L'imposta di registro nelle espropriazioni per pubblica utilità

Fonte, oggetto, misura

La fonte normativa dell’imposta di registro è data dal dPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR - testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) [1].

L’imposta di registro è connessa alla registrazione di un atto da parte dell’ufficio del registro e mira a colpire tutti gli atti a contenuto patrimoniale formati nel territorio dello Stato, elencati in una tariffa allegata al testo unico.

La tariffa è suddivisa in due parti.

La parte prima riguarda gli «atti soggetti a registrazione in termine fisso», per i quali esiste l’obbligo di richiederne la registrazione entro venti giorni dalla redazione [2]; la parte seconda concerne, invece, gli «atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso», in relazione ai quali non vi è l’obbligo di richiedere la registrazione, ma l’atto non può essere «usato» [3] se non è stato prima registrato [4].

Sia gli atti soggetti a registrazione in termine fisso che quelli soggetti a registrazione in caso d’uso, possono essere assoggettati all’imposta in misura fissa o proporzionale.

L’art. 1, primo periodo del primo comma, della parte prima della tariffa, dedicata agli atti soggetti a registrazione in termine fisso, prevede gli «atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi…», assoggettandoli ad imposta proporzionale del 9% [5].

Riportiamo sotto la versione corrente integrale dell’articolo 1 della tariffa:


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La conferma dell’applicabilità dell’imposta di registro in misura fissa nell’ambito della procedura espropriativa per pubblica utilità svolta a favore degli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni e Consorzi tra gli stessi), e la sua estensione ai contratti di cessione volontaria, è stata confermata in numerosi interventi ministeriali [6].

Ciò, d’altronde [7], si evince espressamente dall’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 44 TUR: «In caso di trasferimento volontario all’espropriante nell’ambito della procedura espropriativa la base imponibile è costituita dal prezzo».

Pertanto, è indubbio che oggetto dell’imposta di registro siano sia i decreti di espropriazione che gli atti di cessione volontaria, entrambi soggetti a registrazione in termine fisso.

Dall’articolo 40 primo comma TUR [8] si evince che si applica l’imposta di registro in misura fissa ai decreti di esproprio e agli atti di cessione volontaria aventi ad oggetto trasferimenti di beni che configurano operazioni imponibili ai fini IVA. Non c’è, cioè, alternatività assoluta tra i due tributi, ma (salvo ipotesi particolari che non interessano la presente trattazione [9]) solo tra l’IVA e l’imposta di registro in misura proporzionale [10].


Base imponibile

Ai sensi del secondo comma dell’articolo 44 TUR la base imponibile dell’imposta è costituita dall’ammontare definitivo dell’indennizzo. Dalla procedura espropriativa disciplinata dal dPR 327/2001 si evince che l’ammontare definitivo dell’indennizzo va ravvisato nell’indennità accettata dagli espropriati e posta alla base del corrispettivo della cessione volontaria, ovvero, in caso di mancata stipula dell’atto di cessione volontaria, dall’indennità divenuta incontrovertibile in quanto non più soggetta a rideterminazione, il che avviene quando essa è accettata, anche se a ciò non segua la stipula dell’atto di cessione [11], ovvero quando sia inutilmente spirato il termine previsto dal (problematico [12]) combinato disposto dell’articolo 54 comma 1 del dPR 327/2001 e dell’art. 29 comma 3 del dLgs 150/2011 per l’opposizione giudiziale in Corte d’Appello alla stima amministrativa di secondo livello (cd. “definitiva”) effettuata dalla Commissione Provinciale o dal Collegio Tecnico ai sensi dell’articolo 21 del dPR 327/2001, ovvero quando sia stato attivato il suddetto giudizio e si sia giunti a sentenza passata in giudicato.

Nel caso del decreto di esproprio, il riferimento all’indennità definitiva pone rilevanti problemi pratici, in quanto la procedura espropriativa delineata dal dPR 327/2001 prevede un binario separato in ordine alla procedura di trasferimento del diritto rispetto alla procedura di determinazione dell’indennità: il che significa che si può pervenire (e nella maggior parte dei casi si perviene) alla registrazione di un decreto ...


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  • nella procedura ordinaria di cui all’articolo 20 dPR 327/2001, dopo il pagamento o deposito dell’indennità provvisoria (art. 26.11 dPR 327/2001), che diviene definitiva se sia stata accettata dall’espropriando ai sensi del comma 5 dell’articolo 20 dPR 327/2001;

  • dopo il pagamento o deposito dell’indennità cd. ‘definitiva’, cioè fissata in via amministrativa di secondo grado (art. 27.3 dPR 327/2001) dal collegio dei tecnici (art. 21 dPR 327/2001) o dalla Commissione provinciale (art. 41 dPR 327/2001), che tuttavia diviene realmente definitiva solo se sia stata accettata dalle parti, o se sia spirato il termine per l’opposizione giudiziale alla stessa ai sensi dell’art. 54 dPR 327/2001;

  • nella procedura accelerata di cui all’articolo 22 dPR 327/2001, contestualmente alla determinazione urgente dell’indennità, che può essere accettata solo successivamente all’esecuzione del decreto di esproprio stesso (ultimo periodo primo comma articolo 22 dPR 327/2001);

  • nella procedura accelerata di cui all’art. 22-bis dPR 327/2001, successivamente alla determinazione urgente dell’indennità contenuta nel decreto di occupazione che precede il decreto di esproprio.


Conseguentemente, il decreto di esproprio poggia su una indennità che può dirsi ‘definitiva’ nei soli seguenti casi:

  • indennità “provvisoria” accettata dagli espropriati, con ricorso al decreto di esproprio in luogo dell’atto di cessione, nelle ipotesi di cui ai commi 11 o 12 dell’articolo 20 dPR 327/2001, ovvero ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 22-bis;

  • decreto di esproprio successivo alla determinazione dell’indennità cd. ‘definitiva’, cioè quella quantificata ad opera della Commissione Provinciale o del collegio dei tecnici ex art. 21 dPR 327/2001, avverso la quale, successivamente all’emanazione del decreto di esproprio, non venga proposta opposizione giudiziale entro il termine decadenziale previsto dalla legge.


Pertanto, quando il decreto di esproprio è sottoposto a registrazione, non è detto che poggi sull’indennità definitiva, o che l’indennità definitiva sopraggiunga entro il termine di venti giorni per la registrazione: è dunque possibile – e anzi risponde alla maggior parte dei casi – che il decreto venga registrato sulla base di una indennità soggetta a future rideterminazioni in sede amministrativa o giudiziale.

In tali casi si dovrebbe [13] procedere ad una applicazione dell’imposta di registro in via provvisoria in relazione ai valori evidenziati nel decreto di esproprio, procedendo alla riscossione in via definitiva al momento della denuncia dell’indennità definitiva da effettuarsi entro venti giorni dal formarsi della stessa (art. 19.1 dPR 131/1986 [14]). A seguito di detta denuncia all’ufficio del registro, e precisamente nei sessanta giorni successivi, è quindi previsto, dall’art. 55 dPR 131/1986, il pagamento dell’imposta cd. complementare [15].

Quanto sopra, peraltro, trova conferma nel successivo art. 35, 1° comma, dPR 131/1986, rubricato «Contratti a prezzo indeterminato», che si attaglia alla fattispecie in esame in quanto afferma che: «Se il corrispettivo deve essere determinato posteriormente alla stipulazione di un contratto, l’imposta è applicata in base al valore dichiarato dalla parte che richiede la registrazione, salvo conguaglio o rimborso dopo la determinazione definitiva del corrispettivo, da denunciare a norma dell’art. 19» [16].

Peraltro non è detto che sorga necessariamente l’obbligo del conguaglio, in quanto l’indennità definitiva potrebbe anche essere inferiore [17] a quella provvisoria sulla base della quale è stato pagato il tributo, costringendo il soggetto passivo d’imposta ad attivare una procedura di recupero dell’importo versato in eccesso.

Entrambe le situazioni, versamento integrativo e recupero dell’imposta pagata in eccesso, rappresentano un serio inconveniente pratico per le amministrazioni esproprianti, vieppiù in considerazione del fatto che le indennità possono diventare definitive dopo anni dal decreto di esproprio.

Alla luce delle difficoltà di applicazione pratica degli articoli 35 e 19 del dPR 131, ci si potrebbe chiedere se la registrazione del decreto di esproprio, indipendentemente dalla sua trascrizione nei registri immobiliari e volturazione nei registri catastali, possa essere differita al momento della formazione dell’indennità definitiva, ove non ancora esistente al momento dell’emanazione del decreto di esproprio.

Sotto questo profilo, il dato normativo cui far riferimento, sarebbe l’articolo 14 del dPR 131/1986 [18], la cui applicazione in via analogica all’ambito espropriativo, tuttavia, appare assai dubbia, trattandosi di disposizione “a fattispecie esclusiva”, non riconducibile ad un principio generale più esteso rispetto alla peculiare situazione espressamente considerata dalla norma positiva, e ciò sembra precluderne un’estensione interpretativa in via analogica, già di per sé discutibile in ambito fiscale [19].

Per la stessa ragione sembra difficile ammettere l’estensione ai decreti di esproprio delle disposizioni del dPR 131 che differiscono non la registrazione, ma – in tutto o in parte – il pagamento dell’imposta di registro ad un momento successivo rispetto alla richiesta di registrazione, che, per quanto qui interessa, verrebbe a coincidere con il momento della formazione dell’indennità definitiva [20].


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Per evitare la doppia imposizione, sarebbe corretto scorporare l’imposta già in precedenza pagata, ovvero, detrarre dall’indennità quantificata in giudizio, ai fini del calcolo dell’imposta, l’indennità precedentemente determinata sulla quale l’imposta è già stata pagata (se inferiore a quella definitiva, naturalmente), in considerazione del fatto che l’articolo 44 secondo comma individua l’unica base imponibile del tributo nell’ammontare definitivo dell’indennizzo.

Vi è poi un’altra questione.

Il decreto di esproprio, salvo nell’ipotesi in cui sia stato preceduto da un’immissione in possesso dei beni effettuata sulla base di un precedente decreto di occupazione, non trasferisce immediatamente la proprietà del bene, la quale si verifica al momento della sua esecuzione mediante l’immissione in possesso, come prevede l’articolo 23.1.f del dPR 327/2001 (ai sensi del quale il decreto di esproprio «dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell'espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito»).

Pertanto, il decreto di esproprio è, normalmente, al momento della sua emanazione, un atto sospensivamente condizionato, la cui efficacia traslativa è rimandata alla sua esecuzione, e la sua registrazione dovrebbe conseguentemente avvenire in ottemperanza dell’articolo 27 del TUR («Atti sottoposti a condizione sospensiva approvazione od omologazione») [28] mediante il pagamento dell’imposta in misura fissa, conguagliando l’importo all’avverarsi della condizione [29]. Tuttavia, a cognizione degli scriventi, si tratta di una modalità di registrazione pressoché desueta nella prassi delle Autorità esproprianti e degli uffici del registro.

Un altro aspetto problematico nell’individuazione della base imponibile riguarda le varie poste di cui può comporsi l’indennità spettante all’espropriato, che può ad esempio ricomprendere il deprezzamento della porzione non espropriata del bene (art. 33 dPR 327/2001), soprassuoli presenti sul fondo, mancati raccolti.

Nell’espropriazione per pubblica utilità, esistono poi le indennità cd. “aggiuntive”, cioè diverse e ulteriori rispetto al controvalore del bene comprensivo del deprezzamento della residua parte, che sono di quattro tipologie: quelle di natura premiante per favorire l’accordo con il proprietario e la conseguente accelerazione della conclusione della procedura espropriativa (es. art. 37.2 dPR 327/2001), quelle volte a compensare un pregiudizio particolare e qualificato arrecato a particolari categorie di espropriati (e cioè i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali: art. 40.4, 37.9 dPR 327/2001), quella speciale spettante ai fittavoli (art. 42 dPR 327/2001), quella per la permanente diminuzione di valore di beni non espropriati (art. 44 dPR 327/2001), posto che il deprezzamento della porzione residua in caso di esproprio parziale non è una voce autonoma dell’indennità di esproprio, ma di questa deve far parte (art. 33 dPR 327/2001).

Infine, in caso di occupazione temporanea, all’indennità di esproprio può affiancarsi l’indennità di occupazione ai sensi dell’articolo 50 del dPR 327/2001 (in comb. disp. con l’articolo 22-bis comma 5).

L’assoluta genericità della formulazione dell’art. 44 del dPR 131/1986 (“indennizzo”) fa allignare una serie di dubbi in ordine al trattamento fiscale da riservare alle somme che non corrispondono in senso stretto al controvalore del bene.


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Questa posizione, di cui si è dato doverosamente conto, appare tuttavia estremamente discutibile dal punto di vista teorico: non è infatti dato comprendere come sia possibile ascrivere alla natura dell’imposta di registro poste indennitarie che nulla hanno a che vedere con il valore del terreno oggetto del trasferimento, come la compensazione di un danno all’impianto di irrigazione o del mancato raccolto, o il vulnus allo status soggettivo di coltivatore diretto. Né si capisce come possa l’indennità di occupazione temporanea (che può o meno accompagnare parallelamente l’esproprio sotto il profilo dell’anticipazione dell’apprensione materiale dei beni a seconda delle esigenze di cantierizzazione dell’opera dell’autorità espropriante), essere equiparata all’indennità di esproprio, dalla quale differisce completamente e sotto ogni profilo, a partire dalla sua stessa natura.

Infine, si ricorda che l’art. 43.1.i del TUR dPR 131/1986 precisa che la base imponibile è costituita «per i contratti relativi ad operazioni soggette e ad operazioni non soggette all’imposta sul valore aggiunto, dal valore delle cessioni e delle prestazioni non soggette a tale imposta».


Soggetti passivi ed esenzioni

Tenuto a pagare l’imposta è il soggetto espropriante, come precisa l’articolo 57.8 del dPR 131: «negli atti di espropriazione per pubblica utilità o di trasferimento coattivo della proprietà o di diritti reali di godimento l’imposta è dovuta solo dall’ente espropriante o dall’acquirente senza diritto di rivalsa, anche in deroga all’art. 8 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (…)».

La disposizione prosegue introducendo una esenzione: «(…) l’imposta non è dovuta se espropriante o acquirente è lo Stato».

E qui entriamo in una nuova problematica di conflitto tra norme concorrenti.

Infatti l’articolo 10 del D.Lgs 23/2011 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) che ha rimodulato l’articolo 1 della tariffa del TUR, al comma 4 stabilisce che «In relazione agli atti di cui ai commi 1 e 2 sono soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali, ad eccezione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25».

Dalla piana lettura del dettato normativo, l’esenzione a favore dello Stato dovrebbe ritenersi soppressa a valere dal 1 gennaio 2014.

Sennonché il Ministero non è di tale opinione.


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Per “espropriante” distinto da “acquirente” potrebbe intendersi lo Stato nella duplice, autonoma e specifica veste, da un lato, di “autorità espropriante” (cioè di soggetto che esercita il potere espropriativo) ovvero di “promotore dell’espropriazione” (cioè di soggetto da cui parte l’impulso della procedura), dall’altro lato, di “beneficiario dell’esproprio” (cioè di soggetto a favore del quale avviene il trasferimento del diritto) [31].

In realtà, le parole “espropriante” o “acquirente” vengono per lo più intese in prassi con riguardo al solo fenomeno del trasferimento del diritto (nell’atto di cessione volontaria lo Stato è formalmente “acquirente”), e dunque l’esenzione viene generalmente intesa con riguardo a quelle situazioni in cui lo Stato sia il soggetto destinato ad acquisire la proprietà del bene, o a divenire titolare del diritto ablato. Il Ministero ha spesso affermato che occorre avere riguardo al soggetto a favore del quale avviene il trasferimento [32], ma non sempre le interpretazioni ministeriali si sono mosse su questa linea con coerenza, come nel caso dell’ANAS, ritenuta non esente in quanto società per azioni, dimenticando che i beni espropriati dall’ANAS non entrano nel suo proprio patrimonio, ma divengono di proprietà del demanio stradale dello Stato, il quale dunque – e non l’ANAS – è il soggetto acquirente: ma di ciò si tratterà più dettagliatamente nel prossimo paragrafo.

Ora, nella formulazione dell’articolo 1 della tariffa precedente a quella entrata in vigore il primo gennaio 2014, vi era una differenziazione tra il regime ordinario delle aliquote, il regime dell’esenzione a favore dello Stato (che in base alla Circolare 2/E del 21 febbraio 2014 è rimasto), e il regime dell’imposta in misura fissa in caso di trasferimento a favore di “enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero a favore di comunità montane” (settimo periodo del primo comma dell’articolo 1 della tariffa), con la conseguenza che – ad escludendum – il regime dell’aliquota percentuale rimaneva applicabile ai soggetti esproprianti diversi dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi ovvero dalle comunità montane.

Oggi tale differenziazione è superata, in quanto, a parte la controversa sopravvivenza dell’esenzione a favore dello Stato, gli espropri sono assoggettati alla aliquota percentuale generale.


Lo Stato e i soggetti privati concessionari


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La decisione del Ministero delle Finanze qui da ultimo richiamata, di segno contrario rispetto alla più recente del 2009, sopra riportata, poggiava, invero, su un altro parere del Consiglio di Stato, espresso in data 14 dicembre 1999 [36], con il quale tale organo consultivo aveva affermato che «allo stato attuale della legislazione, il processo di privatizzazione della società di cui si tratta risulta ancora confinato in una prima fase in cui anche le azioni della stessa restano – almeno per il momento – interamente in mano pubblica; per le Ferrovie dello Stato S.p.A., pertanto, vale ancora nella sostanza la qualificazione di impresa pubblica in precedenza attribuita». [37]

La citata Risoluzione 1° settembre 2009, n. 243/E suscita perplessità, in quanto estende all’Anas un parere rilasciato dal Consiglio di Stato (il citato n. 1846/03 del 10 giugno 2003), riferito ad una situazione del tutto diversa e peculiare [38], sorvolando sulla cruciale circostanza che l’Anas intesta al demanio statale ramo strade i beni acquisiti (per concessione) mediante esproprio: negli espropri da essa condotti l’acquirente è - dunque - lo Stato-persona.

In tal senso, risulta particolarmente interessante la recente sentenza n. 196 del 29 novembre 2013 della Commissione tributaria regionale Umbria, sez. III, che affronta la questione della possibilità o meno di applicare l’esenzione ex art. 57.8 del dPR 131 nella circostanza in cui l’ANAS rivesta la qualifica di ente espropriante e lo Stato quella di “acquirente” dell’immobile ossia destinatario del trasferimento (ancorché non parte contrattuale). Ebbene, detta Commissione, nell’evidenziare la differenza del caso trattato rispetto a quello oggetto della (succitata) sent. n. 938/2009 della Cassazione, nel quale difettava il trasferimento diretto ed immediato in capo al Demanio dello Stato, conclude affermando l’applicabilità dell’esenzione dall’imposta, svolgendo una serie di argomentazione che vale la pena riportare di seguito testualmente.

«Ebbene, la soluzione della questione impone di partire da una corretta interpretazione della norma di esenzione: art. 57, comma 8, D.P.R. n. 131 del 1986. Questo il testo: "... 8. Negli atti di espropriazione per pubblica utilità o di trasferimento coattivo della proprietà o di diritti reali di godimento l'imposta é dovuta solo dall'ente espropriante e dall'acquirente senza diritto di rivalsa, anche in deroga all'art. 8 della L. 27 luglio 1978, n. 392; l'imposta non é dovuta se espropriante o acquirente é lo Stato." Risulta immediatamente evidente che per la applicazione della agevolazione, più precisamente della esenzione, non è necessario che la qualifica di espropriante e la qualifica di acquirente concorrano unitamente in capo allo stesso soggetto dal momento che la collocazione della disgiuntiva "o" tra le due qualifiche sta a significare che l'agevolazione è applicabile sia nel caso in cui lo Stato sia soggetto espropriante sia nel caso in cui lo Stato, pure senza essere il soggetto espropriante, sia però il soggetto comunque acquirente.

Escluso che nel caso in esame l'espropriante sia lo Stato, essendo l'ANAS l'ente espropriante, si tratta di stabilire, però, se lo Stato risulti comunque "acquirente" dell'immobile. E nello stabilire ciò è necessario ricordare che il termine "acquirente" non equivale al termine "compratore" dal momento che mentre il termine "compratore" è termine utilizzato espressamente dal legislatore per individuare la parte che acquista un bene mediante contratto di compravendita, dunque necessariamente uno dei contraenti (art. 1471 c.c., 1476 c.c., 1478 c.c., 1479 c.c. ecc...), il termine "acquirente" è invece più comprensivo, essendo utilizzato per rappresentare il trasferimento del diritto da un soggetto ad un altro a prescindere dalla causa giuridica del trasferimento: ed invero il legislatore (art. 922 ce) recita "la proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge"; il che induce a riconoscere la qualifica di acquirente (essendo l'acquirente appunto colui che acquista) al soggetto in capo al quale si verifica il trasferimento della proprietà, sempre e comunque, a prescindere dalla causa giuridica dell'acquisto.


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E' chiaro dunque che il trasferimento della proprietà si è verificato direttamente ed immediatamente in capo allo Stato, senza transitare - per così dire - in capo all'ANAS, cosicché se tale ente risulta parte contraente, l'acquirente però risulta lo Stato. Donde, per le argomentazioni sopra svolte, l'esenzione dell'atto dall'imposta. Non giova dunque all'amministrazione finanziaria appellante invocare la giurisprudenza della Suprema Corte, ed in particolare Cass. n. 938/2009 dal momento che vi è una sostanziale differenza tra le due fattispecie: in quel caso, diversamente da quello qui esaminato, non si è verificato un trasferimento diretto ed immediato in capo al Demanio dello Stato.» [39].