Il calcolo della rendita di una determinata classe catastale mediante le «unità tipo»

Le unità tipo sono quegli immobili che in fase di formazione del catasto e di revisione generale degli estimi sono state individuate, in adeguato numero, per calcolare la rendita di una determinata classe di una certa categoria appartenente ad una nota zona censuaria. La loro individuazione in congruo numero attesta l’esistenza della summenzionata categoria e consente di effettuare la necessaria analisi comparativa per il classamento.

L’articolo 37 del D.P.R. 1986 n. 917 prevede che «le tariffe d’estimo ... omissis ... sono sottopost(e) a revisione quando se ne manifesti l’esigenza per sopravvenute variazioni di carattere permanente nella capacità di reddito delle unità immobiliari e comunque ogni 10 anni». A questo proposito è necessario effettuare una doverosa precisazione. Poiché
- il giudizio di stima deve essere oggettivo e generalmente valido, formulato sulla base della teoria dell’ordinarietà e
- il giudizio di valore tra un bene economico ed una determinata quantità di moneta è espresso in circostanze di tempo e di luogo note dai due summenzionati principi estimativi discende, come immediata conseguenza, che le condizioni di ordinarietà debbono essere constatate nel momento cui è riferibile temporalmente il valore economico da determinarsi.

Una fondamentale ipotesi di stima implicita di ogni sistema valutativo di massa è dunque che il periodo di riferimento censuario sia pure il momento nel quale si apprezzino le condizioni tecnico-economiche di ordinarietà dell’immobile e del mercato immobiliare di riferimento. Per un sistema valutativo di massa è praticamente irrealizzabile avere una perfetta sovrapposizione del periodo di riferimento censuario con il momento in cui ogni immobile è accatastato o significativamente variato, istante nel quale sono più agevolmente constatabili le condizioni di ordinarietà.

L’ipotesi di coesistenza temporale delle condizioni di ordinarietà e del periodo censuario si verifica, in modo approssimato, quanto più sono vicini nel tempo i due momenti in cui vengono sottoposte a nuova stima tutte le unità immobiliari, ossia quanto più sono temporalmente vicine tra loro due revisioni generali degli estimi. Nel contesto mondiale, nei sistemi catastali più evoluti sono previsti momenti di verifica ed eventuale aggiornamento dei valori immobiliari che sono temporalmente contenuti in pochi anni l’uno dall’altro.

Quanto disposto dalla legge, ossia che le revisioni delle tariffe d’estimo previste dall’articolo 37 del T.U.I.R. (D.P.R. n. 917/1986) avvengano al massimo ogni 10 anni fa intendere che il Legislatore ben conosce la necessità di effettuare un periodico «reset», anzi 10 anni sono già un periodo ai limiti dell’accettabile per alcuni contesti territoriali italiani dallo sviluppo edilizio molto dinamico. Il termine decennale, apparentemente inderogabile, sembra un presidio efficace a tutela della perequazione impositiva, ma così non è. Il già citato articolo 37 del T.U.I.R. dispone anche che «la revisione è disposta con decreto del Ministro delle finanze previo parere della Commissione censuaria centrale».

Come è possibile comprendere agevolmente, il poderoso meccanismo revisionale è attivato da una decisione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ciò è facilmente comprensibile se si hanno presenti le logiche e le dinamiche esistenti in un moderno stato di diritto. Rimane però meno comprensibile come, dopo oltre mezzo secolo dalla entrata in conservazione del vigente sistema catastale, nessuno abbia mai ritenuto necessario attivare il processo revisionale. In effetti una revisione è avvenuta per effetto del D.M. 20/1/1990 che ha unicamente aggiornato le preesistenti rendite catastali al biennio censuario 1988-89. Non si è trattato dunque dell’avvio di un processo di stima di tutte le unità immobiliari, ma solo di un mero aggiornamento delle rendite per il tramite di indici numerici appositamente studiati. In termini tecnici si definisce revisione parziale del classamento e non genera nessun riallineamento delle rendite, è dunque inefficace ai fini della perequazione impositiva. Non esiste sistema catastale concepibile da mente umana razionale che possa garantire perequazione impositiva con riallineamenti dei valori immobiliari ultra-cinquantennali. Non può che destare vivo stupore il fatto che il vigente sistema degli estimi, nonostante tutto, non sia ancora arrivato al punto del proprio «default»; chissà se il futuro nuovo sistema potrà essere potenzialmente in grado di erogare una analoga formidabile prestazione.

Compresa la funzione della revisione generale degli estimi, è ora possibile approfondire più in dettaglio la questione delle unità tipo, le quali, come già rammentato, svolgono un duplice compito, da una parte consentono di calcolare le tariffe delle singole classi di una determinata categoria e dall’altra costituiscono i termini di riferimento per l’analisi comparativa in caso di nuovi classamenti. L’art. 7 del D.L. n. 652/1939 infatti impone che «determinato il numero delle classi in cui ciascuna categoria deve essere divisa, si procede al riconoscimento ed alla identificazione di un certo numero di unità tipo che siano atte a rappresentare per ciascuna classe il merito medio delle unità immobiliari che vi debbono essere comprese». L’art. 61 del D.P.R. n. 1142/1949 precisa poi che il classamento di una nuova unità è determinato «fatti gli opportuni confronti con le unità tipo» che presentano «destinazione e caratteristiche conformi od analoghe».

A livello di prassi l’argomento delle unità tipo è trattato soprattutto dalla Istruzione IV, nel cui paragrafo n. 15 è precisato che sono «scelte di preferenza come unità tipo quelle unità nelle quali la fruizione e la gestione si eserciti, da notevole tempo, con le modalità e le consuetudini locali». Nella misura in cui le disposizioni di prassi sono state pienamente adempiute, negli anni ‘50 del secolo scorso sono state individuate, in fase di formazione, unità immobiliari il cui anno di costruzione o di significativa ristrutturazione dovrebbe essere, nella maggior parte dei casi, anteguerra. Considerato che nella maggior parte del territorio italiano vi è stato uno sviluppo edilizio a cominciare dai primi anni del dopoguerra, intensificatosi nei decenni successivi, è possibile porre una osservazione di carattere assolutamente generale.

È assai probabile che un considerevole numero di unità tipo non rappresenti più da decenni un termine di paragone corretto in quelle molte realtà territoriali che sono state soggette ad un consistente sviluppo edilizio, mentre è possibile che le unità tipo possano essere ancora un termine di comparazione, tutto sommato accettabile, in quegli ambiti urbani o territoriali di scarso sviluppo edilizio. È il caso tipico di taluni centri storici ove, seppur in malo modo, le unità tipo possono ancora svolgere il loro ruolo.

È necessario anche affrontare, seppur incidentalmente, un altro importante argomento con implicazioni dirette sulla determinazione delle condizioni di ordinarietà.