Attribuzione della cittadinanza italiana agli apolidi

La particolare situazione degli apolidi

È bene tenere presente che, per quel che riguarda l’acquisto della cittadinanza, una situazione molto delicata e particolare è quella degli apolidi, la cui condizione di grande criticità deriva dal fatto che si tratta di persone che “nessuno Stato, in base al proprio ordinamento giuridico”, considera come propri cittadini (secondo la definizione di apolidia contenuta nell’art. 1 della Convenzione ONU relativa allo status degli apolidi, firmata a New York il 28 settembre 1954, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 1 febbraio 1962, n. 306).

Ciò comporta sia che la condizione degli apolidi abbia una specifica regolamentazione non solo nell’ambito del diritto internazionale, ma anche nel diritto UE e nel diritto interno sia che la disciplina interna dell’apolidia, nei diversi Stati UE e quindi anche in Italia, sia estremamente problematica, tanto dal punto di vista sostanziale quanto dal punto di vista processuale.


Normativa processuale

Con riguardo al riparto di giurisdizione, l’interessante e articolata Cass., SU 9 dicembre 2008, n. 28873 (in www.Italgiure.giustizia.it) ha affermato che: «nel giudizio contenzioso relativo alla domanda volta ad ottenere l’accertamento dello stato di apolidia, di cui alla Convenzione di New York del 28 settembre 1954 ed all’art. 17 d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 − che appartiene alla giurisdizione del giudice civile ordinario, trattandosi di un procedimento sullo stato e capacità delle persone, attribuito in via esclusiva al tribunale dall’art. 9 cod. proc. civ., nonché relativo ad un diritto civile e politico, la cui tutela è sempre ammessa ex art. 113 cost. davanti al giudice ordinario − sussiste la legittimazione passiva del Ministero dell’Interno, in quanto lo straniero fa valere nel processo un diritto che gli può essere riconosciuto anche in via amministrativa da detto Ministero, il quale, dunque, da una ricognizione giudiziale dell’apolidia, può restare vincolato a certificarla». Inoltre, «è ricorribile con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., il decreto con cui la Corte di appello abbia dichiarato improponibile, in fase di gravame, il ricorso proposto per l’accertamento dello stato di apolidia, poiché si tratta di procedimento contenzioso volto all’accertamento di uno stato personale, relativo a posizioni soggettive con natura di diritti, che si conclude con una pronuncia che ha natura decisoria e definitiva, anche se emessa rebus sic stantibus».

A proposito di tale ultima affermazione, va tenuto presente che...


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L’importante Cass., 4 aprile 2011, n. 7614 (ivi) ha, poi, chiarito che: «le controversie riguardanti lo stato di apolide, in difetto di diversa esplicita previsione del legislatore, devono essere proposte e decise nel contraddittorio con il Ministro dell’Interno, nelle forme dell’ordinario giudizio di cognizione e non in quelle del rito camerale davanti al tribunale» (in senso conforme: Cass., 23 gennaio 2012, n. 903, ivi).

Nella stessa ottica garantista, Cass., 27 febbraio 2008, n. 5212 (ivi) ha affermato la nullità della notifica del ricorso finalizzato al riconoscimento dello stato di apolide compiuta direttamente al Ministero dell’Interno anziché presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, perché «la notificazione dell’atto introduttivo di un giudizio eseguita direttamente all’Amministrazione dello Stato e non presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, nei casi nei quali non si applica la deroga alla regola di cui all’art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, non può ritenersi affetta da mera irregolarità o da inesistenza, bensì − secondo quanto disposto dalla citata norma − da nullità, ed è quindi suscettibile di rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. ovvero di sanatoria nel caso in cui l’Amministrazione si costituisca».


Normativa sostanziale

Come si è detto, con la legge 1° febbraio 1962, n. 306, l’Italia ha reso esecutiva la Convenzione di New York del 28 settembre 1954 sugli apolidi.

All’atto della ratifica l’Italia aveva posto numerose riserve molte delle quali sono state ritirate, nel corso degli anni, mentre sono tuttora operanti le riserve agli artt. 17 (lavoro subordinato) e 18 (lavoro autonomo), sicché le rispettive disposizioni sono considerate dal Governo italiano come semplici raccomandazioni.

L’art. 1 della Convenzione, dopo la precisazione che con il termine “apolide” designa la condizione di una persona che “nessuno Stato considera come proprio cittadino”, esclude dall’ambito di applicazione della Convenzione stessa:


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Si distinguono due tipi di apolidia:

1) originaria, propria di chi fin dalla nascita la persona risulta essere apolide;

2) successiva, propria della persona che perde la cittadinanza che aveva in precedenza senza avere o acquisire la cittadinanza di un altro Stato, a causa di una manifestazione di volontà propria o altrui o di una nuova normativa o comunque di un atto dei pubblici poteri.

 
Gli apolidi residenti in Italia, negli ultimi anni, ammontano a circa 800 persone per anno, ma secondo l’UNHCR «nel mondo ci sono all’incirca 12 milioni di persone prive di qualsiasi diritto di cittadinanza, per questo maggiormente esposte ad abusi e discriminazioni», che formano «il popolo degli apolidi, ombre umane che hanno estremo bisogno di aiuto vivendo in un limbo legale che spesso si trasforma in vero e proprio incubo».

L’UNHCR sottolinea come...


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Analogamente, il sanguinoso conflitto interetnico del Ruanda ha determinato molti casi di apolidia per effetto della deliberata distruzione degli atti dello stato civile, finalizzata ad alterare la composizione etnica dei luoghi e costringere i fuggitivi a non avere più documenti utili a consentirne il rientro.

Ne consegue che spesso la situazione di apolidia (successiva) deriva da ragioni politiche.

Va però precisato che i casi di apolidia di fatto, che riguardano le persone cui è negata la protezione dallo Stato di cui sono cittadini non rientrano tra i casi di apolidia in senso proprio, bensì tra i casi meritevoli di protezione internazionale, da riconoscere nelle due forme alternative dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria.

Vi sono, inoltre, ordinamenti giuridici che, quanto alla possibilità di mantenere e trasmettere la cittadinanza, discriminano in particolare le donne. Basta pensare che in Egitto, Turchia, Indonesia e Kenya solo di recente si è cominciato ad affrontare il problema della trasmissibilità della cittadinanza anche da parte della madre o quello relativo allo status della donna sposata con uno straniero, la quale in caso di divorzio è esposta al rischio di diventare apolide.

Da tempo la comunità internazionale avverte l’esigenza di ridurre o escludere il più possibile i casi di apolidia e la legislazione italiana si è adeguata a tale indirizzo.

Del resto, tutte le norme internazionali, comunitarie e nazionali che disciplinano la protezione internazionale o umanitaria estendono espressamente il rispettivo ambito di applicazione anche agli apolidi.

In particolare, la condizione degli apolidi, come si è detto, ha una regolamentazione ad hoc:

a) nell’ambito del diritto internazionale...


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Va, però, osservato che la disciplina nazionale italiana è molto scarna e pone notevoli problemi di interpretazione con riferimento a molteplici aspetti, a partire dal procedimento da seguire per ottenere l’accertamento dello status di apolide.

Secondo la tesi prevalente tale accertamento può essere chiesto sia in sede amministrativa, sia in sede giudiziaria, sicché il procedimento giurisdizionale è considerato dalla giurisprudenza maggioritaria come alternativo e non come successivo al procedimento amministrativo, anche se non mancano pronunce di giudici di merito che hanno escluso che l’accertamento in parola possa essere richiesto direttamente in sede giudiziaria.


Accertamento dello status di apolide in via amministrativa

Prima del 1993, non vi era alcuna disposizione che regolasse il procedimento amministrativo per l’accertamento dello status di apolide. Solo con l’emanazione dell’art. 17 del d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 (Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza) sono stati disciplinati alcuni aspetti del suddetto procedimento ed è stata attribuita al Ministero dell’Interno − Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione la competenza a certificare lo status di apolidia della persona residente nel territorio italiano.

In base alla suddetta disposizione il soggetto interessato è tenuto a presentare apposita istanza corredata dalla seguente documentazione:

  • atto di nascita

  • documentazione relativa alla residenza in Italia

  • documentazione idonea a dimostrare lo stato di apolide ovvero attestazione rilasciata dall’Autorità consolare del Paese di origine o, eventualmente, anche del Paese di ultima residenza dell’interessato da cui risulti che il medesimo non è in possesso di alcuna cittadinanza.


I documenti stranieri devono essere debitamente legalizzati e tradotti. Il Ministero dell’Interno può richiedere, a seconda dei casi, altri documenti all’interessato.


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Nulla si prevede invece per chi sia giunto in Italia quando già si trovava in condizione di apolide, anche se costui potrebbe chiedere ed ottenere la protezione internazionale e/o umanitaria.


Accertamento dello status di apolide in via giurisdizionale

In assenza di una specifica disciplina di tipo normativo, la soluzione delle diverse problematiche di diritto sostanziale e di diritto processuale è affidata all’elaborazione giurisprudenziale.

Non sono sorti problemi in merito alla devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie relative allo status di apolide, tuttavia si è molto dibattuto in merito alla scelta del rito applicabile: se il rito ordinario dei procedimenti di cognizione oppure il rito camerale o anche il rito previsto per le domande di protezione internazionale.

La Corte di cassazione ha, di recente, risolto tale questione nel senso dell’applicazione delle norme dell’ordinario giudizio di cognizione e non del rito camerale davanti al tribunale né del rito per la protezione internazionale, con le relative previsioni di deroga alla ordinaria competenza per territorio (Cass., 4 aprile 2011, n. 7614 e Cass., 23 gennaio 2012, n. 903, entrambe cit.).

A tale ultimo riguardo nelle citate pronunce la Corte di cassazione, in motivazione, ha chiarito che:

1) la legge 5 febbraio 1992, n. 91 menziona lo status di apolide equiparandolo a quello del cittadino straniero ai fini dell’acquisizione della cittadinanza e ad esso impone, ove residente, l’osservanza della legge italiana e ad esso attribuisce i diritti civili (art. 16, comma 1);

2) il riconoscimento dello status promana dalla sussistenza delle situazioni indicate nella Convenzione e viene “attestato” da decreto del Ministro dell’Interno (art. 17 del d.P.R. n. 572 del 1993, regolamento di attuazione della legge n. 91 del 1992), che è il necessario ed esclusivo contraddittore in ordine alle domanda di riconoscimento dello stato in discorso (vedi Cass., S.U. n. 28873 del 2008);

3) le controversie sull’acquisto della cittadinanza spettano, come è noto, trattandosi di stato della persona, al tribunale in sede di ordinaria cognizione (art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.) e la previsione di cui all’art. 742-bis cod. proc. civ. non si può intendere come estensiva del rito dalle controversie sullo stato delle persone nominate al titolo secondo del libro quarto cod. proc. civ. a tutte quelle appartenenti ad un indeterminato genus di “famiglia e stato”;

4) l’art. 742 bis cod. proc. civ., infatti, laddove stabilisce che...

 
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9) sulla questione del rito camerale per la controversia in esame non appare poi corretto richiamare, in favore della tesi del ricorrente, precedenti di questa Corte, dato che: a) la decisione delle S.U. n. 28873 del 2008 si è limitata a ritenere ammissibile il ricorso in sede di legittimità avverso il decreto emesso in sede camerale contenziosa (non essendo stato prospettato alcun problema di legittimità di tale procedimento); b) di contro, l’unica decisione assunta in un procedimento nel quale la questione del rito venne posta dall’Amministrazione (Cass., 27 febbraio 2008, n. 5212, cit.) ha ritenuto assorbente l’accoglimento del diverso motivo che prospettava la nullità della decisione per essere stata la notifica dell’atto effettuata nei confronti del Ministero e non ai sensi dell’art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933.

Per quel che riguarda l’onere della prova, in teoria l’apolide dovrebbe dimostrare di non essere cittadino di nessuno dei numerosissimi Stati esistenti al mondo, la giurisprudenza, tuttavia, ritiene sufficiente che egli provi di non essere cittadino di quegli Stati con i quali ha intrattenuto rapporti significativi.


In particolare si ritiene sufficiente che l’interessato dimostri, a seconda dei casi:

  • di non avere acquistato né la cittadinanza dello Stato di ultima residenza, né la cittadinanza italiana;

  • di avere perso la cittadinanza dello Stato di origine e quella dello Stato di ultima residenza.


Nella descritta situazione il procedimento da seguire resta lungo e complesso sicché a volte risulta più facile e sicuro intraprendere la strada della richiesta della cittadinanza italiana per la quale, come diremo più avanti, sono anche previsti termini più brevi.

Comunque, secondo un certo indirizzo, nel caso in cui l’apolide non sia in possesso di permesso di soggiorno, non dovrebbe attendere la pronuncia del giudice per ottenerlo, ma potrebbe, sin dall’atto introduttivo del giudizio, formulare una contestuale istanza volta ad ottenere l’emissione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. per ottenere il rilascio da parte della Questura di un permesso di soggiorno “provvisorio” in attesa della definizione del giudizio, fornendo la prova del grave danno che l’istante subisce, prova che si configura come molto semplice, posto che chi non ha permesso di soggiorno non può lavorare e dunque avere mezzi di sussistenza.

Tuttavia, si osserva, che ...


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Per le suesposte ragioni in molti dei giudizi civili instaurati in materia la richiesta di un provvedimento cautelare avanzata dall`attore è stata rigettata dal giudice con le motivazioni più varie.

Di recente, però, Trib. Roma, sez. I civile, ordinanza del 6 luglio 2012, nel corso di un giudizio instaurato da una ex cittadina cubana per ottenere il riconoscimento dello status di apolide, ha, con un provvedimento d’urgenza, ordinato alla Questura di rilasciare alla richiedente un permesso di soggiorno provvisorio nelle more del giudizio, indispensabile per procurarsi legalmente i mezzi di sostentamento attraverso lo svolgimento di una attività lavorativa.

Il Tribunale nel provvedimento ha altresì sottolineato che — a differenza di un “qualsiasi” cittadino straniero extracomunitario clandestino che sceglie la propria condizione di clandestinità e può porvi rimedio rientrando nel proprio Paese — un apolide di fatto non può stare in Italia legittimamente, ma non può nemmeno espatriare, né può tornare nel proprio Paese di provenienza, che non lo riconosce. Inoltre, la legge italiana prevede che chi non è titolare di alcun permesso di soggiorno valido debba essere espulso, ma l’apolide di fatto non potrebbe mai essere espulso, poiché il suo Paese di origine non lo riconosce come proprio cittadino.

A seguito di un eventuale controllo di polizia dunque...


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E questa situazione potrebbe riprodursi all`infinito