Norme penali e abusivismo edilizio: l'art. 44 D.P.R. 380/2001

L'art. 44 lett. a) D.P.R. 380/2001


Il bene giuridico tutelato dalle norme penali incriminatici in materia di abusivismo edilizio è rappresentato dalla necessità di sottoporre l’attività edilizia al preventivo controllo della pubblica amministrazione, e dall’interesse sostanziale alla tutela del territorio.

L’oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall’art. 44 T.U. è l’esigenza di controllo dell’uso edificatorio dei suoli, volto ad ottenere un corretto svolgimento dell’attività edilizia.
Inoltre, le norme incriminatici per detti reati si prefiggono anche l’obiettivo generale di tutelare il regolare sviluppo del territorio comunale, il quale deve avvenire in conformità alle previsioni urbanistiche.

I reati urbanistico-edilizi possono articolarsi in tre macro-categorie:
  • quelli in senso stretto, ovvero le fattispecie contemplate dal D.P.R. 380/2001, nella parte in cui disciplina l’attività urbanistico-edilizia;

  • quelli in senso lato, discendenti dalla violazione della normativa antisismica e di quella dettata per le opere in conglomerato cementizio armato ed a struttura metallica: ci si riferisce, quindi, alla parte relativa alla normativa tecnica per l’edilizia, dettata sempre dal T.U.;

  • quelli edilizi-ambientali, scaturenti dalla violazione della normativa ambientale, nella parte in cui essa fissa delle limitazioni all’attività edilizia [1].


La prima categoria di reati, oggetto della presente trattazione, è quella prevista e sanzionata dall’art. 44 T.U., che disciplina tre distinte ipotesi criminose, cui ricollega sanzioni penali di diversa entità.
  • Alla lett. a) esso punisce l’inosservanza:

  • delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo V del T.U.;

  • delle norme contenute nei regolamenti edilizi;

  • delle prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici;

  • delle modalità esecutive fissate dal permesso di costruire.


Come appare evidente, la disposizione in commento configura una tipica ipotesi di norma penale in bianco, poiché descrive i fatti penalmente rilevanti operando un rinvio recettizio ad altre fonti normative per ottenere una descrizione completa del precetto, dovendosi ricorrere "a dati precettivi, tecnici e provvedimentali di fonte extrapenale" [2].

Al fine di individuare le condotte integrative delle fattispecie contravvenzionali succitate, si rende quindi necessaria un’opera ermeneutica diretta a delimitarne l’ambito operativo.

Quanto all’ipotesi di inosservanza delle norme contenute nei regolamenti, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che il dettato di cui alla lett. a) art. 44 T.U., essendo caratterizzato da un contenuto estremamente generico che lo rende potenzialmente idoneo ad essere applicato ad una pluralità indiscriminata di ipotesi, richiede un’attività integrativa dell’interpretazione letterale, che prende le mosse dall’analisi della collocazione sistematica della norma [3].

Ne consegue che le norme, prescrizioni e modalità esecutive cui esso fa riferimento, devono intendersi riferite unicamente a quelle regole di condotta che sono in diretto collegamento con l’attività edilizia.

Più specificamente, esaminando le singole ipotesi previste dall’art. 44 lett. a) T.U.,[Omissis - versione integrale presente nel testo].

Al riguardo, assume particolare rilievo il posizionamento di un fabbricato, atteso che la sua eventuale collocazione in un luogo diverso da quello indicato nel progetto presentato all’amministrazione comunale integra la fattispecie criminosa in commento, poiché ciò altera il corretto assetto del territorio.

Al contrario, l’omessa esposizione presso il cantiere edile del cartello indicante gli estremi del relativo permesso di costruire non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 44 lett. a) T.U., salvo che ciò sia prescritto espressamente dal regolamento edilizio e dal permesso di costruire.

La norma in esame punisce, oltre all’inosservanza delle prescrizioni del piano regolatore generale, dei piani particolareggiati e degli strumenti urbanistici regionali e nazionali, anche quella delle modalità esecutive contenute nel permesso di costruire, purché tali inosservanze o deviazioni dal titolo siano di tipo qualitativo e non consistano in opere funzionalmente autonome.

L’ultima ipotesi citata configura la fattispecie c.d. di difformità parziale dal permesso di costruire, che si verifica quando l’opera eseguita in difformità dal progetto approvato conserva la stessa entità e le strutture essenziali, presentando modifiche non sostanziali, che non incidano, cioè, sulla volumetria, funzione o destinazione del bene.

La giurisprudenza ha ricondotto a questa categoria gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma [5].

Si tratta, quindi, di una categoria residuale, desumibile a contrario da quella di totale difformità o di variazione essenziale.

Difatti, essa differisce notevolmente dall’ipotesi di difformità totale, che, ai sensi dell’art. 31 T.U., comporta "la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planuvolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".

In tale caso si è in presenza, quindi, di un aliud pro alio, che si configura quando "i lavori riguardino un’opera diversa per conformazione, struttura, destinazione o ubicazione rispetto a quella assentita ovvero allorché vengano realizzati volumi oltre i limiti del progetto approvato. In quest’ultimo caso però l’opera abusiva deve presentare il duplice requisito dell’autonoma utilizzabilità e della specifica rilevanza. Per l’autonoma utilizzabilità non si richiede però che la struttura difforme sia separata da quella assentita, ma solo che sia suscettibile di un uso diverso o indipendente da quell’opera utilizzata ( ad esempio trasformazione di un sottotetto in mansarda)" [6].

La distinzione tra le due categorie in esame non ha rilievo meramente teorico, riverberandosene gli effetti sul piano sanzionatorio.

Difatti, solo le ipotesi di difformità parziale ricadono nell’ambito applicativo dell’art. 44 lett. a) T.U., configurando, invece, la difformità totale una delle fattispecie previste dalla lett.b) della medesima norma, con conseguente applicazione della più grave sanzione penale ivi contemplata.

Pertanto, si presenta essenziale l’esatta individuazione dei casi di difformità parziale, per la cui configurazione, come già specificato, è necessario sia che l’opera venga eseguita in difformità dal progetto approvato, mantenendo, però, la stessa entità e le strutture essenziali, sia che le difformità siano modeste, al punto da non alterare il complesso dell’opera, la sua volumetria, la funzione o la destinazione.

Sono state enucleate, in via giurisprudenziale [7], le seguenti ipotesi di difformità parziale:
  • divergenza, per eccesso o per difetto, della superficie e della volumetria, di non rilevante entità e tale da non alterare in misura sensibile la natura dell’opera realizzata rispetto a quella assentita;

  • realizzazione di una scala quadrata con spostamento della sua allocazione;

  • mutamento dell’ utilizzazione di alcuni vani della costruzione, realizzato con opere murarie non previste in progetto;

  • localizzazione di un fabbricato in un luogo diverso da quello indicato nel progetto, ove non comporti una violazione relativa al corretto assetto del territorio;

  • costruzione di un tetto ad un’altezza di colmo superiore a quella prevista nel progetto approvato, ma conforme agli strumenti urbanistici.


Costituisce, invece, ipotesi intermedia tra la difformità totale e parziale, sanzionata dall’art. 44 lett. a) T.U., al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 32 T.U., co. 3, l’intervento in variazione essenziale [8].

Il dato strutturale della succitata ipotesi criminosa è rinvenibile nell’art. 32 T.U., ai sensi del quale "fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:


  • mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;

  • aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;

  • modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;

  • mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;

  • violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali".


Al comma 2 l’articolo in esame prosegue specificando che "non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative".

Relativamente al profilo sanzionatorio della fattispecie in esame, occorre distinguere tra gli interventi riconducibili in via principale all’art. 44 lett. a) T.U., da quelli previsti dall’art. 32 co. 3 T.U., ovvero ricadenti su immobili vincolati o situati in zone protette e considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per l’effetto degli artt. 31 e 44 T.U.

La giurisprudenza penale ha ritenuto sussistente la prima fattispecie nell’ipotesi di modificazione del posizionamento del fabbricato sull’area di pertinenza, allorché incida sui parametri urbanistici individuati nel piano regolatore generale, così come anche nel caso di mutamento della destinazione d’uso comportante variazione del carico urbanistico, ove queste ipotesi siano previste dalla legge regionale variazioni essenziali [9].

Più precisamente, la Suprema Corte ha specificato che "la modifica della localizzazione dell’edificio integra una variazione essenziale rispetto al progetto, laddove sia realizzata una traslazione tale da determinare lo spostamento del fabbricato su un’area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista" [10].

In tal caso, infatti, si rende necessaria una nuova valutazione della compatibilità del progetto coi parametri urbanistici e con la considerazione dell’area da parte dell’amministrazione.

In assenza del nuovo permesso scatterebbe la sanzione penale di cui alla lett. b) art. 44 T.U., e la sanzione amministrativa di cui all’art. 31 T.U.

Invece, sono considerati interventi in totale difformità quelli in variazione essenziale effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico e ambientale, o rientranti in parchi o aree protette nazionali o regionali [11].

In particolare, l’apertura di luci e finestre su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale, in difformità dal permesso di costruire, costituisce variazione essenziale ai sensi dell’art. 32 T.U., punita dall’art. 44 lett. c) T.U..

Da ultimo, giova sottolineare che le previsioni di cui all’art. 44 lett. a) T.U. si applicano anche ad alcune ipotesi di mutamento d’uso funzionale o formale.

La destinazione d’uso incide sulla connotazione del bene, ed è finalizzata a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione e di attuazione di questa.

Essa costituisce una fondamentale connotazione dell’immobile, legata agli scopi di interesse pubblico perseguiti dalla pianificazione, che implementa il bene sotto l’aspetto funzionale, precisando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici sulla base delle differenti infrastrutture del territorio.

In tali ipotesi, si considera applicabile la sanzione amministrativa di cui all’art. 31 T.U. e quella penale di cui all’art. 44 lett. a) T.U. soltanto nel caso in cui risultino violate, attraverso il mutamento della destinazione d’uso funzionale o formale, le prescrizioni di zona del piano per incompatibilità con esse della nuova destinazione, e ove vengano violati gli standards recepiti dagli strumenti urbanistici o dai regolamenti edilizi [12].

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha recentemente specificato che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Diversamente, rientra nel campo di applicazione dell’art. 44 lett. b) T.U. l’opera in cui il mutamento della destinazione d’uso prevista in progetto venga effettuato durante l’attività costruttiva del fabbricato mediante lavori che attribuiscono all’organismo edilizio globalmente considerato caratteristiche differenti di utilizzazione.

In tal caso, infatti, si rende necessario un nuovo permesso di costruire, in assenza del quale scattano le sanzioni amministrative e penali succitate.

Si applica, invece, la previsione di cui all’art 44 lett. c) T.U. nel caso il cui tale mutamento in totale difformità dal permesso di costruire venga realizzato su immobili sottoposti a vincoli storico-artistici o paesaggistico-ambientali [14], con alterazione degli standards urbanistici.


L'art. 44 lett. b) D.P.R. 380/2001 - ATTIVITÀ EDIFICATORIA IN TOTALE DIFFORMITÀ O IN ASSENZA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE

 

L’art. 44 lett b) T.U. punisce con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro l’esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso, o la prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione, salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme restando le sanzioni amministrative.

L’ipotesi di reato delineata si configura come speciale rispetto a quella di cui alla lettera a) del medesimo articolo.

La ratio posta a fondamento è quella di garantire un effettivo controllo pubblico preventivo sull’intero territorio, inteso come autonomo bene giuridico, mediante un assetto razionale complessivo ed un’equilibrata coesistenza di valori materiali, culturali e sociali recepiti negli strumenti urbanistici. Di talché "restano assoggettate a permesso di costruire anche le attività che, pur non integrando interventi edilizi in senso stretto, comportano comunque una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio" [15].

Ne consegue che la nozione di costruzione va intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale e non avendo il carattere di assoluta precarietà, alterano lo stato dei luoghi, essendo destinati a durare nel tempo [16].

Il reato in esame ha natura permanente, ma la relativa consumazione perdura fino alla cessazione dell’attività abusiva [17].

L’ipotesi di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire è equiparata a quella in cui il titolo, seppur rilasciato, sia stato in precedenza annullato, dichiarato decaduto, o sia divenuto inefficace per effetto del decorso dei termini. Allo stesso modo, un intervento eseguito in base a d.i.a. che non rientri tra quelli assentibili con tale titolo abilitativo, ma necessiti di permesso di costruire, deve essere qualificato come abusivo, non potendosi ritenere che la mera presentazione della d.i.a. esclude la configurabilità del reato [18].

Alla difformità totale va inoltre equiparata, come accennato nel precedente capitolo, l’ipotesi di variazione essenziale, la quale, però, non si limiti alla modificazione delle cubature accessorie, dei volumi tecnici o della distribuzione intera delle singole unità abitative, secondo quanto disposto dall’art. 32, co. 2, T.U.

Tanto premesso, al fine di delimitare l’ambito applicativo della contravvenzione in esame, occorre leggerla in combinato disposto con gli artt. 10 e 3 T.U.

È infatti il primo di questi a specificare quali sono gli interventi per i quali è prescritto il permesso di costruire, ovvero:
  • interventi di nuova costruzione;

  • interventi di ristrutturazione urbanistica;

  • interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.


Resta salva la possibilità riconosciuta alle Regioni di prevedere ulteriori casi, in relazione all’incidenza delle opere sul territorio e sul carico urbanistico [19].

L’individuazione delle tre succitate tipologie di intervento è operata dall’art. 3 T.U.

Esso, al comma 1 lett. e), considera interventi di nuova costruzione:
  • la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e. 6);

  • gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune;

  • la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

  • l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

  • l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee;

  • gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale;

  • la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato.

Giova sottolineare che, secondo la più recente giurisprudenza, «la definizione delle opere di nuova costruzione è data, dall'art. 3, lett. e), del T.U. con indicazione di carattere residuale comprendente tutti quegli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non rientranti nelle categorie della manutenzione, del restauro o del risanamento conservativo che hanno, come conseguenza, la trasformazione permanente del suolo inedificato. Costituisce, pertanto, costruzione in senso tecnico-giuridico qualsiasi manufatto tridimensionale, comunque realizzato, che comporti una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo» [20].

Particolarmente dibattuta si presenta la questione della necessarietà o meno del permesso di costruire per gli interventi previsti dall’art. 3, co.1., lett. e. 5), T.U., ovvero per l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, ed in genere per l’installazione di strutture quali roulottes, campers, case mobili, ecc., quando vengano adibite ad abitazioni, ambienti di lavoro, deposito, ecc., e siano dirette a soddisfare esigenze di lungo periodo.

Per tale categoria occorre individuare i criteri che consentono di qualificare le opere come precarie e, come tali, non assoggettate alla disciplina del permesso di costruire.

La nozione di costruzione non presuppone necessariamente l’ancoraggio al suolo del fabbricato, a determinate condizioni la cui valutazione di sussistenza è demandata al giudice del merito.

Di recente, la Suprema Corte è intervenuta a dirimere la questione, chiarendo che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

È opportuno evidenziare che l’assoggettamento al regime di cui all’art. 10 T.U. prescinde del tutto dalle caratteristiche del manufatto prefabbricato. Difatti, non rileva che si tratti o meno di opere in muratura o incorporate nel suolo con fondazioni, oppure che si tratti di elementi prefabbricati, ricomposti e poggiati su strutture emergenti dal suolo o direttamente sul suolo [22].

Per la corretta qualificazione dell’opera come precaria alcuni parametri sono stati dettati dalla Suprema Corte. Essa ha ribadito che col termine "opera precaria si intende fare riferimento non già alla composizione materiale dell’opera, vale a dire alla sua struttura intrinseca, ma alle caratteristiche funzionali intese come destinazione dell’opera al soddisfacimento di esigenze permanenti e/o durevoli nel tempo: è, dunque, necessario che l’autorità competente, ogni volta che ne ravvisi la necessità in relazione a specifiche ragioni di tutela ambientale, possa essere in grado di operare una valutazione idonea a consentire (o negare) la realizzazione di un’opera – quale che sia la sua struttura intrinseca – in una determinata area territoriale.

Nella materia edilizia, quindi, il concetto di precarietà non va riferito alle caratteristiche costruttive o alla natura e qualità dei materiali impiegati o, ancora, all’agevole rimovibilità (o amovibilità), venendo in rilievo, invece, le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente debba assolvere. Ne deriva che il carattere stagionale dell’opera non comporta ex se la sua precarietà laddove l’opera venga destinata al soddisfacimento di esigenze durevoli nel tempo, coincidendo i due concetti della precarietà e stagionalità solo con la intrinseca destinazione dell’opera per un uso specifico e limitato nel tempo, cui è correlata la eliminazione dell’opera dopo la cessazione dell’uso" [23].

Al contrario, le opere di assoluta ed evidente precarietà, diversamente dai prefabbricati, non sono soggette alla necessità del preventivo permesso di costruire, purché siano destinate a far fronte ad esigenze momentanee e, comunque, in grado di essere eliminate in breve tempo. Il carattere di provvisorietà deve essere desunto dall’uso realmente precario o temporaneo per fini specifici e cronologici delimitati, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo [24].

Occorre, dunque, un criterio obiettivo, svincolato dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, dovendosi trattare di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.

Sono assoggettati alla disciplina del permesso di costruire sia i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, sia le opere che, quale che ne sia il genere, comportano un intervento sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità è cosa diversa dall’irremovibilità o dalla precarietà della funzione assegnata alla struttura, estrinsecandosi, piuttosto, nell’oggettiva destinazione del bene a soddisfare bisogni non provvisori, temporanei e contingenti [25].

Quanto all’impianto sanzionatorio, gli interventi di cui all’art. 10, co.1, T.U. eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso sono rimossi ovvero demoliti, e gli edifici resi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale essa è eseguita a cura del comune e a spese del responsabile dell’illecito.

Nel caso in cui, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello status quo ante non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore del bene, tenuto conto della realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri dettati dalla legge [26].

Un regime sanzionatorio attenuato è dettato dall’art. 33 T.U. per gli interventi di ristrutturazione realizzati in assenza del permesso di costruire o in totale difformità, in ragione del minor impatto urbanistico di questi rispetto alla creazione ex novo dell’opera.

Non è prevista, infatti, l’acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente, risultando comminata, in via principale, la sanzione ripristinatoria e, soltanto in via subordinata, quella pecuniaria.

La ristrutturazione può essere urbanistica o edilizia.

Gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono definiti dall’art. 3, co. 1, lett. f), come "quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale".

Si tratta di un’attività di trasformazione di carattere complessivo, che può interessare una pluralità di fabbricati, oppure un insediamento unitario di rilevanti dimensioni, e che ricomprende anche opere di urbanizzazione, per le quali viene espressamente previsto il rilascio del permesso di costruire, quando non eseguite direttamente dall’amministrazione comunale [27].

La Suprema Corte ha stabilito che la norma impone la collocazione degli interventi di demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato tra gli interventi di ristrutturazione urbanistica assoggettati, come tali, a concessione edilizia.

Pertanto, nell’ipotesi in cui, ottenuta la concessione per eseguire la ristrutturazione di un fabbricato, si demolisca lo stesso e lo si ricostruisca integralmente, deve ritenersi sussistere il reato di costruzione in assenza di permesso a costruire, perché lo stabile preesistente è sostituito con altro stabile completamente nuovo, per cui non si deve ravvisare alcun riferimento alla precedente situazione edilizia.

Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono definiti dall’art. 3, co. 1, lett. d), T.U, come quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.

Essi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica o l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.

In quest’ambito sono ricompresi anche le attività di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’organismo preesistente, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti [28].

Tale interventi si differenziano dal restauro e risanamento conservativo poiché non si esauriscono in una mera attività di conservazione, ma comportano la realizzazione di un manufatto in tutto o in parte diverso dal precedente.

La ristrutturazione comprende tutti gli interventi diretti a trasformare gli organismi edilizi in altri, anche diversi dai precedenti, ma essa presuppone sempre l’esistenza e la conservazione dell’immobile da assoggettare a trasformazione.

Gli interventi di restauro hanno carattere conservativo e, per definizione, presuppongono che il manufatto non sia demolito. La demolizione prevede un’opera edile, e come tale necessita del permesso di costruire.

Il TAR Campania, Salerno, con sentenza n. 2060 del 21.11.2006 ha inoltre statuito che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Tale attività può attuarsi anche attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, potrebbero ricondursi a quelli di restauro o risanamento conservativo. Il discrimine è dato dalla connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere analizzate per sé sole, ma valutate nel loro complesso, al fine di individuare se siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo [29].

Anche il mutamento della destinazione d’uso di un immobile realizzato mediante opere edilizie, ove realizzato successivamente all’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, configura un’ipotesi di ristrutturazione edilizia. Infatti, l’esecuzione dei lavori, anche se di modesta entità, porta comunque alla creazione di quell’organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, previsto dalla norma.

Giova specificare, poi, che dal combinato disposto degli artt. 3, co.1, e 10, co. 1, T.U., emerge l’esistenza di due tipologie di ristrutturazione edilizia: l’una derivante dalla demolizione e successiva fedele ricostruzione, col rispetto della preesistente sagoma, della volumetria, dell’area di sedime e delle caratteristiche dei materiali dell’immobile soppresso; l’altra dall’ampliamento, caratterizzata dal carattere innovativo, nel rispetto degli elementi strutturali del precedente fabbricato.

Quanto alla prima tipologia di ristrutturazione edilizia appena menzionata, la mancanza anche di uno solo dei profili descritti, come il rispetto della sagoma iniziale, intesa come conformazione planovolumetrica della costruzione, comporta la qualificazione dell’intervento come di nuova costruzione, e non più come ristrutturazione edilizia. Ne conseguirebbe la necessità del permesso di costruire, e non della semplice s.c.i.a.

Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che sono qualificabili come di ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione di un fabbricato con la stessa volumetria e la stessa sagoma di quello preesistente. Questi vengono sottratti al regime del permesso di costruire, per essere ricondotti nell’ambito di quelli soggetti a s.c.i.a..

Ha inoltre specificato che "i lavori di demolizione e fedele ricostruzione di un manufatto identico, e cioè nel rispetto della preesistente sagoma, volumetria, area di sedime e caratteristiche dei materiali, rientrano nella nozione di interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all’art. 3, comma 1., lett. d) T.U. I predetti interventi di ristrutturazione edilizia, caratterizzati dalla sussistenza dei requisiti precisati, allorché non comportino altresì aumento di unità immobiliari, della destinazione d’uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, oltre variazioni prospettiche non necessitano del rilascio del permesso di costruire, di cui all’art. 10 del citato D.Lgs., come si desume a contrario , dal comma 1, lett. c), del predetto articolo, bensì della denuncia di inizio attività del successivo articolo 22, comma 1" [30].

Sono sempre realizzabili col semplice titolo abilitativo tacito le ristrutturazioni edilizia di portata minore, ovvero che determinano la modifica dell’ordine in cui sono disposte le varie parti che compongono la costruzione, in modo che essa, nonostante sia complessivamente innovata, conservi la iniziale consistenza urbanistica [31].

Sulla scorta dei principi suesposti, sono stati ricondotti nella categoria della ristrutturazione edilizia i seguenti interventi:
  • realizzazione di un balcone;

  • diversa dislocazione delle unità commerciali ed abitative, con inserimento di un vano scala e di gruppi di servizi e con mutamento delle facciate interne ed esterne;

  • trasformazione di un sottotetto in unità abitativa con innalzamento e modifica dei prospetti del tetto:

  • sostituzione della originaria copertura a tetto con altra costituita in parte da tetto e in parte da terrazzo;

  • opere in conglomerato cementizio in un vecchio caseggiato, con rafforzamento dei muri perimetrali;

  • svuotamento dell’originario manufatto al fine di ricavarne un nuovo edificio con incremento della volumetria, sostituzione delle mura perimetrali ed abbattimento di quelle originaria;

  • realizzazione di un porticato in cemento armato al servizio di un albergo ristorante [32].


Diversamente, sono stati qualificati non di ristrutturazione edilizia, ma di manutenzione straordinaria, e quindi, non soggetti a permesso di costruire, gli interventi di:
  • demolizione e nuova collocazione di un muro portante e di una scala;

  • rifacimento di parti di solaio e costruzione di una serie di pilastri all’interno di un fabbricato;

  • rifacimento della copertura di un cortile interno crollata per cause accidentali;

  • abbattimento di tramezzi e creazione di scale all’interno di un fabbricato, senza comportare aumento di volumetria e mutamento della destinazione d’uso;

  • modifica delle luci di un fabbricato, senza modifica dell’originaria volumetria e della destinazione d’uso nel caso in cui, per la loro modesta entità, non alterino il rapporto dell’edificio con l’ambiente circostante, né cambino la fisionomia dell’immobile e l’aspetto di esso nelle sue linee generali;

  • opere di mero accomodamento che non mutino la consistenza fisica delle singole unità immobiliari [33].


L’elemento di differenziazione tra le categorie succitate è da rintracciarsi nel fatto che gli interventi di manutenzione straordinaria sono segnati da due limiti: uno di ordine funzionale, in virtù del quale i lavori devono tendere solo alla rinnovazione e alla sostituzione di parti dell’edificio, oppure alla realizzazione di servizi igienico-sanitari; l’altro di ordine strutturale, per effetto del quale è fatto divieto di modificare i volumi, le superfici e la destinazione d’uso delle singole unità immobiliari.

Pertanto, essi sono quelli finalizzati alla conservazione del manufatto preesistente o ad un suo migliore rendimento in dipendenza degli sviluppi tecnologici, e si caratterizzano per la sostituzione del materiale impiegato o per una diversa distribuzione dei vani. Non determinano, però, alterazione dei volumi, rilevanza esterna e mutamento di destinazione d’uso.

Invece, devono qualificarsi di ristrutturazione edilizia e non mera manutenzione straordinaria, gli interventi che [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Per ragioni di completezza, è opportuno richiamare quanto disposto dall’art. 22 T.U., che consente di scegliere tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività (c.d. superdia) nei casi di:
  • ristrutturazione edilizia, comprensiva della demolizione e ricostruzione senza alterazione della volumetria e della sagoma;

  • interventi altrimenti sottoposti a permesso di costruire, ove siano disciplinati da piano attuativi aventi precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, di cui il consiglio comunale abbia espressamente affermato la sussistenza mediante approvazione degli stessi piani o la ricognizione di quelli vigenti;

  • i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e i nuovi interventi realizzati sulla base di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli di cui al punto precedente, ma caratterizzati da analoghe previsioni di dettaglio.


Attività edificatoria nonostante l’ordine di sospensione

La stessa pena prevista per l’esecuzione dei lavori in totale difformità o in assenza del permesso di costruire consegue al reato di prosecuzione dell’intervento nonostante l’ordine di sospensione dei lavori [35].

L’elemento costituivo della contravvenzione de quo è rintracciabile nell’ordine di sospensione emanato dall’autorità amministrativa. Pertanto, gli unici soggetti ai quali è indirizzato il precetto penale in esame sono quelli tenuti al rispetto dell’ordine suddetto.

In presenza di questo, qualunque intervento sul manufatto è equiparato a quello realizzato in assenza del titolo abilitativo, e ciò anche quando si tratti di opere appartenenti alla tipologia di costruzioni che ordinariamente non richiederebbero alcun titolo [36].

La ratio dell’ordinanza di sospensione risiede nell’evitare che le opere siano compiute prima dell’accertamento dell’inosservanza delle norme edilizie, o della trasgressione di prescrizioni e modalità esecutive [37].

Ai fini dell’integrazione del reato in esame è sufficiente che sussista un’ordinanza di sospensione, nonostante la quale sia proseguita l’attività edificatoria.

A nulla rileva che i lavori realizzati in precedenza configurino un’ipotesi di difformità parziale o totale, di esecuzione in assenza del permesso di costruire, oppure siano del tutto leciti [38].

Ne consegue che, nel caso in cui il provvedimento in questione emanato dall’autorità amministrativa sia legittimo, la prosecuzione dell’attività edificatoria da parte del suo destinatario determina l’ipotesi criminosa in commento, a prescindere dall’effettiva incidenza dei lavori edilizi sull’assetto del territorio. È ritenuta sufficiente, infatti, la semplice inosservanza dell’ordinanza di sospensione [39].

Siamo in presenza, quindi, di una fattispecie di reato formale, il cui fondamento è da individuare nel potere di autotutela dell’autorità amministrativa

Il reato ha carattere permanente, e si configura solo quando non venga osservato un ordine regolarmente notificato. In tal caso, la permanenza cessa solo col decorso dei termini di efficacia dell’ordine previsti dalla legge, ovvero con la revoca in via amministrativa, o con la sospensiva e l’annullamento giudiziale o amministrativo.

Come anticipato, la contravvenzione si configura "anche nel caso in cui l’attività edilizia oggetto dell’ordinanza di sospensione non necessiti del previo rilascio del permesso di costruire, in quanto la norma sanzionatoria mira a punire il comportamento di chiunque contrasti l’intervento cautelare della P.A..

L’ordine amministrativo non si correla soltanto ad opere soggette a concessione edilizia (oggi permesso di costruire), ma ben può inerire a tutte le attività incompatibili con le esigenze di tutela dell’assetto del territorio. (…) Alla stregua di tale presupposto ne deriva che nel caso in cui sia stato contestato all’imputato di aver dato corso a lavori edilizi in assenza di concessione e di aver proseguito tali lavori malgrado l’intervenuta ordinanza di sospensione, qualora il giudice abbia ritenuto che l’esecuzione di quei lavori, non essendo assoggettata al regime concessorio, non è prevista dalla legge come reato, non altrettanto può affermarsi relativamente alla prosecuzione dei lavori nonostante la sospensione" [40].

Quanto al coordinamento tra la disposizione di cui all’art. 44, co. 1, lett. b), e 27, co. 3, T.U., giova rilevare che il provvedimento cautelare di sospensione si atteggia diversamente a seconda che i lavori siano iniziati senza permesso di costruire, oppure che siano eseguiti in difformità rispetto al titolo abilitativo.

È soltanto in questa seconda ipotesi, infatti, che l’ordine di sospensione dei lavori diventa inefficace decorsi quarantacinque giorni dalla sua notifica senza che l’amministrazione abbia adottato e notificato i provvedimenti definitivi [41]. Invece, nel caso di interventi iniziati senza permesso di costruire, l’ordine in questione non è subordinato al suddetto termine di efficacia, perpetrando la prosecuzione degli stessi dopo la sua scadenza il reato di cui all’art. 44, co.1, lett. b) T.U.

Da tanto discende che, nel caso di lavori iniziati senza il titolo prescritto e proseguiti dopo l’ordine di sospensione, sussiste l’illecito penale anche dopo il sopraggiungere dell’ordine di demolizione.

Difatti, quest’ultimo configura una sanzione amministrativa distinta ed autonoma rispetto al provvedimento di sospensione, di talché non può ritenersi [Omissis - versione integrale presente nel testo]

È opportuno precisare che la Suprema Corte ritiene le ipotesi di costruzione in assenza di permesso e di inosservanza dell’ordine di sospensione dei lavori due illeciti penali distinti, i quali, quindi, possono porsi in concorso materiale. Essi, infatti, violano diversi interessi penalmente tutelati: il primo, quello ad un’ordinata trasformazione urbanistica del territorio; il secondo, il potere di autotutela dell’amministrazione in materia urbanistica [43].

Prima di concludere, giova soffermarsi sulla distinzione tra la contravvenzione esaminata e l’ipotesi di interventi edificatori sulla base di permesso con efficacia sospesa.

Al riguardo, ove il TAR in via cautelare sospendesse in tutto o in parte il permesso edilizio, esso verrebbe a trovarsi in una situazione di quiescenza che determinerebbe la totale o parziale inefficacia dell’atto stesso. Ciò comporterebbe che l’eventuale prosecuzione dei lavori successivamente alla notificazione o, comunque, dopo l’effettiva conoscenza del provvedimento di sospensione emesso dal giudice, integri il reato di esecuzione di lavori in assenza di titolo abilitativo [44].

È importante sottolineare, infine, che la sospensione totale o parziale del permesso non può mai essere operata dall’autorità amministrativa comunale: nessun potere del genere è rintracciabile nell’attuale impianto sanzionatorio delineato dal T.U.

Gli unici poteri riconosciuti in capo a questa, in presenza degli specifici presupposti normativamente dettati, sono:
  • provvedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 27, co. 2, T.U.;

  • provvedere alla demolizione a al ripristino dello stato dei luoghi, secondo l’art. 27, co. 3, T.U.;

  • ingiungere la demolizione dell’opera abusiva;

  • emettere ordinanza di demolizione a spese dei responsabili dell’abuso.


Pertanto, mentre sussiste in capo all’autorità amministrativa comunale il potere di sospensione dei lavori in funzione cautelare o sanzionatoria, lo stesso non può dirsi per il potere di sospensione del permesso edilizio, la cui eventuale relativa ordinanza è da ritenersi illegittima e, come tale, da disapplicarsi [45].