La tutela del Made in Italy: prodotti tessili, di pelletteria e calzaturieri

È recentissimo l’ennesimo provvedimento (Legge 8 aprile 2010 n. 55) con cui il legislatore è intervenuto a introdurre una disciplina speciale per la tutela del Made in Italy nei settori tessile e delle calzature.

Ed infatti da alcuni anni si sono succeduti numerosi interventi normativi volti alla lotta alla contraffazione del marchio di origine della merce della produzione italiana. La fattispecie penale di base era, come noto, costituita dall’art. 4 comma 49 della Legge 350 del 2003 [1], più volte aggiornata, che punisce con le pene dell’art. 517 c.p. [2] la commercializzazione, anche tentata, di prodotti recanti l’utilizzo improprio del marchio Made in Italy.

In particolare con Legge 99 del 23 luglio 2009, è stato chiarito il significato dei termini “uso falso” o “fallace” (introducendo anche un apposito comma 49-bis [3] concernente l’uso fallace di marchio costituente mero illecito ... _OMISSIS_ ... e la possibilità di sanatoria amministrativa mediante l’esatta indicazione dell’origine ovvero l’asportazione della stampigliatura Made in Italy.).

Tale complessa disciplina, che inevitabilmente deve fare i conti con i regolamenti comunitari in materia con riferimento ai singoli settori produttivi [4], sino all’emanazione della Legge 55/2010 poneva un regime di sostanziale facoltatività dell’indicazione di provenienza dei prodotti in quanto l’ordinamento consentiva, ma non costringeva, a indicare il luogo di provenienza, limitandosi ad apprestare una protezione particolarmente rigorosa e penalmente rilevante del cd. Made in Italy contro indicazioni false o fallaci che lo riguardassero.

Ecco che, non senza difficoltà di introduzione, critiche e dubbi [5], la Legge 55/2010 ha stabilito invece, per la prima volta, un vero e proprio obbligo di indicazione della provenienza per i prodotti di questi settori [6]... _OMISSIS_ ... Per di più la necessità di evidenziare il luogo di origine di ciascuna fase della lavorazione rappresenta una difficoltà assai gravosa posto che nei tre settori è la stessa legge [7]a dettagliare cosa si intenda per “fasi di lavorazione” col risultato di produrre un catalogo assai ricco, che dovrà, per forza di cose, essere contemplato nella etichettatura dei vari prodotti posti in commercio con il marchio Made in Italy. Inoltre l’obbligo in questione grava non solo sugli imprenditori italiani, ma anche sugli operatori stranieri, comunitari od extracomunitari [8].

La Legge 55/2010 pone seri problemi applicativi ed interpretativi anche sul piano delle sue previsioni sanzionatorie. Nello specifico, l’art. 3 [9] della Legge stabilisce un complesso meccanismo di sanzioni amministrative a carico sia della persona fisica, sia dell’impresa che compiono attività in violazione delle sole disposizioni di cui all’art. 1 commi 3 e... _OMISSIS_ ...iolazioni assurgono a delitto - con conseguenti severe sanzioni - allorquando l’agente commetta tali condotte “reiteratamente” o “attraverso attività organizzate”.

Come si vede, dunque, e sebbene l’art. 3 premetta una classica clausola di riserva penale, che porrà all’interprete l’ulteriore problematica del coordinamento di tale disposizione con quelle di cui alla Legge 350/2003 nonché con l’art. 517 c.p., lo stesso articolo non sottopone a sanzione l’omissione di etichettatura dei prodotti Made in Italy stabilita come obbligo dal comma 1 dell’art. 1 (che costituisce la vera novità della legge), ma solo le condotte di minore innovatività e comunque di natura esclusivamente commissiva previste dai commi 3 e 4.

In tal modo è evidente che la portata innovatrice ed originale della norma viene privata in partenza di quella efficacia che solo la sua coercitività avrebbe consentito ... _OMISSIS_ ...CRLF|