L'imposta di registro nei procedimenti ablativi: aliquote, atti plurimi e repertoriazione dei decreti d'esproprio

Le aliquote

Come si è visto, le aliquote sono del 9% per gli «Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi», del 2% «Se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis)», del 12% «Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale».

Esclusa la categoria del 12%, inapplicabile all’espropriazione in quanto beneficiario dell’esproprio non può certamente essere un coltivatore diretto o uno IAP, rimane da capire se a determinate condizioni possa configurarsi – in caso di esproprio – l’applicazione dell’aliquota del 2% [1].

Come si è detto, la fattispecie impositiva a cui si applica l’aliquota ridotta del 2% si configura quando il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis) [2]. Ora, leggendo le condizioni stabilite nella nota (immobile nel territorio del comune dove l’acquirente abbia la residenza o svolga l’attività, acquirente non titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione), non sembra francamente che essa sia stata scritta con riguardo all’espropriazione, né che possa attagliarsi in alcun modo all’espropriazione.

In conclusione, l’unica aliquota rilevante è quella del 9%, fermo restando che, per effetto dell’articolo 10, comma 2, del D.Lgs 23/2011, «l’imposta, comunque, non può essere inferiore a 1.000 euro».


Atti plurimi

La Circolare 2/E del 21 febbraio 2014 ricorda che ai sensi dell’articolo 21 del TUR i 1000 euro di imposta minima si riferiscono non all’atto in sé ma a ciascuna autonoma disposizione negoziale in esso contenuta, e si dilunga in spiegazioni ed esemplificazioni. Riportiamo il passaggio a pagina 48 e seguenti della Circolare.

«7.1 Criteri di applicazione dell’imposta minima di registro di 1.000 euro e dell’imposta fissa/minima di 200 euro di cui all’articolo 41 del TUR.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta minima di registro di 1.000 euro applicabile per i trasferimenti immobiliari di cui all’articolo 1 della Tariffa appare utile richiamare i principi già formulati da questa amministrazione, tra l’altro, con la circolare 29 maggio 2013, n. 18.

In tale sede, è stato chiarito che il principio generale a cui conformare la tassazione, ai fini dell’imposta di registro, è sancito dall’articolo 21 del TUR, secondo il quale in presenza di un atto contenente più disposizioni, ciascuna disposizione soggiace ad autonoma imposizione, salvo quelle derivanti necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre.


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Applicazione dell’imposta minima in caso di atti plurimi


Si realizza un atto plurimo nel caso, ad esempio di unico venditore che vende vari immobili, ciascuno a un diverso acquirente; in tal caso, ogni disposizione rimane assoggettata ad autonoma tassazione.

Ai fini dell’imposta minima di registro, trovano applicazione i principi già forniti da questa amministrazione con la risoluzione 3 luglio 2008, n. 272, con riferimento al caso di più disposizioni negoziali contenute nel medesimo contratto.

Invero, con il citato documento di prassi è stato chiarito che, nel caso in cui l’imposta proporzionale dovuta per ciascuna disposizione è inferiore all’importo minimo dell’imposta di registro mentre l’importo complessivamente dovuto, commisurato a tutte le disposizioni, è superiore a quello minimo, l’imposta di registro da corrispondere è pari alla somma degli importi dovuti per ciascun negozio. Esempio 5) (omissis [3]).

Con la richiamata Risoluzione 3 luglio 2008, n. 272, è stato, inoltre, chiarito che l’imposta di registro deve essere corrisposta in misura fissa, una sola volta, qualora l’imposta proporzionale dovuta per ciascuna disposizione è inferiore alla misura fissa, ed è inferiore a detto valore anche la somma degli importi dovuti per ciascuna disposizione. In considerazione di tale principio, si ritiene, dunque, che nei casi di più trasferimenti immobiliari soggetti all’imposta di registro di cui all’articolo 1 della Tariffa, qualora l’imposta di registro su ciascuna disposizione è inferiore alla misura minima di 1.000 euro, ed è inferiore a detto valore anche la somma degli importi dovuti per ciascuna disposizione, l’imposta minima di 1.000 euro è dovuta una sola volta. Esempio 6) (omissis [4]) (omissis) Esempio 8) (omissis [5]) (omissis)».

Si tratta di concetti che erano già stati affermati in passato, nella Circolare 29 maggio 2013, n. 18 e nella Risoluzione 3 luglio 2008, n. 272, a cui la Circolare 21 febbraio 2014 n. 2/E espressamente si rifà, ma anche ad esempio – con specifico riferimento all’espropriazione – nella Risoluzione 31 luglio 2002, n. 254 [6] ove il Ministero delle Finanze ricordava che i decreti di esproprio (come i contratti di cessione volontaria) «che prevedono distinti trasferimenti immobiliari in capo a soggetti diversi sono qualificabili atti plurimi, in quanto, pur costituendo formalmente un solo provvedimento, contengono più disposizioni negoziali che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, poiché si riferiscono a soggetti e oggetti espropriati distinti ed autonomi; pertanto, ad essi vanno applicate tante imposte fisse quanti sono i trasferimenti posti in essere, secondo le previsioni dell’art. 21 del T.U. n. 131 del 1986 (cfr. circ. 257/T del 4 novembre 1998)».

Conseguentemente, a prescindere dal fatto che venga emesso un solo decreto di esproprio riferito a più ditte oppure un decreto di esproprio per ciascuna ditta [7], l’imposta di registro deve essere versata in relazione al verificarsi di ogni singolo trasferimento ossia, per richiamare, l’art. 21 [8], 1° comma, dPR 131/1986, di ogni singola disposizione negoziale: in definitiva, si paga un’imposta per ogni ditta.

In particolare, la singola disposizione negoziale non deve essere confusa con il singolo bene o diritto, in quanto una singola disposizione può avere per oggetto più beni o diritti. Infatti l’articolo 23 comma 1 del dPR 131/1986 stabilisce che «Se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti.»

Dunque un unico atto può contenere più disposizioni indipendenti l’una dall’altra (art. 21.1), ovvero più disposizioni dipendenti l’una dall’altra (art. 21.2), ovvero una sola disposizione avente ad oggetto un bene o un diritto (art. 23.1), ovvero una sola disposizione avente ad oggetto più beni o più diritti (art. 23.1).

Questo concetto è bene espresso nella Risoluzione del Ministero delle Finanze 9 aprile 2004, n. 57/E, in cui l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad una istanza di interpello, concernente il corretto regime fiscale da applicare ad un atto di compravendita avente ad oggetto contemporaneamente un fabbricato e un terreno; secondo il contribuente l’atto contiene una sola disposizione, in quanto il terreno ed il fabbricato «costituiscono l’oggetto unico, inscindibile del negozio di compravendita», di talché l’applicazione dell’articolo 21 comporterebbe che «si confonde l’oggetto della compravendita, o meglio, della prestazione della parte venditrice, con la pluralità dei singoli beni che possono comporre tale oggetto».


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


Ancor prima, la Circolare del Ministero delle Finanze 27 agosto 1996, n. 205 T, in materia di tasse ipotecarie, si era dilungata in considerazioni sulla nozione di atto plurimo ampie e ricche di richiami dottrinali [9].

Facciamo un esempio pratico.

Nel caso di un decreto di esproprio che riguarda:

a) mappali 1 e 2 intestati a Tizio e Caio comproprietari;

b) mappale 3 cointestato a Sempronia e Mevia;

c) mappali 4, 5, 6 intestati a Tizio e Caio nudi comproprietari e Mevia usufruttuario.

 
Abbiamo complessivamente coinvolto con un unico atto: 4 soggetti, 6 mappali, 3 ditte, intendendo per mappale la particella catastale, e cioè una porzione di terreno continua appartenente ad un unico soggetto o in comproprietà indivisa tra più soggetti, avente un’unica destinazione produttiva con un unico livello di produttività, e intendendo per ditta quella catastale, che consiste in uno (ditta individuale) o più intestati titolari degli stessi diritti reali pro indiviso (ditta collettiva) su uno o più immobili. Nella ditta, cioè, si riscontra un insieme omogeneo di unità immobiliari caratterizzate dalla coincidenza di titolarità per quanto riguarda soggetti, diritti reali e quote [10].

Ebbene, nell’esempio sopra riportato, a quante «disposizioni negoziali» ci troviamo di fronte? E a quante disposizioni negoziali che derivano o non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre? Leggendo la circolare 205/96 e la risoluzione 254/92, è difficile dare con certezza una risposta, leggendo invece la risoluzione 57/2004, si propende decisamente per 3 disposizioni negoziali indipendenti l’una dall’altra, la prima avente ad oggetto due beni, la seconda un bene, la terza tre beni: per ciascuna delle tre si tratta di «un unico negozio [comportante] il trasferimento contestuale tra le medesime parti di una pluralità di beni».

In altre parole, alla luce della risoluzione 57/2004, sembra ragionevole ritenere che il concetto di riferimento sia quello di ditta, nel senso che all’interno delle singole ditte le particelle e le persone singolarmente coinvolte non possano identificarsi come distinte e autonome tra loro sotto il profilo causale in relazione alla unica vicenda ablatoria che le riguarda, e che un rapporto di netta distinzione soggettiva ed oggettiva possa piuttosto ravvisarsi tra le ditte.


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


In sostanza la soluzione più verosimile, ad opinione degli scriventi, è quella di rifarsi al numero di ditte, come del resto ha avuto occasione di precisare anche il Ministero in una risalente indicazione: «si fa presente che la tassazione dei decreti di esproprio o di asservimento coattivo afferenti più ditte deve necessariamente riferirsi ad ogni singola ditta, con la conseguente percezione di più tributi fissi, essendo evidente che, nella cennata ipotesi, pur essendovi normalmente un solo provvedimento, il relativo contenuto contempla sostanzialmente più situazioni negoziali indipendenti l’una dall’altra e, perciò, soggetto a separata tassazione» [11].


Repertoriazione dei decreti di esproprio

L’art. 67 del dPR 131/1986, rubricato «Repertorio degli atti formati da pubblici ufficiali», al 1° comma, prevede testualmente: «I soggetti indicati nell’art. 10, lettere b) e c), i capi delle amministrazioni pubbliche ed ogni altro funzionario autorizzato alla stipulazione dei contratti devono iscrivere in un apposito repertorio tutti gli atti del loro ufficio soggetti a registrazione in termine fisso».

L’art. 10 prevede specificatamente, alla lettera b), «i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati» e, alla lettera c), «i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni».

Ora, da una prima lettura delle citate disposizioni si potrebbe ritenere che le stesse non si applichino al decreto di esproprio, tenuto conto del fatto che quest’ultimo, sebbene compreso tra gli atti soggetti a registrazione a termine fisso, ha natura non contrattuale. Anzi, per stare alle parole espresse dall’Avvocatura dello Stato nel parere n. 1804/76, prot. n. 19224 del 30 luglio 1976, citato nella Risoluzione del Ministero delle Finanze 1° settembre 1977, n. 271086, e richiamato nella nota dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Veneto n. 45559/2008 del 2 dicembre 2008, trattasi di un «atto pubblico per sua natura, in quanto esplicazione di pubblica podestà, e non “ricevuto” da pubblico ufficiale né soggetto ad autenticazione».

Invero, l’obbligo di repertoriazione deve ritenersi esteso anche ai decreti di esproprio, come affermato dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa con parere del 10 novembre 2011, prot. n. 954-155563/2011.

In detto parere l’Agenzia delle Entrate, partendo, in particolare, dalla considerazione che «l’obbligo di iscrivere a repertorio gli atti soggetti a registrazione in termine fisso sussiste sia in capo ai pubblici ufficiali competenti a rogare atti pubblici o scritture private autenticate che in capo ad ogni altro “funzionario autorizzato alla stipulazione dei contratti”», evidenzia come il dovere di iscrizione nel repertorio di cui all’art. 67 del TUR è da intendersi sussistente anche con riferimento ai decreti di esproprio.

Peraltro, si può sostenere che l’onere della repertoriazione per i decreti di esproprio emerga anche dal combinato disposto dell’art. 67, 1° comma, e art. 10, 1° comma, lett. b, dai quali si evince che i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti devono iscrivere in un apposito repertorio tutti gli atti del loro ufficio soggetti a registrazione in termine fisso.

Del resto, come ha sottolineato l’Agenzia delle Entrate con il suddetto parere del 10 novembre 2011, l’obbligatorietà di tenuta del repertorio è stata introdotta dall’art. 67 del TUR proprio «al fine di consentire all’amministrazione finanziaria un controllo sulla registrazione degli atti soggetti a tale obbligo in termine fisso».

In ordine alla tenuta del repertorio, il 3° comma del medesimo art. 67, dispone che «Negli uffici amministrativi, nei quali più funzionari sono incaricati della stipulazione degli atti, non si può tenere che un solo repertorio, salva espressa autorizzazione della competente intendenza di finanza».

L’interpretazione letterale di tale norma porta a ritenere che i decreti di esproprio debbano essere inseriti nel repertorio generale dell’Ente, contenente tutti gli atti soggetti a registrazione (fatta salva un’espressa autorizzazione della competente intendenza di finanza).


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]


In ogni caso, fermo restando l’obbligo di repertoriazione (anche) dei decreti di esproprio, è presumibile ritenere che in ordine alla tenuta del repertorio ogni Amministrazione possa optare per l’una o l’altra delle succitate soluzioni (utilizzo del repertorio generale dell’ente oppure di un repertorio apposito per i decreti di esproprio), previo accordo, naturalmente, con l’Ufficio locale di riferimento dell’Agenzia delle Entrate.


Sintesi

In conclusione, i decreti di esproprio e gli atti di cessione volontaria:
  • sono esenti (in base ad una Circolare ministeriale) dall’imposta di registro se posti in essere a favore dello Stato;

  • sono soggetti all’aliquota ordinaria del 9% in tutti gli altri casi, con un importo minimo di 1.000 euro.