Il canone concessorio applicabile agli operatori delle telecomunicazioni

1. Il canone applicabile agli operatori delle telecomunicazioni.

La normativa prevalente sulla disciplina del canone applicabile agli operatori delle telecomunicazioni è senz’altro quella inserita nell’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche.

In giurisprudenza si è chiarito che «l’art. 93 del D.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) non obbliga i fornitori di reti di comunicazione elettronica a pagare la Tosap o il Cosap, ma fa salva la debenza di tali oneri, se ed in quanto dovuti secondo le rispettive discipline». È «il soggetto legato da un rapporto concessorio con il comune» ad essere «tenuto alla corresponsione del canone di occupazione di suolo pubblico relativo ad impianti di telecomunicazione», di talché «nessun onere diverso da quelli imposti dalla legge statale (in specie canoni diversi dalla Tosap e dal Cosap) può essere richiesto dalle pubbliche amministrazioni per l’impianto o l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fermo restando l’obbligo degli operatori di ripristinare le aree oggetto di eventuali interventi e tenere indenni gli enti locali per le specifiche spese sostenute per eventuali ripristini».

Ricordando che l’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 è stato definito quale principio fondamentale dell’ordinamento di settore delle telecomunicazioni, recentemente si è stabilito che lo stesso «stabilisce un radicale divieto per le amministrazioni di imporre, per l’utilizzazione del suolo pubblico da parte degli operatori che intendano ivi eseguire interventi di installazione delle reti di telecomunicazioni, prestazioni patrimoniali diverse e aggiuntive rispetto al pagamento della Tosap o del Cosap, fermo restando l’onere degli operatori di tenere gli enti interessati indenni dalle spese necessarie (sotto ogni profilo, anche della sicurezza) per la sistemazione delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dagli enti stessi»; nella stessa pronuncia si sostiene inoltre che «ai sensi ed in applicazione dell’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003, resta preclusa alle amministrazioni locali nella definizione della regolazione convenzionale del rapporto concessorio l’introduzione di previsioni che, imponendo oneri o canoni eccedenti il limite legale del valore di Tosap ovvero, alternativamente, Cosap si traducono in uno strumento elusivo del paradigma normativo che limita l’onere economico del concessionario a tutela di interessi primari».

Numerose sono peraltro le pronunce giurisprudenziali in materia, e tutte tendono a confermare la natura dell’art. 93 in commento quale principio fondamentale del settore delle telecomunicazioni, che si risolve in una sua specialità rispetto alle altre disposizioni relative al canone per l’occupazione del suolo pubblico. Ne discende che – in un’ottica interpretativa dell’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 che fa salvi solamente il Cosap, la Tosap e il contributo per le gallerie – lo stesso articolo pone invero «un limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali, ma non ha contemplato minimamente eventuali canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili».

In altre parole, se è vero che l’art. 93 in commento contempla e vieta oneri diversi rispetto a quelli citati supra, è anche vero che non si contemplano minimamente eventuali ulteriori oneri finanziari a carico – ovviamente – del concessionario che siano in realtà previsti nella convenzione accessiva alla concessione stessa. Trattasi di pattuizioni – per così dire – private, che sono quindi permesse dalla norma.

Inoltre, si deve ritenere che l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, nel fare salva l’applicazione della Tosap e del Cosap, non possa che riferirsi alle fattispecie in cui dette imposizioni sono dovute ai sensi della normativa che le prevede, con l’esclusione quindi di spazi ed aree facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente.

A tal proposito sovviene una pronuncia della Corte Costituzionale, che – nel ribadire il divieto di imporre oneri non previsti dalla legge statale – non mette in discussione il rapporto di tipo privatistico tra Comune e gestori, quando l’area di installazione dell’impianto appartenga al patrimonio disponibile dell’ente. In questo caso, quindi, il canone di locazione è dovuto. La medesima Corte Costituzionale, in una recente pronuncia, ha altresì sottolineato come «la previsione dell’art. 93 C.C.E. costituisce espressione di un principio fondamentale della materia “ordinamento della comunicazione”, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione di un divieto di porre a carico degli stessi ulteriori oneri o canoni» rispetto a quelli già previsti dalla legge statale.


2. Il Canone Unico Patrimoniale: la legge n. 160/2019.

Tutto quanto precede è invero appartenente alla storia.

Dal 1 gennaio 2021, infatti, ha visto la luce il c.d. Canone Unico Patrimoniale, come delineato nella legge n. 160/2019. Ai sensi del comma 816, «a decorrere dal 2021 il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, ai fini di cui al presente comma e ai commi da 817 a 836, denominato «canone», è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane, di seguito denominati «enti», e sostituisce: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province. Il canone è comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi».

Per quanto concerne la materia che a noi interessa, occorre focalizzarci sui commi 831 e 831-bis, quest’ultimo introdotto dal D.L. n. 77/2021.

Testualmente, i predetti commi prevedono che, «per le occupazioni permanenti del territorio comunale, con cavi e condutture, da chiunque effettuata per la fornitura di servizi di pubblica utilità, quali la distribuzione ed erogazione di energia elettrica, gas, acqua, calore, servizi di telecomunicazione e radiotelevisivi e di altri servizi a rete, il canone è dovuto dal soggetto titolare dell’atto di concessione all’occupazione … In ogni caso l’ammontare del canone dovuto a ciascun ente non può essere inferiore a euro 800. Il canone è comprensivo degli allacciamenti alle reti effettuati dagli utenti e di tutte le occupazioni di suolo pubblico con impianti direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete. Il numero complessivo delle utenze è quello risultante al 31 dicembre dell’anno precedente ed è comunicato al comune competente per territorio» mediante autocertificazione. Il canone deve essere corrisposto entro il 30 aprile in unica soluzione ed è soggetto a rivalutazione ISTAT annuale (comma 831).

Il comma 831-bis prevede che «gli operatori che forniscono i servizi di pubblica utilità di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica di cui al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, e che non rientrano nella previsione di cui al comma 831 sono soggetti a un canone pari a 800 euro per ogni impianto insistente sul territorio di ciascun ente. Il canone non è modificabile ai sensi del comma 817 e ad esso non è applicabile alcun altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o a qualsiasi titolo richiesto, ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo n. 259/2003. I relativi importi sono rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente. Il versamento del canone è effettuato entro il 30 aprile di ciascun anno in unica soluzione». La giurisprudenza ritiene che il predetto comma sia «privo di retroattività» e, pertanto, vista la sua entrata in vigore nel corso del 2021, si applicherà dal 1 gennaio 2022.

La previsione del comma 831-bis, denominato «canone antenne», è peraltro invisa agli enti pubblici territoriali. Ed invero, in una nota interpretativa dell’ANCI si legge testualmente che «la norma presenta elevati profili di criticità, che investono sia aspetti economici – determinati dalla previsione di un canone fisso di 800 euro, non modificabile dall’ente, che prescinde dalla superficie realmente occupata dall’impianto – sia aspetti amministrativi, che riguardano la necessaria perimetrazione della nuova previsione alle reti e infrastrutture che insistono solo sul patrimonio indisponibile dei Comuni, oltre che ulteriori criticità applicative che riguardano la decorrenza delle prescrizioni in essa contenute». Si tratta peraltro di una disposizione diversa rispetto a quella insita nel comma 831: «la diversità è precisata in primo luogo dalla stessa nuova norma, laddove si prevede che il canone c.d. “antenne” si applica alle occupazioni che “non rientrano nella previsione di cui al comma 831”, ovvero alle occupazioni che comunque riguardano suolo pubblico. Per quanto riguarda la differenza sostanziale tra le occupazioni disciplinate dai commi 831 e 831-bis, questa va ricercata nelle modalità di calcolo del canone dovuto. La quantificazione del canone per le occupazioni previste dal comma 831 è direttamente collegata al numero delle utenze, non considerate, invece, dal comma 831-bis».


3. La nuova disciplina dell’art. 54 del d.lgs. n. 207/2021.

Orbene, si è reso doveroso un inquadramento normativo di quella che è stata la disciplina del canone concessorio fino alla Vigilia di Natale 2021.
Riportiamo ora – per effettuare i dovuti parallelismi – la disciplina novellata: ai sensi del predetto art. 54, «le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni, i consorzi, gli enti pubblici economici, i concessionari di pubblici servizi, di aree e beni pubblici o demaniali, non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni ulteriori a quelli stabiliti nel presente decreto, fatta salva l’applicazione del canone previsto dall’articolo 1, comma 816, della legge 27 dicembre 2019 n. 160, come modificato dalla legge 30 dicembre 2020 n. 178 ( ). Resta escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsiasi ragione o titolo richiesto, come da art. 12 del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, come integrato dall’art. 8 bis, comma 1, lettera c) del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, coordinato con la legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12. … omissis ( ) … Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la pubblica amministrazione, l’ente locale, ovvero l’ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’ente locale».
Orbene, possiamo in prima battuta notare come l’art. 54, comma 1 del D.lgs. n. 207/2021 sia più corposo rispetto al suo omologo del D.lgs. n. 259/2003. Ed invero, il legislatore del 2021 (in applicazione dei principi del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche) ha inteso precisare che nessun ente pubblico (in senso del tutto generale) possa imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica alcun ulteriore onere rispetto a quelli contenuti nel decreto medesimo ovvero al C.U.P. (di cui abbiamo parlato supra). Proprio in applicazione del nuovo Canone Unico Patrimoniale, il legislatore ha ulteriormente precisato che resta escluso ogni altro tipo di onere finanziario comunque denominato e per qualsiasi ragione o titolo richiesto: trattasi di una precisazione – per così dire – dovuta, dal momento che – allo stato attuale delle cose – non esistono più i vari Cosap, Tosap, i canoni per l’installazione degli impianti pubblicitari e relativi alle pubbliche affissioni. Non sarà sfuggito ad un attento lettore che quest’ultima previsione era invero contenuta nel comma 2 dell’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003 (sebbene – ovviamente – con le nomenclature precedenti rispetto al C.U.P.): in un’ottica di riordinamento della disciplina, a parere di chi scrive, bene ha fatto il legislatore ad anticiparla al capoverso del nuovo art. 54.
Con riguardo al comma 6 dell’art. 54 in commento, valga invece quanto abbiamo affermato circa il comma 2 dell’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003, posto che trattasi della medesima disposizione.