Rimedi alle molestie condominiali: la tutela pubblicistica e l'esposto al sindaco

Un primo rimedio esperibile è quello in via amministrativa, attraverso la presentazione di un esposto [1] al Sindaco del Comune di residenza, contenente le generalità della parte istante e quelle del soggetto disturbatore, con l’indicazione degli orari e dei rumori che provocano molestia. [2]

Contestualmente va presentata richiesta di intervento…



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Diversamente il singolo condomino potrà agire in sede civile contro il vicino rumoroso non esercente alcuna attività suddetta.

In realtà, benché distinte sul piano concettuale, l’azione amministrativa e quella civile presentano alcuni elementi di commistione sul piano operativo.

Fino agli anni ‘90 del secolo scorso l’unico rimedio contro il rumore era rappresentato dall’ art. 844 c.c. (oltre l’art. 659 c.p.) [3], operante nell’ambito esclusivo dei rapporti intersoggettivi e a tutela dei diritti reali.

Con l’avvento della Costituzione il bene della proprietà passa in secondo piano, mentre diviene centrale la tutela della persona umana e della sua salute. Ne deriva una necessaria rivisitazione dell’art. 844 c.c. per la protezione non solo della proprietà, ma, più in generale, per la tutela della salute e della salubrità dell’ambiente in cui vive lo stesso proprietario o il titolare di altro diritto reale o personale di godimento sul bene.

In seguito, con l’accrescersi del fenomeno dell’inquinamento acustico, si giunge alla formulazione della Legge Quadro…



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Secondo l’art. 2 della legge citata, per inquinamento acustico si intende «l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi».

La norma pubblicistica fa riferimento al criterio dell’ammissibilità delle emissioni anziché a quello della normale tollerabilità, previsto dalla disciplina privatistica.

I due parametri implicano diverse modalità di rilevamento e difficilmente risultano coincidenti.

L’ammissibilità è un criterio obiettivo che prescinde dagli effetti pregiudizievoli che le emissioni produrrebbero in capo al singolo, ed è valutabile solo con riferimento ad un limite minimo ed uno massimo prefissati ex lege.

La tollerabilità, invece, è parametrata sulla sensibilità di un uomo medio e viene considerata in relazione alle esigenze del fruitore del bene immesso, che subisce un attentato alla propria integrità psicofisica.

Le due normative perseguono, pertanto, due finalità distinte.

In particolare, la legge sull’inquinamento acustico ha quale obiettivo quello di preservare l’integrità psicofisica della collettività e non di un singolo individuo, mentre gli eventuali interessi particolari dei cittadini trovano una tutela solo indiretta nella misura in cui coincidono, in tutto od in parte, con l’interesse pubblico anzidetto.

Il soggetto passivo dell’immissione è, infatti, normativamente irrilevante…



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La Legge 27.02.2009 n. 7, intitolata «conversione in legge, con modificazioni del Decreto Legge 30.12.2008 n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente», ha tentato di superare questo doppio binario, cercando di agganciare il criterio della normale tollerabilità ad un dato concreto e per ciò prevedendo all’articolo 6 ter che «nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso» [4].

Ma le modifiche apportate non hanno sortito l’effetto sperato, stante la poca chiarezza del dettato normativo, e in giurisprudenza continua a trovare applicazione il doppio binario di tutela per la diversità dei settori in cui si opera, delle finalità perseguite e dei destinatari [5].

In tema di competenze la L. 447/95 demanda ai Comuni ampli poteri di controllo sul rispetto della normativa per la tutela dall’inquinamento acustico. Più precisamente, il suo secondo comma individua una serie di figure deputate a svolgere determinate funzioni di vigilanza. [6]

Qualora sia accertato il superamento dei limiti di rumorosità, il verbale redatto dall’organo accertatore potrà costituire la base per l’avvio del procedimento amministrativo, oltre che utile strumento probatorio da produrre in un eventuale giudizio.



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I tecnici dell’ARPA verificheranno, in seguito, se è avvenuto il risanamento e, in caso contrario, il Sindaco potrà intervenire con l’inibitoria parziale o totale dell’attività o imponendo il ricorso temporaneo a misure di contenimento o abbattimento dei rumori, per il tempo necessario all’adeguamento. [7]

In ipotesi di persistente inosservanza il Sindaco può ordinare persino la chiusura definitiva dell’attività oltre all’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 10, comma 3 della Legge n. 447/95, nonché la segnalazione all’Autorità Giudiziaria per la violazione dell’art. 650 c.p [8].

Nel caso in cui le molestie siano rappresentate da odori e miasmi intollerabili, abbiamo già detto in precedenza come sia difficile misurarne l’intensità per la mancanza di strumenti adeguati.

Ad accentuare tale incertezza si assomma la mancanza di una disciplina di settore sugli odori. Per tale ragione si è pensato di ricorrere in via estensiva alla legge sull’inquinamento atmosferico [9].

L’art. 2 della predetta legge definisce l’inquinamento atmosferic…



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Pertanto, pur non citato espressamente, l’odore può considerarsi insito nella nozione di «inquinamento atmosferico», poiché la molestia olfattiva costituisce senza dubbio un fattore di «alterazione della salubrità dell’aria», e può «compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente».

La procedura da seguire in tali ipotesi non è dissimile da quella prevista per le molestie acustiche.

Anche qui un esposto al Sindaco consente di attivare l’A.r.p.a. per i dovuti controlli che si esauriscono con una relazione tecnica sulla fonte dell’inquinamento.

L’assenza di valori limite e di sistemi ufficiali di rilevamento ha portato la Giurisprudenza a formulare ed applicare il criterio delle «migliori tecnologie disponibili» [10] per assicurare l’equilibrio tra le ragioni della produzione e quelle ad un ambiente salubre.

Grazie a tale nozione si individuano le specifiche cautele che possono essere imposte alle imprese con provvedimenti amministrativi. Ad esempio, il Sindaco, in presenza di un pericolo per la salute, può adottare ordinanze urgenti che impongano l’adozione di misure di contenimento. In caso di inosservanza il Sindaco può disporre la cessazione dell’attività. [11]

Per fare un esempio, recentemente, il Tar Emilia Romagna ha dichiarato legittima l’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco che aveva sospeso l’attività di un’azienda nella fascia oraria notturna, per il tempo necessario all’adeguamento degli impianti. Di enorme rilevanza, nel caso di specie, è stato il rigetto da parte del Tribunale dell’opposizione presentata dall’azienda in base alla quale non poteva giustificare un simile intervento la lamentela di una sola famiglia. Il Tar emiliano ha, invece, precisato che la tutela della salute pubblica…



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Da ciò si deduce che nell’ipotesi in cui un edificio condominiale sia sito nelle vicinanze di un’industria o altra attività similare, che produce rumori o odori presuntivamente intollerabili, non occorre affidarsi necessariamente all’intervento dell’intero condominio, ma si può agire autonomamente in mancanza di collaborazione.