I procedimenti per l’acquisto della cittadinanza italiana e per l'acquisizione dello status di apolide

Il trattamento degli apolidi

Secondo quanto si desume dall’interpretazione coordinata dell’art. 1, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 e della Convenzione ONU sullo statuto degli apolidi del 28 settembre 1954, ratificata e resa esecutiva con legge 1° febbraio 1962, n. 306, il trattamento giuridico riservato all’apolide è quello di uno straniero extracomunitario, salvo che sia previsto un trattamento diverso o migliore da leggi o da Convenzioni internazionali in vigore in Italia e, in particolare, dalla suindicata Convenzione.

Ne risulta che, per effetto della suddetta combinazione, ogni apolide riceve un trattamento giuridico che per alcuni aspetti è identico a quello previsto nelle medesime condizioni per il cittadino e per altri aspetti è identico a quello previsto per lo straniero.

In particolare, in base alla Convenzione citata, l’apolide riceve:


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b) un trattamento identico a quello previsto per gli stranieri in materia di acquisto o locazione o altri contratti concernenti la proprietà mobiliare e immobiliare (art. 13), diritto di associazione non politica e senza scopo di lucro e di associazione sindacale (art. 15), l’accesso ad ogni forma di lavoro subordinato (art. 17), di lavoro autonomo (art. 18) e di libere professioni (art. 19), edilizia residenziale pubblica e aiuti pubblici in materia di case di abitazioni (art. 21), accesso all’istruzione superiore e ai corsi universitari, incluse le misure del diritto allo studio (art. 22, comma 2), libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato (art. 26).
 

Per effetto del suddetto trattamento l’apolide:
 
1) può ottenere un permesso di soggiorno, valido per lo svolgimento di attività lavorativa, il cui rilascio e rinnovo secondo la prassi avviene previa esibizione della certificazione di apolidia con modalità analoghe a quelle previste per il permesso di soggiorno per attesa del riconoscimento dello stato di apolidia;

2) può, inoltre, mantenere o ristabilire il suo diritto all’unità familiare con cittadini italiani, comunitari o extracomunitari anche chiedendo il ricongiungimento con i propri familiari, con applicazione delle medesime norme applicabili agli stranieri.
 

Peraltro, sotto alcuni profili l’apolide riceve un trattamento analogo a quello previsto per i rifugiati. Infatti:
 
a) in base all’art. 7 della stessa Convenzione, l’apolide, al pari del rifugiato, è dispensato dalla verifica della condizione di reciprocità (di cui all’art. 16 delle preleggi) dopo almeno tre anni di residenza in Italia;

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d) l’art. 32 della Convenzione raccomanda agli Stati di facilitare e accelerare la naturalizzazione degli apolidi, pertanto anche gli apolidi, come i rifugiati, possono chiedere la cittadinanza italiana per naturalizzazione, con tempi dimezzati rispetto a quelli ordinari (cioè dopo 5 anni di residenza in Italia, anziché dopo 10 anni).

 
Per quel che riguarda l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dell’apolide e dei figli dell’apolide, sono previste ulteriori facilitazioni, finalizzate a dare seguito alla suindicata raccomandazione contenuta nella Convenzione in oggetto. Vi è peraltro anche un’altra ipotesi di acquisto della cittadinanza di diritto da parte dell’apolide alla nascita.

In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. b, della legge n. 91 del 1992 attribuisce di diritto la cittadinanza italiana:

  • a chi è nato in Italia da genitori apolidi;

  • al figlio di genitori stranieri che alla nascita in Italia sarebbe apolide perché non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale i genitori stranieri appartengono.


La condizione di apolidia dei genitori deve essere effettivamente attestata o in via giudiziaria o in via amministrativa, secondo la disciplina generale.

In tal modo il soggetto che alla nascita in Italia sarebbe apolide acquista di diritto la cittadinanza italiana, grazie ad una normativa derogatoria rispetto a quella prevista dall’art. 3 del regolamento di esecuzione della legge sulla cittadinanza (d.P.R. n. 572 del 1993)...


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Così come accade per l’acquisto della cittadinanza alla nascita, vi sono altre tutele specifiche della condizione degli apolidi:

1) il diritto di avere dallo Stato assistenza amministrativa, che comporta: a) la sostituzione dello Stato all’apolide nei rapporti con autorità di Stati esteri; b) il rilascio — anche a pagamento, ma con applicazione di una tariffa rapportata al costo delle medesime prestazioni erogate in favore dei cittadini italiani (art. 25) — di certificati e documenti che normalmente dovrebbero essere rilasciati agli stranieri dalle autorità del loro Paese; c) il diritto di ottenere dallo Stato anche l’autorizzazione al trasferimento dei propri averi verso il proprio territorio di riferimento e/o verso il territorio di un altro Stato (art. 30);

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3) diritto ad un regime più favorevole dell’ordinario in materia di espulsione, infatti, in base all’art. 31 della Convenzione, l’apolide può essere espulso soltanto per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale ed in tal caso deve aver tempo di difendersi e farsi difendere di fronte ad un giudice prima che l’espulsione sia eseguita e deve essergli accordato un termine ragionevole per consentirgli di farsi ammettere in un altro Stato, fatta salva la facoltà di applicare misure di ordine interno (presumibilmente per motivi di sicurezza);

4) possibilità di acquisire lo status di rifugiato, in base alla disciplina generale di cui alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e quindi solo se l’apolide è stato costretto ad abbandonare il Paese di residenza per uno dei motivi ivi indicati.



La durata dei procedimenti per l’acquisto della cittadinanza italiana e per la acquisizione dello status di apolide

Attualmente, nella prassi, i tempi di attesa per la conclusione del procedimento diretto all’acquisto della cittadinanza sono molti lunghi e, di solito, molto superiori al termine massimo per la definizione della procedura fissato dalla legge in 730 giorni, pari a due anni.

Va anche tenuto presente che...


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Nei suddetti casi il TAR comunque, si è limitato ad imporre all’Amministrazione di esprimersi con un provvedimento conclusivo, senza tuttavia entrare nel merito della richiesta, la cui valutazione compete all’Amministrazione stessa.

Del resto, come ribadito anche da Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2006, n. 4968 (ivi) « una volta che, nel corso del giudizio è sopravvenuto il provvedimento esplicito dell’Amministrazione, l’accertamento giurisdizionale non può estendersi, nel medesimo procedimento speciale contemplato dall’art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971, alla legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione neppure in vigenza dell’art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 35 del 2005, che, modificando il testo dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, ha espressamente previsto che “il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza”, ostandovi i limiti derivanti dalla domanda formulata con il ricorso introduttivo (volta all’accertamento della illegittimità dell’inerzia) e la specialità della tutela giurisdizionale e dei poteri accordati al giudice amministrativo in materia di inerzia dell’Amministrazione ».

Per il procedimento amministrativo relativo alla acquisizione dello status di apolide è prevista (dalla tabella A allegata al regolamento approvato con d.m. Ministero dell’Interno 18 aprile 2000, n. 142) una durata complessiva molto lunga, perché si stabilisce che debba concludersi entro il termine di 350 giorni ovvero entro il termine di 895 giorni, nel caso in cui il Ministero dell’Interno ritenga necessario attivare una verifica presso il Ministero degli Affari esteri e/o presso la Rappresentanza diplomatica o consolare di uno Stato estero, al fine di stabilire se effettivamente la persona non è più considerata cittadino di quello Stato.

Anche il procedimento giurisdizionale relativo all’acquisizione dello status di apolide risulta...


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Permesso di soggiorno per attesa acquisto o riacquisto cittadinanza e per attesa della concessione dello stato di apolidia

In base all’art. 11, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6...


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Il permesso di soggiorno per attesa di cittadinanza può essere rilasciato a chi ha già attivato la procedura di accertamento del possesso della cittadinanza italiana fin dalla nascita ed è un permesso di soggiorno di tipo piuttosto ambiguo, perché la sua stessa presenza dimostra che l’interessato viene ancora trattato come uno straniero fino a quando non si sarà verificato che è cittadino italiano fin dalla nascita.

Pertanto, se uno straniero titolare del permesso di soggiorno per attesa di cittadinanza vuole svolgere un’attività lavorativa, si pone in una situazione rischiosa per sé ed eventualmente per il datore di lavoro.

Infatti, se l’accertamento della cittadinanza è positivo il possesso dello status di cittadino fin dalla nascita produce effetti retroattivi anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro...


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La questione è stata risolta dalla circolare del 13 giugno 2007, n. con la quale il Ministero dell’Interno ha precisato che la ricevuta della dichiarazione di presenza, resa dagli interessati, può costituire titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro che intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza jure sanguinis.

Le altre condizioni cui è subordinata la presentazione della domanda dell’indicato permesso di soggiorno sono le seguenti: a) iscrizione nel registro delle persone residenti nel Comune italiano in cui si abita e si intende soggiornare in futuro e presentazione ivi della dichiarazione di elezione della cittadinanza italiana ai sensi della legge n. 370 del 14 dicembre 2000 oppure dimostrazione di avere iniziato il procedimento di acquisto della cittadinanza in Italia o all’estero con una dichiarazione dell’autorità consolare italiana; b) possesso di un alloggio in Italia per il tempo di permanenza; c) possesso di mezzi economici sufficienti per mantenersi.

Inoltre, il titolare del permesso per motivo di attesa della cittadinanza ha l’obbligo di iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale (articolo 34, comma 1, lettera b del d.lgs. n. 286 del 1998).

Cass., 3 aprile 2008, n. 8582 ha affermato che...


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TAR Toscana, Firenze, sez. II, 5 luglio 2012, n. 1276 (in www.giustizia-amministrativa.it) ha invece esaminato nel merito il ricorso di uno straniero avverso il decreto del Questore di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per attesa cittadinanza avanzata dal ricorrente, motivata con riferimento alla mancata prova del possesso di redditi adeguati e alla sua irreperibilità al domicilio segnalato all’Autorità di polizia.

Il TAR ha rilevato che dalla documentazione versata in atti emergeva che la Questura non si era avveduta del possesso da parre dello straniero di redditi, superiori ai limiti normativamente fissati, elemento sufficiente a consentire al ricorrente un adeguato sostentamento. Inoltre, la non agevole reperibilità del ricorrente nel luogo di residenza dichiarato doveva considerarsi giustificata dall’attività lavorativa di fantino svolta dallo straniero, tanto più che la sussistenza di tale requisito risultava documentata dal certificato di residenza rilasciato dal Comune competente. Pertanto, il ricorso è stato accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato e salvi gli ulteriori provvedimenti eventualmente adottati dall’Amministrazione.

TAR Piemonte, Torino, sez. II, 25 gennaio 2012, n. 101 (ivi) ha accolto...


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Il TAR, dopo aver sottolineato che tale ultima circostanza rendeva palese la meritevolezza delle argomentazioni della ricorrente, ha accolto il ricorso per il principale assunto secondo cui il rinnovo del titolo di soggiorno richiesto dall’interessata non poteva non considerarsi funzionale al riconoscimento giudiziale di uno status di sua indubbia spettanza, alla luce del principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza 25 febbraio 2009, n. 4466 (in www.Italgiure.giustizia.it), in base al quale: «l’illegittima privazione (della cittadinanza) dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita non volontaria della cittadinanza, dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli art. 3 e 29 Cost.

Ne consegue che la limitazione temporale dell’efficacia della dichiarazione d’incostituzionalità al 1° gennaio del 1948 non impedisce il riconoscimento dello status di cittadino, che ha natura permanente ed imprescrittibile ed è azionabile in sede giudiziaria in ogni tempo, salva l’estinzione per effetto della rinuncia del richiedente. In applicazione di tali principi, quindi, può affermarsi che riacquista la cittadinanza italiana dal 1° gennaio 1948, non solo la donna che l’abbia persa per effetto della norma divenuta incostituzionale, ma anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della legge n. 555 del 1912. Tale diritto si trasmette anche ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione dello status di cittadino, che sarebbe loro spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria» (principio richiamato da Cass., 28 luglio 2009, n. 17548 e da altre successive e/o coeve, in www.Italgiure.giustizia.it).

Per TAR Sicilia...


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In particolare con la citata circolare n. 14 del 2008 il Ministero dell’interno, al fine di semplificare, l’iter che gli ex cittadini italiani devono seguire il riacquisto della cittadinanza perduta ha stabilito che per la relativa domanda e il trasferimento della residenza in Italia, non sia più necessario il possesso di un permesso di soggiorno valido ai fini della iscrizione anagrafica.

Infatti, per effetto della suindicata circolare, chi intende riacquistare la cittadinanza italiana deve seguire la procedura di cui alle circolari ministeriali n. 32 del 13 giugno 2007 e n. 52 del 28 settembre 2007, alla stessa stregua della iscrizione anagrafica del cittadino straniero di ceppo italiano, di cui alla circolare del Ministero dell’interno n. K.28.1 dell’8.4.1991.

Pertanto, ai fini della iscrizione anagrafica per il riacquisto della cittadinanza italiana: a) chi proviene da un Paese dell’area Schengen deve esibire la dichiarazione di presenza resa al Questore entro otto giorni dall’ingresso in Italia; b) chi proviene da un Paese cui non si applica l’accordo di Schengen, deve esibire il timbro Schengen apposto sul documento di viaggio dall’Autorità di frontiera.

A proposito del riacquisto della cittadinanza va considerato che, come reiteratamente affermato in giurisprudenza, «i figli minori di persona che, ai sensi dell’art. 8, n. 1, della legge 13 giugno 1912, n. 555, abbia perduto la cittadinanza italiana, avendo spontaneamente acquistato la cittadinanza straniera e stabilito all’estero la propria residenza...


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Rigetto della domanda di cittadinanza

In linea generale, la domanda può essere rigettata:

  • per motivi inerenti la sicurezza della Repubblica

  • per mancanza del periodo di residenza legale

  • per insufficienza dei redditi del nucleo familiare

  • per presenza di precedenti penali

  • per insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza della lingua italiana.


Mentre, nel caso di cittadinanza per matrimonio, la domanda può essere rigettata solo:

  • per motivi inerenti la sicurezza della Repubblica;

  • per condanna definitiva del richiedente, pronunciata in Italia o all’estero, per reati di particolare gravità.