Le Sezioni Unite optano per una nuova «demanialità»

Una volta chiarita la nozione e disciplina dei beni pubblici alla luce di quanto a tale riguardo è possibile ricavare ad opera della normativa all’uopo prevista nel corpus del nostro codice civile, ed esaminate, inoltre, le problematiche relative ai profili processuali che investono lo stesso provvedimento concessorio, è opportuno dare atto di una nuova ed emergente nozione di bene pubblico invalsa recentemente nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione [1] emanate al fine di risolvere una importante quaestio iuris attinente alla natura demaniale o meno delle valli da pesca della laguna di Venezia.

Alla luce della cronaca dei fatti emerge che una società per azioni (trasformatasi nel corso del processo in società a responsabilità limitata) reclama la piena proprietà della predetta valle da pesca, comunemente nota come «Valle Dogà», sulla base di regolari titoli di compravendita risalenti al diciannovesimo secolo e ne deduce l’estraneità al demanio marittimo attesa la loro conformazione morfologica che ne impedisce la libera comunicazione con il mare.



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Chiusosi il giudizio di primo grado con una pronuncia che ha dichiarato la società istante piena proprietaria dei beni in oggetto, la Corte di Appello, in parziale riforma, ha accertato e dichiarato la natura demaniale dei predetti beni vallivi limitatamente agli specchi d’acqua e non anche delle terre emerse poste entro i suoi confini.

Le Sezioni Unite, chiamate a chiarire la natura demaniale o meno dei beni in contestazione, rigettano il ricorso osservando come essi, fatta eccezione per le zone emerse dall’acqua, rechino una «finalità pubblica – collettivistica».

Inoltre, gli argini costruiti nel secondo dopoguerra, al fine di isolare le valli dal resto della laguna, sono inidonei a scalfire la «demanialità naturalmente acquisita da tempo immemorabile».

Quest’ultima, infatti, secondo quanto rimarcano le predette Sezioni Unite, non può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da soggetti privati, sia pure nell’inerzia o con la tolleranza degli organi pubblici.

La sentenza in esame, dopo aver sinteticamente fatto cenno alla classificazione e disciplina codicistica dei beni pubblici, afferma, però, che oggi non è più possibile limitarsi all’analisi della sola normativa fornita dal codice civile del ‘42, risultando indispensabile integrare la stessa con varie fonti dell’ordinamento e specificatamente con quelle di rango costituzionale.

A tale ultimo riguardo, infatti, dalla lettura degli artt. 2,9 e 42 Cost. è possibile ricavare il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale anche in relazione al «paesaggio» e ciò con specifico riferimento non solo ai beni che per espressa previsione codicistica costituiscono «proprietà» dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività.

In particolare, infatti, l’art. 2 Cost. afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; l’art. 9 Cost. prevede che la Repubblica tutela «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»; e a sua volta, infine, l’art. 42 Cost. pur essendo una norma incentrata sulla proprietà privata affermando, però, che la proprietà «è pubblica o privata» effettua un implicito riconoscimento alla diversità di fondo tra i due tipi di proprietà stessa.


[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



A quanto detto occorre, inoltre, aggiungere che all’indomani della riforma del titolo V della Costituzione, attuata con Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, il nuovo testo dell’art. 117 della stessa Carta Costituzionale al suo comma 2 devolve alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, mentre il suo comma 3 inserisce nell’alveo della competenza concorrente tra Stato e Regioni la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Infine, l’art. 118 Cost. comma 3 dispone che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Dalla lettura di tutte le predette norme le Sezioni Unite addivengono alla conclusione che la disciplina dei beni pubblici deve essere interpretata non solo in un’ottica patrimoniale-proprietaria, ma anche e soprattutto in una visione personalistico- collettivistica.

Da ciò ne deriva che oltre che allo Stato-apparato occorre fare riferimento allo Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della cittadinanza e quale ente preposto alla realizzazione di questi ultimi.

Pertanto, parlare della dicotomia tra beni pubblici e beni privati significa fare riferimento e limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni, tralasciando l’ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati.

Alla luce di questa premessa ecco che le predette Sezioni Unite giungono ad affermare…



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Pertanto, i predetti beni, per la loro destinazione alla realizzazione dello Stato Sociale devono ritenersi «comuni», prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l’aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi dell’intera comunità.

In conseguenza di quanto esposto, è corretto affermare che attualmente sta avanzando l’idea secondo cui un bene è pubblico non tanto per il fatto che rientra in una delle categorie identificate dal legislatore quanto piuttosto per il fatto che rappresenta fonte di beneficio per la collettività.

I beni pubblici da oggetto di diritti divengono, secondo l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite, strumento per la realizzazione dei diritti fondamentali della persona.

Bisogna, inoltre, considerare che, comunque, all’interno del nostro ordinamento già sono presenti norme che prescrivono il godimento e la fruizione a vario titolo di beni da parte della collettività.

Basti pensare, a tale riguardo, all’art. 825 c.c. secondo cui sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.

Ciò che più semplicemente la predetta norma mette in evidenza sono le servitù pubbliche



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Le servitù pubbliche costituiscono tipico esempio di ius in re alienae si caratterizzano per la sussistenza di un rapporto funzionale tra un determinato bene ed un altro appartenente alla pubblica amministrazione. Di qui la loro classificazione nel novero delle servitù prediali pubbliche ex artt. 1027 c.c. e ss..

Si tratta di servitù coattive, imposte cioè dalla legge, per la costituzione delle quali è prevista la corresponsione di un indennizzo a favore del proprietario.

Le servitù prediali pubbliche anche se trovano il loro presupposto nella legge, sorgono solo quando si formi un titolo di natura costitutiva che a sua volta può avere natura negoziale, giudiziale o anche amministrativa.

Se la P.A. costituisce le servitù consensualmente oppure ne chiede la costituzione mediante sentenza si pone su un piano paritetico rispetto al privato, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il giudice può determinare liberamente il contenuto della servitù.

Invece, la costituzione di una servitù attraverso un provvedimento amministrativo può avvenire solo nei casi previsti dalla legge.

Pertanto, la fonte del potere della P.A. va rinvenuto nella norma speciale e non nella previsione generale di rinvio contenuta nell’art. 1032 c.c..

Qualora l’amministrazione, decida di percorrere la via autoritativa, costituendo le servitù tramite provvedimento amministrativo, la determinazione del contenuto della stessa è espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Diversamente dalle servitù pubbliche i diritti d’uso pubblico (detti anche impropriamente servitù d’uso pubblico) sono diritti reali di godimento costituiti a carico di fondi privati per il conseguimento di fini di pubblico interesse e sono soggetti allo stesso regime giuridico dei beni demaniali.

Essi vanno tenuti distinti dalle predette servitù pubbliche proprio perché i diritti di uso pubblico sono costituiti non a vantaggio di un fondo demaniale o indisponibile, bensì della collettività.

Le figure più importanti della categoria in esame sono: le strade vicinali e gli usi civici.

Le strade vicinali sono quelle strade private che pur non essendo di proprietà del Comune sono soggette al pubblico transito.

La giurisprudenza [2] ha avuto modo di precisare che ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae da una collettività di persone appartenenti ad un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.

Qualora difetti…



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



...l’amministrazione che ha l’onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti.

Nonostante, però, l’iscrizione negli elenchi comunali la strada rimane di proprietà privata con la conseguenza che la sua manutenzione e le sue riparazioni spettano normalmente al proprietario, dovendo il Comune intervenire in caso di inerzia ovvero nel caso in cui si tratti di una strada di particolare importanza.

Gli usi civici, invece, sono diritti reali sui generis inalienabili e imprescrittibili consistenti nell’utilizzazione di fondi da parte di una determinata comunità.

Essi, sono, pertanto, destinati a soddisfare l’interesse collettivo dei soggetti ammessi a godere delle utilità proprie dei fondi su cui gravano.

Tali utilità possono consistere nel diritto a raccogliere la legna, i funghi, l’erba, o ancora nel diritto di pascolo [3].

Inoltre, secondo la più recente giurisprudenza [4], le operazioni di verifica e il decreto conclusivo del procedimento di accertamento degli usi civici, decorsi i termini per l’impugnazione, hanno efficacia dichiarativa, relativamente ai terreni rispetto ai quali sia stata espressamente accertata la sussistenza delle occupazioni o del diritto di uso, senza, però, spiegare efficacia preclusiva con riferimento a tutti gli altri terreni siti nell’agro comunale e non compresi negli elenchi.

Infine, occorre dare atto delle finalità che il legislatore ha inteso perseguire attraverso la legge-quadro del 6 dicembre 1991, n. 394 con cui il legislatore stesso ha voluto creare delle aree c.d. protette.

L’obiettivo della predetta legge era, in particolare, quello di dare attuazione agli artt. 9 e 32 Cost. attraverso la individuazione di aree naturali protette sottoposte a particolari vincoli la cui costituzione, però, non modifica l’appartenenza proprietaria delle aree in questione.

Pertanto, è opportuno sottolineare che, alla luce di quanto detto, non si creano diritti demaniali su beni altrui, ma



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Inoltre, è sempre necessario un apposito provvedimento di individuazione e delimitazione.

Una volta effettuato questo sintetico excursus normativo sui beni che sono definibili a fruizione collettiva è opportuno aggiungere che attualmente, la rigidità della disciplina codicistica degli stessi beni pubblici risulta decisamente attenuata.

A tale riguardo, infatti, basti pensare al requisito della non commerciabilità di detti beni, specie, quelli demaniali, che se prima era inteso in senso assoluto, oggi, invece è un aspetto che conosce numerose eccezioni al punto che può essere ravvisata una vera e propria diversità di enunciati tra codice civile e leggi ordinarie.

In tale quadro vanno, inoltre, inserite le leggi aventi ad oggetto la trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni nonché il d.lgs. 267/2000 che ha consentito il trasferimento a società di capitali di beni pubblici da parte degli enti locali.

Alla luce della ricostruzione sopra effettuata emerge, pertanto, secondo le predette Sezioni Unite del 2011, che il solo aspetto della demanialità non appare esaustivo per individuare beni che per loro intrinseca natura ed indipendentemente dal titolo di proprietà pubblico o privato, risultano funzionali ad interessi della stessa collettività.

In particolar modo, con riferimento al caso esaminato, le Sezioni Unite alla luce della ricostruzione sopra effettuata sono pervenute ad affermare che le valli da pesca configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine a una concezione di bene pubblico inteso non solo come oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali.

La natura di tali beni ha la sua origine costitutiva nella legge, sulla base della sussistenza di determinate caratteristiche fisico-geografiche e prescinde da disposizioni e da provvedimenti di ordine amministrativo, nonché da atti privatistici di trasferimento, i quali, se posti in essere, sono nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto [5].

Il concetto di demanialità, pertanto, deve essere riempito di nuovi contenuti. Esso, infatti, attualmente esprime una duplice appartenenza alla collettività e al suo ente esponenziale, lo Stato, il quale deve considerarsi investito «degli oneri di una governance che renda effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene».

Le Sezioni Unite, dunque, sembrano esortare i poteri pubblici a orientarsi verso politiche amministrative di tipo orizzontale che facciano leva sul coinvolgimento dei cittadini nella gestione di quei beni che, pubblici o privati, risultino comunque funzionali al soddisfacimento degli interessi della collettività nonché preordinati alla realizzazione di valori costituzionali.



[Omissis - La versione integrale è presente nel prodotto - Omissis]



Anzi, esso va piuttosto considerato un imprescindibile dato con cui occorre confrontarsi e il principio di sussidiarietà orizzontale ne rappresenta, inoltre, la sua chiave di lettura.

Infatti, si auspica un sempre maggiore coinvolgimento dei cittadini nella gestione dei beni funzionali al soddisfacimento dei bisogni della collettività.

L’articolo sopra riportato è composto da contenuti tratti da questo prodotto (in formato PDF) acquistabile e scaricabile con pochi click. Si invita a scaricarsi il sampler gratuito per constatare l'organizzazione dei contenuti.

pdf 190 pagine in formato A4

25,00 €