Il condono di interventi edilizi abusivi (Corte Costituzionale n.196/2004)

Il condono edilizio

Il condono è un provvedimento di legge tramite cui i soggetti che vi aderiscono possono ottenere l’annullamento, totale o parziale, di una pena o di una sanzione che potrebbe essere contestata loro per comportamenti pregressi.

Il condono edilizio, in particolare, è un procedimento che consente la regolarizzazione amministrativa degli illeciti edilizi, e l’estinzione dei reati connessi a tale attività illecita.

Con la locuzione in esame si raggruppano le normative emanate con le leggi 47/85, 724/94, e 326/2003. Esse disciplinano il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente, anche se si parla ufficialmente di condono edilizio solo nell’ultima legge citata, all’articolo 32, co.1.

Le tre fonti si integrano e si modificano a vicenda, dando origine ad una normativa particolarmente complessa, la quale definisce quali tipologie di opere abusive possono usufruire suddetto condono della sanatoria delle opere abusive (arti 31 L. 47/85), o definizione agevolata delle violazioni edilizie (art. 39 L. 724/94).

Il tutto a fronte del pagamento di un’oblazione allo Stato e alle Regioni, e del pagamento al Comune del contributo di concessione.

L’esigenza di porre rimedio ad un passato di illegalità di massa in materia edilizia, e di prevenire la commissione di ulteriori reati violativi dei fondamentali interessi connessi al territorio, quali la sicurezza dell’esercizio dell’iniziativa economica privata, la funzione sociale della proprietà, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, ha indotto il legislatore, già nel 1985, ad intervenire.

Con l’entrata in vigore della L. 47/85, infatti, è stato introdotto nel nostro ordinamento il primo procedimento di sanatoria, finalizzato al rilascio, previa corresponsione di un’oblazione, di una concessione edilizia successiva all’esecuzione di un’opera abusiva, con conseguente rinuncia all’applicazione nei confronti del suo responsabile delle sanzioni connesse.

Tuttavia, a seguito dell’eccessivo numero di domande, e dell’esigenza dello Stato di aumentare gli introiti in tempi brevi, è stato previsto un secondo condono edilizio, con l’articolo 39 L. 724/94.

Neanche questo, però, è stato sufficiente.

Pertanto, il terzo condono edilizio è stato attuato col D.L. 269/2003, convertito in L. 326/2003, modificata col D.L. 168/2004, convertito nella L. 191/2004, attualmente disciplinante la materia.

L’art. 32, co. 25, statuisce che le disposizioni di cui ai capi IV e V della L. 47/85 si applicano anche alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, che non abbiano comportato [Omissis - versione integrale presente nel testo].

La norma indica nella regolarizzazione del settore la finalità dell’emanazione del permesso in sanatoria per le opere realizzate in difformità dalla disciplina vigente.

La regolarizzazione, peraltro, è perseguita non per mezzo della demolizione delle opere illecite, ma con la loro legalizzazione a posteriori.

Prima di procedere all’esame delle opere sanabili e non, contenuta nei successivi commi, pare opportuno soffermarsi sulla nozione di opere ultimate, e su quella di ampliamento.

In forza di quanto previsto dall’art. 31, co. 2, L. 47/85, applicabile anche al nuovo condono, per opere ultimate devono intendersi ‹‹gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente››.

Sul punto, la Suprema Corte ha specificato che la nozione di ultimazione dell’opera abusiva assume significato diverso a seconda della finalità, ovvero se essa venga prospettata ai fini dell’individuazione del momento di cessazione della permanenza del reato edilizio, o del condono. Nel primo caso, infatti, si deve ritenere esistente detto requisito quando siano state eseguite anche le rifiniture. Nel secondo caso, invece, lo stabile deve ritenersi ultimato solo quando risulti completato il rustico, ed eseguita la copertura [1].

Per rustico, inoltre, deve intendersi il complesso dei lavori riguardanti, oltre alla muratura portante, o all’intelaiatura in cemento armato, o in travi di acciaio, anche le tamponature perimetrali necessarie per individuare volume e cubatura dell’edificio. Infatti, l’esecuzione di un immobile a rustico s’intende riferita all’avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricomprese le tamponature esterne, atteso che queste determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie, e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria [2].

Al riguardo la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, ai fini della sanatoria di cui all’art. 31 L. 47/85 e successive integrazioni, si deve distinguere tra edifici destinati alla residenza, rispetto ai quali si considera sufficiente che di essi sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ed opere non destinate alla residenza.

Nel primo caso, gli interventi interni all’edificio devono considerarsi completati funzionalmente quando siano stati ultimati i lavori di intonacatura e rifinitura, non essendo sufficiente allo scopo la mera predisposizione dei servizi igienici, dell’impianto di riscaldamento, e delle tramezzature [3].

Per i manufatti non destinati alla residenza, invece, ai fini dell’applicabilità del condono edilizio, il completamento funzionale va inteso nel senso che la costruzione, benché non del tutto ultimata, deve essere tuttavia idonea alle funzioni cui è destinata [4].

Quanto ai limiti volumetrici, il comma 25 della norma in esame, distingue tra ampliamenti e nuove costruzioni.

I primi, indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile su cui sono stati realizzati, sono sanabili ove non abbiano comportato una maggiorazione della volumetria rispetto alla costruzione originaria in misura superiore al trenta per cento, o, in alternativa, un ampliamento superiore a settecentocinquanta metri cubi.

Invece, le nuove costruzioni sono sanabili solo se di tipo residenziale, e comunque nel limite volumetrico succitato per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, e a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i tremila metri cubi.

Tanto premesso, il comma 32 dell’articolo 32 L. 269/2003, individua le tipologie di opere sanabili, distinguendo gli abusi edilizi in sei categorie, in ragione della gravità dell’infrazione.
  • Tipologia 1: opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;

  • Tipologia 2: opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento;

  • Tipologia 3: opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’art. 3, co. 1, lett. d), DPR 380/2001, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio;

  • Tipologia 4: opere di restauro e di risanamento conservativo come definite dall’art. 3, co. 1, lett. c), DPR 380/2001, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle zone omogenee A di cui all’art. 2 del D.M. 1444/68;

  • Tipologia 5: opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’art. 3, co. 1, lett. c), DPR 380/2001, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio;

  • Tipologia 6: opere di manutenzione straordinaria come definite dall’art. 3, co. 1, lett. b), DPR 380/2001, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.


La distinzione va letta nell’ottica di rapportare le diverse tipologie di abusi ad un diverso importo dell’oblazione che deve essere versata da parte dei soggetti interessati ad ottenere la sanatoria edilizia.

Nel successivo comma 27, la disposizione in commento specifica le tipologie di opere non sanabili, ovvero per quelle che:
  • siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui agli artt. 416 bis, 648 bis e 648 ter del codice penale, o da terzi per suo conto;

  • non sia possibile effettuare interventi per l’adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2000;

  • non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell’area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all’art. 32 L. 47/85;

  • siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;

  • siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge, o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 490/99;

  • fermo restando quanto previsto dalla L. 353/2000, e indipendentemente dall’approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell’articolo 3 della citata legge, il comune subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell'esclusione dalla sanatoria è sufficiente l’acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell'interno, che le aree interessate dall'abuso edilizio siano state, nell'ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi;

  • siano state realizzate nei porti e nelle aree, appartenenti al demanio marittimo, di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed alle esigenze della navigazione marittima, quali identificate ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 del DPR 616/77.


Sempre ai sensi del comma 27 della norma in commento, a tali limiti vanno aggiunti quelli già previsti dalle disposizioni sul condono dalla L. 47/85. Per effetto di tale richiamo, non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive qualora:
  • siano state realizzate su aree sottoposte a vincolo, per le quali l’autorità preposta alla tutela del vincolo non abbia espresso parere favorevole [5];

  • siano state realizzate su aree assoggettate a vincoli che comportino l’inedificabilità delle medesime, qualora il vincolo stesso sia stato imposto prima della esecuzione delle opere [6].


Pertanto, come già precedentemente chiarito, le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo, [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Relativamente alla procedura per il rilascio del titolo in sanatoria, l’art. 32, co. 32, L. 326/2003, dispone che ‹‹la domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, tra l’11 novembre 2004 e il 10 dicembre 2004, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35››.

Essa può essere presentata da colui che ha realizzato l’abuso o dai suoi figli, i quali, in quanto titolari, sia pure in via di mero fatto, di un’aspettativa ereditaria, hanno titolo a presentare domanda di sanatoria, presentando al comune un’autonoma istanza di oblazione, della quale può giovarsi lo stesso imputato della contravvenzione alla legge urbanistica [7].

Secondo il disposto del successivo comma 35, la domanda deve essere corredata dalla seguente documentazione:
  • dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell’art. 47, co. 1, DPR 445/2000, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato de lavori relativo;

  • qualora l’opera abusiva supera i quattrocentocinquanta metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e da una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione, attestante l’idoneità statica delle opere eseguite;

  • ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.


Ai sensi del comma 36, la presentazione nei termini della domanda di definizione dell’illecito, l’oblazione interamente corrisposta, e il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risultano il suddetto pagamento, producono gli effetti di cui all’art. 38, co. 2, L. 47/85, e si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante.

In virtù del rinvio summenzionato, quindi, si verificano:
  • l’estinzione dei reati edilizi, e di quelli relativi alle opere in conglomerato cementizio;

  • l’estinzione dei reati relativi alle costruzioni in zona sismica;

  • l’estinzione dei procedimenti di esecuzione delle sanzioni relative all’abitabilità e all’agibilità di cui al T.U.L.S., ora sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 24 DPR 380/01.


È opportuno specificare, al riguardo, che nel caso in cui sia già stato disposto l’ordine di demolizione dell’opera realizzata abusivamente, la presentazione della domanda di condono edilizio determina la sospensione dell’ordine di demolizione, che sarà revocato dal giudice dell’esecuzione, qualora venga accertata l’insussistenza dei requisiti per la condonabilità dell’abuso.

Infatti, l’esecutività dell’ordine di ripristino e la vincolatività del relativo comando, vengono meno una volta che sia stata definita la procedura di sanatoria con il rilascio del permesso, il quale, comportando la regolarizzazione dell’opera abusiva dal punto di vista amministrativo, rende incompatibile la sopravvivenza della misura sanzionatoria, e ne giustifica la revoca in sede esecutiva.

Tuttavia, tale revoca non è automatica, giacché, prima di disporla, il giudice è tenuto a controllare la legittimità dell’atto autorizzatorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sue emanazione, e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio [8].

Il comma 37 dell’articolo 32 L. 326/2003 prevede che ‹‹il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell’imposta comunale degli immobili di cui al D.Lgs. 504/92, nonché, [Omissis - versione integrale presente nel testo]. 

Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380››.

Sul punto, il legislatore ha determinato in maniera dettagliata, in allegato al decreto medesimo, la misura dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri accessori, nonché le relative modalità di versamento [9].

In ogni caso, resta salvo il diritto dell’amministrazione di chiedere il risarcimento del danno provocato dall’opera originariamente abusiva.

Infatti, il provvedimento in sanatoria, secondo il giudice amministrativo, non esclude il diritto al risarcimento del danno, patito dall’ente per effetto dell’illecito, tanto patrimoniale, relativo alle spese sostenute per ovviare ai danni provocati dall’illecito, tanto non patrimoniale, connesso genericamente alla mancata o tardiva realizzazione dell’interesse pubblico [10].

Come anticipato, inoltre, in virtù del disposto dell’art. 38 L. 47/85, cui rinvia l’art. 36 L. 326/2003, la presentazione della domanda di condono, accompagnata dall’attestazione del versamento della prima rata, sospende il procedimento penale.

La sospensione del procedimento penale riguarda solo la fase del giudizio, ma non quella delle indagini preliminari, né preclude l’adozione di misure cautelari reali, che sono destinate a raccogliere mezzi di prova, che potrebbero nel frattempo disperdersi, ed ad impedire che il reato sia portato a conseguenze ulteriori [11].

Occorre precisare, però, che la sospensione de qua non è la stessa di quella prevista dall’articolo 44 del medesimo corpus normativo.

Difatti, quella ci riguarda è qualificata come obbligatoria, e presuppone la presentazione della domanda di condono nonché il versamento, integrale o parziale, della somma dovuta a titolo di oblazione, incombendo alla parte la dimostrazione dell’adempimento di quanto prescritto, e al giudice l’esame della sussistenza delle condizioni per procedere alla sospensione [12].

Quella ex art. 44, invece, è definita automatica, e consegue alla commissione di un reato urbanistico.

Le due sospensioni, dunque, hanno diverse funzioni.

L’una è finalizzata a consentire agli interessati di presentare la domanda di condono edilizio, ed è prevista per ragioni di economia processuale; l’altra, mira all’ottenimento di detta concessione ed all’estinzione dei reati, indicati all’art. 38, co. 2, L. 47/85, mediante il pagamento dell’oblazione [13].

Giova ancora sottolineare, che prima di concedere la sospensione di cui all’art. 38 della citata legge, il giudice, inoltre, è tenuto a verificare la corrispondenza dell’intervento edilizio di cui si chiede la sanatoria con quello oggetto di sequestro.

In questa prospettiva è necessario un confronto tra il processo verbale di sequestro e la descrizione delle opere abusive contenuta nella domanda di sanatoria.

Il procedimento penale non può essere sospeso, ai sensi dell’art. 38, così come ex art. 44 L. n. 47/1985, quando dal mero esame degli atti emerga la carenza di un fondamentale presupposto per la condonabilità dell’intervento edilizio abusivo [14].

È quindi necessario verificare la data di ultimazione dell’intervento edilizio, e lo stato di completamento che deve essere al rustico.

La domanda di condono edilizio per nuove costruzioni abusive di natura non residenziale, inoltre, non può determinare la sospensione del procedimento penale per l’accertamento del reato ex art. 38, perché, ai sensi dell’art. 25 D.L. 269/03, le disposizioni sulla sanatoria si applicano alle sole nuove costruzioni residenziali.

Inoltre, secondo quanto sostenuto dalla Suprema Corte, non è consentita la sospensione del processo penale ex art. 38, in relazione ad una domanda di sanatoria presentata ex art. 32 D.L. 269/2003 per opere realizzate in zone sottoposte a vincoli, e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici [15].

Prima di procedere alla sospensione, quindi, il giudice penale dovrà verificare:
  • il tipo di intervento realizzato e le dimensioni volumetriche dell’immobile;

  • l’effettiva ultimazione dei lavori entro il termine previsto per accedere al condono;

  • l’insussistenza di cause di non condonabilità assoluta dell’opera;

  • la tempestività della presentazione della domanda di sanatoria da parte dell’imputato;

  • il versamento della somma dovuta a titolo di oblazione;

  • l’eventuale sussistenza di una sanatoria c.d. tacita [16].


Quanto, infine, all’estensibilità degli effetti penali a soggetti diversi dall’imputato, e non comproprietari dell’immobile, la Corte di Cassazione ha statuito che non opera in tal senso la speciale causa estintiva nei confronti del soggetto diverso dall’imputato [17].

Nella stessa pronuncia si legge che ‹‹nessuna efficacia può riconoscersi alla procedura di condono edilizio instaurata dal committente dei lavori abusivi nei confronti dell’esecutore dei lavori, poiché qualora la domanda di oblazione ed il versamento della somma dovuta siano effettuate da persona diversa dall’imputato, quest’ultimo non può trarre vantaggio dall’iniziativa di altro soggetto [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Tale interpretazione è avvalorata dalle caratteristiche fiscali della sanatoria edilizia e dalla possibilità di fruire di sconti e dilazioni collegati a qualità o condizioni personali dell’istante››.

La Corte Costituzionale sulla L. 326/2003: la sentenza 196/2004

La L. 326/2003 è stata oggetto di particolare attenzione da parte della Corte Costituzionale.

Con la sentenza del 28 giugno 2004, n. 196, infatti, i giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di molte disposizioni dell’articolo 32 della citata legge, per violazione delle competenze riservate alle regioni nella materia concorrente del governo del territorio.

In particolare, essa non prevedeva:
  • la possibilità di determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella legge statale, per tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1 D.L. 269/2003;

  • la possibilità di determinare le condizioni e le modalità per l’ammissibilità della sanatoria, per tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1 D.L. 269/2003;

  • la possibilità di disciplinare in modo diverso gli effetti del silenzio del comune sulla domanda di condono;

  • la possibilità di determinare in modo autonomo la misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento di cui al D.L. 269/2003;

  • la determinazione di un congruo termine entro cui doveva essere emanata la legge regionale in materia.;

  • la previsione che anche le opere abusive realizzate su aree demaniali debbano rispettare la legge regionale che verrà emanata per determinare possibilità, condizioni e modalità per ottenere la sanatoria.


Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di numerose disposizioni dell’art. 32 citato, poiché lesive della competenza legislativa delle regione, secondo il novellato arti. 117 Cost.

Non si può certo affermare, infatti, che il legislatore si sia limitato a dettare i principi e criteri fondamentali della materia, consentendo alle regioni la disciplina di dettaglio.


[Omissis - Versione integrale presente nel testo]


(…)In riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa – come già affermato in precedenza – la collaborazione al procedimento delle amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).

Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo››.

Con la suddetta sentenza, la Corte si è anche soffermata sulla questione della ripartizione della competenza statale e regionale, in ordine ai profili penalistici della disciplina del condono edilizio.

Sul punto, ha chiarito che ‹‹non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale, e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia “di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità”.

Peraltro, la circostanza che il comune sia titolare di fondamentali poteri di gestione e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiché, come questa Corte ha affermato, “il giudice penale non ha competenza ‘istituzionale’ per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici”.

Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettività a tale scelta.

Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell’evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono imporsi all’autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost. e degli statuti speciali››.

Dunque, ne consegue che il legislatore regionale, nel disciplinare la sanatoria degli abusi edilizi, può intervenire solo sugli effetti amministrativi, integrando o limitando i presupposti temporali e spaziali del condono edilizio, determinati, nei parametri massimi, dal legislatore statale.

La sentenza de qua ha inoltre specificato che il giudice penale, al fine della declaratoria di estinzione dei reati, deve limitarsi a verificare la ricorrenza dei presupposti per la sanatoria disciplinati dal D.L. 269/2003.

La verifica effettuata dal giudice penale prescinde dal diritto dell’imputato a conseguire il titolo abilitativo con efficacia sanante, che potrebbe non essergli riconosciuto dall’ente locale preposto tenuto ad applicare la legge regionale.

Poco tempo dopo rispetto al pronunciamento appena analizzato, la Corte ha sostenuto, con un’ulteriore sentenza di parziale incostituzionalità, che il D.L. 269/2003 è illegittimo relativamente alla disciplina di dettaglio introdotta, poiché costituente un’invasione della competenza legislativa regionale.

Tuttavia, essa ha poi ritenuto incostituzionali, per violazione degli artt. 5 e 127, co. 2, Cost., quelle leggi regionali che hanno affermato la non applicabilità, nel proprio territorio, della normativa nazionale sul condono edilizio [18].

A seguito dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale, è apparsa di tutta evidenza l’inadeguatezza della nuova disciplina sul condono, circostanza che ha determinato la necessità di un altro intervento del legislatore [19], volto alla fissazione di un nuovo e perentorio termine entro cui le regioni avrebbero dovuto approvare le relative leggi.