Le occupazioni illegittime davanti a Corte EDU e Corte costituzionale

Si è già accennato in apertura [1] al fatto che il diritto di proprietà ed il potere di espropriare sono espressamente riconosciuti e bilanciati da fonti costituzionali e sovranazionali. Tra queste ultime viene soprattutto in rilievo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Due anni dopo la firma della Convenzione e prima ancora che l’Italia la rendesse esecutiva [2], infatti, essa veniva integrata da un primo Protocollo addizionale, il cui art. 1 è espressamente dedicato alla «Protezione della proprietà» [3].

Come si vede, le radici della normativa sovranazionale sono ben risalenti e la Corte EDU era già operante da tempo quando aveva iniziato a consolidarsi la giurisprudenza sull’accessione invertita. Fino alla fine del XX secolo, tuttavia, l’espropriazione indiretta non era mai stata giudicata con sfavore dalla giurisprudenza di Strasburgo, che anzi... _OMISSIS_ ...rsquo;aveva ritenuta compatibile con l’art. 1 del primo Protocollo addizionale [4].

Nel 2000, però, la Corte EDU cambiava orientamento e con due celeberrimi e contestuali arresti [5] condannava l’Italia a risarcire il danno sofferto da alcuni privati che non si erano rassegnati all’espropriazione indiretta. Secondo la Corte, in particolare, la legalità pretesa dalla norma convenzionale comprendeva anche una ragionevole prevedibilità, per cui risultava lesa da un istituto che non consentisse al privato di prevedere i futuri sviluppi del suo diritto dominicale [6].

L’ordinamento italiano era quindi in contrasto con quello sovranazionale. Come si vede, però, il revirement della Corte EDU interveniva proprio nella delicata fase di transizione dal sistema pretorio a quello legislativo, complicando ulteriormente un quadro già difficile per altre ragioni.

Il primo problema sollevato dalle pronunce della ... _OMISSIS_ ...urgo era quello di capire se le esse si potessero estendere all’art. 43, emanato poco dopo ed entrato in vigore nel 2003. Sulla questione, la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato assumevano ancora una volta posizioni opposte [7].

Nell’interpretazione del giudice amministrativo, infatti, le condanne irrogate dalla Corte EDU - frequentissime da quel momento in poi [8] - erano state determinate dagli istituti giurisprudenziali antecedenti al testo unico [9], i quali, proprio in quanto tali, non potevano rispettare il principio di legalità: discorso diverso, quindi, si doveva fare per l’art. 43, che era stato adottato dal legislatore ed era quindi perfettamente compatibile con la Convenzione EDU [10].

Secondo la Suprema Corte [11], viceversa, l’Italia era stata condannata per violazioni commesse in tempi remoti, ma ormai il sistema pretorio - che secondo la Corte di cassazione, come si ricorderà, andava ancora a... _OMISSIS_ ...attispecie antecedenti al testo unico - presentava un grado di certezza sufficiente a superare il giudizio della Corte EDU [12].

La questione spiegava effetti anzitutto sul piano ermeneutico: a fronte dei delicati problemi interpretativi sollevati dall’art. 43 e dal perdurante sistema di matrice giurisprudenziale, infatti, appariva necessario chiarire quale dei due fosse contrario al diritto internazionale e quale dovesse essere la sorte dell’altro.

L’importanza della questione, peraltro, rischiava di essere enormemente amplificata da un altro dubbio - nel frattempo delineatosi in dottrina [13] - concernente gli effetti delle pronunce della Corte EDU sull’ordinamento giuridico nazionale: alla luce delle condanne irrogate all’Italia, in particolare, si dubitava seriamente della possibilità di continuare a dare applicazione ad una disciplina interna in dichiarato contrasto con le norme sovranazionali.

... _OMISSIS_ ...e la Corte EDU aveva avuto di mira l’espropriazione di fatto o l’art. 43, lungi dal limitarsi al piano strettamente ermeneutico, rischiava quindi di spiegare effetti anche sul sistema delle fonti.

Le due questioni, tra loro intimamente collegate, andavano irrimediabilmente incontro a soluzioni di particolare severità: da un lato, infatti, la Corte di Strasburgo aveva presto modo di chiarire che anche l’art. 43 si poneva in contrasto con la normativa sovranazionale [14]; dall’altro, nel 2007 la Corte costituzionale sposava la tesi per la quale le norme in accertato contrasto con la Convenzione EDU, pur non potendo essere disapplicate dalla giurisprudenza interna, potevano essere espunte dalla Consulta, per violazione dell’art. 117, primo comma, della nostra Carta fondamentale [15].

Combinando queste due conclusioni, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 sembrava ormai necessitata [16] ed ... _OMISSIS_ ... 2008 il TAR Napoli la rimetteva alla Consulta [17].

Unitamente a tale questione, però, il giudice a quo sottoponeva al giudice delle leggi altre due questioni. Il TAR campano, infatti, intravedeva anzitutto nell’art. 43 una lesione del principio di intangibilità del giudicato, osservando che esso permetteva alla p.a. di disporre l’acquisizione coattiva sanante anche in spregio al decisum del giudice amministrativo, come infatti era accaduto nelle fattispecie sottoposte alla sua attenzione. Inoltre, la norma impugnata sembrava adottata in violazione dei principi e criteri direttivi fissati dalla citata legge di semplificazione del 1998, con conseguente illegittimità per violazione dell’art. 76 Cost..

Il problema dell’eccesso di delega, invero, era stato già sollevato dalla dottrina [18], che spesso aveva concluso nel senso dell’incostituzionalità della disposizione in parola. A questa lettura aderiva nel 2010 an... _OMISSIS_ ...stituzionale, la quale, a distanza di quasi due anni dalle ordinanze di rimessione, accoglieva dunque la questione di legittimità costituzionale illustrata per ultima - ma ritenuta pregiudiziale - e dichiarando assorbite le altre censure.

È interessante notare che la difesa erariale aveva chiesto il rigetto della questione in parola osservando che l’art. 43 era stato adottato in risposta alle condanne inflitte all’Italia dalla Corte EDU. In effetti, una simile difesa era già stata prospettata anche in dottrina, ma per vero subito confutata [19]. La Consulta, dal canto suo, respingeva seccamente questa lettura della norma, evidenziando anzitutto che «ciò non era contemplato nei principi e criteri direttivi» della legge delega: è vero, ma è anche vero che la legge delega era anteriore alle prime condanne di questo tipo.

Per altro verso, la Corte costituzionale dubitava seriamente della compatibilità dell’art. 43 c... _OMISSIS_ ...ne EDU, osservando da un lato che il legislatore avrebbe potuto rispettare la Convenzione semplicemente «vietando l’acquisto connesso a fatti occupatori» e d’altro lato che anche l’art. 43 era stato criticato dalla Corte EDU, in quanto lesivo del principio di legalità in materia espropriativa.

Quest’ultimo passaggio è assai singolare dal punto di vista tecnico, perché la violazione della Convenzione EDU costituiva un’autonoma questione di legittimità costituzionale, che la Consulta prima dichiarava assorbito e poi risolveva incidentalmente, per mezzo di un lungo e severo obiter dictum [20].

La spiegazione di una simile scelta si può verosimilmente cercare nella volontà di non comprimere una discrezionalità legislativa non ancora esaurita, lasciando allo Stato la possibilità di cercare nuove vie per risolvere il legittimo dubbio che la soluzione tentata con il testo unico fosse davvero rispettosa de... _OMISSIS_ ... EDU.

Il deposito della sentenza in parola, avvenuto l’8 ottobre 2010, segnava dunque la fine dell’art. 43, nato tra molte polemiche, attaccato su piani diversi e caduto infine per un vizio di forma. Al suo posto rimaneva un vuoto che solo la giurisprudenza - alla quale tornava la parola - poteva cercare in qualche modo di riempire.