Danno da esposizione ad amianto: la tutela giuridica

Legislazione in tema di tutela del lavoratore

Il perdurante silenzio del legislatore è stato interrotto da alcuni provvedimenti che dettavano norme di tutela dei lavoratori, in particolare dal contatto con l’asbesto.

Fra queste può essere citato in primo luogo il Regio Decreto n. 530 del 14 aprile 1927, sull’igiene del lavoro, che all’art. 17 prescriveva: «Nei locali chiusi nei quali si sviluppino normalmente vapori, odori, fumi o polveri di qualunque specie, l’esercente ha il dovere di adottare provvedimenti atti ad impedire od a ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente dove lavorano gli operai».


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Fra le disposizioni contemplate dal D.P.R. 303/1956, meritano di essere ricordate in primo luogo l’art. 4 che prevedeva un obbligo in capo al datore di lavoro di osservare le misure di igiene prescritte nel decreto, oltre ad un obbligo di informazione dei lavoratori riguardo ai rischi specifici dell’attività lavorativa. Il datore di lavoro aveva inoltre l’obbligo di fornire ai lavoratori i mezzi di protezione e di vigilare affinché i lavoratori osservassero le misure di sicurezza previste e utilizzassero i mezzi di protezione forniti loro.

Fondamentale in materia di amianto, la previsione dell’art. 21, che obbligava il datore di lavoro ad adottare i provvedimenti idonei alla riduzione o eliminazione delle polveri.

Infine l’art. 33 prescriveva che i lavoratori esposti a sostanze nocive fossero sottoposti a periodiche visite di controllo.

Il D.P.R. 303/1956, oggi non più in vigore poiché abrogato dal T.U. 81/2008, è stato a lungo scelto dalla giurisprudenza come punto di riferimento fondamentale in tema di datazione della conoscibilità della pericolosità dell’amianto. Benché la pericolosità dell’amianto fosse nota fin da tempi ... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ... da tali disposizioni la prova della conoscibilità della pericolosità dell’amianto fin dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento.

Tale orientamento non è stato accolto pacificamente dalla giurisprudenza. Correnti minoritarie hanno escluso la configurabilità di una responsabilità del datore di lavoro in merito ai danni provocati dall’esposizione all’amianto proprio in virtù dell’assenza di specifiche disposizioni in materia. Fra queste, può essere ricordata la sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1074 del 2008[4], nella quale si ritiene che a metà degli anni Cinquanta fosse noto soltanto «un lontano pericolo di malattia professionale unicamente se le fibre di amianto fossero state consistenti e ad alta concentrazione».

A tale orientamento minoritario si contrapponeva l’orientamento, assunto in primo luogo dalla Pretura di Torino, sentenza n. 7366 del 10 novembre 1995 (est. Fierro), poi ripreso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale la pericolosità dell’amianto fosse nota... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...ente, imponendo «l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti».

Dalla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c., alla luce della tutela della salute prevista all’art. 32 Cost., la giurisprudenza ha pertanto potuto ricostruire un generale obbligo posto in capo al datore di lavoro, il quale non è tenuto a osservare soltanto le «norme di diritto oggettivo esistenti o di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate», ma anche «tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro»[5].

Tramite il ricorso all’art. 2087 c.c., quale clausola generale, ossia norma di chiusura dell’intero sistema della sicurezza sul lavoro, si è potuto ricostruire una forma di responsabilità in capo al datore di lavoro che avesse omesso di adottare le misure di prevenzione idonee a limitare il rischio di esposizione a tali sostanze nocive, posto che la pericolosità dell’amianto era nota fin dagli anni Quaranta del Novecento e dato che, ex art. 2087 c.c., il dovere posto in capo al datore di lavoro non presupponeva la prevedibilità della malattia in concreto verificatesi, quale ad esempio il mesotelioma pleurico.

Era invece sufficiente dimostrare già a quell’epoca fosse prevedibile che l’esposizione alla polvere di amianto avrebbe potuto determinare l’asbestosi, malattia rispetto alla quale la scienza medica degli anni Quaranta aveva già individuato la connessione... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...dal legislatore al fine di prevenire l’asbestosi[6].

Il lungo silenzio del legislatore in materia di amianto si interruppe solo nei primi anni Novanta, a seguito della Sentenza della Corte di Giustizia Europea, che, con decisione del 13 dicembre 1990, condannava la Repubblica Italiana per il mancato recepimento della direttiva 477/83/CEE, ad oggetto la protezione dei lavoratori dall’amianto.

Solo all’esito di tale giudizio, il legislatore italiano emanò dapprima il D.Lgs 277/1991 ed in seguito la L. 257/1992.

Il D.Lgs. n. 277 del 15 agosto 1991, assunto in attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/6... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...o per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di lavoro di otto ore (art. 24 c. 3), superata la quale il datore di lavoro aveva l’obbligo di rispettare i doveri imposti ai successivi articoli, in particolare gli obblighi di informazione nei confronti dei lavoratori (art. 26) e le misure tecniche, organizzative ed igieniche previste dagli articoli 27 e 28.

Il Capo III del D.Lgs. n. 277/1991 è stato abrogato dal D.Lgs. n. 257 del 25 luglio 2006, che contestualmente introduceva il Capo VI-bis, al D.Lgs. n. 626/1994, articoli 59-bis a 59-septiesdecies.

Oggi tali disposizioni sono confluite nel Titolo IX, Capo III del D.lgs 81/2008, che in merito agli obblighi del datore di lavoro prevede all’art. 251 le misure di prevenzione e protezione da adottare, fra cui la necessità di esporre il minor numero di lavoratori possibile alla polvere di amianto, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale delle vie respiratorie, la previsione di congrui periodi di riposo per i lavoratori esposti, la regolare pulizia di locali e attrezzature ed infine particolari procedure per l’imballaggio dei residui di lavorazione e dei rifiuti.

La L. 27 marzo 1992, n. 257 costituisce la normativa quadro in tema di amianto e riguarda la cessazione dall’utilizzo dell’amianto, stabilendo il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto (art. 1).

La Legge istituisce all’art. 4 la Commissione nazionale amianto e detta una serie di disposizioni al fine di controllare le imprese impegnate nella dismissione del’amianto, che devono iscriversi in uno specifico albo ed inviare una relazione tecnica annuale alla Regione.

Tuttavia le disposizioni più rilevanti ai fini di questa trattazione sono senz’altro contenute all’articolo 13.


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La giurisprudenza di merito aveva pertanto sollevato un dubbio di legittimità costituzionale, poiché l’attribuzione dei benefici previdenziali, bas... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...lla quale veniva riconosciuta la determinatezza della fattispecie, per via del parametro dell’esposizione ultradecennale e la ragionevolezza nella capacità delle polveri di amianto di determinare conseguenze pregiudizievoli per la salute dei lavoratori.

Dalla sentenza della Corte Costituzionale derivava inoltre il rifiuto ad estendere il beneficio della sopravvalutazione della contribuzione previdenziale a tutti indistintamente i lavoratori addetti, per oltre dieci anni, a lavorazioni che comunque li avessero esposti ad inalazioni di fibre di amianto. Sorgeva pertanto la necessità di agganciare tale beneficio ad un criterio, che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4913 del 2001, individuò nel medesimo parametro previsto all’art. 27 del D. Lgs. n. 277/1991.

La Corte di Cassazione[8] successivamente, con sentenza n. 1179 del 2007 avrebbe infine esplicitato che non fosse opportuno e non corrispondesse alla ratio della norma escludere dal beneficio previsto al comma 8 una vasta platea di lavoratori, che, pur non essendo stati alle dipendenze di imprese che lavoravano l’amianto, fossero stati ugualmente esposti alle sue fibre cancerose.

Il parametro di cui al comma 8 dell’art. 13 della Legge 257/1992 fu successivamente modificato dall’art. 47 del D. L. n. 369/2003, che lo ridusse da 1,5 a 1,25.

Gli annosi problemi interpretativi causati da tale riforma sembrano oggi aver trovato una soluzione in quanto affermato da... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...2003, non erano titolari di un diritto soggettivo, ma solo di un’aspettativa e che pertanto la riforma non è andata ad incidere retroattivamente in maniera sfavorevole sulle loro posizioni giuridiche.


Il danno da amianto

Di fronte ad un ordinamento giuridico che prevedeva in modo sistematico forme di tutela per lungo tempo non specifiche in materia di danno da esposizione all’amianto, è stata la giurisprudenza a sopperire al vuoto normativo. Come già osservato nel paragrafo precedente, ampio rilievo ha rivestito l’interpretazione dell’art. 2087 c.c. come norma di chiusura


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In primo luogo, la lungo latenza della malattia asbesto correlata determina un problema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Soccorrono le pronunce rese dalla Corte di Cassazione in materia di danno da emotrasfusioni, nelle quali la Suprema Corte ha sancito il principio per cui il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il danno risulta essere oggettivamente percepibile e riconoscibile[9].

Altro profilo da esaminare riguarda l’accertamento del nesso causale tra condotta – omissiva – del datore di lavoro e danno alla salute del lavoratore.

Fino a tempi recenti, non si riscontrava nel panorama della giurisprudenza della Suprema Corte alcuna definitiva cristallizzazione di un orientamento consolidato in materia di causalità civile. Per questa ragione le Corti di merito ricorrevano a molteplici criteri, fra cui possono essere menzionati il criterio dell’”esclusione di altri fattori causali”, sulla base del quale, una volta esclusa l’esposizione ad altre fonti di rischio e riconosciuta l’esposizione all’amianto, è possibile riconoscere responsabilità in capo al datore che abbia omesso le opportune misure di prevenzione; altro criterio è il cosiddetto criterio dell’”alta probabilità”, utilizzato nei casi in cui non poteva essere esclusa con certezza l’esposizione ad altri fattori patogeni[10].


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Per quel che riguarda i danni risarcibili, non si può prescindere dalle celeberrime sentenze gemelle della Corte di Cassazione[11], che hanno delineato... [Omissis - Versione integrale presente nel testo] ...ilità del danno non patrimoniale non può essere limitata ai soli casi in cui questo sia conseguenza di un reato, ma anche quando il danno sia conseguenza della lesione di diritti costituzionalmente riconosciuti, quali la salute, ex art. 32 Cost..

Infine, sulla base dei principi generali ed in particolare del disposto dell’art. 2967 c.c., dalla qualificazione della natura contrattuale della responsabilità per l’amianto, discende che grava sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno, della nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale. La prova liberatoria per il datore consisterà nel dimostrare di aver adottato tutte le opportune misure per evitare il danno[12].