L'assistenza al singolo lavoratore nei procedimenti disciplinari

La violazione da parte del soggetto lavoratore subordinato di obblighi specifici di natura contrattuale legittima il datore di lavoro ad esercitare il proprio potere disciplinare adottando provvedimenti sanzionatori che nei casi più gravi possono arrivare sino al licenziamento.

Fonte normativa primaria nel nostro ordinamento di questo potere è l’art. 2106 c.c., che in virtù della particolare natura del rapporto di lavoro, dall’inserimento del lavoratore all’interno della struttura organizzativa aziendale e dalla conseguente necessità di governo dell’impresa da parte dell’imprenditore, sceglie di regolare in maniera specifica l’inadempimento dell’obbligo contrattuale in questo caso specifico.

Il riferimento è ai doveri prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., all’obbligo di usare la diligenza «richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall'interesse dell'impresa» e di «osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende» e all’obbligo di fedeltà che impone al prestatore di lavoro di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né di divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o di farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

L'obbligo di diligenza previsto dall'art. 2104 c.c. secondo costante giurisprudenza costituisce una specificazione del principio generale fissato dall'art. 1176 c.c., co. 2, e deve essere pertanto valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata. In particolare il contenuto dell'obbligo di diligenza pare poter essere individuato non solo nell'esecuzione della prestazione lavorativa secondo la particolare natura di essa (diligenza in senso tecnico) ma anche nell'esecuzione dei comportamenti accessori che si rendano necessari in relazione all'interesse del datore di lavoro ad un'utile prestazione.
È stato altresì osservato da dottrina e giurisprudenza concordemente che l'art. 2104 c.c., nell'indicare, quale criterio di valutazione della diligenza che il prestatore è tenuto ad usare, l'adeguatezza della prestazione in relazione all'interesse del datore di lavoro e non già rispetto all'impegno o allo sforzo soggettivo del lavoratore, dimostra [Omissis - versione integrale presente nel testo].

La mancanza di diligenza, ossia la negligenza, comprensiva dell’imperizia, può dar luogo non solo a provvedimenti disciplinari, ma anche al risarcimento del danno concretamente arrecato al datore di lavoro.

L’obbligo di obbedienza del lavoratore ha per oggetto le prescrizioni e gli ordini impartiti dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici in relazione all’organizzazione del lavoro, alla disciplina ed alla vita di relazione in azienda.

Per quanto concerne l'obbligo di fedeltà d’altra parte è consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo cuiquesto ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c. così come più sopra enunciato, dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi: il lavoratore deve astenersi cioè dal porre in essere anche qualsiasi condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno.

In ogni caso limitazioni specifiche all’utilizzo del potere disciplinare sono poste dalla legge a tutela e nell’interesse del lavoratore.

In primo luogo lo stesso art. 2106 c.c. prescrive il rispetto del principio di proporzionalità nell’irrogazione della sanzione disciplinare. Principio assolutamente generico nell’enunciazione della citata norma ma che trova una più precisa definizione nell’ambito della contrattazione collettiva che in una sezione specifica (c.d. «codice disciplinare») individua criteri specifici collegando a determinate condotte illegittime specifiche sanzioni disciplinari.
L’art. 7 St. Lav. pone invece limiti sotto il duplice profilo sostanziale e procedurale.

Innanzitutto in capo al datore di lavoro sorge un obbligo di affissione in luogo accessibile a tutti i soggetti interessati il testo contenente le norme disciplinari, le infrazioni in relazione alle quali tali norme possono essere applicate nonché le procedure di contestazione. Al fine del rispetto di questa prescrizione «il codice disciplinare aziendale non necessariamente deve contenere un'analitica e specifica predeterminazione delle infrazioni e, in relazione alla loro gravità, delle corrispondenti sanzioni secondo il rigore formale proprio del sistema sanzionatorio penale statuale, essendo invece sufficiente per la sua validità che esso sia redatto in forma che renda chiare le ipotesi di infrazioni, sia pur dandone una nozione schematica e non dettagliata delle varie prevedibili o possibili azioni del singolo e che indichi, in corrispondenza, le previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze».

Nel momento poi in cui rilevi l’esistenza di un’infrazione disciplinarmente rilevante il datore di lavoro deve preventivamente contestare l'addebito e sentire il lavoratore a sua difesa. La contestazione dunque è l’atto formale con cui ha inizio il procedimento disciplinare, condizione di procedibilità del provvedimento sanzionatorio, e, affinché sia garantito il diritto di difesa del lavoratore deve essere fatta per iscritto. Deve inoltre presentare i caratteri della tempestività, intesa come ragionevole immediatezza rispetto all’evento oggetto di contestazione o al momento in cui il datore di lavoro ne abbia avuto conoscenza;della specificità, per cui dev’esservi dettagliata descrizione comprensiva di tutte le indicazioni necessarie affinché sia possibile individuare, nella sua materialità, il fatto nel quale il datore di lavoro ha ravvisato le infrazioni disciplinari; e dell’immutabilità che rende necessario che i fatti su cui si fonda l’eventuale provvedimento sanzionatorio coincidano con quelli oggetto dell'avvenuta contestazione. Il tutto al fine di tutelare al meglio i diritti del lavoratore consentendogli di comprendere ciò che gli viene contestato e di svolgere in maniera completa le proprie difese.

Dal momento in cui il lavoratore riceve la contestazione infatti decorre un termine di cinque giorni in cui può presentare le sue giustificazioni e chiedere di essere sentito a sua difesa. Ed è in questa fase che espressamente la norma stabilisce che il lavoratore possa farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

La giurisprudenza sul punto ha precisato che l’audizione del lavoratore «è consentita alla presenza del solo rappresentante dell’associazione sindacale, ove richiesto, e non anche del difensore di fiducia».

Le giustificazioni possono essere presentate per iscritto o oralmente ed anche in fase di valutazione della contestazione, nel fornire le giustificazioni, e, qualora appaia opportuno, nella successiva eventuale impugnazione del provvedimento disciplinare il sindacato potrà fornire assistenza al lavoratore.

Una volta trascorsi i cinque giorni, o comunque, secondo la giurisprudenza maggioritaria, una volta estrinsecatasi la difesa del lavoratore, il datore di lavoro può procedere all’irrogazione del provvedimento disciplinare che avrà efficacia immediata.

Tra le principali tipologie di sanzioni vi sono, oltre al rimprovero verbale, l’ammonizione scritta, la multa, la sospensione, il trasferimento, fino a giungere alla più grave, licenziamento.

Nella comunicazione di irrogazione della sanzione non è necessario, salvo espressa previsione da parte della contrattazione collettiva, riproporre analiticamente le ragioni del provvedimento sanzionatorio essendo sufficiente il richiamo alla precedente contestazione di addebito.

A questo punto il lavoratore che vuole opporsi al provvedimento comminatogli può alternativamente, sempre con l’assistenza eventuale del sindacato cui scelga di rivolgersi:
- «promuovere, nei venti giorni successivi, […] la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro». Nel caso in cui il datore di lavoro non proceda alla nomina del proprio rappresentante in seno al collegio la sanzione non ha effetto.In tutti i casi la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.
L'accordo formulato dal collegio arbitrale è insindacabile nel merito mentre può essere impugnato, entro cinque anni, per motivi di legittimità.
- impugnare la sanzione davanti all'autorità giudiziaria. In tale ipotesi spetta al lavoratore la prova dell'irrilevanza o dell’insussistenza dei fatti contestatigli.

Tale azione non è soggetta a termini di decadenza e trattandosi di azione di nullità è di per sé imprescrittibile. Ma posto che «non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione» trascorso tale termine l’azione si ritiene improponibile per carenza d’interesse ad agire.

Quello che le strutture sindacali hanno percepito nel tempo prestando assistenza ai lavoratori nel fornire le giustificazioni e nella fase di opposizione al provvedimento erogato è stato un alternarsi di momenti differenti in cui le contestazionidisciplinari erano molto frequenti o quasi assenti: sarebbero state un mezzo che il datore di lavoro avrebbe spesso utilizzato in maniera strumentale [Omissis - versione integrale presente nel testo].

Nel contesto attuale nella specie nel sentire dei sindacati la contestazione disciplinare viene ad avere in sostanza rilievo sempre più marginale, visto l’attenuarsi dei regimi di tutela in caso di licenziamento e la conseguente maggior semplicità con cui questo può e potrà essere irrogato.

Dall’altra parte nel caso di sanzioni conservative comunque è sempre minore lo spazio per la difesa del lavoratore: opporsi al provvedimento disciplinare ha comunque un costo e difficilmente si ottiene nella prassi un’inversione di rotta completa.