mani, dell’art. 940 c.c., a mente del quale "Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera" .Ed invero, tale approccio ermeneutico finirebbe per reintrodurre nell’ordinamento un istituto – quello dell’accessione invertita – definitivamente espunto dalla più recente evoluzione giurisprudenziale; e condurrebbe ad un esito – risarcimento del danno in assenza dell’avvenuto trasferimento della proprietà immobiliare -vietato dal primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.E’ stata, inoltre, revocata in dubbio l’applicazione di detta norma alla proprietà immobiliare e la riconduzione del suolo sine titulo occupato e “irreversibilmente trasformato” alla nozione di “materia”, di cui alla stessa norma (cfr. T.a.r. Sicilia, Palermo, II, 1 febbraio 2011, n. 175).»

Sintesi: In ipotesi di occupazione sine titulo è accoglibile la domanda risarcitoria per equivalente subordinatamente alla stipula di un atto di natura contrattuale - privatistica, idoneo a determinare il trasferimento della proprietà del bene medesimo, che, altrimenti, continuerebbe a rimanere sine die nella sfera di proprietà del privato, con tutte le conseguenze anche giuridiche e fiscali connesse.

Sintesi: Non essendo oggi più configurabile l'istituto dell'accessione invertita, il pagamento di un equivalente monetario presuppone necessariamente il previo trasferimento della proprietà dell'immobile (conseguente ad atto amministrativo o negoziale, ad usucapione o a rinunzia del privato); in difetto il bene va restituito.

Estratto: «Precisato ciò, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e da accogliere nel termini di seguito esposti.È pacifico tra le parti ed emerge dagli atti che le citate particelle sono state oggetto di esproprio con atti poi annullati con sentenza passata in giudicato; detto ciò, il Collegio ritiene di dovere ulteriormente precisare, in ordine al ventilato perfezionamento del passaggio di proprietà per accessione invertita, che l'effetto acquisitivo automatico derivante dall'alterazione definitiva dello stato dei luoghi non trova più copertura normativa e/o giurisprudenziale nel nostro ordinamento a seguito delle statuizioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha ritenuto, nella pronuncia della Sezione IV del 6 marzo 2007 n. 43662, che l'istituto della occupazione acquisitiva sia lesivo del principio di legalità, per la perdita di proprietà sulla base di un atto inizialmente illegittimo che implica in primo luogo l'applicazione del principio della restituito in integrum e, ove ciò non sia possibile, la determinazione di un'indennità consistente nella corresponsione di una somma equivalente al valore del bene occupato, aumentato dell'eventuale plus-valore dato dall'esistenza di costruzioni edificate durante l'occupazione da parte della P.A..Per adeguare l'ordinamento nazionale ai principi affermati dalla Corte, lo Stato ha introdotto l'art. 43 del DPR 8 giugno 2001 n 327, concernente la cosiddetta "acquisizione sanante", oggi dichiarata incostituzionale per eccesso di delega con sentenza 4-8 ottobre 2010 n. 293, che consentiva alla pubblica amministrazione, "extra ordinem", rispetto all'ordinario procedimento espropriativo (necessariamente mancante o viziato), di acquisire a determinate condizioni beni immobili altrui al proprio patrimonio indisponibile. Si tratta(va) di una norma che oltre ad attribuire all'Amministrazione il potere di dare "a regime" una soluzione al caso concreto, quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo, consente(iva) anche di rimuovere un precedente contrasto tra la prassi interna (amministrativa e giudiziaria) e la Convenzione Europea.L'art. 43 si riferi(va) anche alle occupazioni "sine titulo", già sussistenti alla data di entrata in vigore del testo unico (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2005; Cons. Stato, Sez. IV 16 novembre 2007 n. 5830; Cons. Stato, Sez. IV 27 giugno 2007, n. 3752; Cons. Stato, Sez. IV 21 maggio 2007, n. 2582; TAR Sardegna, 31 gennaio 2008 n. 83), potendo, del resto, essere riconducibile nel novero delle norme processuali.Da ciò consegue che non possa ritenersi perfezionato alcun diritto reale in favore dell’amministrazione relativamente ai terreni di proprietà dei ricorrenti, già oggetto di esproprio poi annullato in sede giurisdizionale, per cui il privato può chiedere la restituzione del fondo con la riduzione in pristino di quanto realizzato (Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007 n. 5830).Corollario del sistema delineato dal richiamato art. 43 precitato é il principio secondo cui il trasferimento della proprietà del bene non può oggi connettersi neppure alla unilaterale volontà del privato di abdicare al proprio diritto, che, in materia di occupazione usurpativa, viene considerata implicitamente nella richiesta del proprietario di liquidazione del danno commisurato alla definitiva perdita della disponibilità del bene.Nel nostro ordinamento, in definitiva, non può più ritenersi sussistente l'istituto - di creazione pretoria - della cosiddetta "occupazione appropriativa", secondo il quale, anche in assenza di un provvedimento ablatorio, l'Amministrazione acquista, a titolo originario, la proprietà dell'area altrui, in virtù della trasformazione irreversibile della stessa ed in attuazione della dichiarazione di pubblica utilità (in tal senso, tra le tante, Cons. St., IV, 30 novembre 2007 n. 6124; Id., 21 maggio 2007 n. 2582). Come già rilevato, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha espressamente affermato che l'istituto in questione rappresenta una illegittima compressione del diritto di proprietà privata, configurando una violazione del Protocollo Addizionale n. 1 della Convenzione Europea e che spetta all'ordinamento interno l'individuazione dei mezzi di tutela, i quali devono, però, essere efficaci e collegarsi in un quadro normativo chiaro, preciso e prevedibile (sentenze 30 maggio 2000; n. 24638/94 e n. 31524/96). In altri termini, anche se è stata realizzata l'opera pubblica, l'Amministrazione ha l'obbligo di restituire il suolo e di risarcire il danno cagionato: "fin da quando l'istituto della c.d. accessione invertita è stato espunto dal nostro ordinamento a causa della sua acclarata incompatibilità comunitaria, l'annullamento giurisdizionale degli atti espropriativi impugnati comporta l'obbligo dell'Amministrazione di restituire i terreni occupati e di risarcire il danno da illegittimo spossessamento (Consiglio Stato, sez. IV, 27 marzo 2009, n. 1858; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 15 gennaio 2009, n. 220; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 18 dicembre 2008, n. 1796; e, da ultimo, v. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 10 maggio 2010 n. 1093).In conclusione, non essendo oggi più configurabile l'istituto dell'accessione invertita, il pagamento di un equivalente monetario presuppone necessariamente il previo trasferimento della proprietà dell'immobile ( conseguente ad atto amministrativo o negoziale, ad usucapione o a rinunzia del privato), che manca; di conseguenza, l'obbligo allo stato sussistente in capo al Comune è quello della restituzione del bene, che risulta essere ancora nella proprietà dei privati.Fondata è dunque la domanda di esecuzione del giudicato nei termini rivendicati dai ricorrenti; pertanto, deve essere disposta la condanna del Comune di Napoli alla restituzione degli immobili siti in Napoli, Vico II Fornelle, 46, I piano e via S. Giovanniello, 116, riportati in NCEU di Napoli alla partita 777 95 foglio 22 SCA, particella 135, sub 1 e 2, in quanto attualmente occupati sine titulo, e cioè in mancanza di un valido decreto d'esproprio.»

Sintesi: A seguito dell'accoglimento della domanda risarcitoria per equivalente conseguente ad intervenuta occupazione illegittima, l'Amministrazione è tenuta a offrire una somma a titolo di risarcimento del danno; in caso di accettazione della somma proposta dall'Amministrazione le parti sono tenute a redigere un accordo che dovrà essere trascritto.

Estratto: «Pertanto, nel termine di 6 mesi dalla data di deposito della presente sentenza, l'Università degli Studi di Messina dovrà proporre ai ricorrenti una somma determinata secondo i seguenti criteri:1. per quanto riguarda il risarcimento dei danni connessi alla perdita di proprietà, fatto verificatosi il 13 novembre 2001, si dovrà tenere conto del valore venale del bene a tale data;2. per quanto riguarda il risarcimento dei danni derivanti dalla occupazione illegittima del bene, corrente dal 13 agosto 2001 (data di scadenza del termine quinquennale di occupazione legittima, iniziata il 13 agosto 1996, data di redazione del verbale di consistenza ed immissione in possesso, allegato sub 4 al ricorso) fino al 13 novembre 2001, il danno va quantificato applicando al valore venale medio dell’immobile nel periodo considerato il saggio degli interessi legali all’epoca vigente, per la durata del periodo;3. sulle somme come sopra indicate, riguardanti tutte il risarcimento del danno e consistenti, quindi, in un debito di valore, andrà riconosciuta la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, in considerazione della diminuzione del potere di acquisto della moneta, fino alla data di proposizione della somma da parte dell’amministrazione ai ricorrenti (momento in cui, per effetto della liquidazione, il debito di valore si trasforma in debito di valuta), nonché gli interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate, in funzione remunerativa e compensativa della mancata e tempestiva disponibilità dell’importo dovuto a titolo di risarcimento.4. su tutte le somme dovute, come individuate ai punti precedenti, e salvo diverso accordo delle parti, decorreranno gli interessi legali dalla data di proposizione della somma da parte dell’amministrazione ai ricorrenti, e fino al soddisfo;5. in caso di accettazione dei ricorrenti della somma proposta le parti dovranno quindi redigere un accordo che l’Università resistente provvederà – a proprie spese – a trascrivere.Se le parti non giungessero ad un accordo nel termine indicato, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV del codice del processo amministrativo, potrà essere chiesta la determinazione della somma dovuta.»

Sintesi: E' accoglibile la domanda risarcitoria per equivalente subordinatamente alla stipula e sottoscrizione di un negozio traslativo della proprietà, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata e del pari così escludendosi in nuce la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all’illegittima locupletazione del privato, ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore del bene.

Estratto: «4.1-Come già anticipato, il Collegio ritiene che anche nell’attuale contesto normativo cit. il danneggiato possa adire il giudice competente optando direttamente per una tutela risarcitoria per equivalente (cfr. ancora di recente Consiglio di Stato, Sez.V, n.2144/2009 cit.; Cassazione civile , sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709), con ciò implicitamente ponendo in essere un meccanismo abdicatorio della potestas connessa all’esercizio del diritto di proprietà.4.2-Richiamando l’insegnamento del giudice di seconde cure (C.G.A. n.486/09 cit.), è utile evidenziare come lo stesso art.43 D.P.R.327/01 nulla dettava in ordine alla perdita della proprietà derivante da una scelta spontanea dell’interessato: in tale secondo caso devono applicarsi i principi comuni in materia di risarcimento del danno. In particolare, il C.G.A. ha precisato che:---nelle fattispecie come quella in esame la domanda di risarcimento del danno per equivalente si accompagna, esplicitamente o implicitamente, alla formale dichiarazione della rinuncia al diritto di proprietà, sospensivamente condizionata all’accoglimento dell’azione proposta dinanzi al giudice;---non risulterebbe persuasiva l’obiezione secondo cui, in termini generali, non sarebbe ammissibile nel nostro ordinamento la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare atteso che a) la “disponibilità” dovrebbe comprendere, ovviamente, anche il potere di rinunciare al diritto; b) nei casi come quello in esame, risulterebbe adeguatamente soddisfatto anche il requisito “causale” della giustificazione dell’atto abdicativo, individuato nella sua strumentalità rispetto alla riparazione dell’illecito causato dal comportamento di un terzo; c) sul piano del riscontro del diritto positivo, non è vero che la legge ignori la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, trovandosi espliciti riferimenti nell’articolo 1350, numero 5) c.c., nonché nell’art.2643, numero 5), del codice civile che menzionano espressamente “gli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti” (e non solo la rinuncia ai “diritti derivanti dai contratti”), fra i quali rientra, indiscutibilmente, anche il diritto di proprietà immobiliare;---specifiche ipotesi di atti di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, poi, sono contemplate dagli articoli 1070, 1104 e 550 del codice civile: disposizioni tutte costruite come applicazioni di principi generali e non come eccezioni a una regola;---l’articolo 827 del codice civile contempla l’ipotesi dei beni immobili “vacanti”, stabilendo che essi, se “non sono di proprietà di alcuno”, spettano al patrimonio dello Stato (o delle Regioni a Statuto Speciale che lo prevedono).4.3-Il Collegio ritiene di poter condividere tale ricostruzione (che non appare affatto isolata nel panorama della Giurisprudenza, non solo amministrativa: cfr. ex multis C.d.S. 2095/05; C.G.A. 59/08; C.G.A. 49, 51e 52/09, SS.UU. Cass. nn.19501/08, 1266/01, 15710/01, 3043/2007, 3724/2007 e 3725/2007, 9323/2007, 7442/2008, 3298/00, 1814/00, 4452/201; C.d.S. 3177/00; Cassazione 11147/97; C.d.S. 2144/2009; ancora di recente cfr anche TAR Sicilia - Catania, Sez. II, 28 maggio 2008, n. 973; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 23 febbraio 2010, n. 373 come confermata da CGA 1410/2010), ma non anche le ulteriori sviluppi dello stesso percorso argomentativo.In particolare, nel muovere la critica alle obiezioni delle giurisprudenza di primo grado sul meccanismo della “rinuncia” alla proprietà (siccome non consentirebbe di realizzare adeguatamente la stessa finalità della norma già contenuta nell’art.43 cit. perché, si dice, non risulterebbe molto chiaro quale sorte subisca il diritto di proprietà rinunciato dal privato) il giudice d’appello (C.G.A. n.486/2009, paragr.25) afferma che la problematica evocata, per quanto rilevante in termini generali, non sembra comunque condizionare il tema specifico in esame, che consiste, semplicemente, nello stabilire se il proprietario possa chiedere il risarcimento pecuniario, rinunciando al diritto di proprietà. A tale scopo non occorre definire il nuovo assetto dominicale del bene, per effetto di tale rinuncia. Secondo detta impostazione, il diritto al risarcimento per equivalente andrebbe correlato al fatto obiettivo della perdita di valore del bene, contestuale alla rinuncia alla restituzione (e al diritto di proprietà) sul bene stesso: in altri termini, il diritto al risarcimento, non dipenderebbe in alcun modo dalla ulteriore sorte di tale diritto e non richiederebbe quindi l’accertamento dell’acquisto del diritto da parte del soggetto pubblico utilizzatore del bene.4.4-A tale ultime attente valutazioni il Collegio ritiene di non poter aderire nella considerazione che –anche in presenza di un risconto positivo dell’istituto della rinuncia abdicativa, come sopra evidenziato- occorre comunque tener contro sia dello specifico regime giuridico degli atti inter vivos con cui di può disporre (anche mercé l’abdicazione) del diritto di proprietà (art.1350 n.5 c.c. e art.2643 n.5 c.c. già citati), sia dell’integralità del risarcimento in specie richiesto dal ricorrente, la cui quantificazione -nei termini anzidetti- troverebbe l’ostacolo nel (pur) formale mantenimento del diritto dominicale quale risultate negli registri della conservatoria.4.5-Per altro, è lo stesso giudice d’appello che, nella stessa sentenza, pur se in via incidentale, osserva come la soluzione del problema risulterebbe comunque in larga misura condizionata anche dalle peculiarità di ciascuna vicenda sostanziale e processuale, nonché dalla soluzione generale della questione degli effetti derivanti dalla rinuncia al diritto di proprietà collegata alla proposizione della domanda risarcitoria: In questa prospettiva, potrebbe presentarsi l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui la rinuncia operata dal proprietario privato indichi chiaramente la propria proiezione verso l’acquisto dell’amministrazione che utilizza il bene e questa, a sua volta, manifesti formalmente la propria intenzione di acquistare il bene, con atti adottati all’interno del processo, o stragiudiziali.4.6-Ipotesi entrambe riscontrabili in modo incontrovertibile nel caso in esame giacché, come in narrativa esposto, a) sin dall’atto di citazione innanzi il giudice ordinario è stata proposta domanda di risarcimento della danno connesso alla perdita della proprietà (domanda rimasta immutata in questa sede) con indicazione esplicita dell’Ente (il Comune di Palermo) in favore del quale la stessa doveva ritenersi acquisita; b) il Comune di Palermo ha formulato innanzi al G.O. domanda riconvenzionale negli stessi termini (non potuta esaminare a causa della pronuncia declinatoria della giurisdizione).4.7-Ciò induce il Collegio a ritenere che, in presenza degli ulteriori elementi della fattispecie, l’accoglimento della domanda comporterebbe “l’avveramento” di quella condizione per l’operatività della rinuncia della proprietà, con conseguente subordinazione della prestazione risarcitoria imputabile al Comune alla definizione formale tra le parti dell’atto traslativo del diritto domenicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata (del pari così escludendosi in nuce la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all’illegittima locupletazione del privato, ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore). Tale ricostruzione, allo stato attuale della normativa sul punto, appare al Collegio coerente con il sistema e con i principi di effettività e pienezza delle tutela giurisdizionale che, vieppiù, informano oggi il processo amministrativo (art.1 e art.7 co.7 c.p.a.). La stessa non presenta altresì, sotto tale profilo, evidenti punti di contrasto con i principi della giurisprudenza Comunitaria sopra richiamata.»

Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.