Introduzione
La regolamentazione introdotta dall’art. 43 del D.P.R. 327/2001 (Testo Unico sugli Espropri) ha disciplinato in modo estremamente innovativo la fattispecie dell’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico.
L’intervento normativo è successivo alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’Uomo [1] che hanno ritenuto in contrasto con il principio di legalità l’istituto dell’occupazione appropriativa prevista dal precedente quadro normativo italiano e dalla giurisprudenza in esso formatasi.
L’occupazione appropriativa rappresenta l’acquisizione di un bene privato, al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione che lo abbia occupato senza titolo e successivamente trasformato in modo irreversibile in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio.
Le argomentazioni della Corte Europea, secondo cui da un comportamento illecito non può scaturire l’acquisto di un diritto, sono state pienamente [2] recepite dai commi 1 e 2 dell’art. 43 che definiscono il passaggio dall’occupazione appropriativa al nuovo istituito dell’acquisizione “sanante”. L’atto di acquisizione sanante può essere adottato, con risarcimento dei danni al proprietario, anche quando non sia stato emanato o sia stato annullato in sede giurisdizionale l’atto dichiarativo della pubblica utilità dell’opera.
Con ciò equiparando la fattispecie dell’occupazione appropriativa a quella dell’occupazione usurpativa.
Un problema lasciato aperto dall’art. 43 è tuttavia quello dell’entità del risarcimento dovuto per effetto del provvedimento di acquisizione.
Il precedente quadro normativo
In tema di occupazione senza titolo di un bene privato, prima del nuovo ordinamento, era fondamentale, sotto il profilo risarcitorio, la distinzione già accennata tra l’occupazione appropriativa (o acquisitiva) e l’occupazione usurpativa.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, confermata dalla Corte Costituzionale [3], la fattispecie della «occupazione appropriativa–acquisitiva» o cosiddetta «accessione invertita» si realizza con il comportamento illecito della Pubblica amministrazione, la quale, al di fuori di un provvedimento autorizzativo produttivo di effetti – perché annullato o dichiarato inefficace ovvero mai adottato –, occupi un terreno privato, trasformandolo in modo irreversibilmente attraverso la realizzazione di un’opera dichiarata di pubblica utilità.
La stessa giurisprudenza ha sancito che l’accessione invertita costituisce un illecito istantaneo e, in quanto tale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nel termine di cinque anni. Per quanto concerne la stima di tale risarcimento, l’art. 3 comma 65 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 disponeva che per le occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicassero i criteri all’epoca vigenti di determinazione dell’indennità di espropriazione legittima (la semisomma cioè del valore di mercato e degli ultimi dieci redditi imponibili), con esclusione della riduzione del 40 per cento ed aumentando tale importo del 10 per cento. Per le occupazioni appropriative di suoli edificabili successive al 30 settembre 1996 il risarcimento andava invece commisurato al pieno valore di mercato [4].
L’integrale risarcimento ha invece sempre costituito il riferimento per l’indennizzo di suoli agricoli o non edificabili. Nell’ipotesi di occupazione appropriativa Il valore del bene andava determinato alla scadenza dell’occupazione legittima se l’irreversibile trasformazione si verificava entro tale termine, ovvero all’atto dell’illecito se mancava ab origine un provvedimento di autorizzazione all’occupazione.
L’occupazione usurpativa si distingue da quella appropriativa per l’assenza, l’annullamento o l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. In tal caso la Corte ha giudicato l’illecito di tipo permanente che si estingue solo con l’abbandono della proprietà da parte del privato; abbandono che a sua volta si realizza con la proposizione nei confronti della Pubblica Amministrazione di un’azione risarcitoria [5]. La permanenza dell’illecito preclude la prescrizione quinquennale al diritto al risarcimento, il quale è sempre stato commisurato al pieno valore di mercato del bene stimato. La data di riferimento della stima è, nell’ipotesi di occupazione usurpativa, il momento in cui è localizzabile l’annullamento fisico–giuridico del bene usurpato ossia, come detto, il momento in cui è cessato l’illecito.
I termini per l’adozione del provvedimento di acquisizione ex art. 43 dpr 327/01 e gli effetti del nuovo ordinamento
Per quanto attiene innanzitutto all’ambito di applicabilità dell’art. 43 si precisa che, come confermato dalla Corte Suprema [6], per effetto dell’esclusione posta dall’art. 57, non è applicabile nessuna delle disposizioni del Testo Unico nei casi in cui la dichiarazione di Pubblica Utilità indifferibilità e urgenza sia intervenuta prima della sua entrata in vigore [7].
Presupposto essenziale per l’emanazione dell’atto di acquisizione al patrimonio indisponibile della Pubblica Amministrazione è l’utilizzazione senza titolo di un bene che sia stato modificato per scopi di interesse pubblico.
Occorre notare che la legge non evoca l’irreversibile trasformazione del bene, condizione quest’ultima che, nel precedente quadro normativo e per effetto di una giurisprudenza ormai consolidatasi costituiva presupposto essenziale perché in caso di occupazione senza titolo si realizzasse l’estinzione della proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario in capo all’ente costruttore dell’opera.
Il termine “modificato” comprende invece anche la parziale trasformazione del bene, quando cioè si sia “in presenza di opere la cui realizzazione prescinde, almeno in parte, da iniziative di tipo edificatorio fino a annoverare ipotesi di assenza di una materiale modificazione purché sia verificata una diversa collocazione del bene nella realtà giuridica (es. diversa destinazione) in relazione alla natura dell’opera da realizzare”. A conferma di ciò concorre la stessa norma che prevede il meccanismo acquisitivo dell’art. 43 anche per le servitù, che com’è ben noto non comportano irreversibile trasformazione [8].
Per gli obiettivi della presente nota si sottolinea che l’atto di acquisizione deve contenere, tra l’altro, la data dell’inizio dell’indebita utilizzazione e la misura del risarcimento del danno (del quale dispone il pagamento entro trenta giorni). L’adozione dell’atto comporta il passaggio del diritto di proprietà. Con tale precisazione il legislatore ha sancito il superamento della tesi giuridica di illecito istantaneo nei casi in cui fosse stata almeno dichiarata la pubblica utilità dell’opera.
Qualunque sia il motivo che genera l’occupazione senza titolo del bene e la sua successiva modifica, il fatto costituisce sempre un illecito permanente, anche ai fini del termine di prescrizione. Il momento finale della condotta illecita della Pubblica Amministrazione è ravvisabile unicamente con l’adozione dell’atto di acquisizione di cui all’art. 43. Con il nuovo ordinamento la distinzione tra occupazione appropriativa e quella usurpativa sussiste unicamente per l’attribuzione della competenza giurisdizionale [9].
Tra gli effetti del nuovo ordinamento, nondimeno rilevante è, d’altra parte, il superamento del principio secondo cui la dichiarazione di pubblica utilità (espressa, implicita o disposta ex lege) costituiva baluardo insuperabile per l’acquisizione del bene da parte della Pubblica Amministrazione, anche in presenza di un’occupazione senza titolo e dell’irreversibile trasformazione del suolo. In assenza, annullamento o disapplicazione della dichiarazione di pubblica utilità (circostanza, si ricorda, che la giurisprudenza ha delineato con il termine di occupazione usurpativa) non poteva esservi acquisto o trasferimento di proprietà in favore della Pubblica Amministrazione, a meno che non fosse stata avanzata da parte del privato richiesta di risarcimento [10].
Sul punto si tenga presente che l’introduzione dell’art. 43 nel Testo unico sulle espropriazioni , nella iniziale stesura della Legge, doveva sanare situazioni prevedibilmente sempre meno frequenti. Il testo originale, infatti, nel tentativo di adeguare l’ordinamento al diritto internazionale [11] con l’esclusione dell’istituto dell’occupazione preordinata all’esproprio aveva previsto di eliminare ciò che aveva generato la gran parte degli illeciti connessi all’occupazione appropriativa.
La reintroduzione dell’istituto dell’occupazione d’urgenza (art. 22 bis del T.U.) insieme all’art. 43 potrebbe così divenire un nuovo meccanismo di acquisizione della proprietà privata che non prevede un accettabile quadro di tutela per il proprietario. Unico argine a questo possibile nuovo sistema di acquisizione poteva essere rappresentato dalla responsabilità contabile dei funzionari che per colpa o negligenza avessero concorso alla trasformazione di un procedimento di acquisizione legittimo (mediante esproprio) in una acquisizione sanante, determinando così un maggior esborso finanziario per la Pubblica Amministrazione.
Tuttavia anche tale ipotesi sembra tramontata a seguito dei commi 89 e 90, dell’art.2 Legge 24.12.2007 n. 244, che recependo le dichiarazioni di incostituzionalità (sentenze n. 348 e n.349 del 2007) dei commi 1 e 2 dell’art. 37 DPR 327/2001 hanno modificato i criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione delle aree edificabili, ora determinata nella misura pari al valore venale del bene e pertanto sostanzialmente coincidente con il quantum di un risarcimento per danno.
Dall’emanazione dell’atto al pagamento del risarcimento
Una volta emanato l’atto da parte dell’autorità [12], nel quale é contenuta la misura del risarcimento, il proprietario (a questo punto ex) può rivolgere domanda al giudice lamentando l’incongruità della liquidazione del danno disposta nell’atto stesso.
Può accadere che l’autorità, benché ne sussistano le condizioni, non emana l’atto. In tal caso il proprietario può promuovere un’azione per il recupero della proprietà. Questa ipotesi nel precedente quadro normativo era prevista solo nei casi di occupazione usurpativa e non nei casi di occupazione appropriativa dove l’illecito istantaneo (o accessione invertita) sanciva il trasferimento della proprietà.
Allorché l’Amministrazione si opponga in giudizio (la competenza è del Tribunale amministrativo) alla restituzione del bene occupato (senza limiti di tempo) e ne sia accolta la richiesta [13], il Giudice ualora Qqqq fissa un termine perché le parti trovino un accordo in base al quale la proprietà sarà trasferita alla P.A. e al proprietario venga corrisposta la somma specificamente individuata nell’accordo. Ove invece tale accordo non si raggiunga il Giudice Amministrativo fissa un ulteriore termine per l’emissione dell’atto di cui all’art. 43, definendo i criteri da adottare per la stima del risarcimento eventualmente affidata ad un consulente tecnico [14].
La stima del risarcimento
L’art. 43 parla di risarcimento, indicando – al comma 6 – i criteri per la sua determinazione, che consistono (lett. a)”nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile sulla base delle disposizioni dell’art. 37 commi 3, 4, 5, 6 e 7 [15]“ , e (lett. b) “col computo degli interessi moratori [artt. 1223, 1224, c.c.], a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo”.
Dalla lettura di numerose pronunce di diversi tribunali amministrativi emerge tuttavia l’assoluta incertezza dei criteri indicati per la stima del risarcimento, ossia una scarsa coerenza sia reciproca che alla logica estimativa.
Tale incoerenza è valutata con riferimento a quelle che razionalmente sono le componenti del risarcimento del danno subito. L’utilizzazione senza titolo di un bene privato comporta infatti due distinti danni:
- Il primo attiene alla perdita definitiva della proprietà, che avviene nel momento in cui è adottato il provvedimento di cui all’art. 43;
- Il secondo danno riguarda la mancata utilizzazione del bene per il periodo di occupazione illegittima e fino alla perdita della proprietà.
Ciò premesso, il calcolo del risarcimento non deve determinare duplicazioni o sovrapposizioni tra i due tipi di ristoro.
Allo scopo di chiarire quanto detto, nel seguito si illustrano, mediante una classificazione, i criteri di stima del risarcimento del danno finora adottati dai Tribunali Amministrativi Regionali.
Criterio a) Il risarcimento è commisurato al valore del bene “con riferimento alla data dalla quale si può configurare l’illecito permanente e alla destinazione urbanistica”, più gli interessi moratori (così TAR puglia sez. I n. 3342/08, 112/09 sez. III n. 603/09, TAR Sicilia sez. II n. 342/09, TAR Salerno sez. I n. 152 e 153/09). Al privato spetta inoltre un risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, da computarsi dall’inizio della stessa e fino alla data della restituzione del bene o dell’atto di acquisizione.
Il TAR della Lombardia (sez. II sentenze n. 1987/09 e n. 3752/09) specifica che per tutto il periodo di occupazione illegittima è dovuto un risarcimento pari ad 1/12 del valore venale, anno per anno, con rivalutazione monetaria ed interessi. Il TAR della Campania (sez. V sentenze nn. 5083, 5889, 8904, 7150 /08 e n.1373/09) stabilisce, invece, che in via equitativa il risarcimento per occupazione illegittima del suolo sia determinato in misura pari agli interessi legali annualmente calcolati sul valore venale del bene.
Criterio b) come il precedente, ma al valore di mercato del bene, riferito alla data di inizio dell’illecito permanente, sono aggiunti oltre agli interessi anche la rivalutazione monetaria del risarcimento, trattandosi di debito di valore [16] (così TAR Emilia Romagna sez. I n. 2160/03, TAR Brescia n.1796/08, TAR Calabria sez. 583/08 e TAR Veneto sez. I 1328/08).
Criterio c) come b, ma a differenza di questo non è specificamente previsto alcun ristoro per il periodo di occupazione illegittima. Il giudice sembra abbia ritenuto compreso nel computo degli interessi e della rivalutazione, il risarcimento per tale componente del danno [17]. (così TAR Puglia sez. II 2903/08, TAR Sicilia sez. I 1722/07 sez. II 2098, 2335, 2349, 2350/08, sez. III 899/08)
Criterio d) Si riconosce che la stima debba essere riferita alla data dell’atto di acquisizione, è accettato tuttavia un “valore storico” riferito alla data di occupazione (immissione in possesso) poi rivalutato secondo gli indici ISTAT (così TAR Sicilia sez. I n. 438/09 e sez. II n.57/09, TAR Veneto sez. I n. 342/09 e TAR Lazio sez. III n. 985/09 e sez. II n. 4391/09). Sul valore rivalutato sono imputati gli interessi moratori. Anche in questi casi non è menzionata l’indennità di occupazione illegittima.
A partire dall’esame critico dei criteri illustrati, è trattata innanzitutto la prima componente del risarcimento, quella cioè che attiene alla perdita della proprietà, offrendo – a giudizio di chi scrive – un razionale procedimento che definisce i termini essenziali della stima.
Una rilevante critica ai criteri a, b, e c, è alla data di riferimento per la stima del valore di mercato del bene (lett. a del comma 6), assunta corrispondente all’inizio del fatto illecito che è localizzato nel termine dell’occupazione legittima o nel momento in cui si è verificata l’irreversibile trasformazione del bene. Occorre precisare che, fissato tale termine per la stima del danno (il danno si è cioè consumato in quella data), è corretto poi – trattandosi di debito di valore – il conteggio degli interessi e della rivalutazione monetaria.
È evidente che il criterio di stima del risarcimento così definito assume che la proprietà sia stata persa al momento del verificarsi dell’irreversibile trasformazione del bene (data che la giurisprudenza in tema di occupazione appropriativa ha fatto coincidere con la fine dell’occupazione legittima se la trasformazione era precedente ad essa). Questo, da un lato, è in evidente contraddizione con il disposto dell’art. 43, dall’altro porterebbe ad escludere nella quantificazione del risarcimento l’indennità di occupazione illegittima.
Sulla questione della data, l’interpretazione corretta e coerente con l’art 32 del T.U. [18], pure confermata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia (ordinanza n. 330/08 e decisioni n. 934/05, n. 52/09 n. 483/09), è quella secondo cui il danno deve essere correlato all’entità economica del bene – con esclusione delle modifiche subite per effetto dell’occupazione – nel momento in cui è definitivamente sottratto alla titolarità del privato. Il valore di mercato va perciò riferito alla data in cui l’amministrazione adotta il provvedimento di acquisizione [19].
Ai fini cioè della quantificazione del risarcimento e quindi del valore del bene rimane invece essenziale la ricognizione della natura edificabile o meno dell’area tenendo conto delle possibilità legali di edificazione effettivamente esistenti nella situazione originaria, anteriore cioè all’occupazione. Il legislatore, con il richiamo ai commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art. 37, ha quindi voluto riferire la valutazione dei beni alla disciplina urbanistica previgente all’illecito ed in base al criterio dell’edificabilità dei suoli [20], nulla rilevando, ai fini della determinazione del risarcimento, l’effetto di vincoli preordinati all’esproprio. Questo tuttavia non esclude il ricono...