Cittadinanza e integrazione: dinamiche di sviluppo

I molteplici legami tra le migrazioni e lo sviluppo

Dai dati EUROSTAT degli ultimi due anni, risulta che, in termini assoluti, il numero più elevato di stranieri residenti nell’UE si registra in Germania, Spagna, Regno Unito, Italia e Francia. Gli stranieri residenti in questi cinque Stati membri rappresentano complessivamente il 77,4 % del totale di stranieri nell’UE-27, mentre gli stessi cinque Stati membri hanno una quota del 62,8 % dell’intera popolazione dell’UE-27 [1].

Tuttavia, mentre in alcuni Stati gli immigrati sono prevalentemente della medesima etnia – come, ad esempio, accade in Germania, ove l’immigrazione è prevalentemente turca – in altri Stati ciò non accade, così in Italia si stima che l’immigrazione provenga da 192 Paesi diversi e ciò rappresenta un elemento molto significativo di diversificazione, soprattutto nell’ottica dell’integrazione.

Deve essere comunque ricordato che, dai dati mondiali sulle migrazioni internazionali presentati dalla Divisione delle statistiche (United Nations Statistics Division, UNSD) dall’ONU nel febbraio 2012 e pubblicati dal Centro Studi di Politica Internazionale, su una popolazione mondiale pari a 6,9 miliardi di abitanti, i migranti internazionali risultavano pari a 214 milioni, corrispondenti al 3,1% del totale.

La maggioranza dei migranti vive nei Paesi con economie sviluppate (il 59,7%), ciò dipende sia dalle maggiori prospettive di benessere e lavoro esistenti in quei Paesi sia dalla significativa presenza di migrazioni interne alle Regioni del mondo economicamente più ricche (l’Europa, anzitutto), nelle quali spostarsi è più facile che altrove.

Pertanto, risulta «sbagliato pensare che, dal momento che il maggior numero di migranti vive nel “Nord” del mondo, chi emigra dal “Sud” vada soprattutto verso le economie ricche».

Infatti, se è indubbio che la pressione a spostarsi è maggiore nei Paesi del Sud — tanto che «146,3 milioni di migranti internazionali (il 68,4% del totale) risultano originari del Sud del mondo, rispetto ai 67,6 milioni (il 31,6%) originari del Nord» — però, «le migrazioni Sud-Sud sono frequenti almeno quanto quelle Sud-Nord: 73,6 milioni di migranti vanno da Paesi in via di sviluppo verso altri Paesi in via di sviluppo, mentre 72,7 milioni vanno verso economie sviluppate».

Viceversa, «nelle economie sviluppate ... le dinamiche dei flussi avvengono soprattutto all’interno delle economie ad alto reddito: complessivamente 55 milioni vanno da Nord a Nord e “solo” 12,6 milioni di migranti si spostano dal Nord al Sud del mondo».

Da una analisi più ravvicinata dei “corridoi regionali” l’UNSD si rileva che vi sono notevoli differenze:

  • l’Europa è la principale destinazione dei movimenti migratori che partono dall’Europa stessa: nel continente su 60,7 milioni di persone che emigrano (che rappresentano il 28,4% dei migranti nel mondo), ben 38,5 milioni vanno all’interno della stessa regione (pari al 63,4% del totale);

  • l’Asia è invece la regione da cui parte il maggior numero di migranti al mondo: 83,4 milioni di persone, pari al 39% dei migranti internazionali, di cui 48,2 milioni (pari al 57,8% dei migranti asiatici) vanno in Paesi all’interno della stessa regione. Per il resto del mondo, l’Asia è un polo di maggiore attrazione rispetto all’Europa: complessivamente, infatti, dal resto del mondo arrivano 35,2 milioni di persone (mentre i migranti internazionali non europei che vanno in Europa sono 22,2 milioni di persone);

  • il Nord America è la regione che, proporzionalmente alla popolazione che vi abita, mostra meno propensione ad emigrare: solo 3,8 milioni di persone emigrano internazionalmente, di cui quasi 1,4 milioni di persone (pari al 35,7% dei nord-americani che emigrano internazionalmente) restano nella stessa regione”.


Si precisa che «ovviamente, questi dati non includono la grande mobilità interna agli Stati Uniti, che avviene nell’ambito di uno Stato federale, mentre le migrazioni intra-europee rientrano nella categoria delle migrazioni internazionali, non essendo l’Europa uno Stato federale.»

Analogamente, per quanto riguarda l’Asia, si specifica che nei suddetti dati “non sono considerate migrazioni quelle che si verificano all’interno della Cina, che superano il totale delle migrazioni internazionali”.

Si sottolinea, inoltre, che anche a causa dei problemi connessi con la struttura demografica della Cina — con uno squilibrio del numero di nati maschi rispetto alle femmine...


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Nel volume, infatti, muovendosi dai numerosi e vari legami tra migrazioni e sviluppo, si auspica che per la prima volta le migrazioni siano esplicitamente inserite nell’agenda di sviluppo per il post-2015, con una forte discontinuità rispetto all’agenda degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG), che non contemplava obiettivi, traguardi specifici e relativi indicatori in materia.

Si sottolinea che tanto le migrazioni quanto lo sviluppo sono fenomeni e processi complessi e multidimensionali e che le migrazioni dipendono anzitutto dalla ricerca di lavoro, da conflitti politici ed etnici, dalla violazione dei diritti umani, da processi lenti e incerti di democratizzazione, dalla mancanza di sicurezza umana, da cause sociali ed economiche come la povertà, la disoccupazione e le disuguaglianze, da problemi ambientali e geografici, da tradizioni storiche e da condizioni sanitarie e demografiche.

A seconda della motivazione che è alla base della migrazione si è soliti parlare, rispettivamente, di “migranti forzati”, che sono costretti ad espatriare per ragioni politiche o per disastri naturali etc. e di “migranti economici”, che espatriano volontariamente alla ricerca di migliori condizioni di vita.

Tali realtà non sono oggi così distinte perché le migrazioni includono fenomeni diversi – in parte tradizionali e in parte nuovi – che coesistono, dove le condizioni strutturali interagiscono con scelte a carattere volontario che a loro volta si abbinano a quelle forzate da guerre, persecuzioni e catastrofi naturali. Si tratta di scelte individuali che molto spesso coinvolgono decisioni familiari, di gruppo e che si legano alle specificità delle relazioni di genere presenti in ogni dato contesto.


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Ne consegue che è bene tenere presente che, soprattutto negli ultimi anni, per i migranti non è più l’Europa la meta maggiormente “attraente” − a causa sia delle criticità del sistema Dublino fortemente sbilanciato sulle politiche securitarie sia del ripiegamento della UE sui propri problemi interni, accentuatosi con la crisi economico-finanziaria non ancora superata − perché è noto che spesso qui le speranze di chi è riuscito ad arrivare mettendo a rischio la propria vita si infrangono contro i muri della detenzione, dei respingimenti, della povertà estrema e della marginalizzazione.


Alla ricerca di un più elevato HDI-Human Development Index

Fatta questa premessa si deve anche tenere presente che tutti i migranti, che non hanno altra scelta che lasciare il proprio Paese e costruire una nuova vita altrove, cercano di farlo in un luogo dove non gli sia garantita soltanto la sopravvivenza fisica, ma dove gli siano riconosciuti anche la possibilità di esercitare i diritti fondamentali e civili nonché una adeguata assistenza.

Del resto, così come i migranti economici interessati ai programmi di RVA per fare ritorno dal nostro ai Paesi di origine principalmente del Sud America le cui economie sono in espansione, analogamente questi nuovi potenziali immigrati vanno alla ricerca non solo di una sistemazione...


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Dallo studio risulta quanto segue:

1) «nell’Unione europea, al 1° gennaio 2011, gli stranieri residenti erano 33,3 milioni (incidenza media del 6,6% sulla popolazione residente con un aumento annuale di circa 800 mila unità)»;

2) alla fine dello stesso anno «gli immigrati regolarmente presenti in Italia sono 5 milioni e 11 mila, 43 mila in più rispetto alla stima fatta nel 2010»;

3) «alcuni Stati membri si accingono ad attuare, o hanno già attuato, modifiche alle rispettive politiche migratorie: la Danimarca è orientata ad abolire il sistema a punti attualmente in vigore per ottenere il soggiorno a tempo indeterminato; la Polonia, a fronte di un esodo in diminuzione, sta conoscendo un maggior afflusso di immigrati, specialmente dai Paesi vicini; in Spagna i cittadini stranieri irregolari (circa 150 mila secondo le stime) sono stati privati, non senza polemiche, della copertura del Servizio sanitario nazionale»;

4) «gli stranieri residenti, inclusi i comunitari che costituiscono la maggioranza (60%), sono 33,3 milioni (800mila in più rispetto all’anno precedente), per i tre quarti concentrati in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna», però in quest’ultimo Paese, come anche in Portogallo e in Irlanda, il loro numero è ultimamente diminuito;

5) «nel mese di giugno 2012 il Consiglio dei Ministri dell’Interno dell’Area Schengen, preoccupato per i flussi dell’ultimo periodo (Nord Africa), ha deciso di modificare il Trattato e di reintrodurre i controlli alle frontiere in caso di pressioni straordinarie (scelta tuttavia criticata dal Parlamento europeo e dalla Corte europea dei diritti umani)»;

6) «nel 2010 nella UE i cittadini stranieri, comunitari inclusi, sono stati un sesto di tutti i migranti del mondo»;

7) «se ad essi si aggiungono altri 16,6 milioni di persone di origine straniera diventati nel corso degli anni titolari della cittadinanza del posto in cui si sono stabiliti, sono circa 50 milioni i residenti nati all’estero, un decimo della popolazione comunitaria»;

8) «al di là dei numeri, i migranti sono certamente una risorsa per le diverse economie nazionali ed un sostegno per i Paesi di partenza: un dato fra tutti, i circa dieci milioni di lavoratori filippini che con le loro rimesse incidono per il 12% sul PIL del loro Paese»;

9) «infatti, anche nell’attuale congiuntura la forza lavoro immigrata continua a svolgere un’utile funzione di supporto al sistema economico-produttivo nazionale per la giovane età, la disponibilità e la flessibilità, caratteristiche che, purtroppo, spesso si traducono in forme più o meno gravi di sfruttamento»;

10) i “migranti forzati” nel 2011 sono stati 42,5 milioni, di cui 15,2 milioni i rifugiati e 26,4 gli sfollati interni;

11) «nello stesso anno sono state presentate 895mila domande di asilo (primo Paese gli Stati Uniti con 76mila casi): di esse, 277mila sono state presentate nell’UE, con 51mila casi in Francia (primo Paese) e 37.350 in Italia»;

12) in Italia le domande sono state presentate in prevalenza da persone provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa: quasi un terzo (30%) delle domande prese in esame (24.150) è stato definito positivamente (una su tre ha riguardato il riconoscimento dell’asilo e le altre la protezione sussidiaria o umanitaria, per un totale di 7.155).


Come si è detto, peraltro, gli stessi flussi migratori cercano di indirizzarsi verso gli Stati più “sicuri”, determinati in base alla qualità della vita offerta agli immigrati. Ebbene, anche in ambito europeo, essendo ancora irrealizzata l’armonizzazione dei sistemi — che comporta un livello paritario di accoglienza, tutela, qualifiche, procedure tra tutti i Paesi UE — il tasso di riconoscimento di una qualche forma di protezione internazionale varia notevolmente fra i diversi Paesi e ciò spiega perché alcuni Paesi siano preferiti rispetto ad altri.

Va anche considerato che la maggior parte degli immigrati aspira all’integrazione nel Paese in cui vive e se una delle motivazioni più forti per il radicamento degli stranieri...


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Tale modifica, però, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 245 del 2011.

La Corte ha ritenuto che la norma incidesse in modo sproporzionato e irragionevole sul godimento del diritto fondamentale dello straniero di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 Cost., ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della CEDU.

In proposito la Corte costituzionale ha ricordato che la Corte di Strasburgo, esaminando la normativa del Regno Unito in tema di capacità matrimoniale degli stranieri (sentenza 14 dicembre 2010, O’Donoghue and Others v. The United Kingdom), ha affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza). Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio, è lesiva del diritto di cui all’art. 12 della Convenzione.

Tale ultima evenienza, secondo il Giudice delle leggi, ricorreva anche nel caso previsto dalla norma di modifica censurata, giacché il legislatore – anziché rendere più agevole le condizioni per l’accertamento del carattere eventualmente “di comodo” del matrimonio di un cittadino con uno straniero – aveva dato vita, appunto, ad una generale preclusione a contrarre matrimonio a carico di stranieri extracomunitari non regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.

Va, peraltro, ricordato, sul punto l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo cui «in tema di disciplina dell’immigrazione, ai sensi degli artt. 19 e 30, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, il matrimonio con un cittadino italiano in tanto conferisce allo straniero il diritto al soggiorno in Italia, sia ai fini del rilascio del relativo permesso che ai fini del divieto di espulsione, in quanto ad esso faccia riscontro l’effettiva convivenza...


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b) Cass. 27 luglio 2010, n. 17571 ha soggiunto che «la sopravvenuta cessazione della convivenza coniugale, non determinata da separazione legale e di contro accompagnata da elementi sintomatici della inesistenza iniziale della affectio propria della “coniugio”, integra ragione di revoca del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 30, comma 1-bis del d.lgs. n. 286 del 1998».



L’acquisto della cittadinanza come massimo strumento di integrazione

uesta è complessa e variegata cornice in cui va collocato l’esame delle legislazioni degli Stati UE in materia di acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri.

Da un recente studio effettuato da EUDO CITIZENSHIP − intitolato ACIT-Access to Citizenship and its Impact on Immigrant Integration e basato sull’esame comparativo (effettuato da ottobre 2011 ad aprile 2013) delle diverse normative che regolano l’acquisto della cittadinanza nei Paesi europei e sulla valutazione dell’impatto che l’acquisto della cittadinanza del Paese ospitante ha sulle condizioni socio-economiche e sulla partecipazione politica degli immigrati – risulta che in Europa la principale modalità di acquisto della cittadinanza è quella per jus sanguinis (cioè da un genitore cittadino), diversamente da quanto avviene in altri continenti.

È comunque prevista, nell’assoluta maggioranza degli Stati esaminati, la possibilità di acquisto della cittadinanza per jus soli (secondo cui si diventa cittadini per nascita nel territorio dello Stato interessato). Tuttavia, le normative al riguardo sono molto differenti, da Stato a Stato. Uno degli inconvenienti maggiori è rappresentato dalla ampia discrezionalità che prevalentemente viene riconosciuta alla Autorità amministrativa nella procedura ordinaria di naturalizzazione.


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Inoltre, nella maggioranza degli Stati, è prevista la possibilità di attribuzione o acquisto della cittadinanza jure communicationis, ossia la trasmissione dello status civitatis all´interno della famiglia da un componente all´altro (matrimonio, riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione, adozione), che normalmente si traduce nella concessione della cittadinanza in modo automatico, in presenza di determinati presupposti.

Nel dibattito parlamentare in corso in Italia per la riforma della legge sulla cittadinanza al fine di ampliare le ipotesi di acquisto della cittadinanza jure soli, è stato anche proposto di fare riferimento, per la naturalizzazione, al criterio dello jus culturae.

In particolare, secondo la suddetta proposta, in base a questo nuovo criterio, la cittadinanza si potrebbe ottenere: a) su richiesta dello straniero nato in Italia, entro un anno dal compimento della maggiore età; b) oppure se il soggetto è entrato in Italia entro il quinto anno di età è vi abbia sempre soggiornato legalmente; c) o ancora, su istanza dei genitori dello straniero minorenne che abbia frequentato e concluso con esito positivo un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado, o secondaria superiore.