Origini ed evoluzione dell'istituto giuridico del Trust

L'origine della parola Trust

Sebbene il significato della parola Trust in italiano corrente sia uno solo, molteplici diventano i riferimenti alle figure giuridiche nel linguaggio tecnico.

Il dizionario Treccani definisce la parola «fiducia» («trust») come «l’atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità».

La fiducia costituisce la colonna portante dell’istituto del trust. Riferendosi ad esso in maniera generale si può definire il rapporto di trust quello intercorrente tra un soggetto che dispone di parte dei suoi averi in favore di un avente causa (trustee), il quale viene chiamato a gestirli nel miglior modo possibile sotto le direttive impartitegli dal disponente al momento della cessione patrimoniale.

È intuibile che il rapporto di trust in senso stretto, vale adire il rapporto di fiducia, deve sussistere a monte tra i due soggetti protagonisti del rapporto.

La parola «trust», tuttavia, sfuma di significato, rectius, va ad assumerne di nuovi man mano che si scende nella peculiarità del rapporto e nelle fasi posteriori alla costituzione.

Questo fenomeno è dovuto al fatto che, spesso, coloro che sono chiamati a gestire il patrimonio del disponente non sono persone fisiche ma persone giuridiche.

Precisamente, sono società di capitali, chiamate «fiduciarie», le quali si occupano di gestire patrimoni affidatogli loro da clienti (disponenti). Il vocabolo «trust», in una situazione simile, si riferisce ad almeno tre figure giuridiche differenti.

In primo luogo, con la parola «trust» ci si può riferire alla società stessa; non per altro in inglese tali società sono chiamate trust companies. Sarebbe, pertanto, maggiormente corretto parlare a tal proposito di «fiduciaria» o richiamare la terminologia inglese.

In secondo luogo, il vocabolo «trust» potrebbe invece riferirsi al patrimonio in gestione. In tal caso sarebbe più corretto richiamare il termine inglese trust fund.


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L’istituto del trust, a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja nel 1992 da parte dell’Italia, ha acquistato sempre maggior successo nel nostro paese.

Dal momento che il presente saggio vuole assumere un tono pratico, si è scelto di affrontare le tematiche attinenti al trust più attuali e maggiormente discusse in dottrina ed in giurisprudenza.

Il primo capitolo, sarà dedicato ad una necessaria ricognizione del trust rispetto ai soggetti in esso coinvolti ed alle vicende che possono interessare il rapporto.

Il secondo capitolo, invece, squisitamente tecnico, si occuperà della tenuta delle scritture contabili ed al loro contenuto. In tal sede verrà analizzato il c.d. Libro degli Eventi (pilastro della contabilità del trust), ed il dovere di rendicontato che sorge in capo a colui che gestisce il trust, vale a dire il trustee (vuoi la società fiduciaria, vuoi una persona fisica).

Nel capitolo seguente, si avrà invece riguardo alla legislazione antiriciclaggio costituita dalla Legge Finanziaria del 2007. Non solo, a fronte di questa normativa si vedrà come si sono attivate l’Agenzia delle Entrate e l’UIF (l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca di Italia), fornendo regole interpretative e linee guida per i professionisti che si trovano coinvolti in un rapporto di trust.

Infine, un ultima parte sarà dedicata a delle fattispecie concrete realmente esistite e passate al vaglio del giudice, per riscontrare la reazione del nostro ordinamento di fronte alla strumentalizzazione di questo istituto a fini elusivi.

Tutto ciò, nella speranza di far luce sui punti focali che contraddistinguono il trust nell’esperienza giuridica del nostro paese.


Struttura giuridica del contratto di trust

Il trust è un istituto che affonda le proprie radici storiche nel diritto anglosassone.

Il diritto di common law ha elaborato questo strumento giuridico interpretando le nozioni di «erede fiduciario» importate dal diritto continentale.

Nel corso dei secoli successivi, il trust è stato reso efficiente e funzionale grazie all’azione del giudice dell’Equity [1].

L’ordinamento italiano conosce il trust grazie alla ratifica della convenzione dell’Aja nel 1992. Il trattato internazionale, definisce il trust secondo uno schema giuridico tipico, il quale prende le mosse dall’istituto anglosassone, modificandolo ed andando così a creare quello che autorevole dottrina chiama «trust amorfo» [2].

Secondo la Convenzione, il rapporto giuridico di trust si instaura qualora un soggetto disponente (settlor) conferisca dei beni (per mezzo di atto tra vivi o mortis causa) ad un amministratore (trustee), il quale gode dei poteri e doveri propri del diritto reale di proprietà. Tuttavia, le gestione di questo patrimonio non è arbitraria, bensì diretta ad uno scopo specifico individuato dal disponente.


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In virtù di ciò, i creditori del trustee non sono legittimati ad aggredire il trust fund e, inoltre, alla morte del medesimo, tali beni non faranno parte dell’asse patrimoniale del trustee - de cuius.

Di conseguenza, nemmeno i creditori del disponente sono legittimati ad aggredire il patrimonio in trust, in quanto esso, una volta conferito, esce dalla sua sfera patrimoniale.

Ai creditori sarà riservata la facoltà di azione di rivendica solo qualora essi dimostrino che il trust è stato costituito con l’unico scopo di sottrarre le garanzie patrimoniali a loro danno.


Tipologie di trust


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La legge applicabile all’istituto

La L. 16 ottobre 1989, n. 364, mezzo tramite il quale l’Italia ha ratificato la Convenzione, esclude dal proprio campo di operatività le questioni concernenti il trasferimento dei beni in trust, alle quali sarà applicata la L. 31 maggio 1995 n. 218.

Non solo, la L. 16 ottobre 1989 n. 364 non si occupa delle norme imperative con riguardo a materie diverse da quelle inerenti ai rapporti giuridici discendenti dal trust [7].

Tuttavia, essa ribadisce il concetto di «segregazione» proprio della disciplina della Convenzione, sancendo così la separazione del patrimonio in trust rispetto a quello del disponente e del trustee.

Il nostro ordinamento non ha ancora adottato una normativa che disciplini in maniera esaustiva l’istituto che, ormai, opera da più di vent’anni nel territorio italiano con sempre maggior successo [8].

Per tali ragioni, il settlor, al momento della stesura dell’atto istitutivo dovrà individuare la legge applicabile in base a dei requisiti minimi che rendano il trust riconoscibile nel nostro sistema giuridico. Tra tutti il più rilevante è la scelta di un paese che abbia ratificato anch’esso la Convenzione dell’Aja (si potrà far riferimento, ad esempio, agli ordinamenti di Cipro, Malta, S. Marino) [9].


Il riconoscimento del trust interno

Molti autori individuano in una sentenza emessa dal tribunale di Lucca, la prima pronuncia relativa alla questione del riconoscimento del trust interno.

La vicenda oggetto del processo aveva come protagonista un cittadino americano di origini italiane. Questo soggetto aveva nominato, all’interno del proprio testamento, un trustee chiamato a gestire tutti i beni, parte dei quali siti in America.

La figlia del de cuius aveva portato la vicenda dinanzi al giudice, sostenendo che il testamento era nullo, in quanto contenente una sostituzione fedecommissaria, non consentita dal nostro ordinamento. Il giudice, in via preliminare, riconosce che l’istituto in questione non è la sostituzione fedecommissaria bensì il trust, ed esso è legittimo, in quanto riconosciuto dal nostro legislatore tramite la ratifica della Convenzione dell’Aja. L’unica via percorribile dalla figlia, sarebbe stata l’azione di riduzione, in quanto le disposizioni testamentarie potevano risultare lesive della quota di legittima (strada, peraltro, non scelta dalla ricorrente) [10].

Il caso in esame, tuttavia, non pone una vera e propria problematica in tema di legittimità della segregazione patrimoniale, poiché il cittadino disponente era di origine straniera, così come su suolo straniero erano siti i beni coinvolti nel trust.


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Interessante, è una pronuncia in materia societaria. Si tratta di un ricorso avverso un decreto del Giudice del Registro che rigettava la richiesta di iscrivere il vincolo del trust su partecipazioni sociali.

Il tribunale, infatti, ritiene che in base all’art. 13 Conv. è possibile riconoscere in Italia solo i trust stranieri. Invero, secondo tale giudice, il riconoscimento del trust interno potrebbe dar luogo ad un abuso della regola che permette la scelta della legge applicabile con conseguente violazione di disposizioni imperative del nostro ordinamento, in particolare quella in tema di responsabilità patrimoniale.

Inoltre, il giudice ritiene che le iscrizioni nel Registro delle Imprese sono soggette al principio di tassatività ed il trust non rientra fra gli atti iscrivibili.

Questa pronuncia, tuttavia, rimane una voce fuori dal coro, dal momento che i giudici di merito hanno da tempo superato positivamente la questione del riconoscimento del trust interno.


Trascrizione dei beni immobili in trust: pubblicità e riservatezza

L’istituto del trust è connotato, oltre che dall’effetto di segregazione patrimoniale, anche dalla riservatezza.

Questo perché, secondo la tradizione anglosassone importata nella Convenzione, si ritiene che il disponente sia libero di creare un patrimonio vincolato ad uno scopo (oggettivo o soggettivo che sia) al di là della conoscibilità dei terzi interessati (fisco, eredi, creditori) o disinteressati.


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Sempre nello stesso anno, un altro giudice affronta la questione della trascrizione dell’atto istitutivo di un trust.

In questa vicenda, il funzionario della Conservatoria trascriveva sì l’atto, tuttavia con riserva, sulla base di due argomenti. In primo luogo, vige il principio di tassatività sugli atti assoggettabili a trascrizione. In secondo luogo, la trascrizione di tale atto non comporta l’insorgere di alcuno degli effetti dettati dalle norme procedurali in tema di trascrizione.

Viene proposto reclamo avverso la trascrizione con riserva e tale reclamo viene accolto dal giudice. Nelle sue considerazioni, infatti, vuol interpretare in maniera estensiva il concetto di trasferimento di proprietà di cui all’art. 2643 c.c. In tal modo, anche l’istituto del trust sarebbe assimilabile ad uno di quegli atti che permettono il trasferimento della proprietà dei beni immobili [18].

L’anno seguente, il giudice di merito affronta la questione della trascrizione di un trust autodichiarato avente ad oggetto beni immobili. Il soggetto disponente, nella vicenda in esame, si nominava trustee per la gestione di un immobile in favore del fratello disabile. Il giudice, fonda la decisione in favore ella trascrivibilità del trust sulla lettera dell’art. 12 della Convenzione.

Invero, tale norma dota di un potere potestativo il trustee che ha la facoltà di chiedere la trascrizione di un atto relativo al trust, e di fronte tale richiesta, i funzionari preposti alla pubblicità sono obbligati all’adempimento della trascrizione [19].

Sempre con riguardo al trust autodichiarato, vi sono stati tribunali (come quello di Milano) che hanno assimilato tale tipologia di trust al fondo patrimoniale, trovando così l’escamotage per ordinare la trascrizione dell’atto ai funzionari della Conservatoria.

Particolare è la pronuncia della Corte di Appello di Napoli, la quale, in tema di trascrivibilità di trust autodichiarato, afferma che esso non può essere trascritto, poiché consiste in un vincolo e non vi è alcuna noma che lo assoggetti al regime della trascrizione. Inoltre, il giudice prosegue affermando che non rileva l’interesse della parte a che i beni vincolati non siano aggredibili da eventuali creditori, bensì rileva solo l’interesse giuridico riconosciuto dal legislatore [20].

Autore

Corda, Giulia

Laureata in giurisprudenza