8. Le conseguenze dell’asservimento: effetti positivi ed effetti negativi
All’asservimento, sia esso unilaterale o intersoggettivo, seguono due effetti inscindibili, ma contrapposti. A ben guardare, anzi, può dirsi senz’altro che i due effetti hanno segno opposto, atteso che ad un effetto positivo per il privato si collega un innegabile effetto negativo a carico dello stesso soggetto.
L’effetto positivo per il privato è l’aumento della volumetria assentibile sul proprio fondo. Ed invero, l’asservimento permette normalmente di edificare un immobile di volumetria superiore rispetto a quella che potrebbe sviluppare un terreno isolatamente considerato.
L’effetto negativo per il privato è invece la sterilizzazione della superficie asservita, che dà luogo a tematiche delicatissime e particolarmente frequenti nella prassi.
Alla luce della rilevantissima incidenza dell’asservimento nella materia che ci occupa, appare opportuno trattare separatamente l’effetto positivo e quello negativo, cogliendo peraltro l’occasione per affrontare le principali questioni applicative che si pongono in relazione all’uno ed all’altro.
9. Effetti positivi dell’asservimento e questione del lotto minimo
Si è detto che l’effetto positivo dell’asservimento - unilaterale o intersoggettivo - è dato dall’aumento della volumetria assentibile.
Dal punto di vista del proprietario, tale effetto costituisce il motivo soggettivo sotteso allo stesso atto di asservimento: ciò che induce il proprietario ad asservire un’area di sua proprietà, o a chiedere al vicino di asservire l’area di quest’ultimo, è evidentemente l’intenzione di maggiorare la volumetria assentibile nell’ambito edificabile, anche a costo di farne risultare l’effetto negativo di cui si dirà.
Dal punto di vista del Comune, invece, l’asservimento si riflette in una complicazione delle pratiche edilizie. A fronte di un fenomeno di questo tipo, infatti, l’amministrazione deve adottare, quale base di calcolo, l’intera superficie asservita, utilizzandola come moltiplicando nell’equazione fondamentale della densità: laddove in tal modo si ottenga un totale volumetrico pari o superiore a quello richiesto dall’intervento, quest’ultimo deve essere acconsentito.
Per vero, la dottrina riscontra normalmente - anche se spesso in modo acritico - una certa discrezionalità in capo all’amministrazione [1]. In generale, tuttavia, pacifica giurisprudenza qualifica in termini di provvedimento vincolato il rilascio del titolo edilizio [2].
Poiché nel caso di specie non sussistono apprezzabili peculiarità da questo punto di vista, sembra più corretto ritenere che il Comune, riscontrati i presupposti dell’asservimento ed esclusa ogni altra possibile condizione ostativa, sia tenuto a consentire l’attività edilizia. I profili di discrezionalità - senz’altro sussistenti - sono infatti riferibili al pianificatore [3] e non al Comune come tale.
Da quanto precede si può ricavare, ad avviso di chi scrive, la correttezza del ragionamento che si muove esclusivamente sul piano areale. In altre parole, il modus operandi più corretto sembra quello che vede nell’asservimento un fenomeno che riguarda non tanto la volumetria, bensì le superfici.
Di conseguenza, se Tizio produce un atto di asservimento del fondo Corneliano al fondo Flaviano, ciò significa che la superficie dei due fondi deve essere considerata unitariamente ai fini della densità edilizia. Ciò che conta - si ripete - è la superficie complessiva dei due fondi, sulla base della quale sarà calcolata una volumetria unitaria.
Ad onor del vero, però, si deve avvertire che nella prassi è assai diffusa la logica opposta, secondo la quale l’asservimento non riguarda la superficie asservita, bensì la volumetria generata da tale superficie. Si tratta di un’impostazione che appare adombrata già dalla terminologia corrente, che proprio per questa ragione si è tentato di evitare.
Si ricorderà, infatti, che il fenomeno dell’asservimento - soprattutto intersoggettivo - è usualmente indicato con espressioni come cessione di cubatura [4], trasferimento di volumetria [5] o simili [6]: terminologie di questo tipo, evidentemente, lasciano supporre che il fenomeno riguardi non tanto la superficie, bensì la volumetria generata dalla superficie asservita. Aderendo a questa tesi, dunque, se Tizio produce un atto di asservimento del fondo Corneliano al fondo Flaviano, ciò significa che egli intende calcolare separatamente la volumetria assentibile sul fondo Corneliano e quella assentibile sul fondo Flaviano, sommando successivamente la prima alla seconda, per edificare un unico immobile.
Sul piano concettuale, la differenza tra le due impostazioni è evidente: nel primo caso si asservisce una superficie, nella seconda si trasferisce una volumetria. Si potrebbe però obiettare che, nel concreto, tale differenza scompare del tutto. In effetti, se si hanno a mente casi semplicissimi come quello abbozzato in relazione ai fondi Flaviano e Corneliano, il calcolo separato delle volumetrie assentibili può risultare indifferente o addirittura preferibile, ad esempio laddove una delle due aree sia già parzialmente edificata o sia comunque già stata oggetto del calcolo della volumetria assentibile.
Se però si passa a casi più articolati - che nella prassi ricorrono sovente, stante la composita realtà urbanistica italiana - l’uso dell’impostazione che qui si avversa può obbligare a percorrere sentieri difficili per raggiungere traguardi semplici e talvolta può addirittura impedire il conseguimento di risultati accettabili.
Il concetto può essere chiarito ricorrendo alla delicata questione del lotto minimo.
Si tratta di un tema che merita di essere affrontato solo incidentalmente, dal momento che la legislazione statale [7] non sembra farne menzione. Nella prassi, tuttavia, è assai frequente che il pianificatore subordini l’edificabilità del lotto alla ricorrenza di una superficie minima, con una scelta di merito che la giurisprudenza amministrativa ritiene legittima ed in linea di massima sottratta al sindacato di legittimità [8], al pari delle altre valutazioni urbanistiche [9].
Orbene, in dottrina è piuttosto ricorrente l’idea che il requisito del lotto minimo non si possa integrare mediante l’asservimento [10]. Alla base di quest’affermazione non si fatica a riconoscere, appunto, la concezione dell’asservimento come cessione di volumetria: è fin troppo evidente che, se si ritiene che l’asservimento di un’area comporti il trasferimento della volumetria generata ma non l’ampliamento della superficie di riferimento, il requisito del lotto minimo non ha nulla a che vedere con l’istituto in parola. Se Tizio asservisce il fondo Corneliano al fondo Flaviano, secondo questa impostazione egli può calcolare la volumetria assentibile sul fondo Corneliano e sommarla a quella che ha diritto di erigere sul fondo Flaviano, ma la superficie di quest’ultimo rimane immutata: di conseguenza, se il pianificatore ha richiesto una data superficie minima e il fondo Flaviano non la raggiunge, l’asservimento del fondo Corneliano si rivela giuridicamente inutile per il proprietario Tizio.
Tutto questo può dar luogo a risultati aberranti. Se infatti i privati non avessero alcuna possibilità di raggiungere la superficie minima mediante atti di asservimento, è chiaro che il pianificatore potrebbe imporre vincoli di inedificabilità giuridica - e non soltanto di fatto - in spregio ai limiti ai quali normalmente sottostanno le scelte di questo tipo.
Ma v’è di più: oltre al pianificatore, perfino il proprietario potrebbe imporre unilateralmente dei vincoli di inedificabilità, con indebita e paradossale ingerenza del privato nella funzione gestione del territorio. Si ipotizzi ad esempio che Filano, proprietario del fondo X, che può essere edificato perché ha superficie esattamente pari al lotto minimo, ritenga opportuno che esso non sia edificato, perché ad esempio ritiene troppo generose e per questo irragionevoli le scelte edificatorie operate dal pianificatore. Orbene, per assicurarsi che il lotto non possa essere edificato neppure dopo la propria morte, Filano potrebbe semplicemente suddividere il fondo tra i propri figli: in tal modo, i due nuovi lotti originati dallo smembramento del fondo X non potrebbero giammai essere edificati, neppure se i figli di Tizio si accordassero per l’asservimento dell’uno all’altro. In questo modo, evidentemente, Tizio avrebbe agito come pianificatore di fatto, con un’ingerenza nella cosa pubblica che l’ordinamento non può certamente tollerare.
Da quanto detto consegue giocoforza l’opportunità di respingere la ricostruzione che vede nell’asservimento un trasferimento di cubatura. Tale impostazione, del resto, incontra insuperabili ostacoli anche sul piano giuridico.
In primo luogo, la pedissequa interpretazione della cessione di volumetria in quanto tale urta con la granitica impostazione della giurisprudenza costituzionale, che con una storica e celeberrima pronuncia ha vietato senza mezzi termini lo scorporo dello ius aedificandi dal diritto di proprietà [11]. In dottrina non sono mancati i tentativi di impostare in questi termini l’istituto de quo [12], con imbarazzanti problemi di liceità e con tutte le difficoltà che ne derivano.
A ben guardare, però, la questione di liceità non si pone neppure se si ritiene che l’asservimento non comporti alcuno scomputo della cubatura generata dal suolo ma, al contrario, mantenga uno stretto legame tra superfici e volumi, trasferendo i secondi solo nella misura in cui sono trasferite le prime.
Inoltre, si è detto che la giurisprudenza tradizionale tende ad imporre che le aree asservite siano contigue a quelle edificate, ma la giustificazione di un simile requisito appare quantomeno sfuggente se si ritiene che l’asservimento permetta una vera e propria circolazione della volumetria. Viceversa, se l’effetto dell’asservimento è l’allargamento della superficie di riferimento, la logica di questo limite è nella natura delle cose, dal momento che un’area non può essere allargata se non per il tramite delle aree adiacenti [13].
Del resto, a sostegno della tesi che si avversa viene talvolta addotto un arresto del Consiglio di Stato [14], la cui opinione si presta però ad essere equivocata se avulsa dal contesto in cui si colloca. Nel caso di specie, due proprietari risultavano titolari di aree inferiori al lotto minimo previsto dal piano di fabbricazione: consci che, allo stato, nessuno dei due avrebbe potuto edificare, si erano dunque accordati per presentare un unico progetto, accorpando fittiziamente i due fondi per raggiungere la superficie minima edificabile richiesta dal pianificatore. Il Comune acconsentiva all’intervento, ma il titolo edilizio veniva impugnato ed annullato dal TAR L’Aquila [15], con sentenza confermata in appello dalla decisione che ci riguarda.
Sennonché, nel caso di specie l’annullamento risulta giustificato più che altro dall’artificiosità dell’accorpamento, che in effetti emerge da dati inequivocabili: da un lato, il progetto unitario prevedeva due distinti corpi di fabbrica, l’uno da realizzare sul fondo del proprietario istante, l’altro da realizzare su quello del vicino cointeressato; dall’altro, la logica scindibilità dei due interventi veniva implicitamente confermata dal Comune resistente, che per la realizzazione del progetto rilasciava due distinte concessioni edilizie.
Di conseguenza non sembra corretto concludere nel senso dell’automatica illegittimità dell’asservimento finalizzato a superare il requisito del lotto minimo [16]: ciò potrebbe risultare coerente con la tesi che qui si contrasta, ma che non corrisponde affatto al dictum del Consiglio di Stato.
La stessa giurisprudenza successiva, d’altra parte, nel far riferimento a questo arresto mette l’accento sul divieto di apporre vincoli in elusione del lotto minimo [17], e per altro verso conferma nei fatti la possibilità di integrare il requisito del lotto minimo mediante atti di asservimento [18].
Apertamente in questo senso, infine, si può leggere un chiarimento offerto, in sede di assistenza tecnica agli enti locali, da un’autorità amministrativa sovraordinata a quella comunale [19]: benché non risolutivo, si tratta di un ennesimo argomento che si può addurre per giustificare l’assunto secondo il quale l’asservimento intersoggettivo, lungi dal trasferire una certa volumetria come vorrebbe la tesi dominante, consiste nell’asservimento di un area all’intervento da realizzare sul fondo limitrofo.
10. Effetti negativi dell’asservimento ed analisi della prassi
L’effetto negativo conseguente all’asservimento - che fa da contraltare all’aumento delle possibilità edificatorie del lotto - consiste nel fatto che l’area asservita si sterilizza, cioè consuma in tutto o in parte la propria volumetria: a meno di eventuali sopravvenienze normative - delle quali si dirà a suo tempo [20] - un intervento edilizio che assuma come base di calcolo anche la superficie già sfruttata nell’edificazione precedente dovrà essere riscontrato negativamente dal Comune. Laddove quest’ultimo non si avveda della duplicazione della superficie, poi, l’intervento dovrà ritenersi abusivo e per questo soggetto alle sanzioni previste dal d.P.R. 380/2001.
Ciò detto, possono essere svolte alcune considerazioni sulle fattispecie più ricorrenti nella prassi.
Sul caso che si può porre laddove il vicino asservito si limiti semplicemente ad alienare il proprio fondo, per vero, sembra opportuno spendere appena qualche parola. L’irrilevanza sostanziale dei rapporti interprivatistici - della quale si è dato brevemente contro - rende infatti tendenzialmente irrilevanti tutte le ulteriori vicende che possono interessare tali rapporti [21].
In simili ipotesi, dunque, per il Comune non si porrà alcuna questione di tutela del terzo subacquirente: se l’area ceduta è asservita, infatti, essa rimane asservita a prescindere dalle relative vicende circolatorie. Il terzo subacquirente che si ritenesse leso nel proprio ius aedificandi potrebbe senz’altro rivolgersi al vicino alienante, ma nessuna pretesa edificatoria potrebbe avanzare nei confronti del Comune.
Peraltro nulla esclude che il terzo, nelle more dell’acquisto, richieda all’amministrazione il certificato di destinazione urbanistica e, secondo un orientamento giurisprudenziale assolutamente condivisibile [22], quest’ultimo deve dare conto dell’avvenuto asservimento: ciò naturalmente non implica che nel privato si possa ingenerare un affidamento vincolante per l’amministrazione [23], ma offre al terzo la possibilità di tutelarsi da eventuali alienazioni fraudolente di immobili asserviti e per questo sterili.
La stessa irrilevanza dei rapporti privatistici sul piano pubblicistico si manifesta anche in caso di risoluzione del contratto privatistico per mutuo dissenso [24] o in caso di mancato rilascio del titolo abilitativo [25]: anche su queste ipotesi, quindi, non vale la pena di dilungarsi.
Senz’altro più complessa e meritevole di attenzione è invece la questione della sopravvenuta modifica degli indici di edificabilità, che attiene però all’analisi normativa e dovrà pertanto essere esaminata nell’ambito di quest’ultima [26].
Nella sede presente, piuttosto, appare opportuno affrontare il problema del frazionamento del lotto, che risulta particolarmente frequente sia nella prassi amministrativa che in quella giudiziaria. Si tratta dell’eventualità che ricorre allorché il lotto asservito, e per questo esaurito in tutto o in parte, sia successivamente oggetto di vicende interprivatistiche implicanti lo scorporo di una certa superficie [27]. L’ipotesi merita attenzione perché qui i suddetti principi, pur senza essere sconfessati, possono dar luogo ad alcune difficoltà operative.
Per vero, nessun problema si pone laddove il fondo asservito e poi frazionato abbia totalmente consumato la propria volumetria. È infatti d’intuitiva evidenza che il frazionamento di un fondo esaurito non può che dar luogo a fondi esauriti a loro volta [28].
Si è detto però che può accadere che il fondo limitrofo sia asservito solo in parte: è in questo caso che si possono porre dei problemi, come chiarito dal seguente esempio. Tizio, proprietario di un fondo di 1.000 mq in una z.t.o. con indice di edificabilità pari a 0,2 mc/mq, intende costruire un immobile di 300 mc. Poiché il suo fondo gli permette una volumetria massima di 200 mc, dovrà necessariamente richiedere l’asservimento di un fondo altrui. Si ipotizzi che Tizio si rivolga a Caio il quale, esattamente come Tizio, è titolare di un fondo di 1.000 mq, con conseguenti diritti edificatori pari a 200 mc. Orbene, per realizzare le aspirazioni di Tizio non è necessario che Caio trasferisca l’intera volumetria consentita dal suo fondo: è infatti sufficiente che ne trasferisca la metà, cioè che asservisca a Tizio il 50% della capacità edificatoria del proprio fondo. Realizzato l’accordo tra Tizio e Caio ed eretto l’immobile di 300 mc sul fondo del primo, Caio cede a Mevio il 50% del proprio fondo. Ebbene: Mevio avrà diritto di edificare?
Il fatto che l’area prima asservita e poi ceduta debba scontare il pregresso asservimento appare innegabile. Infatti, se si opinasse in senso contrario - come per vero tendeva a fare una parte della dottrina all’indomani dell’entrata in vigore della legge ponte [29] - si permetterebbe al proprietario di sfruttare la propria autonomia privata per eludere l’indice di edificabi...