Cittadinanza nazionale, doppia cittadinanza e cittadinanza della UE

Il presente studio, pur tenendo conto dei risultati dello studio anzidetto e di altre analoghe analisi, anziché esaminare le diverse normative trasversalmente si propone di analizzare una per una le legislazioni dei seguenti Paesi europei in materia: Italia, Francia, Confederazione elvetica, Germania, Irlanda, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, corredando l’esame della sintesi dei più rilevanti indirizzi giurisprudenziali, specialmente con riguardo all’Italia.

Tutti gli Stati presi in considerazione – tranne la Confederazione elvetica – hanno sottoscritto la Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima.

Tale Convenzione, infatti, è stata sottoscritta da Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Regno Unito, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, ai Paesi Bassi, Spagna e Svezia.

La Convenzione è stata successivamente emendata da due protocolli, nel 1977 e nel 1993, i quali hanno ampliato i casi di applicazione del diritto a mantenere la doppia cittadinanza.

L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge 4 ottobre 1966, n. 876.

Regno Unito, Irlanda e Spagna hanno, fin dall’inizio, aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione, che, con riguardo all’assolvimento degli obblighi militari in caso di doppia (o plurima) cittadinanza, stabilisce (artt. 5 e 6) che i cittadini che appartengono a due o più Stati contraenti prestano il servizio militare soltanto nello Stato in cui essi hanno la residenza abituale.

La Germania, in data 21 dicembre 2001, ha ritirato la propria adesione alla Convenzione, la quale pertanto dal 21 dicembre 2002 ha cessato di avere effetto nei confronti di tale Stato.

Successivamente Svezia, Belgio, Francia e Lussemburgo hanno denunciato parzialmente la suddetta Convenzione, con riferimento soltanto al Capitolo I – contenente la disciplina diretta a ridurre i casi di doppia cittadinanza – la cui normativa muove dal principio secondo cui i cittadini degli Stati contraenti perdono la loro precedente cittadinanza in caso di acquisto o riacquisto, a seguito di una espressa manifestazione di volontà, della cittadinanza di uno dei Paesi che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione medesima, senza potere essere autorizzati a conservare la cittadinanza precedente.

Nel Capitolo I della Convenzione si disciplinano anche le vicende della cittadinanza dei minorenni, in dipendenza di quelle della cittadinanza dei genitori (art. 1, punto 3; art. 2).

Anche l’Italia ha effettuato analoga denuncia parziale, destinata ad avere efficacia dopo il decorso di un anno dalla ricezione della notifica della stessa al Consiglio d’Europa (avvenuta il 4 giugno 2009) e, quindi, a partire dal 4 giugno 2010.

Il Ministero dell’Interno, con circolare n. 14232 del 28 ottobre 2009, ha precisato che: a) a decorrere dalla suddetta data, il cittadino italiano che acquista la cittadinanza di uno dei Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo non incorrerà più nella perdita del nostro status civitatis; b) il Ministero degli Affari Esteri ha chiarito che, per il periodo intercorrente tra il 4 giugno 2009 e il 4 giugno 2010, l’Italia si è avvalsa della riserva prevista al punto 3 dell’Annesso alla Convenzione che permette ai cittadini di conservare la propria nazionalità se lo Stato di cui si chiede di acquisire la cittadinanza vi consente preventivamente; c) pertanto, i nostri connazionali che in detto periodo si naturalizzino in uno dei Paesi firmatari dell’Accordo possono conservare la cittadinanza italiana previo assenso dei Paesi medesimi; d) secondo l’avviso del citato Dicastero per gli Stati che hanno già proceduto alla denuncia della Convenzione − come Svezia, Germania, Belgio, Francia e Lussemburgo − tale consenso è da considerare già espresso a priori.

Pertanto, i Sindaci sono stati invitati, per gli aspetti di loro competenza, a non procedere alla richiesta di trascrizione nei registri di stato civile delle eventuali attestazioni di perdita del nostro status civitatis ricevute a far data dal 4 giugno 2009.

Infatti, per effetto della suddetta denuncia parziale, i cittadini italiani residenti all’estero che acquistano volontariamente la cittadinanza di uno dei Paesi contraenti (con esclusione di Regno Unito, Irlanda e Spagna che hanno aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione, relativo agli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima e degli Stati che hanno denunciato la Convenzione), non perdono più la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 1 della Convenzione e trova piena applicazione, anche nei loro confronti, l’art. 11 della legge n. 91 del 1992, secondo cui: «il cittadino che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana, ma può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la residenza all’estero».

L’Italia ha inoltre ratificato (legge 14 dicembre 1994, n. 703) il Secondo Protocollo di emendamento alla Convenzione di Strasburgo del 1963, sottoscritto, allo stato attuale, anche dalla Francia e dai Paesi Bassi.

In base a tale Accordo, quando un cittadino di una Parte contraente acquisisce la nazionalità di un’altra Parte contraente sul cui territorio è nato e risiede, oppure vi ha risieduto abitualmente a partire da una data anteriore al compimento del diciottesimo anno di età, ciascuna di queste Parti può disporre che conservi la sua nazionalità d’origine. In caso di matrimonio tra cittadini di Parti contraenti diverse, ciascuna di tale Parti può disporre che il cittadino che acquisisce di sua libera volontà la nazionalità del coniuge, conservi la sua nazionalità d’origine.

Dalla descritta evoluzione riscontratasi a proposito dell’adesione alla Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 si desume che, in ambito UE, si è passati da un iniziale rifiuto ad un sostanziale “non impedimento” della doppia cittadinanza.

La stessa impostazione, del resto, si rinviene, nell’ambito del Consiglio di Europa, nella “Convenzione europea sulla nazionalità”, fatta a Strasburgo il 6 novembre 1997, aperta alla firma degli Stati membri e degli Stati non membri del Consiglio di Europa i quali hanno partecipato alla sua elaborazione e all’adesione degli altri Stati non membri ed entrata, in vigore, in ambito internazionale, il 1° marzo 2000.

Tale Convenzione, infatti: a) prevede casi di nazionalità multipla ex lege...


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Inoltre, va tenuto presente che anche il tema della “cittadinanza europea” si è sviluppato, come complementare o aggiuntivo – e non sostitutivo – rispetto alle varie cittadinanze nazionali, in conformità con quanto stabilito dal Trattato di Maastricht del 1992, che, per primo ha previsto la “cittadinanza europea”, configurandola appunto come complementare rispetto a quella nazionale (vedi art. 17, paragrafo 1, TCE). sia

Tale configurazione è presente anche nella attuale disciplina della “cittadinanza dell’Unione” contenuta nella seconda parte del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), artt. 20-25 nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE (artt. 39 e 46), in base alla quale la cittadinanza della UE è considerata “aggiuntiva” rispetto alla cittadinanza nazionale art. 20 TFUE).

Nello stesso TFUE è stabilito che, l’acquisizione della cittadinanza dell’Unione avviene automaticamente per effetto dell’acquisizione della cittadinanza di uno Stato membro della UE, le cui regole sono fissate discrezionalmente da ciascuno Stato, con la conseguenza che le scelte dei legislatori nazionali vengono ad avere notevoli ripercussioni sulla situazione dei singoli ma anche per l’Unione nel suo complesso.

Infatti, l’acquisto della cittadinanza UE, pur non comportando un ampliamento dei diritti goduti dal titolare all’interno dell’ordinamento nazionale di appartenenza, tuttavia conferisce al titolare una serie di diritti esercitabili sia in ambito UE sia in ambito internazionale:

a) diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali;

b) diritto ad una buona amministrazione;

c) diritto d’accesso ai documenti;

d) diritto di sottoporre al mediatore europeo casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni, organi o organismi della UE;

e) diritto di petizione;

f) libertà di circolazione e di soggiorno;

g) tutela diplomatica e consolare.

 
Per tali ragioni da tempo la Corte di giustizia ha affrontato la questione del “contenuto essenziale dei diritti di cittadinanza UE, sottolineando la necessità del necessario rispetto, da parte degli ordinamenti nazionali, del diritto UE anche con riferimento alla legislazione sulla cittadinanza interna, se si verificano situazioni che hanno riflessi in ambito UE [1].

Ciò è accaduto, una prima volta nella sentenza sul caso Mario Vicente Micheletti e altri c/ Delegación del Gobierno en Cantabria, del 7 luglio 1992, che, anticipando la disciplina prevista nel Trattato di Maastricht al riguardo, ha affermato che la competenza statale in materia di determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza deve essere “esercitata nel rispetto del diritto comunitario”, perché incide sulla portata del contenuto dei diritti di cittadinanza dell’UE.

Lo stesso principio è stato ribadito nella sentenza della CGUE (Grande Sezione) sul caso Janko Rottman c/ Freistaat Bayern del 2 marzo 2010 e, infine, nell’importante sentenza della CGUE (Grande Sezione) sul caso Gerardo Ruiz Zambrano c/ Office national de l’emploi (ONEm), dell’8 marzo 2011, nella quale è stata censurata una situazione di arbitraria privazione “di fatto” – non di diritto – dello status di cittadino UE.

La suddetta problematica si collega a quella del rispetto – da parte degli Stati membri dell’UE – della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e lo Stato di diritto, che sono i valori comuni della Unione, sanciti dall’art. 2 del TUE, sui quali si basa la stessa UE.

Per assicurare il rispetto di questi principi – che è una condizione di appartenenza alla UE – l’art, 7 del TUE e l’art. 354 del TFUE forniscono alle istituzioni UE i mezzi per garantire il rispetto dei suddetti valori da parte di tutti gli Stati membri. L’art. 7 TUE , in particolare, sia un meccanismo di prevenzione, in caso di rischio di una violazione di questi valori comuni da parte di uno Stato membro sia un meccanismo di sanzione in caso di accertata violazione di questi valori.


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Non è questa la sede in cui approfondire tali problematiche, ma il fatto stesso che sia stato “riaperto” un dibattito al riguardo dimostra come la disciplina in materia di acquisto della cittadinanza nazionale da parte degli Stati UE – cui è dedicato il presente approfondimento – pur essendo riservata alla competenza dei singoli Stati, assume sempre maggiore rilievo ai fini del rispetto dei principi fondamentali della UE, con un inevitabile, indiretto ridimensionamento della sovranità nazionale al riguardo.

Per quel che riguarda il presente studio, va precisato, come premessa di carattere generale, tra gli Stati presi in considerazione, la Francia è il Paese nel quale l’acquisto della cittadinanza jure soli è più facilitato, benché sia subordinato alla condizione che anche i genitori dello straniero siano nati in Francia.

Negli altri Paesi, invece, solo la discendenza di sangue permette di acquistare immediatamente la cittadinanza. Tuttavia, benché essere nati nel territorio nazionale non sia mai il criterio unico per ottenere la cittadinanza, anche ai figli di immigrati nati nel Paese straniero è possibile acquistare la cittadinanza di quel Paese, se ricorrono certe condizioni.

In alcuni Paesi, come la Svizzera, i criteri per l’acquisito della cittadinanza jure soli sono estremamente rigidi, sì da comportare una sostanziale inesistenza della suddetta modalità di acquisto della cittadinanza. In altri, come l’Italia...


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Né va omesso di considerare che vi sono notevoli differenze tra i vari Paesi sui tempi di attesa per la verifica delle condizioni previste e l’esame della situazione dei richiedenti.