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Fisionomia del delitto di riciclaggio

L’illecito descritto nell’art. 648-bis c.p., non può venire a giuridica esistenza se l’oggetto materiale del suo elemento cardine, la condotta, non ha una provenienza criminosa: in altri termini, il nostro ordinamento punisce con la massima sanzione statuale l’occultamento di «denaro, beni o altre utilità» soltanto se, e in quanto se, gli stessi derivano da un precedente contesto criminoso e, naturalmente, il soggetto che occulta è consapevole di una simile circostanza.

Riciclaggio di denaro: il bene giuridico protetto e il soggetto attivo

La scelta legislativa di collocare fin dall’inizio la fattispecie di riciclaggio all’interno del Libro II, Titolo XIII, Capo II del codice Rocco, da sempre ha spinto gli interpreti ad ascrivere l’offesa caratterizzante tale delitto in seno alla tutela del patrimonio. Del resto, l'asserito (in dottrina e giurisprudenza) collegamento genetico dell’illecito con la figura della ricettazione, da cui sarebbe stato forgiato per specificazione, non ha certo favorito lo sviluppo di una dogmatica autonoma

La natura polimorfica dell'illecito di «riciclaggio» (art. 648-bis Cod. Pen.)

Il delitto di riciclaggio è un illecito “polimorfo”: la norma, infatti, contempla – quali forme alternative ed equivalenti di condotte penalmente rilevanti – la sostituzione, il trasferimento ed altre operazioni aventi ad oggetto denaro, beni o altre utilità. L'art. 648-bis c.p., dunque, appartiene alla categoria delle disposizioni penali c.d. “a più fattispecie” (o norme miste alternative), ma la varietà tipologica dei comportamenti non fa perdere di unitarietà il fatto tipico di riciclaggio

Delitto di riciclaggio: dolo specifico o dolo generico?

Il delitto di riciclaggio è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere le condotte tipiche o atipiche incriminate nella consapevolezza dell'origine delittuosa dell'oggetto materiale del reato. A differenza di quanto avviene in altri ordinamenti, nel sistema italiano il riciclaggio colposo non è previsto come massimo illecito giuridico, sebbene l'osservanza da parte degli operatori degli obblighi antiriciclaggio sia presidiata da apposite sanzioni

Il delitto di «favoreggiamento reale»

Le condotte riconducibili alla fattispecie del favoreggiamento reale per lungo tempo e fino al secolo XIX trovarono collocazione nella teorica del concorso di persone nel reato e solo nelle legislazioni moderne (continentali), in seguito ad una lenta, ma attenta riflessione scientifica circa l'irragionevolezza della c.d. “complicità per posterius”, si sono emancipate dall'istituto oggi regolamentato dall'art. 110 c.p., guadagnando finalmente piena autonomia ontologica.

Presupposti normativi della condotta di favoreggiamento reale

Tre sono i presupposti che devono essere soddisfatti perché possa dirsi correttamente integrata la fattispecie di favoreggiamento reale: il primo, “positivo”, consiste nella già avvenuta realizzazione di un reato (sia esso un delitto o una contravvenzione) ad opera di altri; il secondo e il terzo, “negativi”, rispettivamente nel non concorso del favoreggiatore nell'illecito già realizzato e nella non riconducibilità del comportamento ausiliatore nello schema tipico della ricettazione.

La fattispecie del «favoreggiamento reale»: il bene giuridico, la condotta e l'elemento soggettivo

L'individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie ex art. 379 c.p. non è mai stata attività semplice. Ancora oggi, la maggior parte della dottrina trova molte difficoltà a restituire all'oggetto di tutela del favoreggiamento reale quella specificità che gli appartiene, nonostante che intorno alla sua natura – nel tempo – siano state maturate molteplici e approfondite riflessioni che, però, non hanno contribuito a sottrarlo all'appiattimento su un più generale interesse di categoria

Riciclaggio e favoreggiamento reale: conflitto apparente di norme

Il conflitto apparente di norme da sempre rappresenta crocevia ed intreccio di numerose e ampie discussioni dogmatiche. In effetti, mentre la giurisprudenza ha sempre mostrato – e tutt'ora mostra – in ordine a tale ardua questione un atteggiamento che, anche se non privo di interesse, resulta precipuamente empirico (ossia lontano da complesse architetture speculative), la dottrina – al contrario – sul tema non ha mai smesso di esprimere pareri e produrre teoresi tra loro quantomai discordi.

Il conflitto apparente di norme incriminatrici: riciclaggio e favoreggiamento reale

Il delitto di riciclaggio e quello di favoreggiamento reale ben possono dare luogo a conflitto apparente di norme. Le due fattispecie, in astratto, in realtà sembrerebbero configurare una relazione di specialità reciproca (o bilaterale) parte per aggiunta e parte per specificazione, e dunque una ipotesi di interazione normativa nella quale non è possibile dubitare sulla disposizione prevalente:[18] in effetti, mentre il riciclaggio implica comportamenti qualificati da caratteristiche tipologiche

Il criterio della «rilevanza del contesto tipico di fattispecie»

Il rapporto di specialità reciproca (o bilaterale) per specificazione è l'unica tipologia di relazione normativa in grado di stigmatizzare il conflitto apparente tra fattispecie: ciascuna delle disposizioni in raffronto, in effetti, manifesta un “peso specifico” esattamente pari a quello delle altre e ciascuna, in seno alla propria astratta configurazione, non offre alcun elemento contenutistico per il quale stabilire il precetto che deve prevalere.

Prime riflessioni critiche sul neonato delitto di «autoriciclaggio»

Una prima difficoltà discende dalla constatazione che le ulteriori operazioni di “impiego, sostituzione e trasferimento in attività economiche, finanziarie”, poste in essere per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità, rappresenterebbero la naturale prosecuzione, di quegli stessi reati presupposto, dando luogo ad azioni non suscettibili di autonomo disvalore rispetto a quello della precedente condotta criminosa.

Origini ed evoluzione dell'istituto giuridico del Trust

Secondo la Convenzione dell'Aja (1992), grazie alla quale è stato introdotto nell'ordinamento italiano l'istituto del Trust, tale rapporto giuridico si instaura qualora un soggetto disponente (settlor) conferisca dei beni (per mezzo di atto tra vivi o mortis causa) ad un amministratore (trustee), il quale gode dei poteri e doveri propri del diritto reale di proprietà. Tuttavia, le gestione di questo patrimonio non è arbitraria, bensì diretta ad uno scopo specifico individuato dal disponente

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