L’evoluzione storica dei titoli edilizi e della semplificazione in materia edilizia: dalla licenza edilizia al permesso di costruire e alla d.i.a..

Il settore dell’edilizia è sempre stato una sorta di «cantiere aperto», in cui gli interventi normativi di semplificazione delle modalità di conseguimento del titolo abilitativo si sono susseguiti in maniera alluvionale, creando molteplici problemi di coordinamento tra le fonti, che soltanto recentemente, con l’emanazione del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia, d’ora in poi T.U.) sono stati risolti.

Nel presente paragrafo si tenterà riassumere l’evoluzione storica dei titoli abilitativi edilizi, allo scopo di dare al lettore un quadro il più possibile esaustivo, ma sintetico, del contesto normativo che si è trovato di fronte il legislatore al momento dell’emanazione del T.U..

Le prime norme che introdussero nel nostro ordinamento una forma preventiva di controllo della P.A. sull’attività edilizia furono l’art. 4 del R.D.L. n. 640/1935 e l’art. 6 del R.D.L. n. 2105/1... _OMISSIS_ ...o previsto l’obbligo di rilascio di un’apposita autorizzazione da parte dell’autorità municipale per la realizzazione di nuove costruzioni o la modificazione o l’ampliamento di quelle preesistenti su tutto il territorio comunale.

Successivamente con l’art. 31 della legge n. 1150/1942 venne previsto l’obbligo di licenza del podestà per chiunque intendesse eseguire nuove costruzioni o ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l’aspetto nei centri abitati e, ove fosse esistito il piano regolatore comunale, anche nelle zone di espansione. A differenza del regime previgente, rimanevano quindi escluse le zone al di fuori del centro abitato – definito come il complesso di edifici abitabili che fosse sufficientemente organizzato mediante l’impianto di servizi pubblici essenziali, indipendentemente dall’esistenza di un P.R.G. – oltre che le demolizioni e le modifiche interne.

... _OMISSIS_ ...i controllo più penetrante fu introdotta con l’art. 10 della legge n. 765/1967 (c.d. «legge ponte»), che, sostituendo integralmente il predetto art. 31, introdusse l’obbligo di licenza edilizia per l’intero territorio comunale e anche per la modifica o la demolizione delle costruzioni esistenti nonché per la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
La giurisprudenza qualificò la licenza edilizia come un’autorizzazione, ossia come un provvedimento con cui la P.A. rimuoveva, con efficacia reale e non personale, un limite all’esercizio di una facoltà. Secondo questa prospettazione il diritto di costruire (ius aedificandi) era concepito come una facoltà rientrante nel contenuto del diritto di proprietà, non esercitabile se non fosse stato rilasciato il titolo edilizio da parte del sindaco. Questi, nel momento in cui sussistevano le condizioni stabilite dalla legge e dalla normativa secondaria, doveva provvedere necessariam... _OMISSIS_ ...avorevole a colui che chiedeva il rilascio del titolo edilizio, anche se poteva dettare prescrizioni in ordine ai requisiti estetici e strutturali degli edifici.

Dieci anni dopo, con la legge n. 10/1977 (c.d. «legge Bucalossi») la «licenza edilizia» venne sostituita con la «concessione edilizia», titolo che, ai sensi dell’art. 1, bisognava richiedere sempre al Sindaco ogni qual volta si intendesse porre in essere un’attività comportante «trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale» e che comportava l’obbligo di corrispondere un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione (art. 3).
L’area del controllo della P.A. veniva così ulteriormente estesa ad ogni attività umana che avesse comportato una modificazione anche solo visiva del paesaggio, mentre erano esclusi dall’obbligo di concessione gli in... _OMISSIS_ ...utenzione ordinaria, che, in quanto espressione dello ius utendi, erano da considerarsi anche gratuiti (art. 9).
Il vero tratto qualificante della normativa in esame tuttavia era costituito dall’utilizzo del termine «concessione» al posto di «licenza», visto che, interpretato letteralmente, questo sembrava aver spostato il titolo edilizio dall’ambito dei titoli autorizzatori a quello dei titoli concessori.

Come noto, le concessioni, proprio come le autorizzazioni, sono provvedimenti amministrativi aventi effetti favorevoli per il destinatario, ma si differenziano da queste in quanto non rimuovono un limite posto dalla legge all’esercizio di una situazione di vantaggio che si trova già nella titolarità del privato, ma hanno l’effetto di attribuire a quest’ultimo una situazione giuridica di cui egli in precedenza non era titolare.

Se questa è la differenza, allora è chiaro che il ter... _OMISSIS_ ...cessione» sembrava sottintendere che la legge Bucalossi avesse scorporato lo ius aedificandi dal diritto di proprietà, attribuendolo alla P.A., che attraverso il titolo edilizio e a fronte del pagamento degli oneri concessori, lo avrebbe trasferito al proprietario del fondo, rendendo l’area edificabile.
Questa ricostruzione aveva anche delle conseguenze importantissime su un altro piano, quello dell’indennità di espropriazione, perché, se si partiva dall’assunto secondo cui per effetto della legge n. 10/1977 lo ius aedificandi sarebbe stato avocato alla P.A., era facile sostenere che tutte le aree sarebbero divenute inedificabili e pertanto, in caso di espropriazione, indennizzabili sempre e comunque col solo valore agricolo medio.

La dottrina sul punto era divisa, e, accanto a chi riteneva che la modificazione avesse valore puramente nominalistico e non avesse mutato la natura autorizzatoria del titolo edilizio, vi era anch... _OMISSIS_ ... che questo dovesse essere inquadrato tra gli atti aventi natura concessoria, non comprendendosi, diversamente, come mai il legislatore ne avesse modificato il nomen iuris.

La disputa fu risolta dalla Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 5/1980 dichiarò illegittimi i criteri di quantificazione dell’indennità di esproprio fondati sempre e comunque sul valore agricolo del terreno, rilevando in motivazione che «il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle situazioni che ne comprendono la legittimazione a costruire» e che «la concessione ad edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell’antica licenza».

La giurisprudenza successiva si allineò al dictum del giudice delle leggi, per cui la concessione edilizia delle concessioni finiva per avere soltanto il nome... _OMISSIS_ ...la sostanza si configurava, non diversamente dalla licenza edilizia, come un provvedimento della P.A. che aveva un effetto favorevole per il privato consistente non nel trasferimento di un diritto, ma piuttosto nell’eliminazione di un limite alla possibilità di esercitare un diritto che egli aveva nella sua sfera giuridica.

La legge Bucalossi segnò l’apice del controllo pubblico sulle attività edificatorie private, e già dall’anno successivo, iniziò un processo di semplificazione che vide la sua prima tappa con la legge n. 457/1978, il cui art. 48 prevedeva che per gli interventi di «manutenzione straordinaria» la concessione edilizia fosse sostituita da un’autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori.

Nacque così l’«autorizzazione edilizia», titolo che era gratuito e che, in certi casi (quando non fosse necessario allontanare gli occupanti dall’immobile e sempre che non s... _OMISSIS_ ...immobile vincolato) poteva anche formarsi per silenzio assenso se il sindaco non si pronunciava entro novanta giorni.

La previsione dell’art. 48 della legge n. 457/1978 fu estesa in seguito alle opere ricomprese nei programmi regionali per l’adeguamento degli scarichi degli insediamenti produttivi, con riduzione del termine a trenta giorni (art. 2, co. 6, della legge n. 650/1979) e a quelle relative allo smaltimento dei liquami e dei fanghi industriali, con termine ridotto a sessanta giorni (art. 2, co. 9, del d.l. n. 801/1981 conv., con modif., in legge n. 62/1982).

Un nuovo ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 48 si ebbe con la «legge Nicolazzi» (d.l. n. 9/1982 conv., con modif., in legge n. 94/1982), che ne estese il regime agli interventi di restauro e di risanamento conservativo (art. 7, co. 1), e assoggettò ad autorizzazione gratuita, sempre se conformi agli strumenti urbanistici vigen... _OMISSIS_ ...o;intervento non riguardasse immobili vincolati, le seguenti opere: a) pertinenze o impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti; b) occupazione di suolo mediante deposito di materiale o esposizione di merce a cielo libero; c) demolizione, reinterri e scavi che non riguardassero la coltivazione di cave e torbiere (art. 7, co. 2).

In questi ultimi tre casi l’autorizzazione poteva formarsi tacitamente qualora il sindaco non si fosse pronunciato sull’istanza nel termine di sessanta giorni (art. 7, co. 3) e addirittura qualora fosse necessario allontanare gli occupanti dell’immobile, fermo restando l’obbligo per il richiedente, nel caso in cui il titolo si fosse formato per silentium, di comunicare al sindaco l’inizio dei lavori.

Qualora fossero stati necessari ulteriori atti per il rilascio della concessione, questi dovevano essere presentati a corredo dell’istanza (altrimenti il silenzio assenso... _OMISSIS_ ...si formato) e si intendevano rilasciati se entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda non fosse intervenuta una pronuncia espressa (art. 8, co. 3 e 4, richiamati dall’art. 7, co. 5).
In seguito, un’importante pronuncia della Corte costituzionale chiarì che gli interventi in esame, se compiuti su immobili vincolati, non erano subordinati a concessione, ma rimanevano pur sempre assoggettati ad autorizzazione gratuita, però espressa. In questo caso, se l’autorizzazione non era rilasciata nei termini, il soggetto interessato poteva pur sempre adire il G.A., impugnando il silenzio inadempimento della P.A..

Il quarto comma dell’art. 7 prevedeva poi che non fosse necessaria alcuna concessione o autorizzazione per le opere temporanee per attività nel sottosuolo che avessero carattere geognostico o fossero eseguite in aree esterne al centro edificato. Ovviamente le opere prive di tali caratteristiche (ossia non ave... _OMISSIS_ ...eognostico ma eseguite in aree poste nel centro edificato) erano invece soggette a controllo e a concessione edilizia.

Un’altra novità rilevante fu l’introduzione dell’istituto del silenzio assenso anche sulle domande di concessione edilizia, sovvertendo il principio, consacrato all’art. 31, co. 7, della legge n. 1150/1942 secondo cui qualora il Sindaco non si fosse pronunciato entro sessanta giorni dal ricevimento dell’istanza di concessione edilizia, l’interessato avrebbe dovuto ricorrere contro il silenzio inadempimento della P.A., chiedendo al G.A. l’adozione di un provvedimento che ordinasse alla P.A. di provvedere. Il regime di cui si darà conto era stato peraltro concepito come transitorio, in quanto destinato ad operare fino al 31 dicembre 1984, ma poi, dopo ripetute proroghe, questo termine venne soppresso dall’art. 23, co. 4, della legge n. 179/1992.

L’art. 8 stabilì, inf... _OMISSIS_ ...ora entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di concessione edilizia e del progetto non fosse stato comunicato un provvedimento motivato di diniego, la domanda doveva intendersi accolta (co. 1) e il richiedente poteva dare corso ai lavori, comunicandone l’inizio al comune e corrispondendo il contributo concessorio (co. 2).

Anche in questo caso, qualora fossero stati necessari ulteriori atti per il rilascio della concessione, questi dovevano essere presentati a corredo dell’istanza (altrimenti il silenzio assenso non poteva dirsi formato: co. 3) e si intendevano rilasciati se entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda non fosse intervenuta una pronuncia espressa (co. 4). Il fatto poi che il titolo si fosse formato tacitamente non influiva sul regime sanzionatorio, né penale, né amministrativo (co. 12, che faceva salvi gli artt. 15 e 17 della legge n. 10/1977).

Il silenzio assenso tuttavia non aveva... _OMISSIS_ ...eneralizzata, in quanto la giurisprudenza ne circoscrisse l’operatività agli interventi di edilizia residenziale abitativa, intendendosi per tali quelli effettuati su immobili con destinazione abitativa o comunque destinati a tutte quelle attività sussidiarie ed integrative che fossero indispensabili all’ordinato e civile vivere di una popolazione.

Si doveva tener conto inoltre dei limiti esplicitati dallo stesso art. 8, che, al co. 5, prevedeva che il silenzio assenso potesse trovare applicazione unicamente con riferimento agli interventi da realizzare su aree dotate di piani attuativi vigenti ed approvati non anteriormente all’entrata in vig...