Il controllo giurisdizionale quale condizione di attribuzione della cittadinanza italiana

Riparto di giurisdizione

In merito ai criteri di ripartizione delle controversie tra i due tipi di giurisdizione di recente TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 novembre 2012, n. 9146 (in www.giustizia-amministrativa.it) ha chiarito che:

1) «nel sistema previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, vi sono, casi in cui la concessione della cittadinanza italiana è configurabile quale potere ampiamente discrezionale, che implica l’accertamento di un interesse pubblico (ad es. all’art. 9, al comma 1, lett. f): in questi casi sussiste una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo tutelabile dinanzi al giudice amministrativo»;

2) «nel caso dell’acquisizione della cittadinanza per matrimonio, disciplinata dall’art. 5 della legge n. 91 del 1992, invece — come affermato, in sede consultiva, da Consiglio di Stato, Ad. Gen., parere 10 giugno 1999, n. 7 (ivi) — “deve ritenersi che il coniuge del cittadino sia titolare — in generale — di un vero e proprio diritto soggettivo all’emanazione del decreto, che affievolisce ad interesse legittimo solo in presenza dell’esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del potere discrezionale di valutare l’esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a detto acquisto” (Cass. SU 27 gennaio 1995, n. 1000, in www.Italgure.giustizia.it)»;

 
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5) «le altre cause preclusive, ivi compresa quella della decorrenza del termine minimo di residenza in Italia in costanza di matrimonio — termine, che come è noto, è stato modificato per effetto della legge n. 94 del 2009, nel senso che è stato sostituito l’attuale termine biennale al previgente termine di sei mesi originariamente previsto dall’art. 5, della legge n. 91 del 1992 — non richiedono invece valutazioni discrezionali da parte dell’Amministrazione, chiamata soltanto a verificare la decorrenza del termine», sicché il relativo esame è devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario.


Il su riportato orientamento è del tutto consolidato nella giurisprudenza, tanto che sulla base di esso è stata di recente adottata dal Ministero dell’Interno la importante direttiva 7 marzo 2012, con la quale è stato disposto il trasferimento ai Prefetti della competenza ad emanare i provvedimenti di acquisto della cittadinanza per matrimonio.

Nella direttiva, muovendosi dalla premessa secondo cui «il consistente e perdurante afflusso di cittadini stranieri nel territorio nazionale ha prodotto, tra gli altri effetti, un sensibile incremento dei procedimenti di conferimento della cittadinanza, sia per matrimonio che per residenza» fenomeno del quale è ragionevole presumere un’ulteriore crescita negli anni a venire, per migliore l’efficacia dell’azione della pubblica amministrazione, si è disposto che:

a) «nessuna variazione di competenza è ipotizzabile in ordine ai decreti di concessione di cui all’art. 9 della legge n. 91 del 1992, caratterizzati da una valutazione discrezionale di opportunità che implica l’accertamento di un interesse pubblico accanto al riconoscimento dell’interesse privato del richiedente allo status civitatis. A tal punto il legislatore ha ravvisato in questo tipo di atti un’espressione della funzione politico-amministrativa da inserirli nel ristretto novero di quelli che, ai sensi dell’art. 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 13, debbono assumere la forma del decreto del Presidente della Repubblica»;

b) «nulla osta, invece, a che i provvedimenti di acquisto o di diniego della cittadinanza jure matrimonii di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 91 del 1992 siano trasferiti alla competenza della dirigenza amministrativa, trattandosi, di regola, di atti privi di valutazione discrezionale e tanto più di valenza “politica”, da emanare una volta accertate la sussistenza o meno dei requisiti prescritti (art. 5 della legge n. 91) e l’assenza o meno di determinati pregiudizi penali (art. 6, lettera a e b, della medesima legge)»;

c) «la competenza rimarrà in capo al Ministro dell’Interno nella sola ipotesi in cui, durante l’istruttoria, vengano in considerazione ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica (art. 6, lettera c, della legge n. 91)».


Nella direttiva si è sottolineata anche la conformità dell’indicato orientamento «alle posizioni già espresse dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria e confermate in sede consultiva», nonché la sua validità «anche alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 94 del 2009 all’art. 5 della legge n. 91».

Da altro punto di vista...


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Le diverse ipotesi di rigetto della domanda di cittadinanza all’esame della giurisprudenza

Ampia discrezionalità

Abbiamo detto che il “diritto vivente” è nel senso dell’ampia discrezionalità del potere di concessione della cittadinanza (salvo il caso dell’acquisto per matrimonio e altri casi residuali). In base a tale diritto vivente è stato affermato che:

1) l’esercizio del suddetto potere «presuppone una valutazione di opportunità che persegue l’interesse pubblico costituito dall’evitare che l’introduzione a titolo stabile di un soggetto nell’ordinamento nazionale non procuri a detto ordinamento danni o lacerazioni, per cui, al di là del possesso di certi requisiti formali (assenza di precedenti, vita irreprensibile, reddito sufficiente) è data all’amministrazione la possibilità di valutare nel complesso il grado di impatto che con l’ordinamento la concessione della cittadinanza italiana ad uno straniero avrebbe o potrebbe avere» (vedi, per tutte: Cons. Stato, sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3907, che ha riformato TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 3 luglio 2003, n. 1041, ivi);


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5) l’Amministrazione dispone di una sfera di discrezionalità, relativa all’esame dei relativi presupposti, indicati dall’art. 6 della stessa legge n. 91, ed in particolare dalla lettera c), in ordine a requisiti necessari ed a cause ostative, discrezionalità la quale non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità, circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale (Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913 e TAR Liguria, Genova, sez. II, n. 1747 del 2005; Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 52; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, n. 902 del 2009, ivi);

6) poiché il provvedimento di diniego di concessione della cittadinanza italiana è altamente discrezionale (trattandosi di concessione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91 del 1992), pertanto esso è sindacabile nei soli casi di palese incongruità del processo valutativo, o di erronea conoscenza della situazione di fatto, nonché nei casi di palese irragionevolezza o di evidente abnormità e quindi, sotto il profilo dell’eccesso di potere (Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4118, ivi);

7) conseguentemente, «è inficiato dal vizio di eccesso di potere il provvedimento recante il diniego opposto all’istanza di naturalizzazione italiana promossa ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91 del 1992, il cui supporto istruttorio non appaia completo per essere stati trascurati alcuni elementi positivi a sostegno della predetta istanza, dando prevalenza ad unico dato negativo». Pertanto, è stato annullato il provvedimento di rigetto dell’istanza di naturalizzazione italiana avanzata dal ricorrente, giacché l’Autorità procedente aveva del tutto ignorato il parere ampiamente favorevole espresso dal competente Commissario del Governo a sostegno della suddetta, a fronte di asseriti «elementi tali da non ritenere opportuna la concessione della cittadinanza» che, in realtà, erano rappresentati da un unico elemento, consistente in un decreto penale di condanna emesso nei confronti del ricorrente per la commissione di una contravvenzione, ovvero per la guida in stato d’ebbrezza (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1037, ivi).;


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Indipendenza economica

Riguardo all’indipendenza economica, il parametro assunto per ogni singolo individuo è quello fissato per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (stabilito con decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382 convertito dalla legge n. 8 del 1990), che dovrà essere al lordo non inferiore a 8.263,31 euro per il richiedente che non abbia familiari a carico, 11.362,05 euro se invece vi è il coniuge a carico, aumentato di 516,5 euro per ogni figlio o altro familiare a carico. I redditi dichiarati saranno oggetto di verifica (“attualizzazione”) al momento di perfezionamento dell’iter come espressamente afferma la circolare del Ministero dell’Interno K.60.1 del 5 gennaio 2007. Se, infatti, il reddito considerato non fosse sufficiente al momento della richiesta, ma lo diventasse nel corso degli anni di durata della procedura, si terrà conto del miglioramento economico.

Con la stessa circolare il Ministero ha chiarito inoltre che il richiedente, pur sprovvisto di reddito proprio, potrà presentare l’istanza allegando le dichiarazioni dei redditi del familiare di cui si è fiscalmente a carico (il figlio nei confronti del genitore, il coniuge nei confronti dell’altro coniuge, ecc.). Sul punto è intervenuto anche Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1175


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In tale ottica, non può ritenersi censurabile che — in assenza di particolari benemerenze, che possano compensare l’insufficienza del reddito dichiarato — detta insufficienza possa costituire causa ex se del diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo ben integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro: situazione la cui persistenza, comunque, è assicurata dalla carta di soggiorno».

Analogamente, Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766 (ivi) ha sottolineato che: «la verifica della Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento dell’istante non è soltanto funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale; ma è anche funzionale all’accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere i ricordati doveri di solidarietà sociale, rappresentati dal concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali» (riforma di TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 6387 del 2004, ivi).

Diversamente per Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2008, n. 3149 (ivi) «è illegittimo il diniego di concessione della cittadinanza italiana opposto ad uno straniero in ragione dell’esiguità del reddito denunciato, ove detto reddito sia pari a quello dei metalmeccanici e quindi obiettivamente adeguato a garantire un’esistenza libera e dignitosa» (riforma TAR Veneto, sez. III, n. 3461 del 2003, ivi).

In un’ottica analoga Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2001, n. 3829 (ivi) ha affermato che: «al fine della concessione della cittadinanza ben possono avere rilievo considerazioni di carattere economico patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza, non è però necessaria la percezione di un reddito di carattere retributivo o “stabile” essendo sufficiente provare il possesso di mezzi di sussistenza idonei».

In sintesi l’orientamento prevalente...


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Peraltro il reddito prodotto dal richiedente è sicuramente autocertificabile mentre il reddito prodotto dai familiari va documentato idoneamente.


Precedenti penali

Secondo Cass., civ. 22 novembre 2007, n. 24312 (in www.Italgiure.giustizia.it) «l’effetto preclusivo dell’acquisto della cittadinanza, che l’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 91 del 1992 ricollega alla condanna per un delitto non colposo per il quale la legge prevede una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione dipende non dalla mera irrogazione della sanzione penale, bensì dall’accertamento della responsabilità e dal giudizio di colpevolezza, e, quindi, non può derivare dalla pronuncia della sentenza di applicazione della pena ...


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Per TAR Lazio, Roma, sez.II, 13 novembre 2012, 9323 (ivi) «se in linea generale ed astratta si può ammettere che la commissione di reati, anche di lieve entità, assuma valore sintomatico dell’attitudine dell’istante ad infrangere la legge per superare i disagi connessi alla mancanza di adeguate fonti di reddito — circostanza che costituisce, di per sé, sufficiente motivo ostativo al conseguimento dell’acquisto dello status di cittadino che comporta non solo diritti, ma anche doveri, tra cui quello di contribuire al progresso anche economico del Paese e di assumersi obblighi si solidarietà economica e sociale nei confronti della collettività di nuova appartenenza — e quindi possa costituire un elemento negativo nella valutazione del requisito dell’illesae dignitatis; dall’altro lato ciò non esime l’Amministrazione...


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Conseguentemente, è stato accolto il ricorso avverso il provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza motivato con riferimento ad un reato contro il patrimonio per il quale vi era stata pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell’art. 445, secondo comma, cod. proc. pen.


Motivi inerenti la sicurezza della Repubblica

Per Cons. Stato, sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 5103 e Cons. Stato, sez. VI, 3 settembre 2009, n. 5190 (ivi) «poiché l’art. 6 della legge n. 91 del 1992, recante nuove norme sulla cittadinanza, ha previsto che l’acquisto della cittadinanza italiana...


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Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1173, cit. ha affermato che: «al soggetto titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato e legalmente residente in Italia da oltre dieci anni può essere negata la concessione della cittadinanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, atteso che l’interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino con potere ampiamente discrezionale, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante, non solo sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del Paese stesso, ma anche per quanto attiene alle frequentazioni del soggetto interessato, quando tali frequentazioni appaiano rilevanti sul piano della pubblica sicurezza» (riforma TAR Liguria, Genova, 2 luglio 2003 n. 829, ivi).