ABUSI EDILIZI --> SANATORIA --> CONDONO --> TRE CONDONI, DISTINZIONE
La sanatoria edilizia disciplinata dal D.L. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326/2003, ha limiti di gran lunga più stringenti delle precedenti discipline legislative in materia ed è inapplicabile in territori vincolati e per abusi che abbiano prodotto incrementi di superfici o di volumi.
Il c.d. terzo condono risulta operante in riferimento ai soli abusi minori di cui alle tipologie 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, realizzati in zone vincolate, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; mentre non lo è in riferimento agli abusi di cui alle tipologie 1, 2 3 del medesimo allegato 1 al d.l. n. 269/2003, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
La legislazione statale, per i primi due condoni del 1985 e del 1994, aveva attribuito rilevanza alla data di commissione dell'abuso, dovendovi essere una valutazione in concreto sulla accoglibilità dell'istanza, nel caso di successiva imposizione del vincolo assoluto.
L’art. 32 d.l. n. 269/2003 convertito nella l. n. 326/2003 ha introdotto una disciplina più severa e rigorosa rispetto ai condoni edilizi che l’hanno preceduta, escludendo la possibilità di ottenere la sanatoria in presenza di due requisiti, ovvero della vigenza di un vincolo di inedificabilità, anche relativa, apposto prima della realizzazione delle opere, e della difformità delle opere rispetto alle disposizioni urbanistiche.
Il c.d. terzo condono non ha affatto abrogato gli articoli 32 e 33 della legge n. 47/85 che continuano a sancire criteri, seppur generali, per la sanabilità di un’opera in zona vincolata.
L’art. 32 del c.d. terzo condono di cui al d.l. 269/2003, convertito con modificazioni dalla l. 326/2003, fissa limiti più stringenti rispetto ai precedenti primo e secondo condono, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724, escludendo la possibilità di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora sussistano congiuntamente queste due condizioni ostative: a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente all'esecuzione delle opere abusive; b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. In tal caso l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
Il d.l. 269/2003 disciplina in maniera più restrittiva, rispetto al “primo condono edilizio” di cui alla l. 47/1985, le fattispecie di sanatoria di abusi in zone vincolate poiché, con riguardo ai vincoli (tra cui quelli a protezione dei beni paesistici), preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell'autorità ad esso preposta, con ciò collocando l'abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria.
La presentazione di un’ulteriore domanda di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994, oltre a quella contemplata ex lege 47/1985, comporta l’attivazione di un procedimento parallelo che, fondandosi su una diversa disciplina, alcuna incidenza può avere sul primo procedimento.
Se è vero che con il cd. secondo condono edilizio (legge n. 724 del 1994) il legislatore ha inteso non soltanto riaprire i termini per l’ottenimento del condono degli abusi edilizi originariamente contemplati dalla legge n. 47 del 1985 (compiuti entro il 1 ottobre 1983) o per l’integrazione della documentazione lacunosa relativa ai procedimenti pendenti, ma anche estendere la sanatoria ad abusi commessi successivamente, purché “ultimati” entro la data del 31 dicembre 1993 (art. 39 della legge n. 724 cit.), tuttavia l’onere di «unificare» le due istanze di condono, e verificare la «condonabilità» degli abusi con riferimento alla normativa vigente alla data della presentazione della seconda (assorbente) domanda vale nei limiti in cui vi sia coincidenza tra i rispettivi oggetti delle due domande e non anche quando si tratti di abusi del tutto differenti in termini sia materiali che funzionali.
Attraverso il rinvio, da parte dell'art. 32, comma 25, d.l. 269/2003, alle disposizioni dell'istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano peraltro alcune innovazioni.
In tema di sanatoria straordinaria, la disciplina rilevante, anche mediante rinvio, per quanto attiene ai “condoni edilizi” successivi a quello del 1985 è contenuta negli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, salve le diverse disposizioni di cui alle medesime leggi del 1994 e del 2003.
L’art. 32 comma 27 del d.l. 269/2003 sancisce una disciplina più severa rispetto ai condoni edilizi che l'hanno preceduta, e quindi esclude la possibilità di ottenere la sanatoria in presenza di due requisiti, ovvero della sussistenza di un vincolo di inedificabilità, anche relativa, apposto prima della realizzazione delle opere e della difformità delle opere rispetto alle disposizioni urbanistiche.
L'art. 32 del c. d. “terzo condono” di cui al d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 326/2003, fissa limiti più stringenti rispetto ai precedenti primo e secondo condono, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724, escludendo la possibilità di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora sussistano congiuntamente queste due condizioni ostative: a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente all'esecuzione delle opere abusive; b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. In tal caso l'incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
L'art. 43 comma 5 della legge n. 47/1985, nella parte in cui ammette la sanatoria per le opere edilizie non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali e limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità, si riferisce alle sole ipotesi in cui l'organismo edilizio abbia conseguito, al momento della sospensione dei lavori o del sequestro, uno sviluppo tale da renderne evidente e riconoscibile l'identità e funzionalità, conseguentemente non consentendo l'esecuzione di opere nuove o radicalmente diverse con interventi edilizi che diano luogo a nuove strutture.
L’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto legge n. 269 del 2003 (c.d. terzo condono), nel richiedere (per le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico) il requisito della conformità alle prescrizioni urbanistiche, introduce una significativa novità rispetto alle precedenti leggi sul condono edilizio, avvicinando (sotto questo profilo) il meccanismo di sanatoria all’istituto dell’accertamento di conformità, previsto dall’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Nel prevedere la sanabilità degli abusi edilizi, la legge n. 326 del 2003 ha circoscritto l’ambito applicativo del condono rispetto a quello previsto dalla legge n. 47 del 1985, contenente la disciplina generale in materia, e dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724. In particolare, sono rimasti esclusi dalla sanabilità gli abusi edilizi realizzati nelle zone vincolate o in violazione degli strumenti urbanistici (art. 32, commi 26 e 27).
L’art. 32 comma 27 della l. 326/2003 contiene una disciplina diversa, e più restrittiva, di quella prevista dai due precedenti condoni, ovvero quelli di cui alle leggi 47/1985 e 724/1994, e non consente il condono in presenza di due condizioni: in primo luogo, sull’area deve insistere un vincolo del carattere citato, ovvero idrogeologico o ambientale, che sia stato imposto prima della costruzione dell’immobile abusivo, e che non consenta di realizzarlo; in secondo luogo, il regime dell’area interessata dall’abuso deve essere tale per cui, nel momento in cui il condono viene valutato, quella costruzione non è con esso compatibile.
Il c.d. terzo condono si può applicare ai soli abusi formali non in contrasto con la disciplina urbanistica ed alle sole tipologie di abusi minori.
Il d. l. n. 269 del 2003 disciplina in maniera più restrittiva, rispetto alla legge n. 47 del 1985, la possibilità di ottenere il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico poiché, con riguardo a tali vincoli, preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell’autorità ad esso preposta, con ciò collocando l’abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria.
Lalegge n. 47 del 1985 – a differenza del successivo d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, di regolamentazione del c.d. terzo condono - non preclude, in assoluto, la sanatoria di opere abusive connotate da una certa consistenza, realizzate in zone sottoposte a vincolo, bensì attribuisce rilevanza all’epoca di introduzione del vincolo e, ancora, agli effetti di inedificabilità determinata dagli stessi vincoli.
La novità introdotta dal cd. terzo condono per gli abusi commessi in aree sottoposte a vincolo è costituita dall’inserimento del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio (che, al contrario, prescinde di norma da un simile requisito), così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001, piuttosto che ai meccanismi previsti delle due precedenti leggi sul condono edilizio.
Il condono edilizio di cui al decreto legge n. 269 del 2003 è caratterizzato da un ambito oggettivo più circoscritto rispetto a quello del 1985, in quanto, nel riaprire i termini del condono, il legislatore ha inteso circoscriverne con maggior rigore i presupposti di applicabilità.
Il rinvio operato dalle successive leggi speciali di sanatoria edilizia alla disposizione di cui all’art. 40, comma 6, della legge n. 47/1985 deve essere necessariamente inteso, alla luce della lettera e della ratio del comma considerato e del suo inquadramento sistematico, come un rinvio “mobile” alla norma, che lega la propria operatività al parametro temporale definito dalla legge di condono edilizio di volta in volta applicata, mentre non apparirebbe congruo un rinvio “fisso” all’originario termine di entrata in vigore della legge n. 47/1985.
Nel riaprire i termini del condono per ragioni dichiaratamente “di cassa”, il legislatore del 2003 ha inteso circoscriverne con maggior rigore i presupposti di applicabilità, escludendone in ogni caso - e pur fermo il quadro generale costituito dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, tuttavia derogati in parte qua - le opere realizzate: I) su immobili soggetti a preesistenti vincoli ambientali, paesaggistici o simili; II) in assenza o in difformità dal titolo edilizio; III) non conformi alla disciplina urbanistica locale.
L’art. 32 del decreto legge ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003 ma, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha specificamente individuato le tipologie di opere condonabili, limitando le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli: nelle aree sottoposte a vincolo è quindi possibile la sanatoria solo di opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6).
Come si ricava dal richiamo ai capi IV e V della l. 47/1985, l'art. 32 del d.l. 269/2003 si sostanzia nella possibilità di sanare vicende non mai definite o ancora da concludere e non già in quella di riaprire procedimenti che hanno trovato il loro compimento e si sono già consolidate.
Non è possibile applicare l’art. 32, c. 14 del DL 269/2003, così selettiva e specifica per il c.d. “terzo” condono edilizio, a fattispecie già a suo tempo sanate ed alle quali continuano ad applicarsi le norme proprie che regolarono la sanatoria che le riguardò, di stretta interpretazione e tali da non prestarsi a quelle letture costituzionalmente orientate già escluse per l’autonoma composizione dei procedimenti attivati in base a ciascuna delle tre discipline di condono.
Il c.d. terzo condono esclude la possibilità di sanatoria per le opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali o regionali a tutela, tra l’altro, di interessi idrogeologici, delle falde acquifere, ambientali e paesaggistici, a meno che non siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Dal terzo condono edilizio di cui alla l. n. 326/03 restano esclusi gli edifici insistenti su aree caratterizzate da vincolo istituito prima dell’esecuzione delle opere abusive, realizzate in assenza e/o difformità dal titolo abilitativo e che risultino non conformi alle norme ed alle prescrizioni poste dagli strumenti urbanistici.
L'art. 32 comma 27 lett. d), d.l. n. 269 del 2003 convertito dalla l. n. 326 del 2003, prescrive l'insuscettibilità della sanatoria di opere edilizie non autorizzate, realizzate su immobili soggetti a vincoli, istituti prima dell'esecuzione di dette opere, ove le stesse non siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Il condono, di cui all'art. 32, comma 25, del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, è più restrittivo di analoghe normative precedenti nella misura in cui si esclude comunque la sanabilità delle opere in determinate circostanze, con particolare riferimento alle opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere nonché alle opere realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, lacuale e fluviale.
La sanatoria prevista dal d.l. 269/2003 ha natura straordinaria, poiché da essa consegue l’effetto estintivo dei reati connessi al compimento di opere edilizie abusive.
L’art. 32 d.l. 269/2003 deve essere letto ed interpretato tenendo presente che nell’emanare tale norma il legislatore aveva l’interesse rivolto non alla sanatoria amministrativa degli abusi edilizi, quanto piuttosto alla estinzione delle conseguenze penali degli abusi edilizi, perché questa, più che la sanatoria meramente amministrativa, avrebbe potuto influire sulla “discovery” degli abusi edilizi.
L’art. 39, comma 20, della legge n. 724 del 1994, che escludeva dal regime dell'art. 33 della legge 47 del 1985 “il divieto transitorio di edificare, previsto dall’art. 1 quinquies del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312”, convertito in legge 8 agosto 1985, 431 (il quale a sua volta vietava – fino all’adozione dei piani regionali – ogni modifica delle aree e dei beni, individuati dall’art. 2 del decreto ministeriale del 21 settembre 1984, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico, tra l'altro, dei “territori costieri”) non appare riferibile alla procedura di condono, di cui all’art. 32, comma 25 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, che nel successivo comma 27 escludeva “comunque” la sanabilità delle opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici….qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere”.
In tema di cd. terzo condono, ai sensi dell'art. 32 comma 27, lett. d), d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito dalla l. 24 novembre 2003 n. 326, sono sanabili le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, purché ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo, anche se questo non comporta l'inedificabilità assoluta dell'area; b) che, seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6, dell'allegato a del d.l. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie; d) che vi sia il previo parere favorevole dell'Autorità preposta al vincolo.
Per gli immobili realizzati in ambito vincolato il "terzo condono" 2003 si atteggia quasi a una sorta di accertamento di conformità non essendo ammissibile la sanatoria di opere contrastanti con le norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Il presente articolo è un'aggregazione di sintesi di pronunce giudiziali estratte da un nostro codice o repertorio, nel quale le sintesi qui visibili sono associate agli estremi e agli estratti originali delle pronunce a cui si riferiscono (vedasi il sampler del prodotto). Possono essere presenti sintesi ripetitive o similari, derivanti da pronunce di contenuto ripetitivo o similare.