Autore
                                        
                                            Melloni, Ines
                                        
                                    
                                    
                                        
Limite temporale di  adozione del provvedimento acquisitivo
E’ stato affermato in sede di elaborazione giurisprudenziale che se la ratio dell’art. 43 TU consiste nella regolarizzazione e sanatoria delle procedure oblatorie illegittime e dei comportamenti illeciti della Amministrazione in campo espropriativo con eliminazione delle ipotesi di occupazione appropriativa nonché usurpativa,  non può  che riferirsi, come ogni disposizione di sanatoria, a qualunque situazione pregressa di illegittimità ed illiceità posta in essere dalla P.A, con l’unico limite costituito dall’eventuale giudicato che esplicitamente riconosca al privato il diritto alla restituzione del bene, diritto, che, allora a tali condizioni, il sopravvenuto provvedimento acquisitivo  ex art. 43 TU non può più  rimettere  in discussione (TAR LE 3307/2006, CGA 934/2005).
Secondo tale impostazione la adozione del provvedimento ex art. 43 è possibile fino al momento di passaggio in giudicato della sentenza che riconosca il diritto alla restituzione del bene. Tale affermazione si collega con la constatazione che per il  provvedimento di acquisizione emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza comportante restituzione del bene è prospettabile il vizio di violazione o elusione del giudicato.
Lo stesso Consiglio di Stato aveva affermato che  se la proprietà agisce in giudizio di ottemperanza per ottenere la restitutio in integrum a seguito dell’annullamento degli atti e dell’inottemperanza da parte della  Amministrazione, la domanda deve essere accolta qualora  nel giudizio di merito la P.A. non abbia fatto uso dell’art. 43 e del provvedimento ivi previsto (CDS AP 2/2005).
Il limite temporale di adozione del provvedimento di acquisizione è quindi individuabile nel  momento dell’ordine di restituzione pronunciato dal giudice, in quanto la norma attribuisce un potere amministrativo esercitabile fino a quando la situazione sia aperta, perché ancora pendente dinanzi al giudice, cioè fin quando non sia intervenuta pronuncia definitiva di restituzione.
Occorre al riguardo distinguere, sulla base della elaborazione giurisprudenziale sul tema, la ipotesi in cui il passaggio in giudicato riguardi il provvedimento giudiziale di natura demolitoria o anche ripristinatoria (condanna alla restitutio in integrum).
Sulla base della negazione di un nesso di consequenzialità ed automaticità tra giudicato di pronuncia demolitoria (annullamento provvedimenti espropriativi) e soddisfazione della domanda restitutoria, è stato sottolineato che la emanazione del provvedimento acquisitivo, se può avvenire anche successivamente al giudicato formatosi sull’annullamento della procedura espropriativa,  sembra trovare, comunque, un insuperabile ostacolo nell’ordine del giudice di restituzione dell’immobile intervenuto prima della adozione del provvedimento medesimo. 
Quest’ultimo infatti verrebbe adottato in elusione del giudicato (ipotesi oggi  riconducibile alla nullità dell’atto ex art. 21 septies L. 241/1990) oltre ad essere comunque configurabile una ipotesi di invalidità per mancanza  del  presupposto per la sua emanazione, consistente nell’utilizzo del bene, che sarebbe venuto meno se la P.A. avesse ottemperato al giudicato.
Preclusione alla emanazione del provvedimento è pertanto il  principio della intangibilità del giudicato a condizione che questo esplicitamente riconosca al privato il diritto alla restituzione del bene, con esclusione  pertanto del  caso in cui  la  attribuzione dell’efficacia di res iudicata riguardi  esclusivamente la sanzione di annullamento di  atti  afferenti ad una procedura espropriativa.
Seguendo suddetto orientamento giurisprudenziale anche la pendenza di giudizio di ottemperanza non esclude la emanazione del provvedimento acquisitivo, qualora il giudicato formatosi e legittimante il giudizio di ottemperanza non esplicitamente riconosca al privato il diritto alla restituzione del bene (TAR BO 2160/2003).
Sul tema occorre infine dare atto di una distinzione effettuata in sede di elaborazione giurisprudenziale tra art. 43.1 ed  art. 43.3.  Sulla base della asserita natura  processuale  del comma 3 è riconosciuta alla Amministrazione la facoltà di limitarsi ad adottare i provvedimenti richiesti  per l’esercizio della azione processuale attuando  una scelta di rimettere la valutazione della fondatezza della domanda al giudice amministrativo, anziché emanare  direttamente l’atto di acquisizione. Ciò del resto troverebbe conferma, secondo la impostazione riferita,  nel dettato letterale del comma 3 per il quale la istanza può essere formulata qualora sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di pubblico interesse, senza quindi che la norma specifichi quali debbano essere i presupposti legittimanti  l’esercizio di tale azione (estendibile quindi anche al giudizio di ottemperanza in   forza di giudicato) o limiti la applicabilità solo a determinate fattispecie.
La istanza di cui al comma 3 verrebbe così ad essere possibile anche nell’ambito di un giudizio di ottemperanza promosso per la attuazione di giudicato comportante l’ordine di restituzione del bene illegittimamente occupato da parte della Amministrazione (TAR CA 231/2006).
Il contrasto con la decisione AP 2/2005 è solo apparente considerato che il caso deciso dal Consiglio di Stato riguardava una ipotesi di giudizio di ottemperanza in cui ad essere  esclusa era  stata la emanazione del provvedimento ex art. 43.1 e non la istanza prevista dall’art. 43.3.
Adempimenti preliminari: il “giusto procedimento”
Il provvedimento di cui all’art. 43 rappresenta tipico esercizio di potere discrezionale, in quanto la autorità espropriante dovrà, dandone atto in motivazione, valutare quelli che sono gli interessi (pubblici e privati) in conflitto, come del resto recita l’incipit della norma stessa.
La necessità del “giusto procedimento” trova fondamento nella medesima  ragione che la impone nella fase antecedente la  apposizione del vincolo espropriativo, nonché la dichiarazione di pubblica utilità. Con la emanazione del provvedimento ex art. 43, si attua infatti quella  comparazione di interessi (pubblico e privato) che normalmente  viene attuato in sede di localizzazione dell’opera e di sua dichiarazione di P.U., o perché lo stessa non è stata mai effettuata, nel caso ad esempio di occupazione di fatto, o perché si impone la sua attualizzazione a seguito di vicende patologiche coinvolgenti la imposizione originaria del vincolo o la stessa pubblica utilità (annullamento - scadenza di efficacia ecc...).
La adozione del  provvedimento di “acquisizione sanante” deve essere   pertanto   preceduto dal giusto procedimento  al fine di consentire una più ponderata analisi da parte della P.A. degli interessi coinvolti, nonché al fine di evitare possibili contenziosi a cui fa specifico riferimento lo stesso art. 43.3 TU .
In mancanza di disciplina speciale troverà applicazione la norma generale (L 241/1990). 
Non può fondarsi la omissione del contraddittorio sull’assunto della superfluità della comunicazione di avvio del procedimento  ex art. 21 octies L 241/1990, in relazione alla natura di atto conclusivo e vincolato del provvedimento di acquisizione, conseguente alla intervenuta realizzazione dell’opera pubblica, imponendo come detto la norma una attualizzazione della comparazione di interessi. Deve viceversa riconoscersi al  provvedimento acquisitivo   natura discrezionale (TAR CZ 84/2006,  AN 949/2005).
Natura vincolata è attribuibile unicamente al provvedimento acquisitivo emanato ai sensi dell’art. 43.4  a seguito cioè della pronuncia giudiziale di condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene. Non a caso in sede di emanazione di suddetto provvedimento non è più necessario che l’ Amministrazione dia conto  della valutazione degli interessi in conflitto potendosi limitare a richiamare la sentenza giudiziale e dare atto dell’avvenuto risarcimento del danno.
Né può ritenersi sufficiente la circostanza che il provvedimento acquisitivo ex art. 43.2 lett. d) è oggetto di successiva  notifica al proprietario nelle forme degli atti  processuali civili; tale adempimento riguarda infatti un atto che reca una determinazione definitiva dell’Amministrazione che procede all’acquisizione coattiva del bene. La suddetta  notificazione non instaura un contraddittorio procedimentale tra le parti: contraddittorio che, per contro, deve essere  attivato in precedenza, secondo le norme di principio contenute nell’art. 7 e ss.  L 241/1990 (TAR VE 275/2007, NA 6791/2006).
Competenza alla emanazione del provvedimento acquisitivo
Nulla prescrive l’art. 43 TU in ordine alla competenza alla adozione del provvedimento di “acquisizione sanante”.
Si tratta in buona sostanza di stabilire se la competenza vada attribuita al l’organo politico (Consiglio o Giunta) o all’organo tecnico (Dirigente dell’Ufficio per le espropriazioni).
Sono state al riguardo prospettate in dottrina  diverse e contrastanti soluzioni.
Secondo un primo orientamento la individuazione dell’organo competente deve essere effettuata in relazione al caso concreto. Più precisamente nel caso in cui sia mancante il vincolo espropriativo (in quanto annullato) il provvedimento acquisitivo andrebbe ad incidere sulla destinazione urbanistica dell’area e pertanto in materia riservata alla competenza del Consiglio.
Nel caso in cui la occupazione illegittima sia conseguenza della mancata adozione, nei termini di efficacia previsti della pubblica  utilità, del decreto di esproprio la competenza alla adozione del provvedimento ex art. 43 TU andrebbe riconosciuta al Dirigente (dell’Ufficio espropri), essendo a questo attribuiti ex art. 107 del d. lgs. 267/2000 tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico. 
Nella fattispecie in esame (scadenza dei termini di efficacia della pubblica utilità),  la validità della dichiarazione di pubblica utilità, con cui tra l’altro è stata effettuata una valutazione degli interessi in conflitto, non è mai stata posta in discussione per cui il provvedimento ex art. 43 TU si configurerebbe come mero atto di gestione amministrativa. In buona sostanza l’atto sarebbe  attuativo di un indirizzo programmatico riconducibile alla deliberazione del consiglio, in sede di apposizione del vincolo, e dalla giunta o dal consiglio in sede di approvazione del progetto definitivo.
Diversa sarebbe infine la ipotesi in cui l’atto di acquisizione coattiva sanante venga adottato con riferimento a fattispecie in cui manchi del tutto ovvero sia stata annullata la dichiarazione di pubblica dell’opera; in tali ipotesi viene affermata la competenza della Giunta, in considerazione che il Consiglio avrebbe già avuto modo di pronunciarsi in merito in un atto fondamentale  (programma triennale dei LL.PP.).
Secondo un diverso orientamento la soluzione al quesito non può differenziarsi a seconda della tipologia di carenza di titolo espropriativo, ma esige una soluzione unitaria.
A tal fine va considerato, secondo la tesi prospettata,  che il provvedimento di “acquisizione sanante” di cui all’art. 43 esce dal procedimento espropriativo regolare  per divenire  parte di una procedura diversa. Ciò determina il venire meno del legame con la scelta già operata in sede di localizzazione dell’opera e di dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente necessità di una nuova valutazione in merito, la cui competenza non può che essere attribuita che al Consiglio ex art. 42, comma 2, lettera l), DLGS 267/2000, comportando una nuova scelta ablativa del bene.
In buona sostanza con la emanazione del provvedimento acquisitivo  la P.A. utilizza uno strumento che si sostanzia in una azione amministrativa diretta alla acquisizione di un bene interessato dalla realizzazione di opera pubblica con contestuale liquidazione del danno, nuova e diversa rispetto alla procedura espropriativa. 
La soluzione prospettata da una parte della dottrina e qui riferita sarebbe poi avvallata dalla competenza, sempre assegnata  al Consiglio ex art. 194 DLGS 267/2000, in ordine alla adozione del provvedimento di riconoscimento dei debiti fuori bilancio, necessario nel caso di procedura acquisitiva ex art. 43 TU, comportando  questa la corresponsione di una somma a titolo di risarcimento del danno e non di indennità.
Si ritiene di poter condividere la impostazione da ultimo riferita che attribuisce  al Consiglio la  adozione del provvedimento acquisitivo, per l’assorbente motivo che è l’organo consiliare ad avere competenza in materia di acquisizioni immobiliari, salvo che non vi sia già la previsione in atti fondamentali o che non ne costituiscano mera esecuzione; nel caso di specie nessun atto fondamentale è riscontrabile essendo venuto meno o il vincolo urbanistico o  la pubblica utilità o  perché  manchi del tutto o perché annullata o perché priva di efficacia a seguito della decadenza del relativo termine.
Nessun dubbio in ordine alla competenza del Consiglio nel caso di utilizzo del bene sine titulo ossia nella ipotesi riconducibili alla figura della occupazione usurpativa , non costituendo in tal caso l’acquisto atto meramente esecutivo di scelte pregresse (TAR RC 322/2006).
Nel caso di scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione di P.U.  va sottolineato che il termine suddetto  ha una funzione ben precisa, che è quella di limitare nel tempo il potere (ablatorio) amministrativo, in considerazione degli effetti negativi sulla sfera giuridica dei soggetti destinatari. Scaduto il termine si ripristina la situazione preesistente, per cui le valutazioni che sono alla base dell’esercizio del potere dovranno essere riformulate  o attraverso una nuova dichiarazione di P.U. o, ove l’opera sia  già stata realizzata o comunque il bene modificato, attraverso il provvedimento ex art. 43 TU che altro non è che espressione di un nuovo potere amministrativo di natura ablatoria.
Infine la  ipotesi di invalidità  e annullamento  del decreto di esproprio ha un carattere residuale in quanto nella maggior parte dei casi si tratterà di invalidità derivata da vizio e conseguente annullamento degli atti presupposti (vincolo espropriativo  – dichiarazione di pubblica utilità), riconducibile pertanto alle fattispecie sopra esaminate. Anche le ipotesi di annullamento per vizio proprio ai fini della applicazione dell’art. 43 hanno rilevanza circoscritta  in quanto, nella maggior parte dei casi, alla suddetta vicenda si accompagnerà la decadenza dei termini di efficacia di P.U.; in caso contrario  nessun ostacolo sembra doversi ravvisare in ordine alla possibilità di emanare un nuovo decreto in pendenza di  una valida ed efficace pubblica utilità, a meno di non ritenere lo stesso inutiliter datum a seguito del perfezionarsi della vicenda acquisitiva, il che però presuppone l’accoglimento della incompatibilità con l’art. 43 TU.
Contenuto del provvedimento
Sulla base del disposto dell’art. 43 TU il provvedimento di acquisizione  deve contenere una serie di elementi e valutazioni da considerarsi parte integrante dello stesso. In particolare:
dispone l’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile dell’Autorità
E’ stato al riguardo rilevato che il termine appare improprio, in considerazione del fatto che non sempre la natura giuridica del bene è ascrivibile a quella del patrimonio indisponibile. Si pensi all’ipotesi di bene modificato per la realizzazione di un’infrastruttura viabilistica o per opera cimiteriale; suddetti beni saranno ascrivibili non certo al patrimonio indisponibile, bensì al demanio. 
Il termine “patrimonio indisponibile” sembra per la verità essere stato utilizzato da parte del legislatore non nel suo significato tecnico,, ossia   di categoria prevista dall’art.  826 Cod. Civ. contraddistinta da quella del demanio di cui all’art. 822 Cod. Civ.,  con conseguenti diversi regimi giuridici, quanto piuttosto in un significato funzionale, ossia di  destinazione dell’immobile  al perseguimento di scopi di interesse pubblico, collegandosi e nel contempo rafforzando il requisito della destinazione del bene all’interesse pubblico richiesto ai fini della adozione del provvedimento acquisitivo, fermo restando, nel caso di bene ascrivibile alla categoria dei beni demaniali, la sottoposizione al relativo regime giuridico, tra cui anche la non espropriabilità in mancanza di sdemanializzazione (4).
Si può ritenere che una diversa interpretazione creerebbe un ingiustificato differente regime giuridico dei beni pubblici, che pur avendo la stessa destinazione e utilizzazione, dovrebbero differenziarsi, riguardo alla disciplina ai medesimi applicabile, sulla base del titolo di provenienza. 
La sottoposizione al regime della demanialità presuppone viceversa, sulla base della disciplina codicistica, l’appartenenza all’Ente pubblico,  indipendentemente dalle modalità acquisitive, oltre che naturalmente l’appartenenza ad una delle categorie individuate dall’art. 822 e 823 cod. civ.
Qualora si voglia comunque cogliere una discrasia tra disciplina civilistica  (art. 822 e 823) e disposizione del Testo unico (43.1) è stato prospettato in giurisprudenza il superamento della stessa attraverso la emanazione di un ulteriore provvedimento che, dopo aver preso atto dell’avvenuta acquisizione ai sensi dell’art. 43 TU delle aree private incorpori le stesse nei beni demaniali (TAR VE 1462/2007). 
deve contenere una valutazione degli interessi in conflitto pubblici e privati
La valutazione è richiesta dall’incipit della norma che consente l’emanazione del provvedimento « valutati gli interessi in conflitto ».
Al riguardo va rimarcato che sarebbe illegittimo il provvedimento “di acquisizione sanante” in cui non sia riscontrabile la valutazione degli interessi in conflitto, pubblici e privati, che deve essere adeguatamente esternata nell’ambito della motivazione e non semplicemente effettuata.
«La norma postula quindi, accomunando nel regime ogni forma d’occupazione senza titolo, la possibilità dell’acquisto della prop...