La cittadinanza quale strumento di integrazione delle genti: il diritto di elettorato

Il diritto di elettorato

Una delle principali ragioni per le quali l’acquisizione della cittadinanza nazionale rappresenta lo strumento principale di integrazione è rappresentata dall’attribuzione del diritto di elettorato che da essa deriva.

Tale diritto può essere:

A) attivo: consistente nella capacità di scegliere i propri rappresentanti per le cariche pubbliche. L’elettorato attivo è disciplinato dall’art. 48 Cost. per il quale sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età. Ma la capacità di votare necessita del possesso di due requisiti positivi:

1) cittadinanza italiana: a coloro che godono della cittadinanza UE è riconosciuto il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo.
 

L’art. 48 Cost. è stato modificato dalla legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1, che ha riconosciuto ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio del diritto di voto. A tale scopo è stata istituita una circoscrizione estero per l’elezione delle Camere. Inoltre con la legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1 si è provveduto all’individuazione del numero di deputati (12) e di senatori (6) che, rispettivamente, appartengono alla suddetta circoscrizione estero;

2) maggiore età: per l’elezione della Camera dei deputati è sufficiente aver compiuto 18 anni di età, mentre per il Senato è necessario aver compiuto 25 anni di età (art. 48, primo comma, e art 58, primo comma, Cost.). Anche i detenuti che non siano incorsi in una causa di incapacità elettorale, sono ammessi a votare nel luogo di detenzione, mentre i malati possono votare negli ospedali e nelle case di cura (art. 8 e 9 della legge n. 136 del 1976).
 

Le circostanze che comportano l’esclusione del soggetto dall’elettorato sono: incapacità civile; esistenza di cause di indegnità morale; esistenza di sentenza penale irrevocabile.

In base all’art. 48, secondo comma, Cost. il voto è:

  • personale: è escluso il voto per procura;

  • uguale: non si riserva a dei soggetti un voto plurimo;

  • libero: ogni elettore deve poter attribuire il voto a chi ritiene più adatto;

  • segreto: per garantire l’elettore da possibili pressioni esterne(l’unica eccezione riguarda i ciechi, che possono farsi accompagnare nella cabina elettorale);

  • dovere civico: ma paradossalmente non ci sono sanzioni per l’astensionismo.


B) passivo: consistente nella capacità giuridica di ricoprire cariche elettive. Di regola chiunque è elettore è anche eleggibile, ma differenze si rinvengono in base all’età: per l’appartenenza alla Camera dei deputati è richiesto il compimento del 25° anno di età (art. 56, terzo comma, Cost.), per il Senato il compimento del 40° anno di età (art. 58, secondo comma, Cost.).

Da notare che...


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Nel suddetto parere si sottolineava che: « ferma la piena operatività degli articoli 48 e 51 Cost. — che riservano ai cittadini l’elettorato attivo e passivo riferito agli organi di governo, tra l’altro, dei Comuni — nulla sembra impedire che gli statuti comunali prevedano il diritto di far valere la propria voce anche a favore di quella parte della popolazione costituita dagli stranieri stabilmente radicati nel territorio, limitatamente a quei particolari organi sub-comunali quali sono le circoscrizioni, istituite per offrire alla popolazione tutta idonei strumenti per realizzare una più stretta collaborazione e partecipazione nella gestione dei servizi di base di cui essa è destinataria».

Con successivo parere n. 11074/04 del 6 luglio 2005, l’Adunanza delle sezioni I e II del Consiglio di Stato ha modificato il precedente orientamento (espresso con il parere n. 8007 del 2004 cit., comunque entrambi in www.gistizia-amministrativa.it), sulla questione relativa alla possibilità per gli statuti comunali di attribuire agli stranieri extracomunitari l’elettorato attivo e passivo per le consultazioni relative all’elezione dei consigli circoscrizionali.

In questo nuovo parere il Consiglio di Stato ha precisato che gli enti locali non hanno la legittimazione a regolare la materia in oggetto, come si desume sia dagli artt. 48 e 51 Cost. — che coniugano espressamente...


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Nell’articolato parere si aggiunge che:

«le norme cui si fa riferimento, per assicurare la tesi della positiva attribuzione ai comuni della potestà di disciplinare, nei propri statuti, il controverso diritto di elettorato sono, essenzialmente: 1) l’art. 8 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in tema di partecipazione popolare alla vita pubblica locale; 2) l’art. 17 dello stesso TUEL, in tema di circoscrizioni e di decentramento comunale; 3) l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di carta di soggiorno e di condizione dello straniero.

1) La prima delle suddette norme conferma che «i Comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale» e che «nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi...», la norma si chiude, quindi con l’affermazione che «lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203, ed al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti».


A parte quest’ultima concreta sollecitazione di quel generico favor cui si riferisce la Regione Emilia-Romagna e che, come s’è detto, emerge in più circostanze a riguardo della condizione dei residenti non cittadini...


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2) Quanto alla seconda norma richiamata, il comma 4 dell’indicato art. 17 dispone che «gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell’ambito dell’unità del Comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento».

 
Può condividersi, pur con le riserve suggerite dall’art. 8, che in tale testo si intenda per popolazione l’insieme degli “abitanti” considerato nei commi precedenti le cui “esigenze” è ovvio sono “rappresentate” dagli organi delle circoscrizioni, non si coglie, per contro, e deve escludersi, l’asserito necessario nesso tra la rappresentanza organica della popolazione, come sopra intesa, e la forma delle elezioni posto che mentre queste ultime sono soltanto uno dei possibili mezzi di emersione degli interessi individuali e collettivi (v. art. 8) la predetta rappresentanza comprende, per legge, anche le esigenze di coloro che per qualsiasi ragione non sono ammessi al voto.

Il riferimento, peraltro, alle “forme“ delle elezioni, ai modi, cioè, del procedimento elettorale, in nessun modo autorizza a ritenere che, al di là di esse, il Comune possa riconoscere un diritto politico che anche nel contesto dell’art. 17 non si considera assolutamente e che, per quanto riguarda gli stranieri in discorso, è persino escluso dal possibile “rinvio alla normativa applicabile ai Comuni” (v. comma 5).

3) Quanto, infine, all’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 citato, il relativo comma 4, lettera d, se abilita lo straniero soggiornante a “partecipare”, così come ha confermato il rammentato art. 8, comma 5, “alla vita pubblica locale” chiarisce che lo stesso esercita «anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del Capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992».

 
La norma ribadisce...


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Del resto, il richiamato Capitolo C tratta dell’impegno dello Stato “a concedere” allo straniero a determinate condizioni «il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali...», non solo, perciò, alle elezioni per le circoscrizioni comunali, ma alle stesse elezioni comunali e, insieme, ad ogni altra elezione che possa dirsi “locale”.

Non pare che un risultato di tale portata possa attribuirsi ad una espressione legislativa certamente consapevole della attuale mancanza (o, meglio, rifiuto) di ratifica del Capitolo C; dei contenuti necessari del procedimento di ratifica; dello stato dell’ordinamento in punto di diritto di voto; ad una espressione legislativa, in sintesi, in alcun modo positiva del riconoscimento di cui si tratta.

Questo riconoscimento, esplicitamente necessario a fronte delle visitate norme costituzionali, manca dunque del tutto nell’ordinamento statale cui spetta in maniera esclusiva, come sopra si è visto, e di effettuarlo e, insieme, di conformare il relativo diritto e tale conformazione — la cui necessità emerge insieme dalla varietà delle condizioni riferibili agli stranieri residenti e dalla esigenza di ponderare con riferimento ad esse le correlate situazioni dei cittadini (si veda la stessa Convenzione di Strasburgo, insieme alle leggi concessive, anche per gli stessi cittadini europei nonché per i cittadini italiani residenti all’estero, del diritto di voto) — è comunque assente nelle norme degli articoli 8, 17 e 9 sopra analizzate così che se pure, come si è escluso, l’ordinamento rivelasse un qualche precetto nel senso ipotizzato dovrebbe pur sempre attendersi un intervento statale, o di delega alle Regioni (v. art. 117 Cost.), di conformazione del diritto.

Deve escludersi che...


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Si è rammentato il positivo, espresso rifiuto di ratifica del Capitolo C della Convenzione di Strasburgo, si è verificato il mancato esercizio della potestà statale, non delegata né delegabile, si è sottolineata la carenza di competenza statutaria dei Comuni, si è considerato che le stesse norme invocate a contrario depongono nel senso della attuale inesistenza del diritto, si è considerato che esso è stato sempre concesso, persino ai cittadini residenti all’estero e ai cittadini europei, con provvedimento legislativo espresso e compiuto.

Si è visto, infine, che nella prassi, anche parlamentare, emerge con forza la diffusa convinzione che tale sia, ad oggi, lo stato della questione e che ad essa debba porsi urgente e conveniente rimedio nelle sedi e nei modi costituzionalmente propri».

Nella stessa ottica TAR Lombardia, Milano, sez. III, 17 giugno 1996, n. 801 (ivi) ha affermato che: «ai sensi dell’art. 6 della legge 8 giugno 1990, n. 142, per l’ammissione ai referendum consultivi previsti dagli statuti degli enti locali, il termine “cittadini” deve intendersi riferito agli abitanti con cittadinanza italiana e facenti parte dell’elettorato e non anche agli stranieri residenti nella Provincia».